La dimenticanza morale di Berlinguer

Sull’onda della corruzione della Magistratura –perfino della Magistratura – è tornata all’onor del giorno la “questione morale” e si dice e si scrive che Enrico Berlinguer, allora segretario del Pci, fu il primo a porla, legandola allo strapotere assunto dai partiti, nella famosa intervista del luglio 1981 a Scalfari. Per la verità Berlinguer non fu il primo. Già nel 1960, cioè vent’anni prima di Berlinguer, Cesare Merzagora in un vibrante discorso al Senato, di cui era presidente, aveva denunciato che la democrazia stava trasformandosi in partitocrazia, con annessa e inevitabile corruzione, e lo stesso aveva fatto nel medesimo anno il grande giurista Giuseppe Maranini. Cosa diceva Berlinguer in quell’intervista a Scalfari? “I partiti… sono macchine di potere e di clientela… Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi… sono federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’… i partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni, a partire dal governo”. E ancora: “Hanno occupato gli enti locali, gli enti previdenziali, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali”. E concludeva: “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, denunciarli e metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, con la guerra per bande”. Un discorso ineccepibile. All’apparenza.

Nel 1983, in una “Lettera aperta a Claudio Martelli”, allora il più importante leader socialista dopo Bettino Craxi, scrivevo sul Giorno, che non poteva certamente essere accusato di ostilità nei confronti dei partiti di governo, Dc e Psi in testa: “Non c’è angolo della nostra vita pubblica e privata che non sia occupato dai partiti i quali, debordando dalla loro sede naturale, il Parlamento, hanno lottizzato, oltre al governo, alla Presidenza della Repubblica, alle Regioni, alle Province, ai Comuni, anche l’industria pubblica, il parastato, la burocrazia, le forze armate, la magistratura, le banche, gli ospedali, l’università, le grandi compagnie di assicurazione, le camere di commercio, gli appalti, la Rai Tv, i giornali, le aziende municipalizzate, le Spa comunali, gli enti culturali, gli Iacp, i porti, le terme, le mostre, le aziende di soggiorno, gli acquedotti, i teatri, i conservatori, le casse mutue, le unità sanitarie locali, i tranvieri, i vigili urbani, gli spazzini, gli urbanisti, gli architetti, gli ingegneri e, infine, anche i corpi di ballo, le soliste e i primi ballerini”.

Uno scritto che sembra pantografato sulle parole di Berlinguer. Ma fra i due discorsi, a parte l’importanza dei personaggi in campo, corre una differenza. Sostanziale. Quale? Berlinguer dimenticava disinvoltamente, molto disinvoltamente, di essere segretario di un partito, il Pci, che era parte integrante di quella partitocrazia di cui denunciava il clientelismo e la corruzione, a cui partecipava come tutte le altre formazioni politiche, ma le riferiva solo alla Dc, al Psi, alle frattaglie repubblicane e liberali (“occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi”).

Insomma si tirava fuori, sorvolando tra l’altro che il Pci riceveva cospicui finanziamenti dall’Unione Sovietica (la Dc e il Psdi dagli americani), uno Stato apertamente nemico delle democrazie occidentali e che ricevere quattrini dall’Urss poteva essere considerato “alto tradimento”. Il buon Zingaretti è quindi figlio di quel Pci, partitocratico e clientelare come tutti gli altri, e non può perciò essere accusato di proseguirne, sia pur con qualche resistenza, se non la politica certamente la stessa immorale moralità.

Mail box

 

Non è colpa della Raggi, Roma non si salva in tre anni

Sono tre anni che i media si scatenano contro la Raggi, neanche stesse dando fuoco a Roma.

Nel criticare la sindaca però non si può trascurare il fatto che questa città è composta da 15 municipi, ognuno dei quali rappresenta una città a sé (tra cui Ostia) e che le cui amministrazioni, si può facilmente ipotizzare, non remino tutte nella stessa direzione. Così come non si può ignorare la situazione lasciata in precedenza, la mancanza di risorse e la resistenza di tutte quelle forze che finora hanno manovrato Roma. Sinceramente rimango più incredula che delusa circa il mancato sostegno dei 5Stelle, che non può che avvantaggiare Salvini, in un momento in cui i problemi di consenso elettorale sono evidenti.

