Hanno vinto i camalli: i generatori sauditi andranno in un altro porto

I camalli genovesi hanno vinto: i generatori destinati alla Guardia nazionale saudita saranno trasferiti dal porto via terra, per essere caricati altrove, presumibilmente all’estero. Si tratta dei macchinari lasciati a terra dai portuali un mese fa per protestare contro la vendita di armi all’Arabia, protagonista della guerra nello Yemen. Dopo quell’episodio l’azienda produttrice, la romana Teknel, in un vertice in Autorità Portuale sostenne la natura civile del materiale e che la Guardia Nazionale sia un ente di protezione civile.

Il Collettivo autonomo lavoratori portuali e l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza hanno però dimostrato non solo che la Guardia Nazionale fa parte delle forze armate saudite, ma soprattutto che i generatori in questione sono parte di una commessa autorizzata dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, l’organo interministeriale di supervisione della legge 185 che disciplina esportazione e transito d’armi dall’Italia. Qui sta il punto: secondo organizzazioni pacifiste e portuali, il governo, stante la situazione yemenita riconosciuta anche da Consiglio dell’Ue e Parlamento europeo, e il ruolo saudita attestato da più fonti, potrebbe e dovrebbe sospendere l’invio di ogni tipo di materiali d’armamento alla coalizione miliare capeggiata dall’Arabia Saudita. Da qui l’iniziativa della Cgil genovese che, come un mese fa, per sensibilizzare esecutivo e Parlamento, ieri ha chiamato all’astensione dal lavoro i portuali che stamattina avrebbero dovuto caricare i generatori sulla nave araba Bahri Jazan, in rotta verso Genova.

Dopo una giornata di tensione, con un presidio pacifista sotto l’Autorità Portuale e reparti di polizia schierati a ridosso della banchina d’imbarco (“per ordinarie funzioni di vigilanza” ha precisato la Questura), nel tardo pomeriggio la Teknel ha mollato il colpo, optando per il trasferimento dei generatori ad altro porto. Non senza polemiche verso le “autorità competenti”, incapaci di dare “garanzie sulla effettiva operatività” dei moli genovesi per un “carico dotato di tutte le autorizzazioni di legge”.

Sampdoria, chiesto il processo per Ferrero “Viperetta”, la figlia, il nipote e i soci

Rischio processo per il patron della Sampdoria, Massimo Ferrero. La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per lui e altre quattro persone nell’ambito dell’indagine che nel novembre scorso portò a una serie di sequestri per circa 2,6 milioni di euro, poi parzialmente annullato dal Tribunale del Riesame. Nei confronti di “Viperetta” le accuse sono di appropriazione indebita, autoriciclaggio e utilizzo di fatture false. A rischiare il processo anche la figlia dell’imprenditore, Vanessa e il nipote Giorgio oltreché due manager, Marco Valerio Guercini e Andrea Diamanti. L’udienza davanti al gup è fissata al prossimo 20 settembre. Nella richiesta di rinvio a giudizio i pm scrivono che Ferrero e la figlia “ per procurare alla società Vici srl un ingiusto profitto, si appropriavano indebitamente di parte delle somme accreditate con bonifico estero” per la vendita il 17 giugno 2015 del calciatore Pedro Obiang, per oltre un milione di euro.

Caltagirone sceglie Salvini. Inizia la corsa al dopo Raggi

Il terzo anniversario di Virginia Raggi in Campidoglio segna una decisa rottura nel rapporto tra la prima cittadina M5S e il Messaggero, il principale quotidiano cittadino. Il giornale fa parte della galassia imprenditoriale di Francesco Gaetano Caltagirone, da quarant’anni Re del mattone in città con partecipazioni nei media, in Acea – la multiutility di acqua, energia e rifiuti al 51% del Campidoglio – MetroC e Grandi Stazioni.

