Omicidio Desirée, indagine chiusa sette persone a rischio processo

Concorso in omicidio volontario, violenza sessuale di gruppo e cessione e somministrazione di droga a minore. Con queste accuse la Procura di Roma chiederà il processo per i quattro africani accusati di aver causato la morte di Desirée Mariottini, la 16enne di Cisterna di Latina trovata senza vita la notte tra il 18 e il 19 ottobre 2018 a Roma, in uno stabile abbandonato nel quartiere San Lorenzo, poco distante dalla stazione Termini. Il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Stefano Pizza hanno infatti chiuso l’indagine sul decesso della ragazzina. Le persone a rischio processo sono in tutto sette. Oltre ad Alinno Chima, Mamadou Gara (accusato anche di prostituzione minorile per fatti antecedenti al giorno della morte della ragazza), Yusef Salia e Brian Minthe, ci sono anche Marco Mancini e Antonella Fauntleroy, entrambi accusati di cessione di droga a minore, e Alexander Asumado, accusato genericamente di spaccio all’interno del palazzo abbandonato di San Lorenzo.

Oltre che per la tragicità dei fatti, la storia di Desirée ha colpito molto l’opinione pubblica, sia per le circostanze sia per il contesto in cui è avvenuto il decesso. Dalle indagini, infatti, è emerso come la ragazzina fosse già moribonda quando ha subito le ulteriori violenze sessuali da parte di alcuni dei presunti assassini e di come le fosse stata somministrata droga sebbene le sue condizioni fossero già visibilmente critiche. Poi c’è il contesto. Il “tugurio” di via dei Lucani da anni è terra di nessuno, nonostante la mobilitazione dei residenti e il contenzioso fra i proprietari privati e il Comune di Roma. Lo stesso Municipio II negli otto mesi precedenti alla tragedia aveva presentato almeno sette segnalazioni alla Prefettura. Allarmi rimasti inascoltati. Nel mese di maggio, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha presentato un progetto di recupero del complesso abbandonato.

Un’unghia in un’ex porcilaia riapre un “cold case” del 1999 (e forse anche un altro del 1988)

Un’unghia in una porcilaia abbandonata: è l’elemento di prova che a vent’anni di distanza potrà forse aiutare a risolvere il cold case di due donne. Entrambe sposate con Valerio Sperotto, ex allevatore di maiali di Velo d’Astico morto nel 2011 a 64 anni. Ed entrambe sparite misteriosamente a 11 anni di distanza l’una dall’altra. La scoperta è stata fatta dagli archeologi forensi nel corso degli scavi, iniziati nel novembre 2017, all’interno di un’area dove Sperotto allevava i maiali. Le analisi hanno confermato che l’unghia del piede apparteneva a Virginia Mihai, seconda moglie romena dell’uomo, di cui si erano perse le tracce nell’aprile del 1999. La sua auto era stata ritrovata a Vicenza chiusa a chiave e con il portafoglio all’interno. L’esito della consulenza sulle tracce del Dna compiuta dai Ris su uno spazzolino da denti e arrivata sulla scrivania del pm Hans Roderich Blattner, che ha riaperto il fascicolo due anni fa, non lascia dubbi: la corrispondenza è del 100%. L’unghia proverebbe che il corpo della donna è stato fatto sparire nella porcilaia presumibilmente da Sperotto, da cui la vittima si stava separando. È la stessa fine che potrebbe aver fatto anche la prima moglie Elena Zecchinato, “Ivette” per gli amici, di cui si sono perse le tracce nel 1988. “Si era allontanata per una passeggiata nei boschi e da allora non è stata più vista” si disse all’epoca. Le nuove prove faranno partire a luglio delle ricerche più approfondite sulle tubature e sulle vasche della porcilaia, ormai in stato di abbandono. Di inchieste in questi anni su queste misteriose sparizioni ne sono state aperte diverse, facendo finire Sperotto, che all’epoca aveva venduto i maiali in fretta e furia, indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Ma la sua posizione, nonostante i sospetti per la tardiva denuncia di scomparsa, è sempre stata archiviata. “È una congiura”, aveva sempre risposto l’uomo, incolpando le compagne di essere fuggite con l’intenzione di inguaiarlo. Gli investigatori sono anche convinti che l’allevatore possa aver avuto un complice.

