Pier Silvio: “In tv immagini di papà in ottima forma”

A Cologno Monzese sono giorni di quiete natalizia. Il clima è quasi sospeso: c’è tanta attesa per il nuovo anno che, come ripete Silvio Berlusconi ai suoi collaboratori, si aprirà con la “battaglia delle battaglie”, quella del Quirinale. E anche Mediaset, ovviamente, deve dare il suo contributo per provare a coronare il sogno del suo fondatore. “Siamo tutti proiettati a quell’appuntamento” racconta una fonte interna all’azienda.

Come prima mossa Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente del Biscione, aveva pensato di prolungare le vacanze natalizie fino a fine gennaio (dopo l’elezione del Quirinale) di due talk show di prima serata –­Fuori dal Coro di Mario Giordano e Diritto e Rovescio di Paolo Del Debbio – che spesso fanno arrabbiare il leader di FI per i loro contenuti al limite del negazionismo del Covid e per aver dato voce alle istanze no vax. Una linea editoriale che non è mai piaciuta ad Arcore tant’è che tra i corridoi di Cologno Monzese si racconta di scontri molto pesanti tra Pier Silvio e i due conduttori, ma anche con il direttore generale dell’informazione Mauro Crippa. Quando è scoppiata la polemica per il prolungamento forzato dei due programmi, è stato deciso il passo indietro e i talk riprenderanno rispettivamente l’11 e il 13 gennaio. Ma con delle accortezze. Il secondogenito di Berlusconi ha dato una direttiva precisa in vista dell’elezione del Quirinale: i talk dovranno essere più “neutri”, dare meno spazio ai no vax e, quando si parlerà del Colle, dovranno fiorire i servizi di amarcord per elogiare la trentennale carriera politica di Berlusconi, dalla discesa in campo del ’94 agli anni d’oro a Palazzo Chigi fino al nuovo ruolo di federatore del centrodestra.

Anche i tg di casa dovranno tirare la volata a Berlusconi dando ancora più spazio agli esponenti di Forza Italia: che la campagna sia già iniziata lo dimostrano i dati Agcom di novembre che raccontano un dominio assoluto FI nella ripartizione dei tempi. Nelle edizioni di Studio Aperto, ai berlusconiani è concesso il 41% del tempo di parola contro il 15 della Lega, il 6 del Pd e il 5 di FdI. FI vince anche nelle principali edizioni di Tg4 e Tg5, dove svetta con il 21 e il 18%. Inoltre, è l’ordine che arriva dai piani alti del Biscione, ogni servizio su Berlusconi dovrà essere studiato nei minimi dettagli: ogni immagine dovrà mostrarlo in splendida forma e senza alcun acciacco fisico o di salute. Torneranno anche le foto di repertorio. Guai a trasmettere immagini del leader senza il cerone o con qualche malanno. “Sarà una campagna elettorale” dicono da Mediaset. Tant’è che anche le mosse degli alleati avranno un riflesso su tg e talk. “Se non mi sosterranno, gli esponenti di Lega e FdI non avranno più spazio di parola su Mediaset” minaccia Berlusconi.

“Altro che miracoli, il premier si sbriciola alla prova dei fatti”

Professor Canfora, è tra i pochi “laici” che non riescono ad apprezzare il miracolo di Draghi.

Il miracolo draghiano è una costruzione retorica che alla prova dei fatti si sbriciola. Mi sembra che oltre a mettere in ginocchio i partiti, soprattutto il Pd che è ai suoi ordini, abbia ottenuto poco. Ogni volta che si trova di fronte a una decisione impegnativa, il governo finisce col rinviarla.

Per esempio?

Penso alle politiche sul lavoro. Il ministro Orlando si era impegnato a intervenire contro le delocalizzazioni aziendali selvagge, indiscriminate, fatte nell’esclusivo interesse capitalistico. Serviva una legge severa, non si è fatto praticamente nulla. Oppure le politiche per la scuola: andrà a finire che faremo un monumento all’ex ministra Azzolina. Ci si è riempiti di retorica per poi lasciare tutto com’è.

È andata meglio la gestione della pandemia?

