Le chiavi di casa (di Salvo Montalbano)

“Montalbano era tornato a casa da poco, stanco perché il travaglio della jornata era stato duro e soprattutto faticante per la testa. Raprì la porta-finestra che dava sulla verandina: il mare si era mangiato la spiaggia e quasi toccava la casa” (Gli arancini di Montalbano): è diventato un rito “affacciarsi” da quel terrazzo quasi a picco sul mare, mentre si osserva il commissario più famoso d’Italia cenare con le pietanze tipiche della sua amata Sicilia. Dietro a lui lo spettacolo di Puntasecca: una lingua di sabbia che si tuffa nel Mediterraneo.

D’altronde Montalbano è il tipo d’uomo che indulge nei piaceri, e quella casa romantica e malinconica, ma resistente al tempo stesso, rappresenta la sua attitudine e il suo amore per la vita. Così come il suo autore, Andrea Camilleri che, a 93 anni, combatte dopo il malore che lo ha portato al ricovero all’ospedale Santo Spirito di Roma: le sue condizioni restano stazionarie ma critiche.

Vita “sicilianissima” che Camilleri, emigrato a Roma da giovane, ha regalato al suo personaggio più riuscito, Montalbano, e che dalle pagine sapienti dei romanzi è stata trasposta in una serie tv. Una scelta che ha avvicinato gli amanti del genere sempre più alle vicissitudini del proprio beniamino, fino a portarli in quella che è diventata casa sua. E Puntasecca è diventata la fittizia Vigata, ammantata dei ricordi di Camilleri, che ieri lo ha celebrato: in 400 si sono riuniti davanti alla casa del commissario, per la presentazione del libro di Costanza DiQuattro, La mia casa di Montalbano, edito da Baldini e Castoldi.

Infatti non si tratta di un set televisivo, montato per il tempo delle riprese, ma di una costruzione reale, che oggi funge anche da bed&breakfast, per accontentare i fan più accaniti, che magari possono accomodarsi proprio sul divano bianco del salotto a leggere romanzi. E il regista dello sceneggiato, Alberto Sironi, ricorda: “Avevamo girato tutta la Sicilia per scegliere dove ambientare i romanzi di Montalbano. Alla fine abbiamo scelto la zona di Ragusa, tra le colline verdi e le meraviglie del tardo barocco, tutto circondato dal mare, col suo rumore, i suoi colori dall’alba al tramonto. Dovevo sollevare le storie in un’atmosfera magica, irreale”.

Prima però era un’abitazione familiare, una casa costruita nel lontano 1912 dal bis-bisnonno dell’autrice: “Uno spazio piccolo e incantato in bilico fra sogno e realtà”.

La biografia di DiQuattro da familiare si trasforma in corale perché l’Italia intera si è ritrovata in quella villetta affacciata sul mare, e se ne è innamorata: “Arrivarono presto le telecamere dentro quella casa – appunta la scrittrice –. Arrivarono senza che nessuno di noi ne percepisse la portata, senza che nessuno avesse la minima consapevolezza di ciò che stava avvenendo… Ci vollero molti anni per comprendere che stavo condividendo il mio posto felice”.

Sorpresa! Gli assorbenti nei libri (e costano meno)

Con la cultura non si mangia, ma in qualche caso si risparmia. Non solo perché, studiando, si evitano dispendiose ripetizioni extra curricolari, ma anche perché i libri possono risultare determinanti nella vita di tutti i giorni. “Non giudicate questo volume dalla copertina”, è il messaggio lanciato da The Female Company, giovane start up femminista tedesca. E infatti, come un tempo alcuni libri-contenitori negli scaffali dei nostri nonni, The tampon book nasconde al suo interno 15 assorbenti femminili “biologici, coltivati e lavorati senza prodotti chimici e pesticidi”.

L’iniziativa, nata dopo una petizione su change.org che ha raccolto oltre 175 mila firme, nasce come forma di protesta contro la tassazione al 19 per cento dei tamponi in Germania. Un po’ come accade nel nostro Paese, dove l’Iva raggiunge addirittura il 22 per cento e il dibattito su una sua riduzione si è rivelato finora nullo (o ridicolo).