“Salvate i pini del lungomare” Sgarbi e gli ambientalisti contro il taglio di 70 piante

La guerra dei pini. Gli ambientalisti contro il sindaco Cinque Stelle di Carrara. Francesco De Pasquale non se lo aspettava, lui che era stato eletto anche per il suo impegno ambientalista. Ma nei giorni scorsi una parte della città gli si è rivoltata contro. Addirittura è stato presentato un esposto in Procura. Tutto a causa di quelle motoseghe che hanno cominciato a tagliare i pini di viale Cristoforo Colombo, la grande strada che costeggia il mare. Già, perché quei settanta alberi per tanti carraresi sono diventati una compagnia. E invece il Comune ha deciso di tagliarne una prima parte (17). “Ma vogliono tagliarli tutti e la delibera di giunta votata sei mesi fa è stata comunicata solo adesso”, assicura Riccardo Canesi dell’associazione Sos Litorale Apuano, che da anni si batte in difesa dell’ambiente carrarese. Una guerra difficile, tra il degrado idrogeologico, il cemento che cresce senza sosta e le cave di marmo che si mangiano le montagne. Stavolta in ballo ci sono gli alberi: “Sono piante che hanno oltre mezzo secolo. A noi risultano perfettamente sane”. Ma allora perché tagliarle? “Ragioni di traffico, di posteggi. Ci hanno detto che i rami procurano danni alle auto, ma a noi pare l’ennesima resa alle ragioni del traffico”. E la battaglia da locale è diventata nazionale. Oliviero Toscani ne ha parlato in un programma su Radio Radicale. Si è schierato anche Vittorio Sgarbi: “Il taglio di diciassette pini è una forma di barbarie che merita solo la galera”.

In Comune giurano e spergiurano: “Le piante tagliate saranno sostituite con alberi nuovi. Abbiamo già stanziato i fondi”.

Ma a far male alla giunta Cinque Stelle sono le firme sull’esposto: ci sono anche Italia Nostra e i verdi. Mentre Legambiente contesta la scelta di sostituire i vecchi pini, ormai parte del paesaggio, con le palme.

Intanto, però, a posticipare il taglio degli alberi ci hanno pensato gli uccelli: i loro nidi sono protetti per legge. Le motoseghe dovranno aspettare qualche giorno.

Il celebre musicista e il prete di paese: storia hot con estorsioni e minacce

Una storia di “feticismo estremo”, ricatti e video hot girati di nascosto. A quanto pare tutto sarebbe cominciato attraverso Grindr, l’applicazione social in voga tra gay e bisessuali. Così si sono conosciuti don Luigi Privitera, sacerdote di Giarre, cittadina a due passi da Catania, e Gianfranco Pappalardo Fiumara. Ex vicesindaco di Riposto noto per la carriera di pianista di fama mondiale. Nel 2012 insignito della medaglia al merito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e di casa alla Farnesina, dove nel 2016 si è esibito per la Nobel, Aung San Suu Kyi. Fiumara adesso si trova agli arresti domiciliari, accusato di estorsione, consumata e tentata. Beccato in flagranza di reato dai carabinieri mentre domandava al prete 5.000 euro “per chiudere la faccenda”, minacciandolo di essere pronto a inviare tutto il materiale a luci rosse del loro rapporto omosessuale al vescovo di Acireale, Antonino Raspanti. La situazione tra Privitera e Fiumara sarebbe precipitata alla fine di maggio, quando l’artista avrebbe scoperto che l’uomo conosciuto online era un prete e non un insegnante di Storia dell’arte, sposato e con la moglie trasferita al Nord.