Non ho capito perché si sia scelta la via dei piccoli passi, decisioni parziali che hanno esasperato chi era già ostile, per pregiudizio, nei confronti del vaccino. Un pregiudizio antiscientifico, certo, ma esacerbato con le misure che hanno progressivamente istituito una forma indiretta di obbligo. L’articolo 32 della Costituzione dice che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. Serviva dunque una legge. Invece questo governo, che si è presentato come decisionista, non è stato capace di stabilire una norma chiara.

Lei è spietato con i Migliori.

Draghi ha dimostrato di non essere un politico abile. Diranno: certo, non è un politico, ha una formazione accademica. Eppure nella vita universitaria, in miniatura, la politica si sviluppa con le stesse regole. È stato un errore colossale far capire che a breve al suo posto ci potrà essere anche un altro, senza informare preventivamente le forze politiche. Un quarto d’ora dopo le sue dichiarazioni, invece, sono uscite le reazioni ostili e perplesse dei partiti. Questo vuol dire non avere mestiere.

Sta venendo meno anche la deferenza, o autentica adulazione, di stampa e opinione pubblica?

In verità l’opinione pubblica non ha mai potuto esprimersi. Gli indici di popolarità rilevati dai sondaggisti lasciano il tempo che trovano. I media invece furono protesi in favore del premier dall’inizio. Ricordo il buffo passaggio di un articolo di Repubblica che è stato citato dal direttore del suo giornale, Marco Travaglio: c’era scritto, mi pare, che i busti di Cavour e di De Gasperi si inchinavano nei corridoi di Montecitorio al passaggio di Draghi. Non una bella pagina per l’informazione. Adesso i giornali insistono su un elemento contraddittorio: si dice che il virus è indebolito – hanno inventato il neologismo “raffreddorizzato” – ma allo stesso tempo ci viene detto che la Patria è in pericolo e Draghi e Mattarella devono restare al loro posto.

Enrico Letta ha detto che Draghi va “tenuto stretto”, al Colle o a Chigi. E ha ripetuto un’idea del premier: per il Quirinale serve una maggioranza ampia almeno quanto quella che sostiene il governo.

Dire come debba essere la maggioranza per il Quirinale è una gaffe istituzionale. Si costituisce un collegio elettorale, i cosiddetti grandi elettori, proprio per significare che il corpo che sceglie il presidente è altra cosa rispetto agli schieramenti partitici. Per il resto, se il Pd è convinto di non avere altri uomini di valore fuorché Draghi, con tutto il rispetto, dimostra di essere a corto di personale politico. Sarebbe allarmante.

Berlusconi può farcela davvero?

Mi viene in mente una battuta di Vittorio Feltri. In pieno Rubygate, disse ridendo: “Vi immaginate cosa porterebbe uno come Berlusconi al Quirinale?”. Alludeva alla disinibita disinvoltura del personaggio, ne parlava come di un paradosso comico. Oggi viene presentata come un’ipotesi seria. Al di là dell’assurdità di un tale scenario, purtroppo questo Parlamento è guidato da uomini avventurosi, che potrebbero anche determinare un esito sconvolgente. Come Renzi e i molti al suo seguito.

Effetto Colle sul governo, Draghi lo ammette: “Siamo a fine corsa”

Un Consiglio dei ministri iniziato alle 21 e 30 e andato avanti a oltranza, in una situazione di generale sfilacciamento e conflittualità esasperata, con le delegazioni dei vari partiti della maggioranza l’una contro l’altra e pure divise al loro interno: mercoledì notte a Palazzo Chigi si è avuta la percezione definitiva che l’“incantesimo” Mario Draghi si sia rotto e che – con l’avvicinarsi del voto per il presidente della Repubblica – governare sia sempre più complicato e le variabili in gioco si moltiplichino con esiti niente affatto scontati.

Il premier la sua volontà di andare al Colle l’ha di fatto espressa nella conferenza stampa del 22 dicembre. Ma più vanno avanti i giorni, più appare chiaro che la maggioranza è arrivata al capolinea. Tra l’altro, già sull’Irpef si era capito che le forze politiche non erano più disposte a farsi guidare dall’ex Bce senza interferire più di tanto. Il punto è cosa succede adesso. Tanto per cominciare, si aspetta il discorso di stasera di Sergio Mattarella. Continuano in questi giorni a girare vorticosamente le voci che vogliono il presidente irritato con il premier per l’assertività usata prima di Natale rispetto alla sua salita al Colle. Voci smentite sia dal Quirinale sia da Palazzo Chigi, liquidate come polpette avvelenate messe in giro da chi ancora spera in un bis del presidente.

