Il parere del Consiglio di Stato sul regolamento che recepisce le direttive europee sulla donazione eterologa ha riportato indietro l’Italia. I giudici fissando un limite di età di 25 anni per le donatrici e 35 per i donatori, in sostanza, mettono al palo l’eterologa. Ha ragione Antonino Guglielmino, ginecologo e presidente della Società italiana di riproduzione umana quando parla di “ostruzionismo burocratico”. La Conferenza delle Regioni nel 2014, subito dopo la sentenza della Consulta che cancellava il divieto dell’eterologa, aveva stabilito un’età massima per le donne di 35 anni e per gli uomini di 40. “Come nel resto del mondo – ci spiega l’esperto –, considerato poi che l’età media delle donne che si rivolgono ai centri di riproduzione medicalmente assistita in Italia è 36,7, il limite imposto dai giudici non dà la possibilità dell’egg sharing (quando una donna che fa un trattamento di fecondazione per se stessa cede gli ovociti in soprannumero, ndr) riducendo, fino quasi all’eliminazione, il numero di donazioni. Se passasse, significa che anche per gli ovociti importati dovrà valere lo stesso limite anagrafico?”.
La rivoluzione anti-bagarini: da luglio il biglietto è nominale
Ai concerti come allo stadio. La mossa per contrastare il secondary ticketing, il fenomeno del bagarinaggio online dei grandi eventi musicali (esaurimento dei biglietti in pochi minuti e successiva rivendita a prezzi maggiorati su piattaforme secondarie) è quella dei biglietti nominali, come da anni accade per le partite di calcio. A sancirlo è una norma inserita nella legge di Stabilità che entrerà in vigore il primo luglio con il nobile scopo di abbattere questo odioso e oneroso meccanismo sia per chi acquista i biglietti che per lo Stato, dal momento che le società offshore che in tutti questi anni hanno rivenduto i ticket a prezzi più che maggiorati non hanno poi versato tasse all’Erario. Un danno non da poco visto che l’Italia, secondo l’International Ticketing Yearbook, si colloca al sesto posto, a pari merito con il Canada, nella classifica mondiale 2018 dei ricavi derivanti dai live con 589 milioni di dollari, dietro a Usa (8 miliardi), Germania (1,71 miliardi) e Giappone (1,61 miliardi).
L’obbligo del biglietto nominale senza maggiorazioni di prezzo, salvo gli oneri di gestione da parte del rivenditore, riguarda tutti gli eventi organizzati in strutture con una capienza superiore ai 5.000 spettatori. Per accedere all’area dello spettacolo sarà obbligatorio per tutti, minori compresi, presentare un valido documento di identità. Lo staff all’ingresso dei concerti dovrà verificare la corrispondenza del nominativo sul biglietto e il nome sulla carta d’identità. E, in caso di assenza, non si potrà assistere allo spettacolo. Ad aprire alla novità è stato già Vasco Rossi che per il Modena Park di due anni fa, con oltre 220mila biglietti venduti, ha introdotto il tagliando nominali proprio per combattere il bagarinaggio, dopo le polemiche che avevano coinvolto Live Nation, il maggiore promoter italiano di eventi musicali.
“Con questa norma si impedirà un acquisto incontrollato da parte dei bagarini, perché tutto sarà tracciato e monitorato attraverso i nominativi”, spiega Sergio Battelli (M5s), presidente della Commissione Politiche Ue alla Camera e promotore del provvedimento. “D’ora in avanti ogni persona – prosegue – potrà acquistare fino a un massimo di 4 biglietti nominali, mettendo così fine, almeno nei propositi, al bagarinaggio o alla vendita a prezzi maggiorati. Sul tagliando verrà riportato il proprio nome, quindi il biglietto non sarà cedibile se non in casi particolari o seguendo uno specifico procedimento. Così facendo i siti di bagarinaggio entreranno in crisi.
La norma è un cambio di culturale, per far capire ai consumatori che è una truffa acquistare i biglietti dai bagarini e che è illegale pagarli quegli importi spropositati”, sottolinea Battelli. Che aggiunge: “Chi non potrà andare agli eventi dovrà comunicarlo alla piattaforma d’acquisto che provvederà a mettere il ticket nuovamente in vendita sul proprio circuito, rimborsando l’acquirente”. Saranno, invece, esclusi dalla nuova procedura tutti gli spettacoli di lirica, jazz, danza, balletto, circensi e gli eventi sportivi di medio-piccola portata.