Già durante i primi tre incontri, uno a fine marzo e due agli inizi di aprile, la vittima stando alle accuse sarebbe stata costretta a mettere mano al portafoglio. Anche davanti alla minaccia di un coltello. Consegnando in due tranche da 2.500 euro in contanti per ottenere la cancellazione, a quanto pare poi mai avvenuta, del materiale compromettente dallo smartphone di Fiumara. A fine maggio, scoperta la vera identità del prete, l’artista lo avrebbe costretto a un nuovo incontro. Inviandogli attraverso Whatsapp la foto dell’ingresso della canonica.

Preso dallo sconforto, don Privitera decide di chiudere la questione nel segreto del confessionale davanti a un confratello. Lo stesso che lo avrebbe convinto a denunciare tutto ai carabinieri. Si arriva così all’epilogo con i militari che organizzano la trappola all’interno della canonica di San Matteo. Da un file audio, registrato dal prete durante l’incontro, e poi depositato agli atti dell’inchiesta, emergerebbe l’intenzione dell’artista di proseguire la relazione e che “in mancanza avrebbe chiesto del denaro, in particolare la somma di 5.000 euro”, si legge nei documenti.

Durante la convalida del fermo, l’ex vicesindaco ha ammesso la relazione, negando però di avere preso soldi. Raccontando i particolari di un rapporto fatto di “perversioni estreme”. “Il mio obiettivo durante il processo sarà quello di ricostruire come il prete non sia così attendibile come ritenuto dal giudice”, spiega l’avvocato Enzo Guarnera, difensore del pianista. “Fiumara sostiene di avere parlato dei soldi, durante l’incontro in chiesa, in un momento di rabbia. In realtà era il prete che chiedeva di pagare nell’ambito di questo gioco tra i due, fatto di una presunta volontà di sottomissione. Non ci sono prove di dazioni”.

Intanto il capo della chiesa locale Raspanti ha sostenuto pubblicamente la scelta del sacerdote di denunciare. Spedendolo fuori dalla Sicilia per un percorso di recupero.

Uccide la moglie e si suicida, avevano problemi economici

I corpi distesi sul letto, uno accanto all’altro, e vicino la pistola calibro 38 da cui sono partiti i colpi mortali. Sono stati trovati così marito e moglie in un appartamento nel quadrante nord di Roma. L’ipotesi è che si sia trattato di un omicidio-suicidio. Per gli investigatori il marito 77enne, un avvocato civilista, avrebbe colpito la moglie di 74 anni al collo e poi si sarebbe ucciso puntandosi l’arma alla testa. Nell’appartamento la polizia ha trovato un biglietto di addio indirizzato ai figli in cui l’uomo chiede scusa per il gesto. Poche righe in cui avrebbe scritto di essere “stanco”. Rimangono ancora da chiarire i motivi che hanno spinto l’avvocato a impugnare l’arma e a premere il grilletto prima contro la sua compagna di una vita e poi contro di sé. Chi indaga non esclude al momento che alla base del malessere possano esserci anche difficoltà di natura economica. Marito e moglie erano sdraiati sul letto e l’uomo aveva ancora in mano l’arma regolarmente detenuta. Sgomento nel palazzo e tra chi conosceva bene i coniugi che stavano insieme ormai da una vita.

Mega appalto da Buzzi a una coop indagata

È un appalto da 20 milioni di euro l’anno e rappresentava un boccone prelibato per Salvatore Buzzi e i sodali della cosiddetta Mafia Capitale, ora finisce a una cooperativa sotto indagine per turbativa d’asta a Trento: si tratta del “recup”, il servizio telefonico che si occupa delle prenotazioni di visite mediche su tutto il territorio della Regione Lazio.

