Fondi rubati, Guaidó costretto all’inchiesta

Il leader venezuelano dell’opposizione, Juan Guaidó, ha chiesto l’apertura di un’indagine per chiarire se i propri rappresentanti abbiano sottratto indebitamente per uso personale i fondi destinati ad aiutare i militari dell’esercito venezuelano passati dalla parte del leader dell’opposizione, nonché autoproclamato presidente ad interim, e fuggiti oltreconfine nella città colombiana di Cucuta. Secondo il giornale online latino-americano PanAm che ha pubblicato un lungo articolo al riguardo, Guaidó mesi fa avrebbe inviato una lettera alle autorità colombiane spiegando di aver affidato il coordinamento degli aiuti ai membri del partito di cui è parlamentare, Voluntad Popular, Kevin Rojas e Rossana Barrera, quest’ultima cognata del deputato Sergio Vergara, molto vicino a Guaidó. Ma i nuovi rappresentanti incaricati di gestire i fondi destinati all’accoglienza dei militari pro Guaidó ne avrebbero raddoppiato il numero (da 700 fino a 1.450) per ottenere più soldi da scialacquare con amici e sodali in hotel di lusso, discoteche, alcol, vestiti firmati e noleggio di aerei per un numero imprecisato di persone.

La cifra totale sottratta ammonterebbe a circa 800 mila dollari. Il PanAm Post sostiene che Juan Guaidó e l’altro noto dissidente politico Leopoldo Lopez fossero informati di quanto stessero facendo i due incaricati, ma avrebbero voltato lo sguardo da un’altra parte. Per il giovane presidente ad interim questo giro di corruzione sarà un colpo enorme in termini di credibilità qualora dovesse risultare reale. Nonostante gli oppositori di Maduro siano convinti che questo scandalo si sgonfierà perché frutto di una trappola congegnata dall’intelligence per screditare l’opposizione, anche il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati americani, Luis Almagro, ha sentito il dovere di denunciare la vicenda, scrivendo via twitter: “Chiediamo che la giurisdizione competente indaghi e chiarisca queste gravi accuse. La democratizzazione non è possibile sotto l’opacità di atti corrotti”. Almagro pur essendo stato un sostenitore di Chavez – padre politico di Maduro – non ha mai lesinato dure critiche al suo successore, accusandolo di essere un caudillo che si è approfittato di Chavez per ottenere potere e denaro. “Investigheremo a fondo” – ha detto Guaidó durante un discorso nello stato di Mérida –. Ogni centesimo di fondi pubblici dovrebbe essere sacro, è qualcosa che dobbiamo imparare come società”. Ora Guaidó avrebbe chiesto aiuto anche agli inquirenti colombiani. “Condanniamo ogni possibile atto di corruzione da parte dei cittadini nella gestione delle risorse per pagare il trasferimento, vitto e alloggio delle truppe arrivate in Colombia”, ha twittato il ministro degli Esteri colombiano Carlos Holmes Trujillo, invitando le “autorità competenti” a indagare. Guaidó lo scorso gennaio ha invocato la Costituzione per assumere la presidenza ad interim, sostenendo che la rielezione del 2018 di Maduro sia illegittima a causa di brogli. Da allora è stato riconosciuto come leader legittimo dalla maggior parte dei paesi occidentali e dell’America Latina, tra cui la Colombia. L’opposizione e i suoi alleati sostengono che Maduro sia un dittatore corrotto che, con altri alti funzionari, è diventato ricco quando l’economia venezuelana è crollata, spingendo 4 milioni a emigrare in soli 3 anni. Maduro, appoggiato da Russia e Cina, dal canto suo, accusa Guaidó di essere il burattino degli Stati Uniti che vogliono estrometterlo.

