Si terrannoil 14 gennaio gli accertamenti tecnici irripetibili sul frammento osseo, una parte di cranio, trovata il 3 novembre nel Po, nel Comune di Boretto, a circa 20 km dal luogo dove sarebbe stata uccisa Saman Abbas, 20enne pachistana residente a Novellara sparita nel nulla il 30 aprile dopo essersi opposta a un matrimonio combinato. Al momento non ci sono certezze sul fatto che quel frammento appartenga proprio a Saman. Il reperto è stato inviato al Ris di Parma che ora dovrà stabilire se si tratti di un resto umano ed estrarre il dna. Il 5 gennaio intanto a Parigi è prevista, dopo tre rinvii, l’udienza per l’estradizione dello zio di Saman, Danish Hasnain, considerato l’esecutore del delitto e mente del progetto criminoso.
Burzi, l’ultima lettera prima del suicidio: “Non riesco più a tollerare la sofferenza”
Ha voluto scrivere “la fine della storia”. Questo è l’oggetto della mail che Angelo Burzi, esponente torinese di Forza Italia morto suicida la notte di Natale, ha lasciato prima di spararsi alla tempia. Un messaggio in cui il politico, condannato a tre anni per peculato il 14 dicembre nell’appello bis del processo “Rimborsopoli”, spiega le ragioni del suo gesto, conseguenza del verdetto e di una malattia scoperta da poco: “Panorama non certo entusiasmante, ma c’è di peggio. La giustizia è un esempio appunto del ‘peggio’, non trascurando che lo scrivente è certo di essere totalmente innocente”, si legge nel messaggio diffuso dopo il funerale di ieri mattina.
Stimando una conclusione del processo a fine 2022 con un verdetto sfavorevole, Burzi prevedeva un nuovo procedimento alla Corte dei conti per danno d’immagine, insostenibile senza un vitalizio: “Col vitalizio io ci vivo, non essendomi nel corso della mia attività politica in alcun modo arricchito”. A queste pene, scrive, preferisce “una dose di dolore più violenta, ma una tantum”. Perché “non sono più in grado di tollerare ulteriormente la sofferenza, l’ansia, l’angoscia che in questi anni ho generato oltre che a me stesso anche attorno a me nelle persone che mi sono più care, mia moglie, le mie figlie, i miei amici”. Nel messaggio lancia poi accuse ai magistrati della Corte d’appello, che per due volte l’hanno giudicato colpevole, e al sostituto procuratore “che dall’inizio perseguì la sua logica colpevolista, direi politicamente colpevolista” e che, dopo l’assoluzione di primo grado, ha fatto ricorso rappresentando l’accusa nei due processi. Unica toga che salva, Silvia Bersano Begey (scomparsa a febbraio), presidente del collegio che l’assolse in 1° grado.
A Burzi erano contestati circa 15mila euro di spese in pasti consumati in ristoranti, alcune volte anche in periodi in cui il consiglio era in pausa: per i giudici non erano spese per le attività politiche. Secondo i magistrati era anche responsabile, in quanto presidente di un gruppo consiliare, delle spese illecite di tre colleghi. Dal giorno del suicidio di Burzi, in molti nel centrodestra, tra cui l’ex presidente del Piemonte Roberto Cota e Guido Crosetto, hanno colto l’occasione per attaccare la magistratura e i processi troppo lunghi. Ma quello a carico di Burzi, Cota e altri politici regionali è durato di più soprattutto perchè la Cassazione ha certificato definitivamente i reati, poi ha disposto per legge il nuovo appello per ricalcolare le pene alla luce della sua sentenza.