Una cesura tanto netta nei toni, con un editoriale in prima pagina a firma del direttore Virman Cusenza che parla di “sindaca incapace” e la invita senza giri di parole a “passare la mano in un sussulto di responsabilità” da lasciare aperti alcuni interrogativi. Finora, infatti, al netto della normale dialettica tra un giornale tanto radicato in città e la giunta, le scelte comunicative della Raggi avevano spesso premiato con anticipazioni e notizie proprio il quotidiano di via del Tritone. E il dibattito sulla valutazione dei tre anni di mandato della sindaca si era già aperto da giorni sulle pagine locali dei quotidiani e sulle agenzie di stampa, con ogni testata che aveva tratto le proprie valutazioni senza però mai arrivare a chiedere alla sindaca di farsi da parte.

Così la pesante bocciatura del Messaggero potrebbe essere letta, tra le righe, anche come un’indicazione di preferenza nel futuro prossimo per altre forze politiche in Campidoglio. Scelta legittima, qualora fosse così, da parte di un imprenditore privato. A colpire però è la “consonanza” di alcune battaglie con la ricetta per la città proposta negli ultimi mesi per Roma dalla Lega di Salvini, che alle ultime Europee è arrivata in città per la prima volta oltre il 25%, secondo partito, conquistando quelle periferie che tre anni fa avevano premiato il M5S.

Tre i cavalli di battaglia del vicepremier leghista per Roma: termovalorizzatori per smaltire i rifiuti, sgombero delle occupazioni a scopo abitativo e poteri speciali per la città. Ieri naturalmente Salvini non ha perso l’occasione per ribadire: “Roma merita di più, ci saremmo aspettati risultati migliori dall’attuale giunta, che invece nega perfino il taser ai vigili. Stiamo lavorando per un programma alternativo”. A breve la Lega presenterà le sue proposte per la città.

Sarà un caso, ma nel video editoriale sul sito del quotidiano, parlando di rifiuti, Cusenza afferma: “C’è un approccio culturalmente sbagliato dal punto di vista industriale, Roma ha ridotto gli impianti da quando la Raggi è sindaco. C’è un approccio ideologico alla soluzione dei problemi, i termovalorizzatori sono visti come i nemici del bene pubblico”. È vero, gli impianti sono diminuiti ma perché uno, il Tmb Salario, lo scorso dicembre è andato a fuoco e la Procura sta ancora indagando.

I problemi, a partire dai servizi di scarsa qualità e ad alto costo offerti dal Campidoglio per trasporto, rifiuti e decoro sono sotto gli occhi di tutti. Ma la sottolineatura del quotidiano su Acea, “gioiello dai conti floridi” come “riprova che la cura e il controllo dei privati giova”, fa riaffiorare il dubbio che il “dibattito sulle sette piaghe” della città aperto dal quotidiano oltreché un interesse pubblico ne possa forse contenere anche uno privato.

Il vicepremier Luigi Di Maio tace. Tocca al capogruppo al Senato Stefano Patuanelli rispondere al Messaggero: “I problemi della Capitale, che con immense difficoltà Virginia Raggi e la sua squadra stanno cercando di risolvere, trovano il proprio responsabile in quei partiti e in quei politici che il giornale di Caltagirone ha sostenuto per anni”. E Alessandro Di Battista: “La sosterrò sempre, mi auguro che questi ultimi due anni siano migliori”.

