“Spero che adesso avrò il tempo per piangere mia figlia”. E dicendo quella parola, figlia, Daniela Rombi si lascia andare. Piange, finalmente. Ci ha messo dieci anni; da quel 29 giugno 2009 quando un treno esplose nella stazione di Viareggio causando 32 morti. È bastato a Daniela sentire il giudice pronunciare quella frase: “È colpevole di…”, e i muscoli del volto si sono liberati da una tensione terribile. Certo, per mettere la parola fine al processo ci vorrà la Cassazione. Ma l’appello di ieri conferma l’impianto del primo grado.
“Sette anni a Mauro Moretti”, pronuncia la presidente del collegio. E nell’aula si diffonde un sospiro. Nessun applauso, né fischi, i parenti delle vittime di Viareggio si sono sempre comportati così. Moretti, l’ex signore delle ferrovie italiane è diventato il simbolo del processo. Pena confermata, ma con una novità: Moretti è stato riconosciuto responsabile non solo come ex ad di Rfi (cioè della rete), ma anche come ex ad di Fs cioè della holding. “La sentenza conferma che c’era un’organizzazione verticistica”, annota Riccardo Carloni, avvocato di parte civile.
È quello che dice, con la semplicità di un padre, Claudio Menichetti: “Macché vendetta, noi abbiamo solo cercato che fossero individuate le responsabilità. E fosse fatta giustizia. Soltanto se affermiamo la responsabilità dei vertici, le grandi società si batteranno per la sicurezza”.
Ma non c’è soltanto Moretti. Ci sono i sei anni di condanna per Michele Mario Elia (ex ad Rfi) e Vincenzo Soprano (ex ad di Trenitalia).
Condannato anche l’ex ad di Cargo Chemical, Mario Castaldo (6 anni). Ma le pene più pesanti sono andate ai manager delle ditte tedesche e austriache responsabili anche della manutenzione del treno che provocò il disastro: tenendo conto della prescrizione dei reati di incendio e lesioni colpose (sconto di 6 mesi) la Corte ha condannato a 8 anni e 8 mesi Rainer Kogelheide della società Jungenthal e Peter Linowski di Gatx Rail Germania. Otto anni, invece, per Johannes Mansbarth ex ad di Gatx Rail Austria e Roman Mayer responsabile manutenzione carri merci di Gatx Austria.
“Impianto confermato, ma con una visione diversa: vengono assolti i dirigenti medi, mentre sono considerati responsabili i vertici delle società. Ma qui parliamo di manager con migliaia di dipendenti”, sussurra un avvocato uscendo dall’aula, “potrebbe essere l’inizio di una nuova giurisprudenza, valida magari anche per il Morandi”.
Sono le 13:20 quando la folla esce dall’aula 32 del Tribunale di Firenze, con quella scritta grande “La legge è uguale per tutti”. Escono gli avvocati vocianti, chi soddisfatto, chi pronto a ricorrere in Cassazione. E ci sono i familiari, decine, gente che è stata presente a ogni santa udienza: 140 in primo grado, 40 in appello. C’erano sempre, per seguire, testimoniare; portare la foto di chi non c’è più stampata su quelle magliette indossate o appoggiate sulle 32 sedie vuote.
Sì, forse Daniela ieri ha potuto piangere, liberarsi. Ma nessuno dimenticherà. Come Marco Piagentini. Lui che lottò per mesi con ustioni sul 90 per cento del corpo e che ieri era in aula. Piagentini che ha perso la moglie e due dei tre figli, ma è riuscito nell’opera più dura: non diventare il simbolo del dolore, ma della battaglia per avere giustizia. Perfino della speranza. Marco che vive, ma ricorda tutto: “Rivedo l’esplosione, il momento che ho trattenuto il fiato e mi sono trovato coperto di macerie. E dentro il corpo sentivo un caldo terribile. Un forno che mi bruciava”.
Piagentini non vive più in via Ponchielli. Quelle case di fronte ai binari, grigie, con la loro semplice dignità operaia, sono state sostituite da casette colorate. E sono di altri bambini le voci sul piazzale.
Dieci anni, la vita va avanti (e chissà se sia motivo di speranza, dolore o entrambi): ieri nell’atrio del Tribunale del Tribunale di Firenze aggrappato al seno della madre c’era Andrea, pochi mesi. Sua madre dopo quella notte è viva. La zia vicino non c’è più.