Sea Watch attende da 7 giorni: ‘Fate sbarcare i bambini’
Da 7 giorni chiede un porto sicuro dove sbarcare 440 migranti salvati in 5 diversi soccorsi. Ora la Sea Watch 3 chiede che vengano portati a terra almeno i minori: a bordo ce ne sono 167 non accompagnati, che hanno tra gli 8 e i 17 anni, e 14 bambini che hanno meno di un anno. “Ieri (mercoledì, ndr) la Guardia costiera italiana – ha affermato la Ong tedesca – ha portato latte per bambini e pannolini. Ma è urgente lo sbarco. Il nostro medico conferma che tanti hanno problemi fisici e hanno bisogno di assistenza. Non possiamo fornire cure adeguate ancora per molto”. “Dalla vigilia di Natale siamo in zona Sar – dice Martin, medico di bordo, in un video sui social –. Abbiamo neonati che soffrono per le intemperie e sono a rischio disidratazione, giovani madri con ustioni da carburante. Chiediamo a tutti di supportarci per ottenere un porto sicuro”. Nei giorni scorsi sono state eseguite alcune evacuazioni di emergenza: prima una donna incinta e sua figlia di 3 anni, condotte a Lampedusa, poi altre 4 persone sono state trasferite ad Augusta, nel Siracusano.
“Le stragi miravano a portare Berlusconi in sella con Dell’Utri”
Giovanni Brusca torna a parlare del movente delle stragi degli anni 90 e fa i nomi di Berlusconi e Dell’Utri. L’ex boss è stato interrogato dai pm Luca Turco e Luca Tescaroli l’11 giugno scorso nel procedimento che vede indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri per le bombe esplose a Firenze, Milano e Roma nel 1993-1994.
L’ipotesi accusatoria di un presunto ruolo di mandanti esterni dei due fondatori di Forza Italia nelle stragi e negli attentati, va da sé, è enorme e tutta da verificare. Sono già stati iscritti e archiviati su richiesta dei pm di Firenze tre volte nei decenni precedenti. Nel 2020, per la quarta volta, a seguito delle dichiarazioni del boss Giuseppe Graviano (tutte da verificare) sui suoi presunti rapporti con Berlusconi, le indagini sono state riaperte. Ed è stato interrogato di nuovo Giovanni Brusca.
Un breve stralcio del verbale è stato depositato il 14 dicembre davanti al Tribunale del Riesame di Firenze dai pm per difendere i sequestri effettuati a ottobre nelle case dei fratelli di Giuseppe Graviano, non indagati. Per Brusca: “Quello che ha dichiarato Salvatore Cancemi in ordine alla finalità delle stragi di portare in ‘sella’ Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri è la verità”.
Cosa disse Cancemi? Il collaboratore di giustizia, deceduto nel 2011, non parlò chiaro delle confidenze di Riina su Berlusconi subito ma solo alcuni anni dopo l’avvio della sua collaborazione, risalente al 1993. Il 23 aprile 1998 davanti ai pm di Caltanissetta, Firenze e della Dna, si ricordò che Riina nel 1992 gli disse “che aveva nelle mani” Berlusconi e Dell’Utri. Secondo Cancemi le stragi erano state fatte da Riina per un fine politico. Gli disse il Capo dei capi “dobbiamo sfiduciare a quelli che sono in sella e quindi noi poi dobbiamo portare in seguito a queste persone”.
A quell’interrogatorio del 1998 di Cancemi, per la Procura Nazionale Antimafia c’era l’attuale senatore Pietro Grasso e per Caltanissetta c’era un giovane pm Tescaroli, ora procuratore aggiunto di Firenze.
Le dichiarazioni di Cancemi sono state già vagliate dai magistrati che hanno più volte prosciolto nei decenni scorsi sia a Caltanissetta che a Firenze, Dell’Utri e Berlusconi. Il gip Giovanbattista Tona a Caltanissetta nel 2002 scrisse che Cancemi su Berlusconi e Dell’Utri “non ha spiegato nulla del tipo di accordo che con loro sarebbe intervenuto e di quale poteva essere l’interesse di costoro alle stragi per cui si procede”. Il gip aggiungeva: “Brusca dal canto suo ha dichiarato di non sapere nulla di questi contatti, ma si è anche visto che le sue propalazioni in ordine al suo coinvolgimento e alle sue conoscenze circa i contatti politici intrattenuti dall’organizzazione negli anni 1991-1994 sono apparse particolarmente reticenti”. Per il gip Tona, quel Brusca di allora “non vale a dare netta smentita alle dichiarazioni di Cancemi, per altro verso non consente di dare ad esse alcun riscontro né di superare la loro genericità”.