La storia è ovunque altro che abolita

Tanta storia. Forse persino troppa: la prima Maturità che, in teoria, avrebbe dovuto esserne priva per l’abolizione del tema storico finisce per averne come non mai in passato. Dopo mesi di polemiche e petizioni contro la riforma dell’esame di Stato (avviata in realtà dal precedente esecutivo di Renzi), grande sorpresa: ieri mattina i maturandi italiani si sono ritrovati davanti una traccia esplicitamente storica (quella sull’eredità del Novecento), più un’altra riconducibile alla stessa materia (quella su Bartali e il rapporto tra sport e storia). A giudizio degli esperti c’è stato addirittura un eccesso di ripetitività (altre due tracce erano sulla mafia). Sarà stato per senso di colpa del ministero, per la voglia di rispondere agli attacchi o per puro caso, ma nozioni più o meno marcate di storia erano presenti praticamente nella metà delle tracce a disposizione degli studenti. Che poi, come spesso in passato, hanno rivolto altrove le proprie attenzioni: il 30% dei ragazzi si è rifugiato nella traccia sull’illusione della conoscenza e sull’uso improprio della tecnologia, mentre quello sul Novecento è stato il tema meno scelto di tutti (8%).

Prima prova. Dalla poesia alla cronaca

Ieri è stato il giorno della prima prova dell’esame di maturità: 520 mila studenti hanno affrontato le sette tracce di Italiano. L’analisi del testo letterario (Tipologia A) vedeva la scelta fra una poesia di Ungaretti, “Risvegli” – sull’orrore della guerra –, e un brano di Sciascia da “Il giorno della civetta”, sulla lotta alla mafia. I ragazzi che invece hanno scelto di cimentarsi con la nuova Tipologia B, il testo argomentativo, hanno dovuto convincere i commissari prendendo spunto da brani di Montanari – “Istruzioni per l’uso del futuro”, sul rapporto fra patrimonio culturale e democrazia –, di Sloman e Fernbach (“L’illusione della conoscenza”, la più scelta, svolta da oltre il 30% degli studenti), o di Stajano sulla “Cultura italiana del 900”. Infine, i temi di attualità della Tipologia C, su storia e sport: uno dedicato al generale Dalla Chiesa, martire dello Stato, e l’altro a Bartali, eroe nel ciclismo e Giusto tra le nazioni.

 

Il passato e il futuro: siamo custodi, non padroni del tempo

Il brano del mio libro Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale la democrazia che verrà (Minimum fax 2014) che è stato scelto (con mia grande sorpresa e confusione!) per la proposta B1 nella prova inaugurale della maturità 2019 ha al centro un’idea: conoscere il passato significa mettere in gioco tutte le nostre idee sul presente, e trovare una nuova prospettiva per costruire un futuro diverso. È un’idea controcorrente: le politiche culturali attuali (si pensi alla riforma Franceschini, e all’industria mainstream della divulgazione) cercano di attualizzare il passato. Lo trasformano in uno specchio del nostro presente: la nostra allergia a ogni diversità ci spinge a evitare ogni confronto con ciò che non ci assomiglia. Eppure è proprio lì che potremmo attingere le forze e la fantasia per costruire un futuro che sia diverso dalla prosecuzione del presente. Si pensi all’idea che i musei del passato debbano ospitare le sfilate di moda: accogliendo gli stessi abiti delle vetrine delle strade dei ricchi, andiamo ancora una volta a guardarci allo specchio. E invece la traccia insisteva sul senso del tempo: sul nostro essere relativi e non assoluti. Custodi e non padroni. Una lezione che impariamo appena entriamo in quel palinsesto di vite e storie diverse che è il patrimonio culturale. Non sorprendentemente sono state tagliate le righe che contenevano la galleria dei modelli negativi: “Per questo è importante contrastare l’incessante processo che trasforma il passato in un intrattenimento fantasy antirazionalista: dal Codice da Vinci a trasmissioni come Voyager, passando per un’ampia quota delle Grandi Mostre e attraverso le cosiddette pagine culturali dei massimi quotidiani italiani”. Immagino però che questi, e molti altri esempi, siano tornati nello svolgimento dei temi. E spero che siano stati numerosi quelli che hanno respinto e contrastato le mie tesi, con argomenti cui magari non avevo pensato: perché ciò che davvero si deve imparare a scuola è il pensiero critico. Verso tutto: a partire dalle tracce della maturità.
Tomaso Montanari

 