Fin qui la teoria. Ora i dettagli che possono fare la differenza tra un annuncio e una rivoluzione. Dal momento che questa regola si applicherà solo ai biglietti in vendita a partire da luglio 2019, tutta la stagione estiva dei concerti italiani resta fuori dal giro di vite. Basta pensare che per la doppia data dei Muse a San Siro del 12 e 13 e luglio, i premium ticket (vale a dire i biglietti che danno diritto all’accesso prioritario prima dell’apertura dei cancelli, un poster, il lunchbox e l’accesso prioritario al merchandising ) vengono venduti sul circuito parallelo del secondary ticketing a oltre 1.500 euro contro i 220 euro previsti da Ticketone. Altro dettaglio. Anche se la norma inserita nella legge di Bilancio vieta la rivendita dei biglietti di concerti a prezzo maggiorato, sul fronte della sanzioni nulla è cambiato: le multe per chi rivende i ticket a un prezzo superiore di quello indicato sul biglietto restano le stesse: da 5.000 euro a 180.000 euro e possono essere comminate dall’Agcom.
Praticamente nulla rispetto al giro d’affari generato. Inoltre, va ricordato che lo scorso febbraio i promoter attivi nel mercato della rivendita online dei biglietti di concerti imputati nel processo sulla presunta truffa da 1 milione di euro ai danni degli spettatori di concerti dal vivo – tra cui quelli di Bruce Springsteen e dei Coldplay – sono stati tutti assolti dall’accusa di truffa e aggiotaggio. La nuova norma, infine, nulla può contro gli acquisti massivi non escludendo. Infatti, la possibilità di procedere ad acquisti non online di titoli di accesso in numero superiore a 10 accessibili, quindi, anche a eventuali speculatori attivi sulle piattaforme di secondary ticketing.
“Basta poco per Roma che soffre di degrado ed è abbandonata”
Il Papa è tornato ieri nella periferia romana per celebrare i riti del Corpus Domini. Dal sagrato di Santa Maria Consolatrice, a Casal Bertone, periferia est della capitale, ha parlato del “degrado” e dell’”abbandono” della città, la Roma della quale è il vescovo, e ha chiesto a tutti di mettersi in gioco. “Nella nostra città affamata di amore e di cura, che soffre di degrado e abbandono – ha detto il Papa – davanti ad anziani soli, famiglie in difficoltà, a giovani che stentano a guadagnarsi il pane e ad alimentare i sogni, il Signore ti dice: ‘Tu stesso dà loro da mangiare’”. Il pontefice è stato accolto da un quartiere in festa, con le bandiere bianco-gialle del Vaticano alle finestre. Partecipata la messa; in prima fila i bambini con l’abitino della Prima Comunione. Poi si è tenuta la processione fino al Campo Sportivo Roma 6, adiacente a Casa Serena, struttura di accoglienza per senza fissa dimora dei Missionari della Carità. “È triste vedere con quanta facilità oggi si maledice, si disprezza, si insulta – ha detto il Papa – Presi da troppa frenesia, non ci si contiene e si sfoga rabbia su tutto e tutti. Spesso chi grida di più e più forte, chi è più arrabbiato sembra avere ragione e raccogliere consenso”
Di Battista: “La Lega cerca l’incidente, non destabilizzo io”
“Il premierConte sta portando avanti con dignità e capacità una trattativa per evitare la scelta scellerata dell’Europa sulla procedura d’infrazione all’Italia. Sostengo Conte e non credo proprio che la sua azione possa essere destabilizzata da un libricino…”, così ieri Alessandro Di Battista ha risposta da In1/2orainpiù di Lucia Annunziata su Rai3 alla polemica a distanza con Luigi Di Maio, a cui non sono piaciute alcune frasi critiche sul governo scritte dal compagno di partito nel libro Politicamente scorretto (PaperFirst). E ancora: “Mi fido pienamente del presidente del Consiglio Conte che sta portando avanti un lavoro con grande dignità. La Lega sta provando a sondare per trovare un incidente. Se poi mi sbaglio, sarò il più felice”. Il vicepremier Matteo Salvini, invece, è stato intervistato da SkyTg24 in costume sulla spiaggia di Milano Marittima: “Con i Cinque stelle sto lavorando bene, se c’è qualcuno che chiacchiera girando per il mondo, scrivendo libri a pagamento insultando il prossimo gli auguro buona vita. È una bella giornata, non ho tempo di parlare di Di Battista”.