Per quanto mi riguarda vedo strade rifatte (e non rattoppate), bandi di gara trasparenti, azioni legali contro ditte inadempienti e un generale senso di legalità ripristinata. Certo vedo anche l’immondizia, ma non più di quella che già c’era prima! Insomma sto solo concedendo tempo a un’amministrazione che in tre anni non poteva certo fare miracoli. Poi quando Di Maio deciderà di sostenere lei, invece che assecondare i voleri di Salvini, forse sarà troppo tardi.

Valentina Felici

 

Scandalo Csm: ora serve una riforma basata sull’onestà

Credo che non sia sufficiente una laurea in giurisprudenza per poter capire appieno il ginepraio che si è creato nel Consiglio Superiore della Magistratura. Trovo il tutto scandaloso: indagini per presunta corruzione alla procura di Perugia, indagati per rivelazioni di segreto d’ufficio, dimissioni e autosospensioni di magistrati. La cosa peggiore è che viene meno la credibilità delle istituzioni, e di organi importanti come la magistratura, che deve garantire i sacrosanti diritti dei più deboli e inermi. L’attuale governo deve fare, senza arzigogolare, la tanto invocata riforma della giustizia: più meritocrazia per le carriere, riduzione dei tempi per i riti penali e civili, stop alla prescrizione dei processi. Gli italiani hanno urgente bisogno di una magistratura meno politicizzata, e più trasparente, pulita, efficiente.

Solo così potremo definirci un popolo civile, onesto e democratico.

Franco Petraglia

 

Chiamparino, l’attaccamento alla poltrona è bipartisan

Sergio Chiamparino non si schioda dalla poltrona: dopo aver detto “qualcosa di sinistra” quando diede il lieto annuncio, “Ormai ho 71 anni, lascio la politica”, in un nanosecondo cambia idea e ritorna sulla retta via… svoltando a destra.

Il primo amore non si scorda mai.

Maurizio Burattini

 

Troppo gossip e “totogoverno” e l’informazione si perde i fatti

Non sono una giornalista e non mi occupo d’informazione, ma mi sorge una domanda anche sfogliando (sempre volentieri) il vostro giornale: perché la stragrande maggioranza dei media fa più “gossip” che reale comunicazione dei fatti?

Leggo spesso che tra i vari errori del Movimento ci sia la cattiva comunicazione delle cose fatte. Vero. Ma questa informazione non deve arrivare (anche e soprattutto) dagli organi di divulgazione? Non devono essere giornali e tv a spiegare cosa fa il governo in carica, quali leggi vengono approvate, quali disegni vagano tra i corridoi del Parlamento? Spesso la sensazione è che il “gossip” faccia più gola: provare aprevedere quando cadrà l’esecutivo, porre attenzione alle mosse (proprio quelle fisiche) di Di Maio e Salvini, dare voce più ai commenti che ai fatti veri e propri.

Anche nelle conferenze stampa (e lo dico col massimo rispetto) la maggioranza delle domande poste dai giornalisti è inconsistente, superficiale, se non imbarazzante.

Ma è da loro, da voi, che mi aspetto di capire ciò che non posso sapere, e non mi interessa il totogoverno: non è che ipotizzarne la caduta ne cambi le sorti! Forse permette di poter dire “L’avevo detto io”, ma rispetto al fare della buona informazione, mi sembra poca cosa.

Barbara Tronchi

 

Esami, le tracce cambiano ma la Storia resta protagonista

Leggo con stupore che la riforma del governo Renzi, che aveva eliminato il tema di Storia dall’esame di maturità, ha addirittura scatenato “mesi di polemiche e petizioni”.

La storia esiste dovunque e sempre indipendentemente dalla presenza o meno di un’ora scolastica destinata alla Storia (la quale è meglio che ci sia, comunque).

Di fatto, è una metamateria che non ha bisogno di un tema dedicato, perché vive al di fuori della definizione stessa.

Cicerone ce lo insegna da millenni: “La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità”. Non è un caso che nei licei si studi Storia della filosofia, Storia dell’arte, e così via.