Il dono più grande per mio padre: lo Stato che fa memoria

Quel che è accaduto ieri con i temi della maturità ha qualcosa di imprevedibile e di grande. A distanza di quasi 38 anni da quel 3 settembre del 1982 a Palermo lo Stato ha pienamente riconosciuto la figura del generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa come parte del suo patrimonio storico e civile. La memoria ha sconfitto l’oblio e anche le tante manipolazioni che hanno provato a scempiarla. È stata una scelta di campo definitiva, che liquida le diffidenze verso un personaggio che si rivelò scomodo per il potere e che per questo si ritrovò isolato. E che ha pagato, da morto, il fastidio suscitato presso i simpatizzanti della cultura mafiosa ma anche presso gli eredi della sinistra più ambigua verso il terrorismo. Tuttora oggetto di campagne diffamatorie da parte di politici spregiudicati, presunti esperti (ahinoi) del “caso Moro”.

Difficile dire che cosa i ragazzi sapessero di lui, nel momento in cui sono stati chiamati a scegliere tra le tracce possibili quella che lo riguardava. Ci ha però pensato il ministero a farglielo sapere. E gli va riconosciuto. La riproduzione di un discorso commemorativo tenuto a Parma da parte del prefetto Diana, offerto come base per la riflessione, ha messo infatti a disposizione degli studenti il materiale sufficiente per riflettere e scrivere. Il coraggio, la lotta contro la mafia, il sacrificio, il ruolo istituzionale aperto a studenti operai e cittadini, hanno comunque rappresentato di prima mattina agli occhi dei giovani lo Stato ideale. Sinceramente penso che a mio padre non potesse esser fatto dono più grande: diventare materia di una prova di italiano da parte degli studenti nel momento più alto della loro vita scolastica, lui che, primo prefetto nella storia d’Italia, decise di andare a parlare di mafia nelle scuole, e che sulla scuola (e sui giovani) scommise. Lo Stato che fa fare temi sulla mafia, lo Stato che fa memoria, lo Stato che onora chi per la democrazia si è immolato. Si può dire quel che si vuole ma è successo. E rende più leggeri.
Nando dalla Chiesa

 

La traccia su Gino Bartali è nobile, ma fuori contesto

Quest’anno i ragazzi degli esami di maturità sono stati fortunati nel ricevere proposte (in gergo “tracce”) nobili e intelligenti dal punto di vista dell’argomento. Meno dal modo in cui certi argomenti sono narrati: un mare di parole che non riescono a dirci dove siamo, con chi siamo, in che tempo siamo, chi sono “i Giusti” e chi i perseguitati. Chi mi legge non è un maturando e perciò conosce il comportamento eroico di Gino Bartali, campione sportivo del ciclismo italiano, dunque favorito dalla celebrità e messo in pericolo dall’essere così conosciuto. Bartali nascondeva nei tubi delle sue bici documenti che avrebbe recapitato a famiglie ebree (perseguitate e condannate a morte, bambini inclusi), documenti che le avrebbero salvate. Nella “traccia” si celebra l’importanza, la generosità del gesto e si racconta che rischio correva l’eroico ciclista. Manca una notizia importante: perché e da chi erano perseguitati, fino alla deportazione e alla morte, gli ebrei italiani che Bartali andava a salvare pedalando di giorno e di notte per centinaia di chilometri? Non sarà stato il governo e il regime fascista? La “traccia” non lo dice. È come se Bartali fosse andato in soccorso dei terremotati. Ma anche il secondo messaggio va perduto: la forza e la decisione di non obbedire a leggi folli e ingiuste. Il più mite dei cittadini, un religioso padre di famiglia come Gino Bartali, ha violato tutte le leggi e i regolamenti del tempo per salvare persone. Le persone erano tante e lui non si è fermato mai, fino alla distruzione del fascismo e del pericolo mortale e immorale che il fascismo rappresentava. Gli ebrei perseguitati erano cittadini italiani, come tutti. Bella e nobile, “la traccia Bartali” poteva essere ricca di notizie del nostro passato. Spero non sia stata scelta dagli studenti a cui nessuno (a scuola o a casa) ha insegnato la nostra storia. Senza il senso della storia, del fascismo, del razzismo, delle persecuzioni razziali e del coraggio, raro per chi era al sicuro, di opporsi e salvare rischiando la vita, ti resta l’elogio per un bravo campione sportivo che faceva molto allenamento.
Furio Colombo