La Nugnes lascia i 5stelle: “Decide tutto il capo, critiche impossibili”
“Al giro di boa di un anno di governo devo constatare che qualsiasi critica costruttiva è diventata impossibile. Ogni aspetto della vita del Movimento, dentro e fuori dal Parlamento, è sottoposto alla volontà del capo politico e per questo, dopo più di dieci anni, lascio i 5 Stelle”. Con queste parole, riportate ieri dal manifesto, Paola Nugnes annuncia il suo addio al M5s. La senatrice ormai ex pentastellata spiega di aver ingioiato troppi rospi, l’ultimo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stata la reazione alla richiesta di apertura di una fase costituente dopo il tonfo alle elezioni europee. “Richiesta archiviata attraverso il plebiscito a favore di Luigi Di Maio sulla piattaforma Rousseau. Uno strumento che serve solo a ratificare decisioni già prese. Non posso rimanere in un Movimento che vota pure il decreto Sicurezza bis, un insieme di norme che dall’ordine pubblico ai migranti disegna una società che mai mi sarei augurata di vedere”. Su Facebook ieri la replica di Di Maio: “ Se si vuole tradire una promessa, bisognerebbe dimettersi, non passare al Misto”. Ma per la Nugnes “è Di Maio che dovrebbe lasciare”.
Landini sbaglia i dati sulla povertà
“Landini chi??? Quel sindacalista che fa politica andando contro un governo che difende i lavoratori. Paradossale ma vero!”. Sul Blog delle Stelle
si consuma la rottura definitiva tra il Movimento e Maurizio Landini, un tempo punto di riferimento sui temi del lavoro quando guidava la Fiom e ora guardato con ostilità per le posizioni che tiene da segretario generale della Cgil, in particolare sul salario minimo. La dichiarazione incriminata di Landini è questa, riportata da La Stampa
: “Abbiamo criticato il reddito di cittadinanza perché secondo noi è fatto male, del resto i dati indicano che nonostante il reddito la povertà relativa è aumentata, vuol dire che non è quello lo strumento giusto”. C’è un errore oggettivo nell’analisi di Landini: gli ultimi dati Istat sulla povertà in Italia sono quelli relativi al 2018, pubblicati il 18 giugno scorso. E non considerano l’impatto del reddito di cittadinanza che è erogato da aprile 2019. Al massimo possono tenere conto del Rei, il primo intervento universale varato a fine 2017 dal governo Gentiloni, ed è difficile decretarne il fallimento visto che comunque l’Istat certifica che nel 2018 le famiglie in condizioni di povertà assoluta (privi della possibilità di fare consumi essenziali) sono otto milioni, un dato elevato ma, osserva l’Istituto di statistica, “pur rimanendo ai livelli massimi dal 2005, si arresta dopo tre anni la crescita del numero e della quota di famiglie in povertà assoluta”.
Anche la povertà relativa, quella che coinvolge gli individui con consumi sotto una certa soglia (657,05 euro per un singolo), è stabile al 24,3 per cento nel 2018, era al 24,1 nel 2017.
Il rapporto annuale dell’Istat, presentato mercoledì, si limita a commentare l’impatto sui consumi del reddito di cittadinanza. Il Pil 2019 dovrebbe crescere di uno striminzito 0,3 per cento, spinto “solo dalla domanda interna”. Cioè, nello specifico, dai consumi delle famiglie “favoriti dall’aumento del monte salari e, in misura contenuta, dalle misure del reddito di cittadinanza”.
La polemica tra M5S e Landini, che arroventa il confronto sulla proposta di salario minimo orario a 9 euro, riapre però un dibattito mai davvero affrontato: come si misura il successo del reddito di cittadinanza? La prima verifica era sulla capacità di erogare il sussidio ai beneficiari: il 26 maggio sono stati erogati gli importi su 498.668 card detenute da chi aveva presentato domanda a marzo.