Ogni tipo di narrativa che tenti di approfondire un avvenimento accaduto, di indagarlo per produrre un nuovo punto di vista o una nuova verità, è di fatto un romanzo storico. O, forse, parlare di quel che è successo l’anno scorso e trarre da esso un insegnamento non è fare, scrivere, trattare di storia?

La storia è invincibile e ineliminabile, come dimostrano le tracce della maturità di quest’anno. Perciò Montanari ha ragione: siamo custodi e non padroni del tempo.

G. C.

Sarri. Alla Juventus in giacca e cravatta è tornato bancario, altro che rivoluzione

Purtroppo non mi stupisco. Cinico? Spero di no. Pragmatico? Giammai. Disincantato? Forse. Così il viso sorridente di Sarri dentro la sede della Juventus non mi ha lasciato a bocca spalancata, dito puntato, ululati di diniego, ma ha solo aggiunto un ulteriore centimetro di distanza tra me e la passione per il calcio; e neanche tifo Napoli. Ma credevo nelle storie, nell’appartenenza, nelle peculiarità, nelle differenze, nell’”io sono qui e voi siete da un’altra parte”; nel sano sfottò, nel “sì” è “sì” e il “no” non diventa mai “forse”. Qui invece sembra il wrestling, e davanti alla finzione scelgo di spegnere la televisione, e Sarri nel suo piccolo ne è responsabile.
Giacomo Luti

 

Suvvia gentile Luti, non mettiamola giù in modo così drammatico. Spegnere la tv per Sarri mi sembra un po’ esagerato ma questo non vuol dire eludere il senso della sua domanda. Potrei risponderle che anche il tradimento dà sale e sostanza a quell’autentica e faziosa civiltà calcistica che divide a ogni latitudine. Non solo: spendere sentimenti ed energie per difendere le appartenenze talvolta si rivela una roba da perdenti nostalgici. Il punto, in questa storia, è però un altro. A differenza sua, io tifo Napoli e le dico subito che l’arrivo di Sarri a Torino non mi meraviglia. Per un semplice motivo: il Sarri rivoluzionario, il Sarri Masaniello che riscatta il popolino, i lazzari e anche la borghesia (massì, mettiamocela pure) lottando con il bel gioco per lo scudetto e per questo elevato al rango di santo e mito, ecco tutto questo concentrato che va sotto il nome sarrismo non è mai esistito. È stata una costruzione, una finzione voluta da gran parte dei tifosi napoletani per illudersi e per amare qualcosa (la Grande Bellezza del 4-3-3). Sono loro ad aver voluto trasfigurare un allenatore bravo con tratti geniali nel nuovo San Gennaro. Da parte sua, il furbo Sarri si è limitato il più delle volte a capitalizzare questo amore in modo passivo. La conferma? La presentazione ieri nella sede della Juventus: Sarri ha rinnegato la tuta, icona di quel populismo di sinistra che tanto ha fatto impazzire Napoli, e si è messo in giacca e cravatta. Solo per questo faceva un’enorme tristezza, per la serie: il rivoluzionario è tornato bancario. A sessant’anni, Sarri com’è giusto che sia ha solamente inseguito le sue ambizioni personali e il sogno di arricchirsi, come disse già a Napoli. Il problema non è suo, ma di chi gli ha cucito addosso l’immagine improbabile di santino-bandiera.
Fabrizio d’Esposito

Nel secondo trimestre l’Italia rischia un nuovo calo del Pil

C’è una probabilitàdel 65% che il Pil nel secondo trimestre 2019 torni a calare. A stimarlo è l’Istat, nel Rapporto annuale. Secondo la nuova stima, “la probabilità di contrazione è relativamente elevata”. I primi tre mesi dell’anno si sono invece chiusi con un +0,1%, segnando l’uscita dalla recessione in cui l’Italia era entrata a fine 2018. Guardando al 2018 l’Istat mette in evidenza come l’Italia abbia “proseguito il percorso di riequilibrio dei conti pubblici”, ma i progressi fatti “non sono stati sufficienti ad arrestare la dinamica del debito”. L’Istat spiega come la stima “sia stata ottenuta con una procedura che permette di individuare i settori manifatturieri con caratteristiche leading rispetto al ciclo economico”. Non una previsione in senso stretto, ma una metodologia che indica una predizione qualitativa. Quanto all’intero anno 2019, l’Istat negli scenari rilasciati a maggio ha previsto una crescita dello 0,3%, più dello 0,2 previsto nel Def. Ora conferma e spiega che la crescita sarà sostenuta dalla domanda interna. “I consumi delle famiglie saranno la principale componente a sostegno della crescita, favoriti dall’aumento del monte salari e, in misura contenuta, dalle misure del reddito di cittadinanza”.