Corruzione, zero immunità a Sarkò: andrà a processo

Prima di lui, tra gli ex presidenti francesi a finire a processo dalla nascita della Quinta Repubblica nel 1958, c’era stato solo il collega di partito Jacques Chirac, che nel 2011 fu condannato a due anni per aver retribuito funzionari politici all’epoca in cui era sindaco di Parigi (tra il 1977 e il 1995). A differenza del predecessore, Nicolas Sarkozy deve rispondere dell’accusa di corruzione durante il mandato all’Eliseo. Ritiratosi dalla politica attiva dopo la disfatta delle primarie del 2016, Sarkozy dovrà comparire il mese prossimo in tribunale a Parigi: l’accusa è di aver cercato di corrompere un alto magistrato della corte di Cassazione, Gilbert Azibert, nel caso delle intercettazioni telefoniche che lo vedevano coinvolto. In particolare, l’ex presidente è sospettato di aver tentato di ottenere all’inizio del 2014, attraverso il suo legale Thierry Herzog, informazioni riservate sulla pista che aveva portato gli inquirenti a sequestrare le sue agende nell’ambito del caso che lo vedeva implicato nella ricezione di fondi per la sua campagna elettorale, da parte di Liliane Bettencourt, erede del gruppo L’Oreal: Sarkozy poi venne prosciolto.

All’epoca, Sarkozy avrebbe cercato di strappare al magistrato Azibert, informazioni sotto segreto istruttorio in cambio di un prestigioso incarico a Montecarlo che però non sarebbe mai arrivato. Insieme con lui andranno a processo anche Herzog e Azibert per violazione del segreto professionale. La Cassazione ieri ha deciso di respingere il ricorso dell’ex presidente che si era appellato all’immunità parlamentare, che lo avrebbe esonerato dall’essere ascoltato; l’indagine prende origine dalle intercettazioni telefoniche di un’altra vicenda giudiziaria legata appunto alle accuse di finanziamento occulto della campagna presidenziale del 2017, da parte dell’ex leader libico Muhammar Gheddafi. Dall’ascolto di quelle conversazioni telefoniche, gli inquirenti francesi scoprirono che Sarkozy e il suo legale comunicavano attraverso cellulari con intestatari falsi: Sarkozy era “Paul Bismuth”.

Ascoltate le conversazioni, gli inquirenti si convinsero che l’ex capo di Stato e il suo avvocato erano stati in grado di beneficiare della complicità dell’alto magistrato. L’allora ministro della Giustizia, Christiane Taubira, infatti, in una conferenza stampa del 2014 dichiarò che Azibert avrebbe sentito “uno a uno” i colleghi magistrati chiamati a decidere sul ricorso di Sarkozy per “spiegare loro la situazione prima che deliberassero”. A marzo del 2014 il sito Mediapart pubblicò una nuova serie di intercettazioni in cui l’ex presidente e il suo avvocato si avvalevano di diversi appoggi sia nella giustizia che nelle alte cariche della polizia circa l’evoluzione del caso sui sospetti finanziamenti della sua campagna del 2007 da parte della Libia.

Quello che si aprirà tra un mese è il primo processo per Sarkozy, a cui però negli ultimi anni sono stati rivolti 10 diversi capi d’accusa. Oltre al caso Bettencourt e quello delle intercettazioni, infatti, l’ex capo di Stato è stato implicato in indagini importanti, alcune delle quali ancora in corso, tra cui il “caso Bygmalion” che lo vedeva implicato per aver superato il massimo legale delle spese per la sua campagna presidenziale del 2012, con l’agenzia che dà nome all’inchiesta che avrebbe messo in piedi fatture false per nascondere il rosso di 20,5 milioni di euro; o quello degli elicotteri venduti al Kazakistan sui cui è ancora è in corso l’indagine per corruzione. Si sospetta infatti che l’ex presidente sia stato coinvolto nel gonfiare le fatture degli ordini di 45 elicotteri per un totale di 2 miliardi di euro tra la società francese Eurocopter e il Kazakistan.