È un appalto da cui è stata estromessa la cooperativa aCapo, più nota come Capodarco e già travolta dalle macerie del Mondo di mezzo, ma poi risanata dall’amministrazione giudiziaria: 800 persone, “soggetti svantaggiati” (è una coop di tipo b), tra cui molti disabili, rischiano di perdere il posto di lavoro. E perché? Perché la aCapo – al cui vertice nel frattempo si è insediata proprio Roberta Ciancarelli, già amministratrice giudiziaria con Daniela Saitta – è stata esclusa per una valutazione negativa dell’Inps sulla regolarità contributiva e questo è stato l’elemento decisivo per la stazione appaltante, la Regione Lazio. All’ente guidato dal presidente Nicola Zingaretti è sfuggita, però, la successiva sentenza firmata dalla sezione lavoro del Tribunale di Roma: la valutazione dell’Inps è illegittima. E, cortocircuito dei cortocircuiti, mentre viene estromessa aCapo vince la gara la multinazionale Gpi, al cui interno c’è la cooperativa Consorzio lavoro e ambiente appena coinvolta in un’indagine della Guardia di finanza su bandi di gara di alcuni servizi del Museo delle Scienze di Trento: la gara – secondo l’accusa – sarebbe stata “inquinata” per consentire alla coop trentina di aggiudicarsi l’appalto. Ed è partita anche un’inchiesta della Corte dei conti per accertare danni erariali. Notizie pubbliche, uscite sul quotidiano Trentino negli scorsi mesi. Ma non arrivate, evidentemente, all’attenzione della Regione Lazio. Almeno fino al ricorso dell’avvocato Adalberto Perulli per aCapo che chiede la revoca dell’appalto in autotutela alla Regione. La “diffida ad adempiere” è partita lunedì scorso, ma per ora non è arrivata nessuna risposta né dagli uffici di Zingaretti, né da quelli dell’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, né dalla Segreteria generale. C’è, però, la replica del Consorzio lavoro e ambiente: “La revoca in autotutela non è possibile perché è già stato stipulato un contratto tra le parti”. Nessuna considerazione, invece, sulle vicende giudiziarie del Consorzio.

Scrive l’avvocato Perulli nel ricorso: “Non v’è chi non veda l’assoluta sovrapponibilità della fattispecie accorsa quest’oggi con quella che riguardò Mafia Capitale. Infatti sia in quell’occasione che adesso vi sono notizie riguardanti la commissione di un gravissimo reato che impatta direttamente con la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica: sia in quell’occasione che adesso i reati sono stati commessi dal medesimo settore oggetto della gare de qua; sia in quell’occasione che oggi le notizie riguardano concorrenti alla procedura (con l’aggravante che adesso il concorrente è anche l’aggiudicatario); sia in quell’occasione che oggi è sconsigliabile ed inopportuno procedere con le ulteriori fasi della procedura per tutelare l’interesse pubblico”. Il legale della aCapo si riferisce al dicembre 2014, quando fu revocata l’indizione di una gara per l’affidamento di diversi servizi sanitari di asl romane, Policlinico, Tor Vergata e Regione proprio perché gli allora vertici di aCapo erano coinvolti in un sistema di turbativa d’asta. Il fantasma di Mafia Capitale rimane minaccioso. La palla ritorna alla Regione Lazio, i cui servizi sanitari, dopo questo appalto, compresa la piattaforma informatica, sarebbero tutti gestiti dalla multinazionale Gpi: controllore e controllati in alcuni casi diventerebbero così la stessa cosa.

“A rischio il diritto della donna a dire no a un parto cesareo”

Ospedale Mangiagalli del Policlinico di Milano. Tra la telefonata di un pubblico ministero per un caso, le relazioni di una psicologa e un medico legale, Alessandra Kustermann spalanca la porta di un universo fatto di 28mila accessi – annui – al pronto soccorso di ginecologia e ostetricia, oltre mille al Centro antiviolenza “non solo donne e bambini, anche sempre più anziani” specifica subito. Al Mangiagalli in media nascono 16 bambini al giorno, la percentuale di medici obiettori è del 50 per cento. Kustermann è un fiume in piena: parole semplici, riflessioni su argomenti delicati esposte in modo lieve ma, soprattutto, risposte non convenzionali. “Ho 65 anni e un’agenda che è un inferno se non sorridessi non riuscirei a reggere tutto”.