Si racconta, piuttosto, che Draghi e Mattarella siano in continuo e costante contatto e che il secondo fosse stato preventivamente informato di quello che avrebbe detto il premier davanti ai giornalisti. Dunque, stasera l’aspettativa di Palazzo Chigi è che il presidente sia ancora più netto rispetto al passato, ribadendo la sua indisponibilità a un bis, ma anche rafforzando un identikit di cosa serve all’Italia dopo di lui. Mattarella ha già insistito più volte sul senso di unità e di responsabilità nazionale. Va visto se e quanto si spingerà a tracciare un identikit che dovrebbe in qualche modo corrispondere a quello del premier. O in larga parte a quello del premier.

Chi ha partecipato con Draghi alle riunioni di mercoledì dedicate a varare le ulteriori misure volte a fronteggiare la pandemia, ha avuto netta la sensazione che con la prima settimana di gennaio (quando ci sarà un ulteriore passaggio) il premier riterrà di avere messo in sicurezza il Paese, anche per chi guiderà il governo dopo di lui.

Tutto questo, però, può non essere sufficiente: la debolezza dei partiti, lo sfilacciamento dei gruppi parlamentari sono considerati incognite che possono portare a scelte diverse da quella del premier. L’opzione Giuliano Amato appare concreta. Nei partiti, in maniera trasversale e magari strumentale, ci stanno lavorando in molti. Senza contare che la sua elezione, una volta avvenuta in maniera condivisa, inchioderebbe Draghi dov’è. Perché si verificherebbe la condizione da lui posta per restare. Motivo per cui lui da giorni fa filtrare l’intenzione che – se proprio dovesse restare a Palazzo Chigi – non seguirebbe altra agenda, se non la propria.

Dato il quadro, ieri è stato il segretario del Pd, Enrico Letta, a ribadire a Repubblica quello che va dicendo da giorni: bisogna proteggere il premier. E mettere in piedi un accordo che riguardi anche il governo, se Draghi andasse al Quirinale. In questo senso vanno intese le febbrili manovre sottotraccia di questi giorni, con Matteo Renzi e Dario Franceschini che marciano insieme verso una maggioranza Ursula, i Cinque Stelle alla ricerca faticosissima di una quadra e Matteo Salvini che sogna l’opposizione. Da non sottovalutare, però, l’astio dei partiti nei confronti del premier. Quando è arrivato nello scorso febbraio, investito da Mattarella, nessuno lo voleva davvero. E infatti non era neanche la prima volta che si faceva il suo nome come premier: anche nell’estate del 2019, che portò al Conte bis, il suo era un nome che tornava.

Balzo Omicron, nuovo record di casi: 126.888 E altri 156 morti

Ennesimo record di contagi in Italia: sono 126.888 i casi di ieri (mercoledì erano stati 98.020). Le vittime sono state 156, ventiquattr’ore prima 148. Sono 1.226 i pazienti in terapia intensiva (41 in più con 134 ingressi giornalieri). I ricoverati con sintomi nei reparti ordinari sono 10.866, quindi 288 in più in un giorno. Un balzo annunciato già dal report della fondazione Gimbe, da cui è emerso che nella settimana di Natale si è registrato un incremento di oltre l’80% dei nuovi casi di Covid-19, una crescita del 20,4% di ricoverati con sintomi e del 13% di persone in terapia intensiva. Aumentati anche i decessi: dal 22 al 28 dicembre sono stati 1.024, con una media di 146 al giorno rispetto ai 126 dei 7 giorni precedenti (+16%). “Da due mesi e mezzo – spiega il presidente Nino Cartabellotta – si rileva un aumento dei nuovi casi, che nell’ultima settimana ha subìto un’impennata, superando quota 320 mila, sia per l’aumentata circolazione virale, sia per l’incremento del numero dei tamponi”. Nella settimana tra il 22 e il 26 dicembre i nuovi casi sono stati 320.269 rispetto a 177.257 della settimana precedente. La media giornaliera dei nuovi casi è passata dai 27.199 del 22 dicembre ai 45.753 il 28 dicembre (+68,2%) e il rapporto positivi rispetto alle persone testate ha raggiunto il 37,8%, indicando che “in assenza del calo dei tamponi nei giorni festivi il numero dei nuovi casi sarebbe ancora maggiore”, spiega Cartabellotta. Questi dati “dimostrano una notevole crescita della circolazione virale, sia per l’espansione della variante Omicron, che per l’aumento dei contatti nel periodo delle festività, il cui impatto su ricoveri e decessi sarà visibile nelle prossime settimane”, conferma Cartabellotta. Nel frattempo è arrivato il via libera dalla commissione tecnico-scientifica dell’Aifa a due antivirali: il molnupiravir (la pillola della Merck) e il remdesivir (prodotto dalla Gilead Sciences) “per il trattamento di pazienti non ospedalizzati per Covid-19 con malattia lieve-moderata”.