Potrebbe essere proprio quest’ultimo il secondo processo che vedrà alla sbarra l’ex presidente.

Omicidio Khashoggi: “Il principe Mbs è responsabile”

Ci sono “indizi credibili” che l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi sia stato orchestrato direttamente dalla Corona saudita. In un appassionato resoconto alla Commissione Onu per i diritti umani, la relatrice Agnes Callamard ha presentato il rapporto sul caso: 101 pagine che raccolgono mesi di indagini e raccontano dettagli e retroscena di “un’esecuzione extragiudiziale premeditata e deliberata”.

Secondo Callamard il principe Mohammed bin Salman, conosciuto come Mbs, e “altri funzionari di alto grado” sarebbero i mandanti dell’omicidio: infatti gli 11 agenti, processati a porte chiuse da Ryad per l’uccisione dell’editorialista del Washington Post, non avrebbero potuto architettare e portare a termine il delitto senza ordini e finanziamenti “dall’alto”.

“Un crimine internazionale del quale l’Arabia Saudita è responsabile in base alle leggi internazionali sui diritti umani”, sostiene Callamard, che chiede ulteriori accertamenti al Consiglio di sicurezza Onu, per assicurare i veri colpevoli alla giustizia. Anche se non è ancora chiaro se sarebbe possibile sottoporre a processo il futuro sovrano saudita.

Khashoggi con il suo lavoro di giornalista era sempre in rotta con le politiche oppressive di Ryad. Scappato dal regime e ormai da anni negli Usa, il giornalista era volato in Turchia per ottenere i documenti necessari a sposare la fidanzata Hatice Cengiz. Il 2 ottobre scorso era entrato nel consolato saudita a Istanbul e non ne era più uscito. Le autorità turche avevano raccolto video e intercettazioni telefoniche, da cui sono emersi dettagli raccapriccianti: Khashoggi sarebbe stato torturato e ucciso; il suo corpo fatto a pezzi, sciolto nell’acido e occultato. Oggi nuove registrazioni dimostrerebbero la premeditazione, così come la distruzione di prove da parte della Corona, che continua però a negare ogni coinvolgimento.

Trump, dopo quattro anni la “cattiva” è sempre Hillary

Se non fosse che nel 2016 era New York, e questa volta è la Florida, la sua ‘seconda casa’; e se non fosse per quella fluttuazione nello slogan, da Make America Great Again a Keep America Great Again; parrebbe d’assistere allo stesso film, che parte ‘comedy’ e ha un finale ‘horror’: l’Usa 2020 di Donald Trump è terribilmente simile all’Usa 2016, smargiassate e grossolane panzane, ma c’è chi lo applaude e lo vota. “L’American Dream è tornato”: gli Stati Uniti e la loro economia sono “l’invidia del mondo”. Lui vuole restare alla Casa Bianca fino al 2025, per “finire il lavoro”. “Stiamo finalmente rimettendo l’America al primo posto, l’America First… Un voto democratico è un voto per distruggere l’American Dream … L’America non sarà mai socialista: I repubblicani credono nella libertà e voi pure”. Il discorso di Orlando, la città di Disneyworld, che la stampa Usa definisce “torrenziale”, ricalca toni e temi della campagna 2016: gli immigrati, un’ossessione, una minaccia per economia e sicurezza; i partner, la Cina e l’Ue, avvoltoi pronti a spolpare l’America se il magnate presidente non fa argine, a colpi di dazi e negoziando duro; e i soliti cattivi, l’Iran in primo piano. Il New York Times sottopone a scrupoloso fact checking le parole di Trump, ma è un esercizio fine a se stesso: chi non crede allo showman non ha bisogno del fact checking per sapere che racconta panzane; e chi gli crede non legge il fact checking e pensa che le panzane stiano lì.