L’incredibile differenza sta tutta nella parola “lusso”: “Il caviale, il tartufo, alcune pitture a olio – si legge nel comunicato di lancio del Tampon book – sono tassati al 7 per cento, mentre i prodotti sanitari femminili al 19. Con questa acrobazia legale, The Female Company vuole creare consapevolezza sulla strutturale discriminazione nei confronti delle donne”. Un proposito di bandiera? Neanche per idea: pubblicato ad aprile, il volume ha visto la prima tiratura esaurita in un solo giorno e la seconda in una settimana. Acquistabile in tedesco o in inglese direttamente sul sito della società, al prezzo di 3,11 euro, finora il volume ha venduto dieci mila copie. Praticamente quanto un nostro best-seller (per intenderci: Fedeltà di Marco Missiroli, in cinquina al Premio Strega, ne ha vendute poco più di sedici mila).

È cultura questa? Anche. Nell’“acrobazia legale” sono contenuti alcuni racconti umoristici sulle mestruazioni, dai tempi biblici a oggi, accompagnati dalle illustrazioni di Alica Läuger e Ana Curbelo. “L’intento delle autrici – ha spiegato una delle fondatrici della start up che, va detto, vende assorbenti e non libri – è quello di spiegare quanto il tema delle mestruazioni sia culturalmente rilevante. Un tabù di cui non si parla ancora apertamente”. E in effetti basta pensare alla terminologia usata in Italia per nascondere un “evento mensile” di cui quasi bisogna vergognarsi: ciclo, marchese, cose, indisposizione, neanche fosse una malattia. Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Ungheria sono i Paesi europei in cui l’Iva sugli assorbenti rimane molto alta. Nel Regno Unito, invece, la tassazione è al 5 per cento, in Francia al 5,5, in Belgio al 6. E nel resto del mondo va pure meglio: il Canada l’ha abolita, così come l’Australia, l’India e lo stato di New York. In Kenya gli assorbenti vengono distribuiti gratis nelle scuole. In Italia, dicevamo, il dibattito è surreale. Un mese fa la Camera ha bocciato un emendamento del Pd al dl Semplificazione sulla tampon tax. Il capogruppo M5s Francesco D’Uva, intervenuto a Omnibus su La7, ha spiegato: “Non c’era la copertura finanziaria e poi siamo per l’ambiente, non vogliamo andare sull’usa e getta”. Da qui il consiglio da esperto: “Ci sono le coppette”.

All’inizio del 2018 la scrittrice Élise Thiébaut ha pubblicato Questo è il mio sangue (Einaudi), un volume con informazioni chiare e dirette sul ciclo mestruale. L’artista Rupi Kaur ha pubblicato un’immagine provocatoria (censurata da Facebook) in cui mostra pantaloni e lenzuola sporche di sangue. Chissà che, alla fine, la cultura non ci aiuti anche a comprare da mangiare.

Guareschi, il Borghese “squilibrato

Giovannino Guareschi viene da un tempo in cui il sopraluogo funziona magnificamente con una “elle” sola. A un certo punto però, l’epoca sua – presa da un asinino urto conformista – ne mette due di “elle” e dice una cosa tipo “Giovanni ventitreesimo”. Lui, invece, il Santo Padre regnante lo chiama per com’è giusto appellarlo: Giovanni vigesimoterzo e Guareschi che nel 1963 scrive per Il Borghese – il settimanale fondato da Leo Longanesi e poi diretto da Mario Tedeschi e Gianna Preda – è lo “squilibrato squilibratore” che non può accampare i titoli di credito di un PPP, il Pier Paolo Pasolini che invece è vanto dello spirito del tempo. Guareschi è ancora quello che a guerra finita, quando torna da un campo di concentramento tedesco domanda in giro – “Il mondo, dove va?” – a sinistra, gli rispondono tutti e lui, allora, bofonchia: “Allora io vado a destra”.