La neolingua del draghismo: il decreto non è in italiano

Grande è la confusione sotto il cielo pandemico, che sia nelle stanze chiuse dei Consigli dei ministri o nelle file all’aperto di chi cerca disperatamente un tampone. Ora, il linguaggio del diritto non ha mai brillato per eleganza e accessibilità: in altre parole, le leggi sono scritte malissimo, da sempre, e sembrano volontariamente illeggibili per chiunque non se ne debba occupare per mestiere. Ma a tutto c’è un limite e stavolta è stato oltrepassato.

Le quattro paginette e i cinque articoli della bozza, prima, e del definitivo poi, faticosamente usciti da Palazzo Chigi, tra mercoledì e ieri, sono tra i massimi esempi di quanto possa essere ostile la parola dello Stato per i suoi cittadini, nella forma ancora prima che nella sostanza.

Partiamo dal principio, provate a leggere l’articolo 1 tutto d’un fiato, senza pensare che sia il prodotto di una mente contorta e persecutoria: “Dal 10 gennaio 2022 fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, l’accesso ai servizi e alle attività, di cui all’articolo 9-bis, comma 1, lettere a-bis), e) e g-bis), del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, nonché l’accesso e l’utilizzo dei mezzi di trasporto di cui all’articolo 9-quater, comma 1, a), b), c), d) ed e), del decreto-legge n. 52 del 2021, sono consentiti esclusivamente ai soggetti in possesso delle certificazioni verdi Covid-19, di cui all’articolo 9, comma 2, lettere a), b) e c-bis), del decreto-legge n. 52 del 2021, nonché ai soggetti di cui all’articolo 9-bis, comma 3, primo periodo, del decreto-legge n. 52 del 2021”. Le leggi sono scritte così, rimandano alle norme precedenti. Ma che ansia. Dentro questa formulazione spaventosa, questa lingua agghiacciante, sono nascosti concetti in realtà abbastanza semplici per quanto contorti. C’è scritto insomma che il cosiddetto “Super green pass” viene esteso ad alberghi, feste, sagre, centri congressi, ristoranti all’aperto, impianti sciistici, piscine, centri sportivi e soprattutto mezzi di trasporto pubblico: solo i vaccinati potranno usufruirne. Lo sappiamo perché ce lo dice il governo (nel comunicato stampa distribuito dopo il Consiglio dei ministri) e poi perché qualche sapiente in grado di decrittare il codice babilonese della legge scritta italiana ha avuto il buon cuore di tradurlo per noi. Siamo costretti a fidarci. L’articolo 4, se possibile, è ancora più delirante. Ne pubblichiamo un estratto. Provate a leggerlo senza diventare scemi: “La violazione delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 1 e degli obblighi previsti dall’articolo 3 del presente decreto è sanzionata ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35. La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 4, 5, 6, 7 commi 1 e 2, 8 commi 1 e 2, 11 comma 2, del decreto- legge 24 dicembre 2021, n. 221, continua ad essere sanzionata ai sensi del citato articolo 4 del decreto-legge n. 19 del 2020. Resta fermo quanto previsto dall’art. 2, comma 2-bis, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n.74”.

E così via. Qui si parla della “disciplina sanzionatoria”: le multe per chi infrange i nuovi obblighi. Gli altri articoli, appena meno cervellotici, ve li risparmiamo per carità di patria.