La Cassazione – verdetto 27539 della Quarta sezione penale – ha stabilito che prima della nascita il feto è uomo.

Da quello che ho letto è la sentenza del processo a un’ostetrica. Se compi un errore, puoi essere accusata di omicidio. Ma comunque restano figure professionali che lavorano già con un pesante carico di responsabilità.


Tra il diritto della madre e quello del feto, alla nascita, quale prevale?

Attualmente noi consideriamo che sia un diritto della donna poter dire di no a un cesareo per salvare la vita del feto. Dopo questa sentenza potrebbe non essere più così. Se il feto in travaglio è già uomo, potremmo trovarci con un padre che vuole il cesareo a tutti i costi e una donna che non vuole essere sottoposta a intervento chirurgico. Penso che il diritto della donna di scegliere sul suo corpo prevalga su qualunque altro diritto.

In un passaggio si legge: “L’ostetrica continuava a rassicurare il ginecologo di turno che tutto procedeva regolarmente”.

Questo è permesso in una casa di cura. Non in un ospedale. Per me resta una follia partorire in clinica.

A 40 anni dalla legge 194 a che punto siamo?

Dal mio punto di vista oggi chi attenta alla vita è più la società intesa come strutture e istituzioni che non si pongono il problema di sostenere chi mette al mondo un figlio per prendersene cura in modo adeguato. Ma consoliamoci, si tratta peraltro di un problema culturale diffuso anche nei paesi europei più evoluti dal punto di vista del welfare familiare. La cura dei figli si regge comunque sulla donna. Padri certamente più presenti di un tempo ma alla fine se si pone l’obbligo della scelta tra lavoro e figli, chi lascia la professione?

Obiezioni di coscienza, in Italia è tra le più alte in Europa: 70% che in alcune zone sfiora il 90.

Posso assicurare che in tutte le regioni viene garantita la possibilità di interruzione di gravidanza, come previsto dalla stessa legge 194, anche ricorrendo a ginecologi “a gettoni”. Se invece la domanda è perchè siano pochi i non obiettori io ritengo sia più una questione di organizzazione del lavoro che di coscienza.

Non fede?

Anche, ma nella quotidianità le assicuro che si tratta più di stanchezza per organizzazioni interne e carichi di lavoro che alla fine vengono assegnati e aggiunti a chi non ha obiettato. Chi non obietta, in netta minoranza, finisce per fare solo aborti e non accede a esperienze professionali più gratificanti.

Tutto però a discapito di chi vuole accedere a un diritto.

Vero. Da medico non obiettore sono però convinta che in tutte le regioni d’Italia, anche se le donne affrontano il disagio di spostarsi da una struttura ad un’altra l’aborto comunque non viene negato.

Temi etici, confini sempre meno circoscritti. Tutto passa più dalle aule dei tribunali meno da quelle delle Istituzioni.

L’onere della responsabilità delle scelte è un peso che la nostra società non è più in grado di assumersi. Siamo una società vecchia in declino di natalità che a volte ha persino paura delle parole nuove.

 