Crisi demografica, neanche i migranti salvano più l’Italia

L’Italia è un Paese sempre più vecchio, senza nuovi nati, finora ‘rimpinguato’ dai migranti, ma sempre meno: è la fotografia della crisi demografica in cui siamo, contenuta nel rapporto Istat per il 2019, il primo della guida di Carlo Blangiardo, già ordinario di Demografia a Milano, contestato in questi mesi per le sue tesi critiche sull’immigrazione.

Senza guardareai “grandi anziani”, il primo dato è che a inizio 2019 ogni 100 italiani under 15 si contavano 172,9 ultra-64enni (erano 143 11 anni fa). Il secondo è che dal 2015 a oggi ci sono 400 mila residenti in meno. Se però diminuiscono dell’11,2 per mille i cittadini italiani, aumentano del 43 per mille i cittadini stranieri residenti (sono 5 milioni 234 mila). Per il momento, infatti, il decremento non ha ancora eroso i guadagni di popolazione degli anni precedenti e così, rispetto al 2008, la popolazione risulta cresciuta di 1 milione e 738 mila unità. L’aumento è interamente attribuibile alla popolazione straniera, cresciuta di 2,2 milioni di unità mentre quella italiana è diminuita di oltre 472 mila.

Il primo motivo è che si fanno meno figli. Nel 2018 sono nati 10 mila bambini in meno rispetto al 2017, 130 mila dal 2008. Il calo è attribuibile soprattutto alle coppie italiane, per diversi motivi. Le donne tra i 15 e i 49 anni, ad esempio, sono sempre meno: le cosiddette baby boomers sono uscite o stanno uscendo dalla fase riproduttiva mentre le generazioni più giovani sono meno numerose perché figlie del calo della fecondità del ventennio 1976-1995. “Le circa 900 mila donne in meno – si legge – spiegano quasi i tre quarti della differenza di nascite, mentre la restante quota dipende dalla diminuzione della fecondità (da 1,45 figli per donna del 2008 a 1,32 del 2017)”. Ci si sposa poi sempre meno e sempre più tardi, complice soprattutto la mancanza di lavoro e di stabilità economica. “La diminuzione dei coniugati si ripercuote sul crollo delle nascite all’interno del matrimonio (-147 mila dal 2008). Il legame tra nuzialità e natalità è, infatti, ancora forte nel nostro Paese: 7 figli su 10 nascono all’interno del matrimonio e in più della metà dei casi i primi figli nascono entro tre anni dalle nozze” scrive l’Istat. Il numero medio di primi figli per donna rappresenta il 50 per cento della fecondità complessiva.

Il vero problema, però, è che inizia a ridursi anche il sostegno alla natalità finora arrivato dagli stranieri. Dal 2012 al 2017 diminuiscono i nati con almeno un genitore straniero (-8 mila) che scendono sotto i 100 mila (il 21,7 per cento del totale) e la popolazione straniera residente sta a sua volta invecchiando. Quella ultra64enne è passata, in dieci anni, da69 mila individui (2,3 per cento) a oltre 208 mila (4 per cento), l’età media è aumentata da 31,1 a 34,5 anni. “Le grandi regolarizzazioni del 2002 hanno dato origine nel corso del 2003-2004 alla concessione di circa 650 mila permessi di soggiorno, che si sono in gran parte tradotti in un ‘boom’ di iscrizioni in anagrafe dall’estero (circa 1 milione, che ha fatto raddoppiare il saldo migratorio degli anni 2003-2004 rispetto al biennio precedente) – spiega l’Istat – Le boomers, che hanno fatto il loro ingresso o sono ‘emerse’ in seguito alle regolarizzazioni, hanno realizzato nei dieci anni successivi buona parte dei loro progetti riproduttivi nel nostro Paese, contribuendo in modo importante all’aumento delle nascite e della fecondità registrato fino al 2010”. Ora, però, è il turno di politiche completamente diverse. “Esaurita la spinta propulsiva delle immigrazioni, siamo in una nuova fase di crisi demografica il cui tratto distintivo è una fecondità sempre più bassa e tardiva”, si legge.