Per i richiedenti di aprile e maggio i tempi sono un po’ più lunghi, ma non ci sono stati grossi problemi tecnici. Anche se il numero sotto le attese di domande (ci potrebbe essere un miliardo di euro non speso a fine anno) ha sollevato il dubbio che i requisiti siano troppo stringenti o la minaccia dei controlli tale da aver scoraggiato anche poveri che avrebbero avuto bisogno dell’aiuto. Oppure, è un altro filone di pensiero, c’è qualcosa che non va nel calcolo della povertà da parte dell’Istat.
Ma il successo del reddito si misura anche in altro modo. L’impatto sui consumi, più volte evocato dal M5s, è stimato dal ministero del Tesoro in un +0,5 per cento nel 2019. Ma quello che più conta capire è se il reddito di cittadinanza riesce a far uscire dalla povertà i beneficiari. Landini, pur sbagliando il riferimento al dato, sembra considerare questo approccio che i Cinque stelle non hanno mai elaborato nel dettaglio. Anche perché le politiche attive del lavoro che, tramite i centri per l’impiego, dovrebbero aiutare i poveri a formarsi e ricollocarsi non sono ancora partite (adesso ci sono i concorsi per scegliere i navigator).
Inoltre la valutazione del Rei, il reddito di inclusione, non è mai stata completata per la lentezza nel passaggio dei dati dall’Inps all’Inapp, l’ente incaricato dell’analisi. E quindi non si sa neppure se funziona l’antenato del reddito di cittadinanza. Il dibattito resta aperto.
“Il nostro governo deve bloccare subito gli appalti”
Le prime gare per il tunnel di base sono avviate. Il partito che vuole il Tav (la Lega) ha vinto le ultime elezioni. E ieri anche la viceministra dell’Economia Laura Castelli (Cinquestelle) ha detto che si potrebbe lavorare “a un progetto di compromesso”. La linea Torino-Lione, dunque, a settembre si farà? Risponde Alberto Poggio, ingegnere e membro della Commissione tecnica che affianca le amministrazioni pubbliche contrarie al progetto Tav in Val di Susa.
Che cos’è “il progetto di compromesso”?
Se è la proposta dell’ex sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, prevede comunque un nuovo tunnel, solo un po’ più corto e scavato un po’ più in alto rispetto a quello del progetto attuale. Un’ipotesi bizzarra, priva di fondamenti tecnici e senza alcun consenso da parte dei Comuni della Valsusa, che da decenni propongono la soluzione più efficace, rapida e meno costosa: intervenire per migliorare la sicurezza del tunnel già esistente, quello del Frejus.
Intanto Telt, la società controllata a metà dal governo italiano e da quello francese, sta completando la prima fase della gara per avviare la costruzione del tratto francese del tunnel di base: 2,3 miliardi di euro di lavori per 90 chilometri di gallerie, su 115 totali previsti. A che punto siamo?
Il 28 maggio 2019 si è chiusa la pre-qualifica delle aziende che si candidano a realizzare i lavori. Ora Telt valuterà la documentazione presentata e stilerà l’elenco delle aziende che hanno i requisiti tecnici e finanziari per presentare le offerte. A settembre sarà avviata la seconda fase della gara: Telt pubblicherà i capitolati d’appalto e farà partire la procedura per scegliere i vincitori dei tre lotti, che durerà circa 12 mesi, dunque potrebbe concludersi attorno al settembre 2020.
La macchina ormai è partita. Potrà essere fermata?
In realtà è partita solo la burocrazia degli appalti, ma manca il presupposto fondamentale per andare avanti: la disponibilità dei finanziamenti. Su questo punto gli accordi siglati tra Italia e Francia sono chiarissimi: la disponibilità del finanziamento è una condizione preliminare per l’avvio dei lavori del tunnel di base. Oggi non c’è. Ci sono i soldi italiani, fondi congelati dal 2012 nel bilancio dello Stato, per coprire la parte che spetta all’Italia. I finanziamenti promessi dall’Unione europea, invece, sono disponibili solo in piccolissima parte: una quota risibile, appena il 6 per cento del costo del tunnel di base.