Doveva essere un momento eccezionale, nel lungo percorso verso un secondo mandato. Ai cronisti che lo seguono sempre, suona, invece, come uno delle centinaia di comizi fatti dal 2015 – quando scese in campo – a oggi, quattro anni d’ininterrotta campagna elettorale. Certo, rispetto al 2016 il quadro di fondo è speculare. Allora, il campo democratico era sguarnito: c’erano Hillary Clinton e un anziano senatore del Vermont Bernie Sanders che, all’inizio, pareva una macchietta; e quello repubblicano era zeppo di 17 candidati. Ora, il campo repubblicano è suo, mentre quello democratico è frammentato in oltre venti aspiranti alla nomination. Accolto da migliaia di fan, Trump sale sul palco dell’Amway Center presentato da Mike Pence e introdotto da Melania, first lady in giallo. Se la prende con Barack Obama e ancora con Hillary per le sue 33.000 email cancellate (“Se io cancellassi una email d’amore per Melania chiederebbero la sedia elettrica”). Minimizza il Russiagate: è stato tenuto “sotto assedio per due anni, ma abbiamo vinto. Nessuna collusione, nessuna ostruzione”. Critica i media, i “fake news media”. Frasi che sono ritornelli.

L’economia, che va forte, è dalla parte del presidente, come la riduzione delle tasse, decisa prima delle elezioni di midterm del novembre 2018, che, però, hanno visto i repubblicani sconfitti, almeno alla Camera. I sondaggi, invece, non sono oggi favorevoli al presidente – non lo erano neppure alla vigilia delle elezioni presidenziali 2016 –: il battistrada dei democratici, Joe Biden, l’ex vice-presidente di Obama, gli sta davanti una dozzina di punti: e pure Sanders lo batterebbe, se si votasse oggi. Ma Trump ha i suoi parametri: lui ama definirsi il “presidente preferito” degli americani, anche se un sondaggio Gallup gli dà appena un 40% di tasso di approvazione, e non si considera inferiore a nessuno. “Solo una persona ha ottenuto un consenso più alto del vostro presidente preferito. Sapete chi è? George Washington, George ottenne il 100%”.

Non c’è una parola di vero, naturalmente: molti presidenti hanno avuto tassi di approvazione più alti di Trump, persino i Bush padre e figlio che, rispettivamente dopo la vittoria nella Guerra del Golfo del 1991 e dopo l’11 Settembre 2001, superarono il 90%; e nessun sondaggio misurò mai la popolarità di Washington. I democratici, questa volta, sono avvertiti: il magnate non va preso sotto gamba. Obama fa sapere d’essere “profondamente preoccupato per la direzione che sta prendendo il Paese” e intende dare una mano ai democratici per vincere nel 2020 (e per vendere più copie del suo ultimo libro).

Bologna, suicida in cella l’imputato del “cold case” Poli

Stefano Monti, imputato per l’omicidio del buttafuori Valeriano Poli ucciso a colpi di pistola il dicembre 1999, si è ucciso impiccandosi nel carcere della Dozza di Bologna, nel bagno della sua cella. Il 59enne si è sempre dichiarato innocente. A darne notizia il sindacato Sappe. “Purtroppo – spiegano – non è stato possibile trarlo in salvo, come spesso avviene. Ogni anno sono oltre 1.100 i detenuti che tentano il suicidio e vengono salvati dalla penitenziaria”. Monti era stato arrestato nel giugno del 2018 dopo una svolta investigativa. All’epoca dei fatti, era stato indagato, ma poi la sua posizione era stata archiviata. Secondo la Procura di Bologna, commise l’assassinio per vendetta, alcuni mesi dopo una rissa all’uscita della discoteca Tnt, in cui Monti era stato picchiato da Poli. Decisiva per la riapertura del caso una goccia del sangue di Monti trovata sulle scarpe della vittima. Il 26 giugno era in programma la sentenza della Corte di assise, dopo che la Procura aveva chiesto l’ergastolo. La svolta era arrivata in seguito all’utilizzo della tecnica analysis of virtual evidence: una comparazione basata sulla sovrapposizione di immagini estratte da un video con quelle estrapolate da un ambiente virtuale ricostruito in 3D.

