Pochi credevano che Roberto Mancini fosse così bravo. Pochissimi pensavano che in quattro partite ufficiali della Nazionale, dopo appena un anno di gestione, avrebbe vinto sempre e, di fatto, conquistato la qualificazione all’Europeo dell’anno prossimo, il primo itinerante, gara inaugurale a Roma, finale a Londra. Non accadeva dall’86-87, l’allenatore era Azeglio Vicini e Mancini di quella Nazionale era parte attiva e qualificata. Altra affinità: prima del gol preso a Torino da Dzeko, l’Italia di Mancini non ne subiva da 600 minuti, proprio come 29 anni fa. Non basta. Dopo qualche astensione iniziale, gli azzurri hanno preso a segnare a ripetizione: 21 reti in 13 partite e con 15 giocatori diversi. Non c’è un bomber, né un leader: c’è la squadra.
Complimenti Roberto, da c.t. dell’Italia del calcio è riuscito a conquistare un popolo di diffidenti?
Conquistato no, perché basta perdere qualche partita e la gente cambia opinione radicalmente. È che venivamo da un momento difficile, il fatto di non essere andati ai Mondiali aveva deluso tutti e qualcuno pensava che non fossimo più in grado di rialzarci.
C’è un merito che si riconosce?
Quello no. Però credevo che in Italia ci fossero giocatori di valore, non potevano essere tutti scomparsi come sembrava. Così ho dato spazio a tanti giovani.
La nostra Nazionale ha già qualche campione in squadra?
I giovani possono diventare grandi, essere campioni è un discorso un po’ più complesso che riguarda la maturità e la continuità. È difficile dire dove possano arrivare ragazzi come Kean e Zaniolo.
Che cosa ha cambiato nella sua Italia?
Volevamo fare qualcosa di diverso e giocare in maniera diversa.
Così, per esempio, ha cominciato a convocare tanti ragazzi e spesso più di trenta elementi.
Questo l’abbiamo fatto nelle ultime due partite della stagione, contro Grecia e Serbia, perché eravamo a fine campionato e non potevo rischiare di chiamare calciatori che nel frattempo fossero già in vacanza. E poi, purtroppo, c’è sempre qualcuno che è infortunato e devo rimandarlo a casa.
Sì, però mi sembra che lei aggreghi più giocatori in modo da poter fare con loro dei piccoli stage di conoscenza.
Esatto. È vero che devo metterne più di uno in tribuna, ma intanto stanno con noi, imparano le nostre abitudini, si vedono, si conoscono.
Se dovesse attribuire una qualità alla sua Nazionale quale indicherebbe?
Non è attendista, non aspetta, è molto tecnica e gioca nella metà campo avversaria.
Anche lei preferisce far costruire il gioco da dietro.
Sì, più i difensori costruiscono e meno i centrocampisti si abbassano.
Come le è venuta l’idea del doppio centrale di centrocampo?
Non è stata una mia idea, avevo visto che Di Biagio aveva schierato Verratti e Jorginho in una delle partite in cui ha guidato la Nazionale prima che arrivassi.
Era contro l’Argentina, in amichevole, a Manchester.
Mi erano piaciuti e l’abbiamo riproposta. Ho sempre avuto nelle mie squadre un paio di costruttori a centrocampo.
Il sistema di gioco è ormai codificato ed è il 4-3-3. Quali sono, invece, i suoi principi tattici?
Squadra alta che gioca nella metà campo avversaria, in grado di tenere palla e di verticalizzare spesso.
Dal punto di vista del carattere?
Giocare senza paura.
Il contropiede?
Più facile che lo subiamo, ma è una variabile che mettiamo in conto.
Stiamo dominando il girone di qualificazione. Forti noi o deboli gli altri?
Rispondo con un esempio. Abbiamo incontrato la Grecia e l’abbiamo battuta in casa sua. Sappiamo che Grecia e Turchia si assomigliano molto e che hanno elementi di qualità. L’importante è non farli giocare perché altrimenti prendono coraggio e diventano temibili. E la Francia ha perso in Turchia.
Dove possiamo arrivare?
Dopo esserci qualificati aritmeticamente, e nel minor tempo possibile, dobbiamo dare minuti di gioco ai più giovani e continuare a crescere. Il processo è appena cominciato.
Mario Balotelli ha chiuso con la maglia azzurra?
No, non è fuori e lui lo sa. Ma sa anche che ormai è un uomo e deve cambiare, deve fare gol e deve ritrovare la fisicità che aveva prima. Mario l’ho lanciato io, quindi lo conosco bene. Per l’età e la qualità è uno dei migliori, dipenderà da lui. Il tempo dei giochi da ragazzi è finito.
In giorni come questi non posso non chiederle cosa pensa del calcio femminile in generale.
È migliorato sotto tutti i punti di vista. Sicuramente riconoscere anche alle calciatrici uno status di professioniste permetterebbe una crescita ulteriore del movimento.
Non crede che chi lo sottovaluta o, addirittura lo disprezza, capisca poco di calcio in assoluto?
Sinceramente non so perché lo sottovalutino. Se qualcuno pensa al calcio come a uno sport per soli uomini sbaglia, ogni disciplina ha una sua versione maschile e una femminile. Forse in Italia la mancanza, almeno fino a qualche anno fa, di un campionato di alto livello ha penalizzato la conoscenza del femminile.
Che effetto le fa sapere che Italia-Brasile di martedì sera ha avuto un’audience televisiva superiore a Italia-Grecia maschile?
Fa sempre piacere che una Nazionale, qualunque essa sia, venga seguita da una platea molto vasta. Resto convinto che se Nazionali fanno bene, oltre a trasmettere entusiasmo a tutti, sono da traino per l’intero movimento nel maschile e nel femminile.
Torniamo alla squadra dei suoi ragazzi. Se le dicessero che, al prossimo Europeo, arrivate tra le prime quattro, firmerebbe?
No.