A Londra, un conservatore si è opposto ai discorsi populisti sulla Brexit e ha tentato di mettere un freno all’ascesa dell’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, strafavorito alla successione di Theresa May nella leadership del partito conservatore: Rory Stewart, che incarna un’altra visione del Tory, è rimasto escluso dalla sfida finale che si giocherà il 22 luglio tra Johnson e l’attuale ministro degli Esteri, Jeremy Hunt.
Spesso e volentieri, in Francia, negli ultimi mesi, si tende a far rimare Macron e “con” (“stronzo”): “una rima povera”, mugugnava l’ex presidente François Mitterrand quando sentiva dire Mitterrand fous le camp! (“Mitterrand vattene via!”).
Quel sorriso smarrito alla Mick Jagger
In questa Francia che non ce la fa più sarebbe forse complicato interessarsi a una faccia da schiaffi come Rory Stewart, conservatore britannico, classe 1973, uscito dallo stampino delle scuole più prestigiose (Eton e Oxford), con lo sguardo febbrile di un Lawrence d’Arabia e il sorriso smarrito alla Mick Jagger. Rory Stewart è uno che riflette ad alta voce sulla metafisica delle frontiere, sul concetto di identità, sul significato profondo della Brexit, sull’onore in politica, la fedeltà agli ideali, le modalità e gli strumenti di affrontare e risolvere le contraddizioni, il tutto tenendo in mente il concetto fecondo e creatore del logos secondo Eraclito di Efeso, maestro dell’armonia dei contrari e dell’unità degli opposti. L’uscita dall’Ue ha avuto i suoi mediocri cantori oltre Manica. No al club capitalista macina-proletariato, ha brontolato il laburista anchilosato Jeremy Corbyn. No all’impero burocratico continentale che soffoca il genio britannico, sbraitava il nazionalista arrabbiato Nigel Farage, a cui ha fatto eco poco dopo il conservatore opportunista e agitatore Boris Johnson. Ed ecco che in mezzo a questo caos miserabile di voci è emerso un principe della dialettica, un asso della retorica guidato dalla logica eraclitea: Roderick (detto Rory) Stewart. E scusate se è poco: in questo periodo la tendenza non è forse più a sputare l’anima che a lustrarne la quintessenza? Eppure il Regno Unito, impantanato così come era da tre anni in un concorso di insanabile nullità politica, è sembrato autostupirsi per aver accordato un po’ d’attenzione, e forse persino di rilievo, a un certo Rory Steward, un’aquila tra gli avvoltoi, un Pericle dei nostri tempi che difende la dittatura dell’intelligenza, arrivato in sordina per tentare di scombinare la corsa alla leadership del partito conservatore – e quindi di primo ministro di Sua Maestà – al posto della mediocre e ormai esangue Theresa May.
La competizione ha opposto solo uomini, tutti passati per Oxford, tranne Sajid Javid, figlio di immigrati pachistani. Dalla battaglia televisiva di domenica 16 giugno su Channel 4, Rory Stewart era uscito meglio di tutti, soprattutto quando si è fatto beffa dei suoi concorrenti, Michael Gove e Dominic Raab, che si sfidavano con i soliti modi da gorilla degli uomini politici: “È un campionato di machismo”, aveva commentato l’outsider con un tocco di crudeltà. Il risultato è stato che, martedì 18, al secondo voto dei 313 deputati conservatori per scegliere i loro candidati, Rory Stewart, arrivato sesto e ultimo con 19 suffragi al primo voto, aveva recuperato il ritardo e, come un purosangue sull’ippodromo di Ascot, era arrivato in quarta posizione, ben determinato a restare nella corsa. Due giorni dopo, il 20, scrutinio dopo scrutinio, sarebbero stati scelti i nomi dei due pretendenti ai suffragi dei 150.000 membri del partito Tory (da quel voto Stewart è poi rimasto escluso e sono usciti vittoriosi Boris Johnson e Jeremy Hunt, ndt).
Stewart aveva fatto la scommessa di affrontare Johnson e di batterlo: in questo modo la ragione avrebbe vinto sulla passione all’interno della più antica democrazia rappresentativa dell’Occidente. Favorevole, all’inizio, alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, Stewart ha preso atto del voto popolare al referendum del giugno 2016. Ha quindi sostenuto l’uscita dall’Ue negoziata da Theresa May. È stato il solo a respingere l’idea di lasciare l’Unione senza accordo, come promesso tra una fanfaronata e l’altra da Boris Johnson, con il quale Stewart rifiuta da sempre di allearsi, indipendentemente dal posto ministeriale che gli potrà essere proposto per adescarlo o ricompensarlo.