Favoreggiamento caso Vannini, indagato l’ex comandante dei carabinieri di Ladispoli

Favoreggiamento e falsa testimonianza. Questi i reati per cui è indagato l’ex comandante della Stazione dei carabinieri di Ladispoli Roberto Izzo sugli sviluppi relativi alla morte di Marco Vannini, il ragazzo di 22 anni ucciso da un colpo di pistola la notte del 17 maggio 2015 nella casa della sua fidanzata a Ladispoli. La notizia è riportata oggi dalle pagine romane del Messaggero.

Secondo un teste, nelle ore immediatamente successive al fatto, Izzo avrebbe consigliato ad Antonio Ciontoli – padre di Martina, la fidanzata di Marco Vannini, condannato per aver sparato al ragazzo, di prendersi la responsabilità dello sparo e “coprire” così il figlio Federico. Per la morte di Vannini è stata condannata in secondo grado l’intera famiglia della fidanzata: il capofamiglia Antonio Ciontoli – ex sottufficiale della Marina ed ex 007– a cinque anni, la moglie Maria Pezzillo e i figli, Martina e Federico a tre anni. La famiglia Vannini ha fatto ricorso in Cassazione giudicando le pene troppo leggere.

L’ex comandante della stazione dei carabinieri di Ladispoli è stato chiamato in causa da un suo amico, Davide Vannicola, che avrebbe raccontato che Izzo gli avrebbe rivelato che a sparare a Marco non sarebbe stato Antonio Ciontoli ma il figlio Federico. Al momento del ferimento, risultato poi fatale anche perché i soccorsi furono attivati con ritardo, era presente in casa tutta la famiglia Ciontoli e la fidanzata di Federico.

Vannicola, dopo aver riferito questa sua versione in tv a Le Iene, l’ha successivamente confermata ai pubblici ministeri aggiungendo che Izzo avrebbe consigliato a Ciontoli di prendersi la colpa e coprire il figlio.

Una ricostruzione smentita da Izzo, che ora è indagato. Gli inquirenti avrebbero sentito anche altri testimoni per vagliare approfonditamente la versione di Vannicola.

L’appello del capitano Carola: “Fate presto! Questi 43 migranti devono sbarcare subito”

“Abbiamo immediata necessità di sbarcare queste persone in sicurezza il prima possibile” poiché la loro situazione è sempre più precaria. Questo l’appello lanciato in serata dal comandante della Sea Watch 3 Carola Rackete che da venerdì scorso si trova al largo di Lampedusa senza poter entrare nelle acque territoriali italiane. Il ministro Salvini, dice Rackete in un video pubblicato su Twitter, “ha emanato un nuovo decreto legge che ci impedisce di entrare nelle acque territoriali, in contrasto con la legge del mare”. Ma “in questo modo non abbiamo alcuna opzione per sbarcare le 43 persone ancora a bordo, che sono sempre più preoccupate del loro futuro” e della possibilità di scendere a terra. Inoltre, conclude il comandante, “il rollio della nave è costante, ogni giorno, e ci sono problemi di disidratazione e abbiamo immediata necessità di sbarcare queste persone in sicurezza il prima possibile”. Intanto sempre ieri un gruppo di altri 45 migranti, fra cui due bambini e una donna incinta, sono stati recuperati, praticamente sotto costa a Lampedusa dalle motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza. I migranti sono stati portati nell’hotspot. Sarebbero originari del Senegal, Costa d’Avorio, Kenya e Somalia.