Tutto ciò premesso va detto anche che la Procura di Firenze giustamente non molla e si interessa ancora alle stragi ponendo domande che a distanza di quasi 30 anni non hanno trovato risposte certe. Brusca il 21 giugno scorso dopo aver detto ai pm fiorentini “quello che ha dichiarato Salvatore Cancemi in ordine alla finalità delle stragi di portare in ‘sella’ Berlusconi e Dell’Utri è la verità” aggiunge “anche se credo che abbia fuso due interlocuzioni che invece erano parallele: la trattativa con i Carabinieri e i rapporti con Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Per me ora – conclude Brusca con i pm – conoscendo il modo di ragionare di Salvatore Riina, e tenuto conto delle varie risultanze processuali di cui sono venuto a conoscenza nel tempo, è molto chiaro che vi sono state contemporaneamente queste due interlocuzioni”.
Nell’ordinanza che conferma i sequestri effettuati a casa dei fratelli di Graviano, non indagati, i tre giudici del Riesame (relatore Grazia Aloisio, presidente Elisabetta Improta) scrivono che il sequestro è avvenuto “nell’ambito del procedimento penale n. 47032020”, poi elencano i reati per i quali si procede, cioé strage continuata e pluriaggravata per i fatti di Firenze del 27 maggio e Milano del 27 luglio (10 morti in tutto) e per gli attentati di Roma del 28 luglio contro le basiliche e del 14 maggio 1993 contro Maurizio Costanzo. Infine indica i nomi legati ai reati: “per i quali sono indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri”.
Il decreto di perquisizione dei pm, per i giudici, è “sorretto da idonea motivazione (…) in ordine al fumus”. Sul punto i giudici scrivono: “Invero dalle investigazioni effettuate dalla Dia (…) è emersa la necessità di riscontrare le dichiarazioni rese da Giuseppe Graviano in ordine alla partecipazione finanziaria di Quartararo Filippo, nonno del Graviano e di altri esponenti della mafia palermitana, alle attività economiche di Silvio Berlusconi, che sarebbe stata sancita da una scrittura privata in disponibilità di soggetti di cui il Graviano non ha fornito le generalità, ma riconducibili al suo ambito familiare. Tali rapporti costituirebbero antefatto rispetto alla strategia che ha portato all’esecuzione delle stragi del biennio 1993-1994 – delitto per il quale il Graviano è stato condannato all’ergastolo – come ipotizzabile anche alla luce della ulteriore documentazione prodotta dalla Procura della Repubblica (dichiarazioni pentiti e sentenze della Suprema Corte)”.
L’avvocato dei fratelli di Graviano, non indagati, Mario Murano, ha annunciato ricorso in Cassazione.