Pane di casa qual è, scrittore, disegnatore e giornalista Guareschi torna in libreria con L’Italia sulla graticola, scritti e disegni per il Borghese (1963-1964), un volume Rizzoli a cura dei figli Alberto e Carlotta, con prefazione di Alessandro Gnocchi che, al lettore di oggi, offre l’esatta caratura del padre di Don Camillo. L’isolamento impostogli dai silenzi, dalle reticenze e dalla censura “che la politica, naturalmente democratica e antifascista, gli costruì attorno nell’ultimo decennio della sua vita con la complicità dell’apparato culturale di riferimento”. Isolato, Guareschi, sebbene spopoli nelle librerie, sia tradotto nelle principali lingue – “eccettuata quella italiana”, così dice – e abiti l’immaginario e il sentimento di milioni di lettori al mondo, forte di un vocabolario di sole cento parole.

Il Santo Padre a suo tempo regnante – Giovanni XXIII – gli chiede di redigere il Catechismo ma lui appunto, umile, dice no: “Non ne sono degno”.

Ed ecco, dunque, in queste pagine, il Guareschi che si ritrova a vivere un tempo in cui il miracolo economico italiano è custodito “nel suo elegante astuccio di pelle pregiata”.

Un miracolo, anzi – il boom – tutto da ammirare. È in una vignetta del Borghese in cui il 1964 e il 1965 si danno il cambio nel calendario. E l’astuccio è il coccodrillo del centrosinistra che se la inghiotte tutta quell’Italia del suo credo – il Re, Cristo e la Patria – a vantaggio del pastrocchio cristian-marxista, o cattocomunismo che dir si voglia, di “donne di malaffare, invertiti e altre porcherie del genere”.

Un esperimento tutto italiano, questo del centrosinistra, per mettersi al passo col progresso, con un protagonista nella scena politica – Amintore Fanfani – che Guareschi descrive come l’accoltellatore di Cristo, il vessillifero di quell’apertura a sinistra con cui si guadagna comunque un primato: “Mai nessun uomo politico fu tanto detestato quanto Amintore Fanfani”. E Guareschi ne fa strame, oltre che nella sua prosa, nelle vignette in cui è sempre sottolineata la bassa statura. Ai lettori che gli contestano i giudizi politici corroborati da valutazioni di natura fisica – “che accadrebbe di Leopardi e di tante altre personalità fisicamente non perfette” – Guareschi taglia corto e risponde così: “Se Leopardi si presentasse tre o quattro volte per settimane alla Tv per spiegarci di votare per il centrosinistra, noi lo tratteremmo esattamente come trattiamo Fanfani”.

Non è mancanza di stile la sua, è mancanza di ipocrisia.

Gino Paoli – celebre “per gli occhiali neri da menagramo” – contesta i giornalisti che sulla clamorosa vicenda del proiettile parlano di tentativo di suicidio, assicura essersi trattato solo di una disgrazia, e Guareschi gli dice: “…visto che è guarito ed è tornato alla sua normale attività, siamo d’accordo con lui; una vera disgrazia”.

Di Alberto Sordi, la maschera d’Italia per eccellenza, Guareschi ha un’urticante e definitiva idea: “È la diffamazione vivente dell’italiano in guerra e in pace”.

Scrivere per Il Borghese, il combattivo settimanale della destra – perfetto per lui che è “di destra nel modo più deciso e inequivocabile” –, è un impegno vivace e senza possibilità di equivoci.

Dall’aprile 1948 all’aprile 1963, quando ci saranno nuove elezioni, agli occhi di Guareschi il “pericolo rosso” è ancora più forte: il primate di Ungheria, il cardinale Mindszenty – “luce di Cristo che brilla nel buio” – è isolato nel suo martirio quando la sua stessa Chiesa, seguendo il concilio Vaticano II, si accorda “col nemico”.

La Dc è un’ossessione per Guareschi che pure – da formidabile propagandista qual è – porta alla vittoria nel 1948. Suo, infatti, è lo slogan “Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no”.

Ma è l’Italia che gli diventa definitivamente provvisoria.

“Giù il cappello!” reclama una malinconica vignetta.

Ci sono dei ceffi in marcia, onusti di medaglie, che richiamano l’attenzione di tutti: “Giù il cappello, è quello che ha ammazzato Giovanni Gentile”.

Senza possibilità di equivoci, nell’unico impegno di sopraluogo: la graticola.