Occorre specificarlo di nuovo: questa neolingua oscena con cui si esprime lo Stato non se l’è inventata il governo dei Migliori, non è certo una responsabilità che si può attribuire a Mario Draghi. Eppure ricordiamo un’asperrima invettiva del celebre maestro di diritto Sabino Cassese, che ai tempi del governo Conte e dei suoi Dpcm auspicava “la colonia penale” per quelli che avevano scritto certe porcherie senza eleganza: “Ci vorrebbe la Siberia”.

Nessuno pensava che questi altri straordinari professionisti potessero scrivere testi più brutti e illeggibili, bisogna confidare che il professore li rieduchi tutti.

“Altro che Migliori, sono apprendisti stregoni e decidono contro la scienza”

“Apprendisti stregoni in fase di improvvisazione senza criterio”.

Professor Andrea Crisanti – docente di microbiologia all’Università di Padova – come ha detto scusi?

Questi Migliori al governo sono apprendisti stregoni, cos’altro vuole che le dica?

Non ha preso bene l’abolizione della quarantena per vaccinati-con-booster -o-con-doppia-dose-da non-più-di-quattro-mesi?

Prenda fiato. Non c’è niente di scientifico: abbiamo appena appreso che la variante Omicron si diffonde di più perché non trova barriera nei vaccinati, e che si diffonde molto più rapidamente di Delta: dovremmo quindi cercare di tutelare fragili e non vaccinati che continuano a rischiare molto. Ma se liberi i vaccinati dalla quarantena dopo un contatto con un positivo, vai nella direzione opposta, mi pare. Non è logico.

Dagli studi su Omicron arrivano, però, anche buone notizie no?

Questa variante tende a colpire solo le vie respiratorie superiori, ma non mi illudo ancora sul fatto che possa risolvere il problema del Covid. Non c’è ancora certezza che neutralizzi Delta o altre varianti passate o future, quindi i fragili e chi non è vaccinato rischiano ancora la malattia grave e la vita stessa. Dunque torno a dire: era necessaria questa fuga in avanti con l’abolizione della quarantena per parte della popolazione in caso di contatto con positivo?

Sì, ma c’è l’“auto-sorveglianza”: ci ha capito qualcosa?

A dire il vero non molto, chi ha la febbre credo si auto-sorvegli cercando di stare a casa a prescindere. Ma anche prima della pandemia…

No, professore, lasciamo perdere il caso dei sintomatici: l’auto-sorveglianza è pensata per gli asintomatici che sanno di aver incontrato un conoscente risultato poi positivo: dopo cinque giorni dovranno farsi un tampone rispondendone solo alla propria coscienza o, in caso di fede, a qualche divinità celeste.

Non so di nuovo che dirle… è una follia. Ma veramente siamo passati agli apprendisti stregoni, non capisco… Quale dato scientifico, quale esperienza giustificherebbe questo provvedimento?

Se lo chiede a me, non credo di averlo capito…

Avrebbe avuto più senso allora mantenere una quarantena obbligatoria di tre giorni e poi richiedere un tampone negativo. Ma poi, finché non si affrontano i nodi veri, di che parliamo?

E quali sono?

Sempre gli stessi: ormai si è capito come e dove si trasmette essenzialmente il coronavirus.

Cioè?

Uno, trasporti: e aver obbligato alle Ffp2 è almeno un primo passo, bravi. Due, scuola: in due anni non è stato fatto niente di minimo, dai termo-scanner, che non sono i termometri elettrici farlocchi, ad analisi di scuole-campione. Tre, ristoranti: bisognerebbe limitare le tavolate a quattro persone finché la pandemia non finisce, non in base al colore della regione.

La Befana vien con l’obbligo, vero o mascherato da Super green pass

“Abbiamo fatto molte cose buone, auguri a tutti”. Chiudendo il Consiglio dei ministri che aveva appena approvato le nuove misure per contenere il dilagare della variante Omicron, mercoledì sera, Mario Draghi ai ministri ha dato l’impressione di aver concluso il suo compito da capo del governo. Però poi, dopo il duro litigio tra Lega e M5S e il fronte rigorista di Pd, Leu e Forza Italia, il premier ha annunciato un nuovo provvedimento a inizio anno: “Approveremo il Super green pass per il lavoro nel prossimo Cdm”. La data è cerchiata: il 5 gennaio. Intanto se il pass rafforzato per trasporti e ristoranti entrerà in vigore dal 10 gennaio fino al 31 marzo, le nuove norme sulla quarantena (che cessa con un tampone) dovrebbero valere da oggi con la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale. Inoltre, sarà introdotto un prezzo calmierato per le mascherine Ffp2. Giuseppe Conte chiede “ristori subito” per le attività colpite e un nuovo scostamento di bilancio.