Don’t look Covid
L’anno scorso Conte veniva crocifisso perché in un Dpcm aveva scritto “congiunti” e tutti fingevano di non sapere cosa fossero. L’altroieri, col favore delle tenebre, Draghi ha partorito un decreto scritto in sanscrito da una squadra di enigmisti e, come al solito da quando c’è lui, non s’è presentato alla stampa per tradurlo in italiano. L’ipotesi più probabile è che non ci abbia capito una mazza neppure lui. E si sa come sono questi giornalisti. Fra una standing ovation, una ola e una leccatina di tacchi, a qualcuno poteva scappare una domanda su come funziona l’“autosorveglianza”: il malcapitato asintomatico che ha incrociato un positivo e ha la terza dose o la seconda da meno di 4 mesi, porta i capelli alla riga, non supera il metro e 70 di altezza e i 65 chili di peso e vive entro e non oltre il terzo piano del suo stabile che deve fare: guardarsi intensamente allo specchio? Perlustrarsi la lingua col luminol e la pila? Telefonarsi da solo e dire trentatré? E se il positivo contattato è un convivente (stava per sfuggirmi “congiunto”), come li calcola i 5 giorni per il test? Sul web c’è chi rievoca 5-5-5 di Oronzo Canà allenatore nel pallone, chi il “facciamo un po’ come cazzo ci pare” di Corrado Guzzanti nella Casa delle libertà.
Però c’è anche il caso che SuperMario abbia capito tutto e proprio per questo eviti di esplicitarlo: perché l’addio alle quarantene significa farci contagiare tutti e non tenere più in casa nessuno, a parte i No vax che non possono più prendere l’autobus e presto neppure lavorare (anche se, con tamponi ogni due giorni, sono meno pericolosi di tanti Vax che si credono immuni perché hanno il Green pass, anche da positivi). Cioè ignorare gli esempi del resto d’Europa: smart working e tamponi gratuiti o quasi. Coprire il nulla cosmico dei suoi ministri incapaci su scuola, trasporti e Pa. E obbedire ai bottegai delle Regioni e della Confindustria anziché alla scienza, quella vera, secondo cui Omicron dilaga più di ogni altra variante perché contagia senza distinguere tra vaccinati e non: dunque mandare in giro chi ha avuto contatti con un positivo solo perché ha due o tre dosi significa mettere in pericolo non solo i No Vax, ma soprattutto i fragili (malati e anziani, vaccinati e non). Una coazione a ripetere sempre lo stesso errore: il Green pass per “ritrovarsi con persone non contagiose”, poi il Gp per lavorare, poi il Super Gp, poi il Super Gp rafforzato e prossimamente l’obbligo vaccinale (ma se queste gride manzoniane le spariamo solo noi, siamo sicuri che sono fessi tutti gli altri?). Come diceva Ennio Fantastichini in Ferie d’agosto agli intellettuali di sinistra: “Voi v’atteggiate tanto, parlate così sofistici, ma lo sai qual è la verità? La verità è che nun ce state a capì più un cazzo, ma da mo’!”.
“Pan”, il primo racconto sul Covid svela anche il virus della cattiveria
Potrebbe essere uno dei casi editoriali del 2022. Ovvero un romanzo pieno di Covid, ma da leggere e da usare per uccidere due virus: quello che si cura nell’ospedale del corpo e l’altro, da clinica dell’anima, che germina dentro le nostre menti. Le premesse, comunque, ci sono.
L’uomo che curava con i fiori, edito da Piemme, un precedente romanzo dell’autore, il medico e scrittore torinese Federico Audisio di Somma, passato dalla medicina del lavoro a quella psicosomatica, nel 2002 vinse a sorpresa il Premio Bancarella. Sbaragliò narratori di enorme successo come Ian Rankin e John Le Carré, che era il favorito. Allora il libro vendette oltre 45 mila copie. Ora Audisio di Somma riuscirà a replicare i fasti di vent’anni fa con Pan (Sem, pagg. 208, euro 18), in cui si cimenta con la peste di questi anni, ma anche e soprattutto con la nostra interiorizzazione del virus, con l’orgia mediatica sulla pandemia che terrorizza e non informa, con il crollo di ogni certezza intorno al nostro cattivo modo di vivere nell’epoca globalizzata?