Honduras-El Salvador a 50 anni dalla guerra

Oggi, a Los Angeles, per il gruppo C della fase finale della Gold Cup, si gioca Honduras-El Salvador, a cinquant’anni di distanza dallo spareggio di qualificazione al Mondiale del 1970 (Città del Messico, 27 giugno 1969) e dalla cosiddetta guerra del calcio che si scatenò qualche settimana dopo, 14 luglio, facendo quasi 6.000 morti tra soldati e civili. Un conflitto che con il calcio non c’entrava niente.

In America Centrale il confine sul quale si appoggiano Honduras ed El Salvador è lungo 243 miglia, con il primo Paese che è grande cinque volte e mezzo il secondo. Qui non solo la terra era meno fertile ma era pure controllata da una élite di latifondisti che teneva in ostaggio i contadini da una parte e la classe politica dall’altra. Negli anni Sessanta la mancanza di lavoro e la povertà portò oltre 300.000 contadini salvadoregni a emigrare in Honduras.

Nel 1963 Oscar Lopez Arellano, figlio di proprietari terrieri che aveva fatto carriera nell’esercito, fu eletto presidente. Durante il suo mandato gli Stati Uniti finanziarono ampiamente il rinnovamento dell’agricoltura a patto che le multinazionali statunitensi potessero impiantare coltivazioni di banane e che gli Usa diventassero un partner commerciale privilegiato. La diretta conseguenza fu la riforma agraria del 1967 che di fatto chiedeva ai contadini salvadoregni di lasciare tutto e tornare a casa, cosa che non fecero. Così nel 1969 Arellano decise di forzare la situazione facendo pubblicare dei volantini nei quali i lavoratori stranieri erano appellati come guanachi (camelidi diffusi in Sudamerica), e pure peggio.

La prima ondata di espulsioni avvenne il 2 giugno con 500 famiglie trasferite con la forza oltre il confine, travolgendo i centri per rifugiati messi a disposizione dalla Croce Rossa. I giornali e le radio di San Salvador parlavano di pogrom, omicidi e stupri di massa, ma Thomas P. Anderson, nel libro The War of the Dispossessed, scrive che le violazioni dei diritti umani da parte delle autorità honduregne furono casi isolati e non così diffusi come si crede ancora oggi a San Salvador. Mentre il quotidiano di Tegucigalpa, El Cronista, plaudeva alla pulizia dei campesinos che avevano occupato le terre honduregne. Nel frattempo i proprietari terrieri salvadoregni, preoccupati del ritorno di tanti contadini, minacciarono il presidente Fidel Sanchez Hernandez, militare anche lui, di scatenare un colpo di stato se non avesse attaccato l’Honduras.

L’8 giugno 1969 si gioca a Tegucigalpa la partita di andata che l’Honduras vince 1-0, il 15 quella di ritorno con El Salvador che s’impone 3-0, serve lo spareggio. Qui nasce una delle fake news più incredibili della storia del giornalismo. Si narra, infatti, che dopo la prima sconfitta salvadoregna, Amelia Bolanos, figlia di un generale dell’esercito, rimasta provata, si spara con un colpo di pistola al cuore. Notizia che il cronista polacco Ryszard Kapuscinski riporta nel suo libro La prima guerra del football e altre guerre di poveri, peccato che non esista alcun certificato di nascita e di morte di questa ragazza e il funerale pubblico di cui racconta, al quale avrebbe dovuto partecipare l’intera Nazionale salvadoregna, non c’è mai stato; è stato tutto inventato.

Non da meno fu El Cronista che dopo la partita persa fuori casa aveva scritto di honduregni serviti con urina e letame per bere e mangiare, di donne spogliate e violentate da bande di salvadoregni. Durante la partita di Città del Messico gli eserciti si schierano al confine, vinse El Salvador (3-2) e al termine i giocatori si strinsero la mano. Questo, però, non evitò il conflitto che terminò con l’armistizio del 5 agosto, e solo nel 1992 i due Paesi hanno ripreso i normali rapporti diplomatici.