Draghi però ha fretta: avrebbe voluto inserire l’obbligo del vaccino anche per i lavoratori già mercoledì, ma l’asse tra Giancarlo Giorgetti e Stefano Patuanelli glielo ha impedito. Chi ha partecipato alle riunioni con il premier però ha avuto la netta sensazione che l’estensione massima del certificato verde – o in alternativa l’obbligo vaccinale – sia l’eredità che Draghi vuole lasciare prima di affrontare l’elezione del presidente della Repubblica. Una misura che vorrebbe dire obbligo vaccinale di fatto perché imporrebbe a tutti i lavoratori di immunizzarsi. Il tampone, insomma, non basterà più.

Così da ieri gli uffici tecnici di Palazzo Chigi e del ministero della Salute si sono messi a studiare la nuova norma. Certa è, su spinta del ministro di FI Renato Brunetta, l’introduzione dell’obbligo di vaccino per i lavoratori della Pubblica amministrazione. Oggi l’obbligo vaccinale riguarda il personale sanitario, le forze dell’ordine e il personale scolastico. L’intenzione di Draghi, però, è anche quella di applicare il pass rafforzato anche per i settori del privato. Il timore del premier, mercoledì, era quello di far andare in tilt alcune filiere come quella dell’agricoltura e dell’edilizia ma ieri da Palazzo Chigi facevano sapere che sarebbe difficile distinguere le categorie dei lavoratori. Con ogni probabilità, il decreto del 5 gennaio introdurrà un tempo cuscinetto per dare tempo ai lavoratori di vaccinarsi. Resta aperto invece il nodo dei controlli e delle sanzioni: più facili nel pubblico impiego, più complicati nel settore privato. Su questo e sui dubbi tecnici del provvedimento, da lunedì Draghi parlerà con i sindacati e le imprese per capire come la pensano. Cgil e Confindustria preferirebbero l’obbligo vaccinale tout court. Ipotesi difficile ma non esclusa nel governo. Ieri, su Repubblica, lo ha proposto il segretario del Pd Enrico Letta, a cui ha risposto positivamente la ministra forzista Mariastella Gelmini: “Siamo favorevoli sia all’obbligo che al Super green Pass”. Il M5S preferirebbe l’obbligo vaccinale per non escludere disoccupati e pensionati.

Resta da convincere la Lega. Che, come spesso accaduto in questi mesi, ha una doppia faccia. La prima è quella dei presidenti di Regione guidati da Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, che mercoledì mattina erano stati i primi a chiedere al governo di estendere il pass al lavoro; la seconda è quella di Matteo Salvini che ha imposto il suo “no” al suo capodelegazione in cabina di regia Giorgetti. Il numero due del Carroccio però ha precisato che la Lega non è pregiudizialmente contraria ma l’obbligo del pass rafforzato dovrà essere accompagnato da una “lista dei lavoratori fragili esenti”, si dovrà prevedere una forma di risarcimento per danni da vaccino ed “eliminare la manleva”, ossia il consenso informato da firmare per immunizzarsi. Una mediazione, alla fine, si troverà. Forse l’ultima del governo Draghi.

Va a far accoppiare il gatto: arrestato latitante da 9 anni

È andato, nel Reggiano, a casa di un amico, per fare accoppiare il gatto. Ma è ricercato in tutta Europa, per furti commessi in Francia, e viene arrestato. Un 35enne cittadino d’origine moldava, condannato a due anni di reclusione dal tribunale della città portuale bretone di Saint Malo, riconosciuto colpevole per una serie di furti e tentati furti di motori per barche tra le città di Port La Foret, Carantec, Saint Martin Les Champes e Lorient, tra il luglio e l’agosto del 2012. Sfuggito alla cattura, è risultato irreperibile per 9 anni. Mercoledì sera è stato preso a Sant’Ilario d’Enza, dai carabinieri, in virtù del mandato d’arresto europeo. L’uomo, residente in Belgio ha detto di esser arrivato in Emilia-Romagna per trascorrere le festività coi parenti e poi di voler portare il gatto da un amico per l’accoppiamento.