La nuova storia di Audisio di Somma, dal sapore quasi buzzatiano, è ambientata in un palazzo milanese, in via XX Settembre, al tempo del lockdown. I personaggi in cerca d’autore, rinchiusi dal Covid (ma non sempre) nell’edificio, si muovono smarriti, nudi e crudi, con i loro fantasmi e le loro paure, le viltà e qualche residuo coraggio e atto d’amore. Il virus, che forse non è nient’altro che una delle manifestazioni del dio Pan, selvaggio custode della natura dilaniata dagli umani e osservatore dei casi dei milanesi di via XX Settembre, innesca un teatrino di veri e presunti esami di coscienza, persistenti finzioni, fughe impossibili, rancori, vecchie passioni. Dove la sola certezza, come dice un medico nel libro, è che “la pandemia ha fatto piazza pulita dei nostri bei discorsi”.
I personaggi che innervano il romanzo, ben scritto e ben orchestrato nella trama, sono medici “normali” e medici seriamente alternativi, vecchie signore e false nobildonne, pittori in fuga dalle proprie memorie e giovani in crisi.
Non è un’umanità davvero dolente, bensì la gretta umanità di oggi, con poche eccezioni, consumista e indifferente, che solo il Covid costringe a disvelarsi. Pan l’ha ghermita, coltivando una residua speranza: “Voi umani sarete in grado di far tesoro dell’invocazione platonica? ‘O caro Pan, e voi altre divinità di questo luogo, datemi la bellezza interiore dell’anima e, quanto all’esterno, che esso s’accordi con ciò che è nel mio interno’”.
Furti, imbucati e zero applausi. I 12 live inediti dei Pink Floyd
“Ora 15 minuti di intervallo, poi un’altra ora di concerto”. Fu l’annuncio degli organizzatori dopo l’esecuzione del capolavoro-cult Embryo (rimasto sempre fuori dai dischi ufficiali di studio). Ma a salvare la seconda parte del live dei Pink Floyd, il 20 giugno 1971 al Palaeur di Roma, fu il ritrovamento della valigia, dietro un cespuglio. Un tecnico aveva trovato il furgone della band scassinato, spariti i soldi e le carte di credito. Il management minacciò di finirla lì: per fortuna, prima dello scadere del quarto d’ora, furono rinvenuti almeno i passaporti.
La tournée italiana di Waters & C. era del resto partita sotto i peggiori auspici: il giorno prima, il 19, era stato fissato un altro show, al Palasport di Milano. Erano i tempi della “musica politica”, con “autoriduzioni” dei biglietti e assalti agli impianti. Un muro contro muro: gruppettari dell’ultrasinistra, più il corollario di imbucati, contro le forze dell’ordine. Un paio d’anni dopo la guerra sarebbe divenuta insostenibile, tra fumogeni, manganelli e feriti: l’Italia si ritrovò bandita dal circuito del rock. A Milano c’erano state, prima del 19 giugno ’71, scaramucce per i Chicago: la questura negò il permesso per i Pink Floyd, che nel frattempo atterravano a Linate. Ci furono febbrili trattative per spostare l’evento al Palasport di Bologna, ma il Coni si tirò indietro: si ritentò un nuovo approdo nel capoluogo lombardo, stavolta al Vigorelli, anche questo infruttuoso. Alla fine, tra le perplessità della band, il concerto si svolse al Palazzo delle Manifestazioni Artistiche di Brescia: un trionfo. A Roma, ladri a parte, il successo fu riconfermato nonostante la leggendaria pessima acustica del Palaeur e la quasi totale assenza di luci di scena (anche per marcare il distacco dall’epoca, gloriosamente psichedelica, in cui i Floyd erano stati capitanati da quell’adorabile pazzo di Syd Barrett, uscito dal gruppo tre anni prima). Un set avventuroso, verso gli spazi insondabili della galassia Pink Floyd: era sconsigliato applaudire durante i brani, che andavano da una stringata versione di Atom Heart Mother, una primigenia stesura di Echoes e altro materiale di quei primi, fondamentali episodi della discografia. Il cruciale album Meddle sarebbe uscito di lì a poco. La notte romana finì in apoteosi, con Waters, Gilmour, Mason e Wright a zonzo fra Trinità de’ Monti e Piazza Navona, con contorno di gelati e cappuccini e la promessa di ritornare presto in Italia. Nella capitale avevano già soggiornato per tre settimane nel ’69, mettendo a punto la colonna sonora di Zabriskie Point: tra una riunione e una cena con Michelangelo Antonioni erano ingrassati più del dovuto, rivelarono.