E i soldi francesi?
La Francia ha messo a bilancio finanziamenti per i lavori preliminari, ma neppure un euro per i lavori definitivi. In queste condizioni, è difficile comprendere come Telt possa far partire le gare.
Abbiamo letto però che l’Europa aumenterà i finanziamenti per la Torino-Lione, arrivando a coprire fino al 55 per cento dei costi.
I giornali italiani hanno riportato le affermazioni di Iveta Radicova, la coordinatrice europea del “Corridoio mediterraneo” nel quale è incluso il progetto Torino-Lione. È una figura di coordinamento esterna, senza alcun potere decisionale. Il parere personale della signora Radicova non può impegnare le decisioni di spesa della Commissione, che ancora si deve insediare. Insomma: i soldi europei annunciati sui giornali italiani non ci sono.
Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte nella sua lettera inviata nel marzo 2019 a Telt ha chiesto di subordinare il via libera alle gare alle decisioni dei governi italiano e francese.
Telt gli ha risposto che, “in assenza di atti giuridicamente rilevanti che comportino istruzioni di segno contrario”, le procedure di appalto sarebbero proseguite. E Telt opera in base a decisioni assunte dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica presieduto dal presidente del Consiglio e costituito dai ministri dell’Economia, degli Esteri, delle Infrastrutture, dello Sviluppo economico e del Lavoro. Nella sua lettera, Telt ricorda però che la società “è posta sotto l’autorità dei due Stati”. Quindi il governo italiano ha sempre avuto e ha tutti gli strumenti per decidere le sorti del progetto Torino-Lione. E il nodo fondamentale resta quello della mancanza di garanzia dei finanziamenti: non ci sono ancora quelli francesi e larga parte di quelli europei. Il governo darà il via libera a Telt garantendo tutto con i soldi italiani? Anche in questo caso, “prima gli italiani”?
Il Tav, con il passaggio dal trasporto su gomma a quello su ferro, potrebbe però portare benefici almeno per il clima.
L’Unione europea e i suoi Stati membri stanno spostando i loro investimenti strategici sul cambiamento climatico. Ma qui i risultati servono in fretta, nel giro di pochi anni. Con la Torino-Lione, invece, avremo la certezza di un pesante aumento di emissioni negli anni della costruzione del tunnel, mentre i potenziali benefici per l’ambiente arriverebbero solo dopo il 2040, fuori tempo massimo. Benefici peraltro non credibili, perché agganciati a irrealistiche previsioni di aumento delle merci da trasportare.
Tav, Conte e Salvini studiano il tracciato alternativo 5Stelle
“Il dossier è in mano al presidente del Consiglio Giuseppe Conte che incontrerà le controparti europee e francesi. Si tratta di un progetto vecchio di venti anni che necessariamente va rivisto, ma al governo ho capito che non è tutto bianco o nero. E ci sono anche sindaci no Tav della Val Susa che stanno lavorando a un progetto di compromesso”. Le parole di realpolitik della viceministra dell’Economia Laura Castelli, grillina e noTav torinese della prima ora, irrompono nel dibattito pubblico con un’intervista rilasciata ieri a Repubblica. La Castelli indica, quindi, il tracciato alternativo a cui ha lavorato l’ex sindaco di Venaus Nilo Durbiano e che nei prossimi giorni sarà sottoposto alla votazione di quel Consiglio comunale e poi di quelli degli altri paesi della Valsusa. Un progetto che, rivela Durbiano, “è già da tempo sulle scrivanie di Salvini, Di Maio, Conte e Toninelli”.
Di che cosa si stratta? Una modifica sostanziale del tracciato che cancellerebbe il tanto contestato tunnel di base dal progetto: “Eviterebbe – spiega Durbiano – di scavare tre gallerie, andata, ritorno e di servizio, per complessivi 162 chilometri”. Durbiano, 59enne, sindaco a Venaus per quindici anni fino allo scorso 27 maggio, non iscritto ma elettore dei 5stelle, considera la sua “una proposta di soluzione politica, a cui, dai colloqui informali che ho avuto con esponenti leghisti, come il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, il Carroccio non sarebbe ostile”.