Va male anche il saldo migratorio degli italiani con l’estero, con una perdita netta di circa 420 mila residenti in dieci anni. Circa la metà di questa perdita (208 mila) è costituita da giovani dai 20 ai 34 anni e di questi, due su tre hanno un livello di istruzione medio-alto. “Gli spostamenti delle persone con un alto livello di istruzione (almeno la laurea) sono aumentati del 53 per cento, con un’incidenza del 25 per cento nel 2017” si legge. È una perdita netta di 309 mila giovani, di cui 117 mila in possesso di laurea (38 per cento) e 132 mila di un diploma (43 per cento). Si parte più dal Sud che “cedendo risorse qualificate vede fortemente limitate le sue possibilità di sviluppo”. E vanno via anche gli stranieri. Dei 283 mila minori che hanno acquisito la cittadinanza tra il 2012 e il 2017, il 7 per cento è emigrato all’estero, l’83 verso altri Paesi dell’Ue, soprattutto Regno Unito (41,6 per cento), Francia (26,4 per cento) e Germania (10 per cento).

Pressing sui vertici di PopBari: l’ispezione di Banca d’Italia

Una nuova ispezione della Banca d’Italia alla Popolare di Bari mentre si attende il cambio dei vertici dell’istituto di credito in vista della prossima assemblea degli azionisti di luglio. Quattro consiglieri sono in scadenza e le autorità, secondo fonti di agenzia, premono affinché vengano sostituiti per assicurare un ricambio della governance. Nei giorni scorsi sarebbe quindi arrivata a Bari una lettera in tal senso da parte della vigilanza. C’è il nodo della presidenza: benchè il mandato di Marco Jacobini scada solo nell’assemblea del prossimo anno è ancora incerto se possa conservare la carica. Le voci che si rincorrono parlano di Giulio Sapelli come possibile sostituto ma l’economista, che fu anche proposto per qualche ora come possibile presidente del Consiglio dalla Lega, non sarebbe esplicitamente sostenuto dalla vigilanza. È chiaro che la famiglia Jacobini, specie se andrà in porto il progetto per dar vita a una aggregazione delle popolari del Mezzogiorno, dovrà cedere il controllo ma non è detto che questo avvenga subito. Intanto, un emendamento al dl Crescita prevede incentivi fiscali proprio per le aggregazioni di imprese e banche al Mezzogiorno.

“Avere una buona legge significa tutelare tutti”

Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’associazione Luca Coscioni, ha scritto insieme ad altri esperti e associazioni una delle proposte di legge. E spiega: “Le buone leggi fanno bene a tutti, nessuno si vedrà imporre una gestazione per altri o dovrà accedere a un percorso che non vuol fare. Ma chi vorrà, avrà la certezza che non ci sarà nessuna forma di sfruttamento”.

Chi è contro sostiene che s’incentiva, con la depenalizzazione, una possibile mercificazione del corpo.

Le norme servono a creare un perimetro contro soprusi, violenze, illegalità e mercificazione quindi a dare garanzie. Per i nati, per le donne e i futuri genitori. Abbiamo previsto l’istituzione di un registro delle gestanti per altri presso il Consiglio superiore della Sanità, l’organo tecnico del ministero, affinché ciò che è stabilito nella legge venga rispettato. Così come abbiamo previsto che si possa ricorrere alla gpa massimo due volte o tre se per la stessa coppia. Questo per preservare la salute fisica e psicologica della gestante.

Un’altra obiezione è che è una pratica per ricchi.

Ora lo è: chi ha a disposizione dai 60 ai 100 mila euro, va all’estero. L’Italia è un Paese fortunato perché i bambini in stato d’abbandono sono pochissimi. Significa che l’idea di famiglia è molto forte.