La prima vittoria di Gualtieri: rifiuti e cinghiali spariti (da giornali e tv)

“I vostri titoli sono diversi, l’anno scorso di questi tempi erano di tutt’altro tenore”. È stato lo stesso Roberto Gualtieri, in uno slancio di onesta ingenuità, a far notare come sia cambiato il trattamento riservato dalla stampa locale romana al sindaco, ora che sulla poltrona più alta del Campidoglio non siede più Virginia Raggi. Durante la conferenza stampa del 28 dicembre, trovandosi nella scomoda posizione di dover limitare i danni rispetto al vistoso insuccesso della pulizia straordinaria natalizia promessa a ottobre, Gualtieri ha detto: “Lo scorso anno parlavate di ‘disastro rifiuti’, ‘cumuli di immondizia’, ‘allarme San Silvestro’, ora siete stati più clementi, segno che le cose sono migliorate”, tutto ciò sfogliando i ritagli dei giornali di dicembre 2020 selezionati dal suo staff.

Lo ha notato anche il sindaco, insomma. La luna di miele fra la stampa romana e Gualtieri ha fatto sparire da gran parte delle prime pagine delle edizioni locali i cumuli di immondizia, i bus in fiamme e, soprattutto, i cinghiali. Ieri, ad esempio, una scrofa si è persa a Montespaccato e ha invaso il Grande Raccordo Anulare: carreggiata chiusa e traffico in tilt. Ma se n’è accorta solo RomaToday. Repubblica, invece, da giorni rilancia in solitaria la notizia – di tenore decisamente più serio – che a causare il tragico incidente automobilistico di via Cilicia che ha ucciso le giovani sorelle Antonella e Lorena, potrebbe essere stato proprio l’urto con un cinghiale sulla strada. Ma di strumentalizzazioni politiche neanche l’ombra. Meglio così, data la delicatezza e la drammaticità del caso.

Il Messaggero due giorni fa era l’unico giornale a riportare, in cronaca, il ventesimo flambus del 2021: gli autobus a fuoco ora non fanno più notizia. Lo stesso quotidiano del gruppo Caltagirone il 7 luglio 2021 pubblicava lo scoop su Paolo Aielli indagato per abuso d’ufficio: quando l’allora capo della Zecca dello Stato è diventato il city manager di Gualtieri, la notizia non ha trovato posto in pagina.

Va detto che i cronisti romani sono storicamente tra i più “cattivi” con gli amministratori di turno. E questo spiega in parte il sistematico crollo di popolarità tra i sindaci romani negli ultimi decenni. Chi si presenta in Protomoteca, insomma, si scordi gli applausi in stile conferenza di Draghi. Vedremo se anche il credito che si deve a un ex ministro come Gualtieri si esaurirà presto. Per ora i cinghiali restano in letargo.

Ostia, regalo Pd ai balneari Fermata la gara anti-abusivi

Il mare di Roma di nuovo al centro degli appetiti dei poteri economici locali. L’Avvocatura capitolina, il 7 dicembre, ha prodotto un parere molto duro nei confronti della nuova giunta Pd del Municipio X di Ostia, che tra i primissimi atti del suo mandato ha scelto di sospendere il bando sulle Concessioni demaniali marittime – di fatto la gestione degli stabilimenti balneari – messo in campo dal M5S. L’iter di rinnovo delle concessioni stava seguendo le linee guida dettate nel 2017 dall’allora commissario prefettizio Domenico Vulpiani, arrivato sul litorale capitolino dopo lo scioglimento per mafia del 2015, in seguito all’inchiesta sul Mondo di Mezzo. La gran parte degli stabilimenti romani presentava abusi edilizi rilevantissimi, fra semplici chioschi diventati stabilimenti con centinaia di metri quadri di manufatti, piccole strutture tramutate in ristoranti di lusso, piscine e discoteche, e dune sbancate per realizzare parcheggi. Autorizzazioni passate di mano in mano a suon di milioni senza alcun controllo, se non quello della criminalità organizzata. Un giro di denaro che negli anni ha superato il miliardo di euro. Evidente la necessità di rimettere ordine.