Sempre ieri arriva anche il nuovo allarme dell’Unhcr (l’agenzia Onu per le migrazioni): “Mai come oggi si fugge da guerre e persecuzioni nel mondo: oltre 70 milioni di persone nel 2018, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale. E la stretta sulle ong – avverte l’Alto commissariato – provoca l’aumento dei morti in mare. Motivo di più per aprire un porto alla Sea Watch, bloccata da venerdì a largo di Lampedusa con decine di naufraghi a bordo”. Oggi si celebra la Giornata Mondiale del rifugiato. E l’Unhcr, nel suo rapporto annuale, per dare la portata dell’emergenza segnala che i 70,8 milioni in fuga l’anno scorso sono il doppio di 20 anni fa: una stima per difetto, senza considerare la crisi in Venezuela nel complesso. Più di un terzo sono rifugiati, uno su due un minore (un dato evidenziato anche dal Vaticano sull’Osservatore Romano), provenienti da Paesi come Siria, Somalia e Afghanistan.

Consulenze all’ex portavoce, Appendino dai pm: “Non sapevo Una chat può dimostrarlo”

Una chat di Whatsapp per dimostrare che non è stata complice del suo ex portavoce Luca Pasquaretta, indagato per peculato per un incarico di 5 mila euro ottenuto dal Salone del Libro nel 2017. Ieri mattina la sindaca di Torino, Chiara Appendino, è stata interrogata dal procuratore aggiunto Enrica Gabetta e dal sostituto Gianfranco Colace nell’inchiesta sul suo ex collaboratore. Appendino è indagata per concorso in peculato perché avrebbe dato il suo “accordo” all’incarico: “Ho potuto dimostrare agli inquirenti, richiamando il mio intervento in consiglio del febbraio 2017 dove avevo chiaramente espresso la mia contrarietà, di non essere stata a conoscenza del successivo sviluppo – ha dichiarato –. Ero convinta che tutti avessero preso atto di tale mia ferma posizione. Quando invece il 4 maggio del 2018, e cioè un anno dopo la fine dell’incarico, venni a sapere da una testata giornalistica che la consulenza era stata assegnata, immediatamente reagii lamentando l’assegnazione dell’incarico contro la mia volontà e senza che ne fossi a conoscenza”. Ha consegnato ai pm le schermate della chat di Whatsapp con Pasquaretta nella quale l’ex portavoce le inviava un articolo de lo Spiffero, sito d’informazione torinese. Si tratta di una prova “forte” su cui la Procura farà delle verifiche. Tra le ipotesi, i pm – che indagano Pasquaretta anche per tentata estorsione ai danni di Appendino – ritengono che l’ex collaboratore, dopo il suo allontanamento nell’estate 2018, abbia fatto pressioni sulla sindaca per ottenere un nuovo incarico facendo leva su questa vicenda, ma lei ha sempre negato di aver subìto minacce.

Il coinvolgimento di Appendino nell’indagine è arrivato due settimane dopo l’interrogatorio di Giuseppe Ferrari, vicedirettore generale del Comune di Torino. Sia Ferrari, sia il suo avvocato, il professore Mauro Ronco, negano accuse alla sindaca: “Ritengo che nessuno di noi abbia commesso reati”, dichiara Ferrari al Fatto.

L’arresto di un vecchio boss inguaia un deputato: “È buono, è un ingordo”

“Per me Pullara è buono…”, diceva il boss di Licata Angelo Occhipinti del deputato dell’antimafia siciliana Carmelo Pullara, presidente del gruppo Popolari e autonomisti. E subito dopo: “C’è stata una cosa senza che ci sono andato il 20 maggio 2018 e gli ho detto che si deve mettere da parte e si è messo da parte. Angiolè che ti devo dire tutte cose? Pullara è buono perché è mangiataro (ingordo, ndr) vuole mangiare con sette forchette”.