Anche il ministro dell’Interno, capo della Lega, Matteo Salvini avrebbe già mostrato interesse al progetto Tav targato Durbiano. “Sono stato a colloquio col prefetto di Torino Claudio Palomba per quattro ore su richiesta di Salvini, che scrisse alla prefettura chiedendo di convocarmi prima di Natale”. Su quattordici sindaci della Val Susa direttamente interessati dall’annosa questione, “dodici hanno già espresso vicinanza alla nostra proposta alternativa”.
Quindi, invece dei 162 chilometri complessivi del tunnel di base, il progetto Durbiano che il governo Conte starebbe valutando “prevede un tunnel di soli 15 chilometri tra Oulx e Modane: si tratterebbe semplicemente di un’altra canna parallela alla galleria del Frejus”. Questo per Durbiano e la viceministra Castelli si sposerebbe con la risistemazione e il potenziamento dell’attuale e storica linea ferroviaria. “Si arriverebbe a 23 milioni di tonnellate di merci l’anno su quella linea contro le 3 trasportate adesso”, insiste Durbiano.
Bisognerebbe quindi ripartire completamente da zero? Non secondo Durbiano, perché “i lavori in questo modo, dovendo scavare così poco, terminerebbero qualche lustro prima rispetto a quanto necessario col progetto attuale”. Però, secondo alcuni ingegneri del Politecnico di Torino, per altro “amici” dei comuni no-Tav della Valle, sulle cartine presentate da Durbiano ci sarebbe un errore: i chilometri da scavare non sarebbero 15 ma più di 20; e questo “raddoppio” del Frejus non convince affatto i professori e il movimento noTav. Intanto il dibattito continua come sempre da decenni e gli interpreti di oggi dicono la loro.
Alessandro Di Battista, altro esponente di punta dei Cinquestelle, seppur in questo momento senza incarichi, a In 1/2 ora in più su Rai3 ribadisce a Lucia Annunziata: “Sulla Tav io sono contrarissimo, non per posizione ideologica ma credo sia un’opera pubblica che costa tanti denari e non è utile. Sono convinto che Conte possa trovare una soluzione. Credo che occorra investire in altre opere, servirà una mobilità diversa e sostenibile”.
Dall’opposizione rimane silenziosa e nel torpore domenicale dell’estate la voce del Pd, mentre è Angelo Bonelli, storico portavoce dei Verdi, a partire all’attacco di Di Maio e soci: “Il vicepremier è l’esempio di una mutazione perché su Ilva, Tap, Tav, fanghi tossici e condono edilizio come capo politico del M5S ha fatto esattamente o peggio di quei governi contro i quali faceva dura opposizione: ma ha fatto di più consentendo l’approvazione di leggi liberticide volute da Salvini, dimostrando che la vera questione non era aprire il parlamento come una scatoletta ma mantenere le poltrone”. Le botte da destra, invece, arrivano da Licia Ronzulli, vice capogruppo di Forza Italia al Senato: “Ci mancava pure il dualismo tra una corrente dei 5 stelle e l’altra, tra Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, con quest’ultimo che mette in discussione decisioni già prese come, per esempio, quella sulla Tav. È immobilismo al cubo”.
Ma mi faccia il piacere
Slurp. “Sulle spalle di un uomo solo. Duro intervento di Mattarella al Csm. Il Quirinale ormai è l’unico interlocutore delle cancellerie estere e si fa carico della mediazione sui conti per rispettare le regole Ue” (Repubblica, 22.6). “Politici e giuristi: ‘Siamo con Mattarella’. Molte le prese di posizione a sostegno del presidente dopo la sua sferzata al plenum del Csm” (Repubblica, 23.6). É un bel presidente! É un apostolo! É un santo!
Adrianaaaaaa! “Una volta a Washington andammo al come si chiama, alla scalinata di Rocky” (Matteo Salvini, Lega, ministro dell’Interno, in visita a Washington, al Lincoln Memorial, 17.6). L’ambasciatore Armando Varricchio gli fa notare che la scalinata di Rocky è a Filadelfia. Già che c’era, poteva aggiungere che invece il suo ufficio al ministero dell’Interno è a Roma, piazza del Viminale 1.