Salvini, la fake news sul cane scatena la caccia ai padroni

Giovedì sera Matteo Salvini ha pubblicato sulle sue pagine social il video di un cane trascinato al guinzaglio all’esterno di un’auto in corsa. Con questo testo: “Che schifo. Tra Barletta e Trani un cane legato con il guinzaglio dentro al bagaglio posteriore è stato vergognosamente TRASCINATO, chissà per quanto. Per fortuna è ancora vivo ma ora mi auguro che la BESTIA ‘umana’ che ha commesso questo crimine paghi fino in fondo”. Il video è originale ma il contesto della notizia è fasullo. Bastava una semplice verifica dei fatti: non si è trattato di violenza gratuita ma di un incidente, causato dalla distrazione (grave) dei proprietari dell’animale. La padrona – che nel video si sente gridare disperata quando si accorge dell’accaduto – ha avuto un malore per lo choc. Il padrone ha portato subito la bestiola dal veterinario: ha una zampa ferita ma è in buone condizioni. Nel frattempo la fake news di Salvini è diventata virale – al momento circa 33 mila commenti solo su Facebook e 410 mila visualizzazioni su Instagram – con un fiume di insulti e minacce. Qualcuno ha individuato e diffuso la targa dell’auto e le generalità dei protagonisti. Ad Andria si sta organizzando una manifestazione pubblica contro di loro. Questi sono alcuni dei messaggi che si possono leggere nelle pagine pubbliche di Salvini, “suscitati” dal ministro dell’Interno (punteggiatura e ortografia sono mantenute come nei testi originali, ndr).S. G. “Io farei legare l’autista è trascinare per tutto il tratto, poi il carcere a vita…..per questo video mi sono sentita male….. Datemi il cellulare di questo uomo, scendo in Puglia e lo meno….”

simod05 “Io direi di castrare l’autista”

ill_potta“Io li impiccherei in testa in giù come mussolini”

maxi_segat_21“Questi sono da BRUCIARE VIVIIII”

A. P. “Dovrei assistere ad una roba del genere lo fermo e faccio lo stesso col padrone del cane”

C. P. “Sto maiale schifoso succedesse a lui e tutta la sua famiglia”

A. E. “Farei la stessa cosa a quei figli di puxxana legati per i coglixxi e via da nord a sud…..”

G. S. “in galeraaaa”

A. S. “Ma chi è? Nome e cognome per cortesia di sta gente che lo andiamo a prendere a casa”

G. L. B. “Ma perche non capita a me…di incontrare uno cosi….il massimo del divertimento….subito auto fuori strada…e giu …giu legnate…da rompermi le mani…”

G. A. “Datemeli in mia custodia questi gentiluomini. Vi garantisco che tutte le torture fisiche e psichiche saranno adottate”

giuseppe_lbn “Scusami ma una persona cosi deve morire”

E. V. “Io non capisco ma mannaggia a C….. invece de filmare lo sorpassi lo fai fermare scendere preso per il collo lo leggi al posto del cane e poi vai a un PS veterinario semplice”

J. N. J. “Per favore Salvini, a queste persone, pene severe e stesso trattamento, anzi legherei questi dietro ad una frecciarossa. Infami”

nico.sbf “Dovrebbe essere messo in una piazza e farlo soffrire davanti tutta Italia”

M_M “Leghiamo il proprietario della macchina con una corda e lo tranisciniamo lungo la strda, mi sempra la pena piu adeguata”

bea_taglia_ “Merita la morte in questo istante”

F. C. “Gli dovrebbero trascinare allo stesso modo i figli a sta testa di cazzo”

A. V. “Deve morire male.. Altro che la morte non si augura a nessuno.. Maledetti assassini”

E. E. “Frustatelo a sangue”

Bankitalia, Paolo Angelini è il nuovo capo della Vigilanza

Cambio della guarda in Banca d’Italia: finisce l’era di Carmello Barbagallo e inizia quella di Paolo Angelini che diventa il nuovo responsabile della Vigilanza bancaria. Non è, però, una rivoluzione dal momento che Angelini da gennaio 2014 è il vice di Barbagallo che dal primo luglio diventa, invece, funzionario generale per l’alta consulenza al direttorio in materia di vigilanza bancaria e finanziaria e nei rapporti con il Single Supervisory Mechanism. Angelini, senese, 61 anni, dal 1990 al 2011 ha lavorato presso il Servizio Studi di Bankitalia e poi dal 2011 al 2013 ha diretto la segreteria tecnica per l’Eurosistema e la stabilità finanziaria. In questi anni, la vigilanza di Via Nazionale, guidata da Barbagallo, è stata assai contestata per i disastri bancari (da Etruria & C. alle due popolari venete fino al Monte dei Paschi di Siena). Peccati e omissioni emersi nella bicamerale di inchiesta sulle banche, dove Bankitalia e Consob si sono rimpallate le responsabilità. Tocca ad Angelini, adesso, ridare credibilità a un’istituzione contestata da migliaia di risparmiatori truffati.