Non è confermato che sono saliti a 18 i deputati regionali indagati, ma dopo il deposito delle intercettazioni dell’operazione Assedio condotta dai carabinieri di Agrigento, che ieri ha portato in carcere sette componenti del clan di Licata accusati di mafia ed estorsioni, Pullara si è immediatamente autosospeso dalla Commissione antimafia: “Non ho ricevuto alcun avviso di garanzia – ha dichiarato il deputato –, leggo dalla stampa che tale Occhipinti asserirebbe che il sottoscritto è a disposizione di questo o quel soggetto che non conosco né ho mai incontrato, mi metto a completa disposizione della magistratura, come ho sempre fatto, qualora fosse necessario dare qualsiasi apporto”. “Lo ringrazio per essersi autosospeso con una nota prima privata, poi formale – dice il presidente dell’Antimafia siciliana Claudio Fava – e mi auguro che la Procura chiuda l’indagine con celerità e determinazione. È un altro episodio che ci preoccupa e ci interroga sulle fragilità della politica siciliana”. Pullara è il secondo commissario dell’antimafia regionale ad autosospendersi dopo Stefano Pellegrino (Forza Italia) coinvolto a febbraio scorso in un’inchiesta per corruzione nel contesto dei favoreggiatori di Matteo Messina Denaro. Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo Paolo Guido, e dai pm Calogero Ferrara, Alessia Sinatra e Claudio Camilleri puntano ad accertare adesso se il boss e il deputato si conoscevano e in che modo Pullara, se le parole del mafioso dovessero essere riscontrate, si sarebbe “messo da parte”. Il 22 maggio 2018, due giorni dopo la data citata dal boss, la commissione antimafia ha eletto i due vicepresidenti e il segretario, e ciò potrebbe far ritenere che Occhipinti aveva intenzione di condizionare quel voto, ma Fava esclude che Pullara fosse candidato a una delle due cariche di vertice: “Mi sono astenuto – dice – e l’elezione si è svolta in modo del tutto lineare”. Dal suo bunker di Licata, Angelo Occhipinti, 64 anni, inteso piscimuoddu, che diceva di “togliersi il cappello davanti a Riina jr” (Giuseppe Salvatore, figlio del capo dei capi, condannato per mafia, ndr) era diventato il problem solver di ogni questione criminale, dal furto di un motorino alla “messa a posto” con il pagamento del “pizzo”, di un cantiere edile in Germania, alle faccende politiche: con lui è finito in carcere un consigliere comunale, Giuseppe Scozzari, del paese, eletto, secondo l’accusa, con i voti della cosca. Durante le perquisizioni sono state sequestrate armi, circa 30 mila euro in contanti, denaro e un jammer, un’apparecchiatura usata per intercettare le onde radio neutralizzando microspie e disturbando le intercettazioni telefoniche e ambientali.

Da Napoli a Capri divieto di “viaggiare” in ambulanza

Era arrivata a Napoli in mattinata, a bordo di una ambulanza imbarcata su un traghetto di linea, per affrontare una terapia oncologica. Al momento del ritorno a Capri, la pessima sorpresa: la compagnia di navigazione Caremar si rifiuta di far accedere alla stiva della sua nave l’ambulanza con la paziente a bordo. Motivo: il rispetto della normativa di sicurezza che proibisce la presenza di passeggeri nei vani dei traghetti adibiti a garage durante le traversate. Per le ambulanze si era soliti “chiudere un occhio”, ma di recente le compagnie operanti nel Golfo di Napoli hanno deciso un giro di vite, probabilmente nel timore di controlli e contravvenzioni. La donna ammalata di tumore così ha dovuto accettare, sotto la propria responsabilità, di imbarcarsi per Capri viaggiando, in sala passeggeri, su una sedia a rotelle fornita dalla Caremar, mentre la sua ambulanza prendeva posto, vuota, nei garage della nave. Il caso ha suscitato scalpore ed è stato oggetto anche di una interrogazione parlamentare del M5S. Il sindaco di Capri, Marino Lembo, si è subito imbarcato per Napoli, raggiungendo nel porto la sua concittadina in attesa e compiendo con lei il viaggio di ritorno.