Nel corso dei suoi numerosi incontri sulle piazze di tutto il paese, parlando arabo con gli uni e dari con gli altri, Rory Stewart durante tutta la campagna si è filmato sui social, esponendosi a schiaffi e sputi. Non ha ricevuto né gli uni né gli altri, catturando invece l’attenzione, talvolta il rispetto. I suoi pari in Parlamento hanno scoperto che era possibile presentarsi come procacciatore di verità nel paese dei procacciatori d’affari. E se invece di scimmiottare i populisti, i Tories tornassero conservatori come li aveva voluti “papà” Harold Macmillian che, 60 anni fa, nel 1959, aveva proclamato: You’ve never had it so good (“Non avete mai vissuto così bene”)? Stewart, che incarna una destra civilizzata in opposizione alle frenesie fascistizzanti dei suoi colleghi disorientati che per riflesso pavloviano si allineano dietro Nigel Farage, ha preferito impegnarsi per ottenere un accordo con una fazione moderata di laburisti eurofili perché i Comuni accettino una Brexit democratica, adeguata e di concerto con Bruxelles, piuttosto che privilegiare una fuga in avanti fondata su promesse elettorali incongruenti, con la conseguenza di far pesare ancora di più sulla popolazione la deregolamentazione.
È nato a Hong Kong, la Scozia la sua patria
Per instillare un po’ di buon senso nel calderone della Brexit, la classe politica britannica ha tirato fuori dal cappello un personaggio che è come un ossimoro personificato: Stewart è profondamente radicato nel territorio (la Scozia è la sua Heimat), pur restando legato agli orizzonti più vasti (è nato a Hong Kong e ha trascorso l’infanzia in Malaysia). Anche se viene dall’establishment, nel senso più stretto del termine, il nostro uomo è un eccentrico convinto. Una qualità (poiché non è un difetto uscire dal mucchio) che ha ereditato dal padre, Brian Stewart (1922-2015), ex spia in Asia, che prima aveva combattuto i nazisti con un coraggio tipicamente britannico. In lui la trasmissione prendeva un aspetto un po’ folle da far pensare al padre di Montaigne e al suo modo di tramandare l’educazione, con dei risvegli mattutini brutali ma esaltanti: l’avidità di conoscere non può aspettare.
Rory Stewart ha conservato quella passione per la conoscenza ed i libri che fanno di lui un essere a parte. Collabora regolarmente con la London Review of Books e la New York Review of Books. In una magnifica testimonianza, pubblicata in Francia tre anni fa in una collezione diretta da Gilles Kepel per Gallimard, Les Marches. Aux frontières de l’identité britannique, Stewart ritrovava il genitore di 89 anni per passeggiare con lui lungo il Vallo di Adriano – costruito nel 120, nel nord dell’Inghilterra, per bloccare le incursioni dei barbari. È un piacere leggere mentre riflette sugli imperi (romano e britannico, ma non solo), i loro miti, la loro caduta e le tracce che lasciano nella memoria degli essere umani attraverso i secoli.
Contrariamente a Jacob Rees-Mogg, che incarna a oltranza la camera mortuaria delle élite britanniche che proteggono i loro interessi fingendo di avere a cuore altro, Rory Stewart sembra difendere gli interessi della sua classe avendo di fatto a cuore la totalità dell’universo. Professore ad Harvard, errabondo in Afghanistan, precettore, il tempo di un’estate, dei principi William e Harry, vice governatore in Iraq dopo l’invasione americano-britannica del 2003 (che si è pentito di aver sostenuto), rappresentante di Sua Maestà in Montenegro a 26 anni, Stewart è portato per le lingue, è anche un po’ spia (attività di per sé inconfessabile e negata nei giorni scorsi), ed è sposato a un’americana: questo prodigio d’uomo dalle nove vite risveglia la curiosità. Non è mai dove te lo aspetti – lo abbiamo trovato per esempio nel partito laburista in gioventù. Ed è uno che, alla Camera dei Comuni, è capace di lanciarsi in un’incredibile disputa con Jacob Rees-Mogg sulla questione dei diritti umani.
Il suo simbolo, lo scoiattolo, il motto: “Quo non ascendet?”
Deputato dal 2010, Rory Stewart, che può far leva su una memoria prodigiosa, ha tenuto, nel 2015, un discorso d’antologia sul riccio (hedgehog) attraverso i secoli: una cosa da rendere verdi di invidia tutti gli ecologisti della Terra! Come per Nicolas Fouquet, che finì per pagarlo a caro prezzo nella Francia dell’Ancien Régime, lo stemma di Rory Stewart potrebbe essere lo scoiattolo e il suo motto Quo non ascendet? (“Dove non salirà?”). Ma dopo tutto, le democrazie minacciate di scomparire riserbano talvolta una chance a personalità che in tempo normali sarebbero rimaste in disparte. Da una parte all’altra della Manica, si è verificato per Winston Churchill e Charles de Gaulle quasi 80 anni fa. E, più di recente, su questa sponda del Channel, per Dominique de Villepin, che aveva l’ambizione di appartenere a quella specie di letterati avventurieri che, con l’urlo e il furore, intendono stravolgere i piani già tracciati. Che ne sarà, in terra d’Albione, della fiammella Rory Stewart diventata incendio nell’impossibile Brexit? La Storia, che va di corsa, lo dirà molto presto.