In questi cinquant’anni gli squilibri sociali sono peggiorati, i due Paesi sono flagellati dalle bande e da un’emigrazione massiccia, con due milioni tra honduregni e salvadoregni che nel 2018 hanno varcato il confine tra Messico e Stati Uniti. Mentre il calcio continua a distrarre le masse.

Dalla primavera all’estate. Ma Babis non molla Praga

Prepotente e inverosimile, l’eco della storia ha risuonato nella memoria di molti cechi. La domenica che Praga ricorderà per il prossimi anni è quella appena trascorsa tra le stelle dorate e il blu della bandiera dell’Unione europea dispiegata dal vento. Le manifestazioni ceche vanno avanti da mesi, ma due giorni fa un coro oceanico di 250 mila si è unito di nuovo per urlare basta al premier: “Babis, dimissioni, dimissioni”.

La primavera di rivolta di ieri, l’estate di protesta di oggi. Esattamente come trent’anni fa durante la rivoluzione di velluto ed esattamente nello stesso posto, tra gli alberi dei giardini del parco Letna. Ieri contro il comunismo, oggi contro il tycoon a capo del Paese, Andrey Babis. Nel 1989 contro un regime, oggi contro la commistione di interessi, frode e corruzione politica che regna impunita e sfrontata nei dintorni di Praga.

Gemello per traiettoria politica e imprenditoriale del presidente americano, definito da alcuni prima Berlusconi dell’est, dopo da molti il Trump ceco, Babis, 64 anni, è il beneficiario, secondo un rapporto della Commissione europea, dei proventi di un gruppo trasferito a due fondi fiduciari ed è tenuto a restituire sussidi pari a quasi due milioni di euro.

Proprietario del gigante alimentare Agrofert e di due dei maggiori gruppi mediatici del Paese, Babis è sotto indagine anche per le accuse di collaborazionismo con l’Stb, servizi segreti d’epoca comunista. E poi ancora, un’accusa dopo l’altra. Un’inchiesta lo indaga per frode e conflitto di interessi. Si tratta di un’indagine la cui esistenza è stata confermata ad aprile scorso dalla polizia. Le conseguenze nel Parlamento ceco sono state l’inizio di una danza delle poltrone. Su quella del ministero della Giustizia è finita un’alleata del premier, Maria Benesova, che rinnovando al premier l’immunità parlamentare, ha evitato il procedere delle ricerche degli inquirenti, secondo i quali, dieci anni fa, il magnate ha usato fondi di Bruxelles per costruire un hotel a forma di nido d’uccello nei dintorni della Capitale.

Uno stravagante progetto bizzarro, diventato ora icona del suo potere che va a picco, disegnato come una corona di spine sulle caricature dei cartelli che fanno sventolare i manifestanti, riuniti dai continui appelli di un tris di studenti idealisti. Quello di Babis è “un comportamento inaccettabile per una società democratica”, ma “cambiare tocca a noi”. I ragazzi che hanno dato inizio alle proteste sono due studenti di teologia boemi e biondi, Mikulas Minar e Roll, insieme alla geografa sociale Jiri Jakub Zevl.

A loro e ai 250 mila il premier ha risposto “non mi dimetto”. Spalleggiato dal presidente Milos Zeman, che gli ha assicurato la sua solidarietà, Babis ha chiosato che “l’Europa cerca di destabilizzare il Paese”. Non è la nuova primavera di Praga, è plna letna, piena estate ceca, scrive il prestigioso magazine Respekt: “È stato irreale, i cittadini cechi hanno riempito completamente la pianura di Letna contro il cinismo della politica, i partecipati della protesta rappresentano una forza che non sapevamo nemmeno esistere qui, i politici devono tenere conto del fatto che non scompariranno subito”. Perché, insegna la storia ceca, “le prossime proteste potrebbero rivelarsi meno pacifiche e sorridenti”.