Prima l’azione dell’ex sindaco Ignazio Marino e del suo assessore, il magistrato antimafia Alfonso Sabella, poi quella del prefetto Vulpiani, hanno permesso al Municipio di revocare almeno un terzo delle concessioni, mentre altre arrivavano a scadenza naturale. Il 22 dicembre 2020 la giunta M5S ha così messo a gara le concessioni per l’anno di riferimento 2021 (poi slittato al 2022), ma la nuova giunta Pd, pochi giorni dopo il suo insediamento, ha deciso di sospendere il bando e, il 15 dicembre scorso, procedere con la revoca. Col risultato di lasciare i vecchi concessionari (fra abusivi e scaduti) al loro posto. “La scelta di bandire una gara pubblica per la ri-assegnazione delle concessioni demaniali marittime si è rivelata assolutamente corretta e finanche doverosa (…) – scrivono gli avvocati Guglielmo Frigenti e Rita Caldarozzi nel loro parere agli uffici – non potendosi configurare valida proroga ex lege delle stesse, da intendersi quindi irrimediabilmente scadute”. Non solo. I legali del Campidoglio affermano anche che in caso di revoca “l’eventualità di un contenzioso non sia da escludere, in ragione dei rilevanti interessi economici” in quanto “l’alea giudiziaria sussiste, non essendo (…) favorevole all’Amministrazione”.

Nella sua delibera di revoca, il minisindaco Mario Falconi ha giustificato l’atto, fra le varie cose, scrivendo in premessa che “al momento dell’apertura delle buste presentate dagli interessati alle concessioni, avvenuta dopo il termine della stagione balneare 2021, è risultata l’assenza di proposte per 13 stabilimenti balneari su 37 e per 2 esercizi di ristorazione su 9”, cosa che, a suo dire, “comporterebbe disparità di trattamento tra i lotti messi a bando”. Inoltre, fa notare il provvedimento di giunta, “il Tar del Lazio (…) ha negato la sospensiva richiesta dai concessionari del bando (…) confermando la discussione nel merito al prossimo 18 maggio 2022”. Insomma, la sospensiva negata dal Tar l’ha concessa il Municipio.

Quello degli stabilimenti balneari è un tema nazionale. Nei giorni scorsi il governo Draghi, su spinta della Lega, ha autorizzato le proroghe delle concessioni, non dando immediato seguito alla direttiva Bolkestein del 2006 e alla sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciato la proroga senza gara fino a tutto il 2033 limitandola al 2023, per procedere poi secondo le procedure della Bolkestein dal 2024. Il governo ha però scelto di delegare alle Regioni l’apertura di un tavolo tecnico con gli operatori. La linea leghista sembra sposarsi con quella del Pd romano, che punta a “evitare – si legge nella delibera – il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere”. “Noi siamo favorevoli ai bandi – ha spiegato al Fatto il consigliere capitolino del Pd, Giovanni Zannola – ma con una visione ampia e non attraverso affidamenti annuali”.

La vicenda infiamma lo scontro fra M5S e Pd. “Abbiamo combattuto anni per scalfire questo sistema di parentele e clientelismo e non abbiamo intenzione di cedere”, ha dichiarato l’ex sindaca Virginia Raggi. “Il sistema di parentele e clientelismo si combatte con gli atti amministrativi corretti, non con determine approssimative”, ha ribattuto Falconi. La giunta municipale di Ostia era già finita nell’occhio del ciclone nei primissimi giorni del proprio mandato, quando due esponenti dei Giovani democratici – il movimento giovanile del Pd – avevano contestato il neo presidente per la decisione di inserire in giunta due elementi vicini all’ex amministrazione guidata da Andrea Tassone, il minisindaco del Pd arrestato nel 2015 nell’inchiesta sul Mondo di Mezzo e poi condannato a 5 anni. “Serviva discontinuità, ma sono stati tutelati i soliti interessi”, urlavano Raffaele Biondo e Margherita Welyam, incatenati ai cancelli della sede municipale.