Sorelle d’Italia. Roberto Fico, presidente della Camera: “Deputata Montaruli, prego”. Augusta Montaruli (Fratelli d’Italia): “Con tutto il rispetto, voglio essere chiamata deputato. In questo mondo arcobaleno, la Camera è ancora definita ‘dei deputati’ e non ‘delle deputate’ o dei ‘deputat’ con l’asterisco” (seduta della Camera, 22.6). É sempre bello sapere che in Parlamento si affrontano i veri problemi del Paese.
Complimenti vivissimi. “Arata parla dal carcere: ‘Siri è una brava persona’” (Repubblica, 20.6). Sono belle soddisfazioni.
Contundenti vivissimi. “Raggi incapace, Roma muore. Perchè la sindaca deve passare la mano dopo tre anni di non governo”. “’Incapace’, l’aggettivo qualificativo da cui Virginia Raggi si sente offesa, non è un insulto. Nel Dizionario Garzanti della lingua italiana, alla voce ‘incapace’ si legge: ‘Persona che non sa fare qualcosa, che non ha le capacità necessarie per svolgere le proprie attività’. E’ una definizione neutra, e non contundente” (Il Messaggero, gruppo Caltagirone, 19 e 20.6). In effetti neppure il sostantivo e aggettivo “servo” è un insulto. Nel Dizionario Garzanti della lingua italiana, alla voce “servo”, si legge: “Chi è privo di libertà, soggetto ad altri; schiavo (anche in senso figurato)” e “termine, oggi in disuso, che indicava chi svolgeva servizi generici, specialmente domestici, alle dipendenze di privati”. Una definizione neutra, e non contundente.
A 32 gradi. “Finalmente ho conosciuto Matteo Salvini a Pomeriggio 5, è stato molto bello: mi sono congratulata per le sue idee. Lui mi ha ringraziata con quel suo sorriso a 360 denti” (Francesca Cipriani, showgirl, Un giorno da pecora, Radio1, 15.6). E tutti canini.
Consiglio Smemorato della Magistratura. “Questo Csm è malato, meglio il sorteggio che i lottizzati” (Luigi De Ficchy, procuratore di Perugia uscente causa pensione, Repubblica, 23.6). Lui invece a Perugia l’ha portato la cicogna.
Bel Morettino. “L’innocente Moretti condannato a 7 anni” (Libero, 21.6). “Ingiustizia oltre ogni ragionevole dubbio. Mauro Moretti condannato per la strage di Viareggio: vendetta è fatta”, “Moretti e quella strana idea di giustizia” (Il Foglio, 21 e 23.6). I 32 morti della strage ferroviaria di Viareggio si suicidarono in massa.
Dal libro del profeta Piero. “Calenda lo stimiamo, ma bisogna che si abitui a stare in un partito” (Piero Fassino, Pd, Il Foglio, 18.6). Quindi è ufficiale: Calenda lascia il Pd.
L’ideona. “Nel Pd Zingaretti cerca la tregua. Con l’aiuto di Renzi” (Repubblica, 18.6). Ammazza che volpe.
Che fai, Ruby? “Tassare la prostituzione è un’impresa quasi impossibile” (Livio Caputo, il Giornale, 15.6). E poi a B. costerebbe un occhio.
I titoli della settimana/1. “Bartali chi?”, “Governo fino a quando?” (Repubblica, prima pagina, 20.6). Ma si vince qualcosa?
I titoli della settimana/2. “Toti, Renzi, Carfagna, Calenda… Quando arrivano i moderati?” (Corriere della sera, 22.6). Stanno già transennando i seggi.
I titoli della settimana/3. “Salario minimo, un danno. Così saltano i contratti” (Maurizio Stirpe, vicepresidente Confindustria, Corriere della sera, 16.6). “Salario minimo, costi record. Di Maio rilancia la tariffa oraria, il no di Istat e Ocse: stangata per imprese e conti pubblici” (Il Messaggero, 18.6). Non contenti del privilegio di lavorare, questi schiavi pretendono pure lo stipendio. Dove andremo a finire.
I titoli della settimana/4. “Berlusconi non s’arrende, ma ormai è stufo marcio” (Libero, 15.6). Soprattutto marcio.