Il Medio Oriente non segue più più il Sultano “azzoppato”

Dove va Istanbul va la Turchia”, è stato il motto di Erdogan da quando nel 1994 fu eletto sindaco di Istanbul per poi diventare il signore e padrone di tutto il Paese. Per questo la doppia vittoria di Imamoglu – che nel 2023, se non prima in caso di elezioni anticipate, potrebbe sfidare il capo dello Stato alle presidenziali – è stata una debacle per la credibilità del Sultano. Che, nel tentativo di impedire all’avversario del suo candidato Yildirim la conquista del municipio più importante del paese, ha perso ulteriormente la propria, già ridotta, autorevolezza sia in ambito domestico che internazionale. Dopo anni di polarizzazione estrema, esacerbata dalle purghe contro gli oppositori politici definiti da Erdogan indistintamente “terroristi”, il capo dello Stato ha visto per la prima volta il proprio partito perdere voti al punto da farsi strappare la città-motore del paese e ora teme di perdere anche la posizione di attore coprotagonista con Russia e Usa della “questione siriana”. Negli ultimi 5 anni, Erdogan ha scatenato l’ennesima guerra per impedire ai curdi, non solo del sud-est turco, di rivendicare l’automomia di cui in teoria godono. Allo scopo di impedire ai curdi siriani di creare una sorta di Stato nel nord, non ha esitato a mettersi contro gliStati Uniti, storici alleati Nato. Né ha esitato ad avvicinarsi strumentalmente alla Russia di Putin per poter ricattare la Casa Bianca, acquistando il sistema antimissile S-400 anziché i Patriot americani. Dopo questa sconfitta Trump è probabile si vendicherà con il riottoso alleato. Anche per Putin sarà ancora più facile usare la sconfitta “dell’amico Erdogan” per costringerlo a fare ciò che gli verrà utile. E si complicherà anche il suo tentativo di soffiare all’Arabia Saudita la leadership della umma sunnita a cui aspira da anni e nemmeno lo aiuterà a continuare a difendere i palestinesi, soprattutto Hamas a Gaza, e a farsi portavoce della sopravvivenza della Fratellanza Musulmana massacrata da Al-Sisi in Egitto.

Reddito, Anpal inizia a chiamare i 120mila beneficiari occupabili

È stata pubblicata ieri la graduatoria con i nomi dei 2978 vincitori del concorso per diventare navigator, cioè il personale che supporterà gli impiegati dei centri per l’impiego nelle attività legate al reddito di cittadinanza. Due in meno del previsto: ne mancano un paio ad Alessandria, che saranno chiamati dalla lista degli idonei delle province limitrofe. In 19.581 avevano sostenuto il test (il 30% di quelli previsti inizialmente), ma soltanto in 5.960 lo hanno superato; infatti, oltre ai vincitori, si contano 2.982 candidati idonei.

ieri poi Anpal Servizi, la società che gestisce il bando di gara, ha specificato anche le regole per i beneficiari del reddito di cittadinanza, che nei prossimi mesi saranno chiamati a colloquio per trovare un’occupazione. Una scheda servirà a controllarne lo stato occupazionale e a stabilire eventuali sanzioni: chi non si dovesse presentare al primo appello senza una motivazione adeguata avrà il beneficio sospeso per un mese. Alla seconda assenza la sospensione sarà di due mesi, e in caso di una terza mancata convocazione il sussidio verrà definitivamente revocato. Secondo le stime i beneficiari del reddito occupabili per ora sono circa 120 mila.

Calabria, evasi 500 milioni Sequestri su del 700%

In Calabria sono aumentati di quasi il 20% gli evasori totali scovati. Sono 296, infatti, quelli scoperti nell’ultimo anno e mezzo dalla Guardia di finanza che ha accertato una base imponibile di circa 865 milioni di euro nascosta al fisco.

Sono solo alcuni dei numeri che stamattina verranno snocciolati a Catanzaro durante il 245° anniversario di fondazione delle Fiamme gialle. È stata scoperta un’imposta sui redditi evasa, anche tramite frodi, pari a 334 milioni nonché Iva e ritenute fiscali per complessivi 164 milioni. Numeri importanti così come quelli relativi alla lotta alla corruzione: sono stati denunciati, infatti, 393 pubblici ufficiali (+ 31% rispetto al periodo precedente) di cui 51 sono stati arrestati (+13,3%) dalla guardia di finanza che ha accertato condotte corruttive, concussive e di peculato per 10 milioni di euro (+186%). E se il valore degli appalti truccati in Calabria ammonta a 143 milioni di euro, quello dei beni sequestrati è di un miliardo e 290milioni (+708%) mentre è di 207 milioni quello dei beni confiscati alla ‘ndrangheta a cui le fiamme gialle hanno sequestrato circa 45 tonnellate di droga.