Un punto discusso al convegno è la possibilità di ripensamento: spaventa chi vorrebbe intraprendere questo percorso.

È una tutela prevista in tutte le legislazioni. Al convegno è intervenuta una gestante che ha detto: “Ho chiesto che i nati fossero messi in un’altra stanza”. Siamo esseri umani non macchine, è una questione di relazioni. Bisogna fare i conti con le emozioni: non si può non tener conto di situazioni in cui la gestante decide di revocare il consenso. È un rischio, che però c’è in qualunque gravidanza.

Cercherete un’interlocuzione con il legislatore?

L’obiettivo è trovare tanti parlamentari che siano disposti non solo a depositare, ma anche a difendere il testo. Abbiamo scelto di fare questo incontro fuori dal Parlamento invitando anche i parlamentari, per confrontarci, anche con le donne che non sono in grado di portare avanti, per patologie diverse, una gravidanza e per cui queste tecniche sono nate, ma anche con le coppie dello stesso sesso che hanno necessità di queste tecniche. La scienza dà risposta anche alle coppie dello stesso sesso: come si fa a ignorare il loro desiderio di famiglia?

“Nessun essere umano appartiene a un altro”

Marina Terragni, giornalista e scrittrice, sul Qn, si è domandata perché un sindacato si deve occupare di gpa: “Il 50% di disoccupazione femminile è un problema: è in questa chiave che Cgil si attiva per consentire alle donne italiane di affittare l’utero a coppie etero e gay?”.

“C’è una premessa: è vero che in numeri assoluti la gestazione per altri riguarda più gli eterosessuali che i gay. Prendendo i dati dell’Osservatorio Lgbt di Milano si vede che la proporzione di accesso è 70% eterosessuali, 30 omosessuali. Se è vero che gli omosessuali sono il 4% della popolazione mondiale e dividiamo per due – le lesbiche ricorrono pochissimo a questa pratica – vuol dire che il 30% della gpa è in capo al 2% della popolazione. Riguarda molto più i gay che gli etero, ma a parlare di questo si mandano sempre le donne con problemi di procreazione. Guarda un po’”.

Un’obiezione che viene fatta è che si limita la libertà di donne che vogliono aiutare chi non può avere figli.

È un triplo salto mortale. Se una donna vuol fare una gpa in Italia può farlo oggi: può restare incinta, anche con una siringa. Quando la donna partorisce chiede di non essere nominata come madre e il bambino passa nella potestà del padre biologico. Ovvio che non si può fare per denaro.

A cosa serve la legge?

Ad assicurarsi che non si cambi idea, per questo il dibattito è così acceso sul punto. Ma non si può vendere un bambino, così come non si possono vendere organi. Il bambino quando viene al mondo non è della madre o del padre, è a loro affidato. Tanto è vero che quando i genitori non se ne vogliono occupare, la società se ne prende cura. Nessun essere umano appartiene a un altro essere umano.

È una cosa che succede, perché non normarla?

Ma è normata! Tanto che è vietata. Ci sono state sentenze della Corte costituzionale e delle sezioni unite della Cassazione. Qui si propone la depenalizzazione, non la regolamentazione. C’è una distorsione incredibile. La gpa è consentita, con molti limiti, in 18 Paesi su 206. Dunque è vietata quasi ovunque.

Lei ha scritto: “L’iniziativa Cgil offre un ulteriore spunto di riflessione sulla deriva radicaloide della sinistra italiana”. In Europa è diverso?

In Spagna Sanchez ha fatto la campagna elettorale dicendo che l’utero delle donne non è un taxi e non si affitta. Idem Mélenchon in Francia. L’aria sinistra che tira a sinistra in Italia è incomprensibile.