Guerra fredda tra Lega e M5S e il partito del Colle

Il mandato della maggioranza parlamentare è chiaro, il comportamento del governo finora non altrettanto. Si parla del Trattato che riformerà il Fondo salva-Stati, cioè il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Lanciata nel dicembre scorso, la riforma che amplia i poteri del Mes – organismo intergovernativo colonizzato assai per tempo da funzionari tedeschi – andrà approvata dai governi e ratificata dai Parlamenti (è un nuovo Trattato) ed è un enorme pericolo per l’Italia, il cui fine appena velato dai tecnicismi è creare un cordone sanitario attorno al nostro Paese: in sostanza, potranno mandarci in crisi finanziaria attenuando l’effetto contagio sugli altri (addio potere negoziale).

Senza entrare troppo nei dettagli tecnici, il nuovo Mes tra le altre cose potrà garantire “liquidità precauzionale” senza alcuna condizionalità ai paesi coi conti in ordine (attualmente – è stato calcolato – solo a 9 Stati su 19 dell’Eurozona) e invece con condizionalità via via più forti a tutti gli altri: siamo, a un dipresso, alla scialuppa di salvataggio per gli amici e all’istituzionalizzazione della Troika per i reprobi. Per di più, in futuro sarà il Fondo salva-Stati a stabilire se il debito è “sostenibile” e, se no, come farlo tornare tale.

Si diceva che Lega e M5S hanno chiaro il rischio. È tanto vero che la mozione votata in Parlamento proprio in vista del Consiglio europeo impegna il governo “ad opporsi ad assetti normativi che finiscano per costringere alcuni paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti e automatici e sul Mes “a non approvare modifiche che prevedano ‘condizionalità’ che finiscano per penalizzare quegli Stati che più hanno bisogno di riforme e investimenti”.

Mandato chiaro, si diceva. Realizzazione da parte dell’esecutivo un po’ meno. L’Eurogruppo, la riunione dei ministri delle Finanze, venerdì 14 giugno si è chiuso con un entusiastico “ampio consenso” – così ha scritto il presidente Mário Centeno ai governi Ue – alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità.

A guardare gli allegati, peraltro, rispetto a dicembre 2018 la situazione è peggiorata: la porta di accesso ai fondi è ancora più stretta. Insomma, il ministro Tria ha lasciato passare per ora il nuovo Mes e Conte ieri si è limitato ad attenuare il comunicato finale del Consiglio europeo, che comunque cita la lettera di Centeno, accoglie “con favore i progressi” e invita l’Eurogruppo a chiudere la partita entro dicembre 2019.

L’impressione è che pure la riforma del fondo salva-Stati sia finita nella partita multipla che il premier e il resto del partito del Colle – il terzo della maggioranza – sta giocando con Bruxelles un po’ rivendicando e molto cedendo. I gialloverdi non l’hanno presa bene. Il M5S ieri ha scritto una nota per mettere le mani avanti e ricordare che il Parlamento ha impegnato il governo a “porre il veto ad una riforma di quel genere”. Quanto alla Lega, basti citare le parole di mercoledì alla Camera dal capogruppo Molinari: “Chiedete alla Grecia cos’è” il fondo salva Stati e ora il rischio è che “intervenga a sua discrezione e senza controlli: non vorrei mai che all’ordine del giorno ci sia questa idea, pensando di ricattare l’Italia con la procedura di infrazione”.