“Stiamo dirigendo le risorse – commenta il generale Fabio Contini che guida il Comando regionale della Calabria – nei settori più sensibili della Calabria dove c’è una presenza continua delle cosche. Qui siamo più concentrati nel reimpiego dei capitali illeciti nell’economia, nel cercare di recuperare spazi per le economie sane”. “I dati sono molto positivi e incoraggianti”, sostiene il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, secondo cui è “il risultato di un lavoro sinergico che si sta facendo da 3 anni tra la guardia di finanza e la Dda. Stiamo andando a indagare in zone finora inesplorate. La ‘ndrangheta è sempre più presente nelle pubbliche amministrazioni e per noi è fondamentale il lavoro della Guardia di finanza”.

Contrasto d’interessi, come mettere onesti contro evasori

C’è una soluzione spesso evocata al problema dell’evasione fiscale in Italia: il contrasto di interessi, mettere uno contro l’altro il venditore e il cliente, in modo che almeno uno dei due abbia l’incentivo a una transazione regolare con fattura. L’esperimento più noto è la detrazione per la ristrutturazione edilizia. Nel 2012 la quota di spese per ristrutturazione detraibili dall’Irpef sale dal 36 al 50 per cento con un tetto di spesa che sale da 48 a 96 mila euro. Lo scopo, si legge in un rapporto dell’Agenzia delle Entrate sul 2014, è “da un lato, incentivare lo sviluppo economico del settore dell’edilizia; dall’altro contrastare il fenomeno dell’economia sommersa e dell’evasione”.

Viene dato un incentivo al cliente di pretendere la fattura e la regolarità dei lavori perché può scalare dalle tasse fino alla metà della spesa sostenuta. E stiamo parlando di cifre rilevanti, 20 miliardi all’anno. L’intervento è considerato un successo. Ma è complicato stimare quanta parte di quei 20 miliardi di lavori edilizi sono aggiuntivi, cioè non sarebbero risultati al fisco senza l’agevolazione perché gestiti in nero. Anche perché lo scopo dello strumento non era tanto di combattere l’evasione quanto sostenere il settore edilizio. La forma dell’incentivo, poi, lo ha reso anche uno strumento per agevolare l’emersione del sommerso, ma questo è stato più un effetto collaterale che l’obiettivo primario. Perché, osserva la stessa Agenzia delle Entrate, l’introduzione delle agevolazioni fiscali finalizzate a realizzare un contrasto di interessi, “sebbene potenzialmente utile, non è risolutiva nel contrasto all’evasione di massa, ovvero non determina una variazione netta positiva delle entrate per lo Stato”.

Il quadro teorico del problema l’hanno fissato gli economisti Maria Cecilia Guerra e Alberto Zanardi in un acceso dibattito sul sito Lavoce.info ai tempi del secondo governo Prodi, 2006-2007 (quando ancora si parlava di lotta all’evasione). Anche in presenza di una forte agevolazione fiscale, il venditore può comunque rilanciare offrendo uno sconto superiore alla detrazione purché la transazione resti in nero. Il consumatore risparmia, ma lo Stato non aumenta il gettito. Prendiamo un artigiano che vende una prestazione dal valore di 100 euro. Lui ha costi per 20 euro e un profitto lordo di 80. Con un’aliquota Irpef al 40 per cento, pagherà 32 euro di tasse e resterà con 48 euro. Il consumatore paga 100 euro più 20 per cento di Iva, quindi 120. Lo Stato incassa l’Iva e l’Irpef dell’artigiano, quindi 32 euro. L’artigiano ha quindi interesse a evadere: se offre la prestazione in nero lui risparmia i 32 euro di Irpef e il consumatore i 20 di Iva.