L’utero in affitto divide sindacato e femministe

Alla fine il convegno della discordia si è tenuto mercoledì nella sede della Cgil. Il tema, spinosissimo, è la gestazione per altri (gpa): nella sala di Corso Italia nessuno dice “utero in affitto”, espressione evocata solo per dichiararne la parzialità. Il segretario generale Maurizio Landini, dopo gli attacchi di molte femministe nei giorni precedenti all’incontro, ha preso le distanze dall’idea che sia il sindacato a proporre una legge: “La Cgil è interessata a confrontarsi con tutte le opinioni ma non promuove né appoggia alcuna legge di sostegno o regolamentazione della maternità surrogata. Comprendo appieno il dramma di chi non può avere figli naturali per ragioni mediche o di genere. Personalmente ritengo ci sia il pericolo di mercificazione, di riduzione della persona a oggetto e di deprezzamento della vita”. Lunedì ci sarà un direttivo, ma difficilmente ne uscirà una posizione altra rispetto a quella del segretario. Alla giornata di lavori, oltre a Cgil Nuovi diritti, hanno partecipato le Famiglie arcobaleno e diverse associazioni, con testimonianze di donne che non possono avere figli, di gestanti per altri e coppie che hanno avuto figli ricorrendo alla gpa.

Si è discusso di due distinti articolati di legge elaborati da Articolo 29, portale che si occupa di informazione e cultura giuridica sulla famiglia, e dall’associazione Luca Coscioni. “Si tratta di due diversi progetti”, spiega Marco Gattuso – magistrato, esperto di diritto di famiglia di Articolo 29 – “che abbiamo mantenuto perché nessuno ha la verità in tasca. L’intenzione è di offrire la possibilità di aprire un dibattito che ci auguriamo vivamente si possa aprire. Il presupposto è che questa pratica esiste ed è meglio regolamentarla piuttosto che girarsi dall’altra parte”. La proposta mira a introdurre una riforma della legge 40 del 2004 con una parziale depenalizzazione della maternità surrogata in caso di sottoscrizione di un ‘patto di gravidanza’, sotto controllo giurisdizionale. “Negli Usa molto è lasciato alla regolamentazione delle parti perché c’è un’idea della privacy diversa rispetto alla nostra. Noi abbiamo un’altra cultura giuridica: dal nostro punto di vista il giudice, soggetto terzo che aiuta e controlla il percorso, dà la sensazione che ci sia maggior tutela”. La proposta di Articolo 29 non vieta il compenso per la madre surrogata. “Quello che ci interessa è che la gestante sia libera dal bisogno economico. C’è il divieto di ricorrere alla gestazione per altri più volte, proprio per escludere che possa diventare un mezzo di sostentamento. La Corte suprema californiana ha detto che è lesivo della dignità della donna vietare di essere una gestante per altri, nel momento in cui si trova in condizioni di assoluta libertà. Sarebbe un retaggio della società patriarcale”.

L’asse Salvini-Caltagirone tra aiuti pubblici e affari

Quella di Matteo Salvini è una vera e propria campagna acquisti, indirizzata a 360 gradi verso tutti i cosiddetti poteri forti, deboli o calanti che siano. Così quando Il Messaggero, quotidiano leader della Capitale controllato dall’Ottavo Re di Roma Francesco Gaetano Caltagirone, intima lo sfratto alla sindaca Virginia Raggi nel terzo anniversario della sua plebiscitaria elezione, il ministro dell’Interno lo prende per un assist: “Siamo pronti a presentare un programma alternativo per Roma. La città merita di più”.

In base a una logica un po’ semplificata, Salvini sembra convinto di avere già in tasca l’appoggio di Caltagirone e del suo giornale per issare il prima possibile le insegne del Carroccio sul Campidoglio. Sarebbe una conseguenza logica della offensiva diplomatica dispiegata negli ultimi mesi in stretta (e non scontata) connessione con Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e storico ambasciatore della Lega presso il potere finanziario. Una strategia basata sull’esperienza di un partito che frequenta le stanze del governo (e degli amministratori delegati) da 25 anni e strapazza ogni giorno i coinquilini M5S che esperienza non ne hanno, e i risultati si vedono.

Non conta che cosa Caltagirone possa aspettarsi dalla Lega ma che cosa Salvini pensa di poter fare per lui. Disamorato dal sempre più povero mercato degli appalti pubblici, Caltagirone continua a occupare lo sguardo di chi attraversa la Capitale con capolavori del cemento sprecato come la cittadella dello sport incompiuta, meglio nota come “vele di Calatrava” o con i cantieri della Metro C che procedono con lentezza inversamente proporzionale all’aumento dei costi. E così Salvini è convinto di essersi conquistato un occhio di riguardo per la strenua lotta a favore del partito del cemento con cui fa venire ogni giorno nuovi attacchi di itterizia agli alleati M5S.