Live in Rome è uno dei dodici tesori di una scatola del tempo che i Pink Floyd hanno voluto riaprire, cinquant’anni dopo. Dodici “documenti” di altrettante tappe del tour mondiale 1970-71, ora liberamente disponibili sulle piattaforme di streaming. Non “album” fisici con tutti i crismi di una post-produzione: semmai dei bootleg ufficiali, dal suono grezzo, che paiono (ma non lo sono) piratati da qualche fan.
Perché i PF si sono decisi per questo inaspettato regalo di Natale? Forte è il sospetto che la pubblicazione virtuale serva per preservare i diritti sui materiali. Come sia, e anche se non vi è nulla di particolarmente inedito (più prezioso è il cofanetto The Early Years del 2016, una miniera d’oro di rarità) in questi dodici nastri le scalette offrono spunti di riflessione agli studiosi: ed ecco da Tokyo la proposta on stage, a quel punto ancora un laboratorio in pubblico, delle canzoni che nel ’73 avrebbero costituito il fil rouge dell’immortale epos di The Dark Side of the Moon.
Intanto, il 18 febbraio, i Pink Floyd riediteranno, stavolta in modo accurato, il box di P.U.L.S.E., il disco-concerto del ’94 con la lucina intermittente in copertina. All’epoca Roger Waters se ne era andato da un pezzo, sbattendo la porta. Oggi, mentre esulta per l’elezione di Boric alla presidenza del Cile, è tornato a definire “tossico” l’ambiente della sua vecchia band. Che nell’autunno del ’71 mantenne la parola di tornare in Italia. A Pompei, nell’Anfiteatro Romano deserto. Per un film da mitologia rock, realizzato grazie alla prolunga del cavo che dal Comune della città campana garantì l’elettricità nell’arena.
La spy-soap “Annienta” l’uomo
La realtà scimmiotta i romanzi di Michel Houellebecq: nel 2001 Piattaforma anticipò gli attentati dell’11 settembre; nel 2015 Sottomissione si portò dietro la strage a Charlie Hebdo; nel 2019 Serotonina ironizzava sui gilet gialli; ora Annientare, con una trama (tra le tante) su terroristi hacker, è stato hackerato. Un dramma minore, si dirà, come sottotono è il libro tanto atteso quanto sfilacciato, in arrivo in Italia, con La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, il 7 gennaio.
La macrostoria ruota intorno a un manipolo di cyber-anarchici che minano prima la sicurezza interna (in Francia) e poi quella internazionale, in una spirale di attentati contro politici, multinazionali, industrie del tech, navi commerciali, banche del seme e barconi di migranti. “Uno: ci troviamo di fronte a un attacco di ignoti. Due: sono in grado di realizzare effetti speciali impossibili. Tre: possono mobilitare una potenza di calcolo inaudita. Quattro: le loro motivazioni ci sono sconosciute… Obiettivo dei terroristi era quello di annientare il mondo come lui lo conosceva, non poteva dargli affatto torto”. A meditare è un uomo malato, un uomo cattivo: il protagonista Paul Raison, “confidente” del ministro dell’Economia Bruno Juge, minacciato dagli hacker e in procinto di candidarsi all’Eliseo (in ticket con l’aspirante premier Sarfati, brillante volto della tv) contro l’ascesa della destra estrema del Rassemblement National. Paul si ritrova così a collaborare con la Dgsi, la Direzione generale per la sicurezza informatica, fondata anni prima da suo padre. E qui si apre la microstoria, la saga familiare dei Raison e il dramma personale del primogenito Paul, in crisi con la moglie Prudence con cui vive da separato in casa senza sfiorarla da dieci anni; lei è vegana ed ecologista, lui dissoluto e menefreghista: “La spartizione del frigo era la cosa che simboleggiava meglio il deterioramento della loro coppia”.