Immaginiamo lo scenario della deduzione completa. Nell’ipotesi che il cliente abbia un’Irpef pari a 25, se scala l’Iva (20), pagherà soltanto 5 di Irpef. Lo Stato in questo scenario incassa sempre 32 dall’artigiano ma soltanto 5 dal consumatore. E il gettito crolla da 52 a 27. All’artigiano, peraltro, resta un forte incentivo a farsi pagare in nero: gli basta offrire uno sconto superiore a 20 al consumatore ed entrambi ci guadagnano.

C’è poi un problema più generale: se tutti possono ridurre l’imponibile scaricando le spese, cosa rimarrà da tassare? Sembra un paradosso, ma alla fine l’imposta sul reddito si trasformerebbe in una imposta sul risparmio. Perché graverebbe su quella parte di entrate che non è stata spesa, visto che tutte le spese sono state portate in detrazione. La prova che il contrasto di interessi non basti da solo a risolvere il problema dell’evasione sta nell’Iva: l’imposta sul valore aggiunto è stata costruita proprio per mettere in contrapposizione gli interessi di fornitore e compratore, con quest’ultimo che ha interesse ad avere la fattura per detrarre l’Iva pagata come costo. Ma l’incentivo a tenere in nero l’intera filiera, così che nessuno paghi nulla allo Stato, è tale che l’Iva è oggi l’imposta più evasa, per circa 35 miliardi all’anno.

Tutto inutile? Fornitore e clienti saranno liberi di fare i loro calcoli che svuotano il contrasto di interessi soltanto se sono relativamente certi di rimanere impuniti. Più alto è il rischio di essere scoperti, meno sembreranno allettanti gli sconti offerti in nero. E dunque una qualche detrazione combinata con accertamenti e pene severe potrebbe avere effetti positivi. Oppure si può usare l’approccio del nudge, la spinta gentile, per creare contrasti di interessi che non si fondino su una spartizione così drastica dei benefici fiscali. Un esempio è la lotteria degli scontrini. L’ha prevista la legge di Bilancio 2018, ma la sua partenza è stata posticipata, come sempre accade in Italia, a gennaio 2020. E dovrebbe funzionare così, stando alla legge: a ogni acquisto i contribuenti comunicano il proprio codice fiscale all’esercente che lo trasmette all’Agenzia delle entrate, poi tutti i contribuenti che hanno fatto trasmettere gli scontrini dei loro acquisti parteciperanno all’estrazione di premi da definire. Un piccolo contrasto di interessi che potrebbe dare grandi risultati, anche perché per lo Stato è quasi gratis, per il consumatore richiede solo un piccolo sforzo. A rimetterci è soltanto l’evasore.

L’Approdo di Gad Lerner tra gli ascolti radical-chic

Doveva succedere. Nella Capalbio catodica che è la Rai3 di Stefano Coletta è apparsa L’ultima spiaggia, mecca balneare di ogni radical-chic. Il mare è così così ma il servizio è ottimo, l’ambiente ben frequentato: un’eccellente metonimia del talk più radical-chic mai visto in Tv: l’Approdo di Gad Lerner. Nessun vocio, zero pubblico, unico elemento di scenografia un barcone allo sfascio. Nella spiaggia lerneriana non si urla, non si inveisce; si sorride e si ammicca. Consigliato il cornetto acustico. Due soli ospiti; poiché si rivendica l’orgoglio radical-chic e si processa la deriva populista, il primo ospite è fieramente avverso al populismo; il secondo, moderatamente avverso. Modera Lerner, il più avverso di tutti. Le analisi tendono alla monotonia, però sui capi d’accusa c’è ampia scelta; per esempio, la demolizione della tesi secondo cui George Soros sarebbe il burattinaio di una “grande sostituzione etnica”. Che Lerner e i suoi ospiti sorridano di tale teoria del complotto, è comprensibile. Ma che l’attuale onda xenofoba sia da attribuire solo alle narrazioni filo-populiste lascia perplessi, essendo anche quella dello stesso Lerner una narrazione a senso unico, basata sull’equivalenza sovranismo-fascismo-razzismo (e Salvini non aspetta altro). Insuperabili nei giudizi, i radical-chic perdono colpi nei dubbi. Dopo una buona partenza, l’Approdo ha visto inabissarsi i propri ascolti; colpa anche qui dei nemici di Soros? Fossimo in Gad, noi qualche dubbio ce l’avremmo.