Non solo. Da mesi la Cassa Depositi e Prestiti sta architettando il salvataggio con denaro pubblico delle maggiori imprese di costruzioni italiane, tutte più o meno scassate, e nella lista dei feriti da soccorrere ha cominciato a entrare in modo insistente la Vianini di Caltagirone. Sarà solo una coincidenza, ma il nome Vianini ha cominciato a circolare con più insistenza quando i sentimenti dei vertici Cdp, nominati un anno fa come espressione del M5S, hanno cominciato a seguire l’onda nazionale e a prediligere come riferimento politico Salvini e Giorgetti. E vuoi fare il nuovo Iri del mattone tenendo fuori dall’affare Caltagirone? No, e infatti pare sia stato il 76enne palazzinaro poi trasformato in finanziere a dire “no grazie”. Ma non importa, l’offensiva di Salvini & Giorgetti va avanti. Hanno deciso di piazzare l’economista Giulio Sapelli, nel maggio 2018 candidato per una notte alla presidenza del Consiglio, alla pur sempre interessante presidenza della Banca popolare di Bari, battezzata dalla Banca d’Italia come polo aggregatore delle popolari del Sud.

Il governatore Ignazio Visco, dopo aver respinto il tentativo di Luigi Di Maio di condizionare le nomine per il Direttorio di Palazzo Koch, non sembra intenzionato a ostacolare Sapelli e quindi la strategia della Lega di conquistare posizioni nel potere finanziario del Mezzogiorno. Un segnale negativo per Di Maio, costretto a misurare anche nel caso di Bari il rovesciamento dei rapporti di forza all’interno della coalizione giallo-verde.

Alla Rai lo smottamento è quotidiano. Le cronache di questi giorni riferiscono che il M5S si è unito al Pd nell’attacco al presidente Marcello Foa (in quota Lega), e il risultato è stato, a quanto pare, un avvicinamento alla Lega dell’amministratore delegato Fabrizio Salini, scelto dai pentastellati. Il quale già aveva dato un segnale inequivocabile benedicendo la designazione alla guida di Uno Mattina Estate del biografo di Salvini Roberto Poletti, giornalista di Rete4 in grado di fare ciò che nessuno dei 1600 giornalisti già stipendiati dalla Rai potrebbe. Il che da un certo punto di vista è probabilmente vero.

Ma il vero capolavoro di Salvini & Giorgetti sta avvenendo con l’Eni. L’amministratore delegato Claudio Descalzi è nei guai da tempo perché continua a guidare la maggiore azienda pubblica italiana pur essendo imputato in un complicato processo per corruzione internazionale per la famosa tangente da oltre un miliardo pagata in Nigeria, secondo l’accusa, per aggiudicarsi l’importante giacimento petrolifero Opl 245. Nominato nel 2014 da Matteo Renzi, Descalzi è stato indagato sei mesi dopo e difeso dallo stesso Renzi. Nel 2017 Paolo Gentiloni lo ha confermato.

Quando c’è stato il cambio di governo all’Eni si è diffuso un po’ di panico, anche perché nel frattempo è esploso lo scandalo nello scandalo, l’inchiesta milanese sul presunto depistaggio orchestrato dall’avvocato dell’Eni Piero Amara (arrestato) attraverso il pm di Siracusa Giancarlo Longo (arrestato). Amara ha indicato il braccio destro di Descalzi, Claudio Granata, come colui che gli dava gli ordini. Come ha riferito in dettaglio Lettera43, Granata ha gestito l’arrocco verso la Lega. Da mesi i rumors di palazzo attribuiscono a Salvini il diktat: “Descalzi non si tocca”. Ieri la notizia dell’assunzione come dirigente dell’Eni del giornalista Mario Sechi, con il compito di tessere rapporti con il mondo politico.

La tela di Salvini diventa sempre più fitta.