Non se la passano bene nemmeno gli altri membri della famiglia: il padre, dopo un ictus, è in stato di semi-infermità, maltrattato in una Rsa, mentre la madre è morta da anni; la sorella Cécile, bellissima quanto pia e ordinaria, si accontenta di una vita ai margini, tra sussidi e lavori sottopagati; il fratello Aurélien tira a campare con l’alcol e i restauri, schiavizzato dalla moglie e dal figlio (nero), concepito con una maternità surrogata… Gli anziani muoiono, i figli si ammalano, i nipoti si prostituiscono, i matrimoni sono perlopiù annoiati e sulla via del divorzio, ma “sui problemi di coppia degli altri non si può dire né fare nulla, sono un luogo segreto dove nessuno può entrare”.
Il menù è ricco, forse troppo, tra spy story, inserti onirici, epopea generazionale, dramma coniugale, tragedia privata e provata dalla malattia mortale, con condimento solito di inserti filosofico-esistenziali, citazioni d’autore e improbabili congetture sui numeri primi quando non tornano neppure i calcoli ordinari (ad esempio, la madre muore dieci anni prima, poi però otto; il padre ha 77 anni ed è nato nel 1952, ma siamo alla vigilia del 2026… boh). I nodi delle trame non vengono tutti al pettine e sono troppi, alla fine, i fili che non portano da nessuna parte. Senza contare i contemporaneismi amati da Michel (trans, Zemmour, Greta Thunberg, i masterchef, le startup…) e i suoi inscalfibili topoi: alcol; salumi e formaggi; psicofarmaci; qualche “cazzo”, “fica”, “tette”, “culo” e prostitute, ma con morigeratezza, pallida eco del già scrittore di orge con i cani. “Ma forse sono i francesi in genere a essere tristi… tutta la vita, rifletteva, è più o meno un fine vita”.
Via via più intimista, verso la fine del torrenziale romanzo – 700 e tot pagine – si scopre che Paul ha gravi problemi alle gengive, come Houellebecq che, con i denti, pare aver perso anche il mordente, la cattiveria, lo humour nero. O forse si invecchia, semplicemente, e ci si rassegna alla caldaia rotta e alle mogli che fanno yoga e credono nella wicca, una nuova religione panteista, animista e ambientalista, con pericolose analogie con gli adepti del cyber-terrorismo: “Alcuni ideologi della deep ecology predicano l’estinzione dell’umanità perché pensano che la specie umana sia definitivamente irrecuperabile, pericolosa per la sopravvivenza del pianeta… La Church of Euthanasia proclama che i quattro pilastri del loro movimento sono il suicidio, l’aborto, il cannibalismo e la sodomia”. Oppure i misteriosi terroristi del web sono “anarcoprimitivisti… col progetto di riportare l’umanità al livello del Paleolitico medio”? O ancora “ecofascisti”, affascinati dalla magia demoniaca e dalla simbologia satanica?… Poco importa, tanto nessuno crede più nella democrazia, nemmeno il capo di Paul, un politico e ministro serio, onesto e scrupoloso: “Si va verso una post-democrazia, come negli Stati Uniti”.
Non manca neppure Dio tra gli invitati al gran galà, ovviamente fuori luogo tra così tanti misantropi: “L’uomo è solo e Dio non può farci granché, o almeno non dà l’impressione di preoccuparsene… Gli uomini si sforzano di mantenere rapporti sociali, e persino rapporti di amicizia, che non gli servono quasi a niente, è un tratto alquanto commovente della loro natura”. E allora, anche i ringraziamenti non lasciano spazio a grandi speranze, nonostante la dissimulazione autoriale: “Sono giunto per fortuna a una conclusione positiva; è il momento di fermarmi”. È un congedo dal libro o dalla letteratura? In ogni caso, sarà la realtà ad adeguarsi alla fiction, non viceversa.
Tributo della Camera a ex consigliere Burzi
La Cameraha reso omaggio con un lungo applauso alla memoria di Angelo Burzi, l’ex assessore regionale della Giunta piemontese e dirigente di Forza Italia, che si è suicidato nella sua abitazione la notte di Natale, dopo la recente condanna in Appello per peculato nell’inchiesta Rimborsopoli. I giudici hanno accertato come Burzi abbia incassato dalla Regione Piemonte oltre 10 mila euro per pasti al ristorante “in periodi di vacanza o quando non era presente”. Diversi politici di centrodestra hanno cavalcato la tragica scomparsa di Burzi per parlare di “accanimento giudiziario”. “È chiaro che non è giusto un processo che dura 8 anni”, ha detto il presidente vicario del Tribunale di Milano Fabio Roia.
Bimbi contesi, 70 finiti all’estero come Eitan Crescono femminicidi e minacce ai cronisti
Quello del piccolo Eitan non è un caso isolato. Sono 71 le indagini in corso in tutta Italia sulle cosiddette “sottrazioni di minori”, bambini portati all’estero da uno dei due genitori o da altri familiari. Un dato cresciuto del 14% nel giro di 12 mesi, secondo il dipartimento della Pubblica sicurezza del Viminale, che ieri ha presentato i dati su sicurezza e criminalità del 2021. Il direttore centrale della Polizia criminale, Vittorio Rizzi, ha fatto proprio l’esempio del bimbo di 5 anni conteso dalle famiglie dei genitori deceduti nel disastro della funivia del Mottarone. Nel dossier del Viminale spazio ai numeri sulle intimidazioni a sindaci e giornalisti. Nei primi 9 mesi dell’anno le minacce ai cronisti sono cresciute del 21%, con ben 156 casi, di cui la metà sono avvenuti online. Per quanto riguarda gli amministratori locali, invece, la crescita del fenomeno sfiora il 17%, tocca quota 541 e per una buona metà i destinatari delle minacce sono i sindaci delle grandi città. Fari puntati anche sugli appalti. Il Viminale ha prodotto alle prefetture italiane 194 segnalazioni di criticità nei confronti di altrettante persone, con oltre 1.000 approfondimenti richiesti e oltre 29 mila interrogazioni alle banche dati. Con la pandemia, poi, crescono del 30,5% i reati informatici, attraverso phishing, spyware, ransomware (su tutti il caso della Regione Lazio) e social engineering. Ci sono ovviamente anche le “vecchie” truffe, messe a segno nel 65,9% dei casi via web.
Capitolo a parte quello dei femminicidi. Nel 2021 sono state uccise 116 donne, erano 110 nel 2019. Delle 116 vittime del 2021, in 100 sono morte in ambito familiare o affettivo, e di queste ultime 68 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner. In totale, gli omicidi nel 2021 sono stati 289, e sono 4 in più rispetto al 2020. Poi c’è la violenza sulle donne in generale. Ieri il procuratore di Tivoli, Francesco Menditto, tra i primi in Italia ad applicare il codice rosso, ha parlato di un “difetto di coordinamento” nelle nuove norme della riforma del processo penale, che rischia di rimettere in libertà – dopo il giudizio per direttissima – persone fermate in flagranza di reato, compresi i casi di indagati per violenza contro le donne sorpresi a violare il divieto di avvicinamento. Menditto ieri ha comunicato di aver richiesto e ottenuto l’immediato arresto per due indagati per stalking e maltrattamenti, appena liberati dopo il rito rapido.