CasaPound, chiesti da 6 a 8 anni di carcere “Caccia al compagno”

La condannapiù severa è stata chiesta per Enrico Tarantino, 8 anni. Per Emanuela Florino, figlia di un ex parlamentare missino e candidata alle ultime elezioni politiche ed europee, sono stati chiesti 6 anni. Stessa pena, 6 anni, è stata chiesta per Giuseppe Savuto, candidato alle ultime elezioni politiche, ritenuto uno dei capi dell’ala militare del sodalizio finito nelle carte di un’ordinanza cautelare del 2013 frutto di indagini dei carabinieri del Ros. Ed ora dopo circa tre anni di udienze, volge al termine il processo nei confronti di 34 attivisti di Casapound, con accuse di associazione sovversiva e banda armata, in corso di svolgimento davanti alla seconda corte di Assise di Napoli presieduta dal giudice Alfonso Barbarano. “Ci siamo trovati di fronte a un gruppo criminale che in un determinato momento storico del nostro Paese ha fatto della ‘caccia al compagno’ l’espressione della sua ideologia, concretizzatasi tra il 2010 e il 2011 in varie azioni violente”, ha detto nel corso della requisitoria il pm di Napoli Catello Maresca, che ha chiesto pene tra gli otto anni e un anno di reclusione.

Spintonata anche una donna: “Il tuo ex deve stare calmo”

Lesioni aggravate e violenza privata. Con queste accuse i carabinieri hanno denunciato all’autorità giudiziaria Alex Muratori (23 anni), Stefano Borgese (38 anni), Marco Ciurleo (23 anni) e Matteo Vargiu (23 anni), i quattro presunti aggressori che sabato notte hanno picchiato, nel rione romano di Trastevere, un gruppo di ragazzi fra i 19 e i 21 anni con indosso la maglietta del Cinema America. Sebbene tutti collegati agli ambienti di estrema destra, solo due, Ciurleo e Muratori, risultano militanti del Blocco Studentesco, il movimento giovanile di CasaPound, che fornirà loro un legale di fiducia.

Dalle indagini dei carabinieri e della Digos, è emerso che i giovani, una decina in tutto, erano a Trastevere per partecipare all’addio al celibato di Borgese. “Sarebbe lui il fomentatore della violenza”, spiegano dalla Questura di Roma. A sferrare la testata al giovane David Habib, invece, sarebbe stato Ciurleo, con precedenti per danneggiamento, interruzione di pubblico servizio e resistenza a pubblico ufficiale. Matteo Vargiu, sottoposto a Daspo, per gli investigatori avrebbe invece colpito con una bottigliata Valerio Colantoni.

Intanto ieri è stato denunciato un nuovo episodio, sempre ai danni di un esponente dell’Associazione Piccolo America. Un’aggressione verbale, seguita da una spinta, ai danni di una giovane attrice e volontaria di piazza San Cosimato, fra l’altro ex fidanzata del patron della kermesse Valerio Carocci. Alcuni sconosciuti avrebbero insultato la ragazza, intimandole di fare “stare tranquillo il tuo ex”, parole cui poi è seguita una spinta che ha catapultato la giovane addosso a un’auto parcheggiata, provocandole un’escoriazione. Sul caso indaga la Digos, anche se al momento delle verifiche in Questura non risultavano ancora denunce formali. Oggi, a Montecitorio, sit-in di solidarietà dei parlamentari M5S”.

“La destra vince con i violenti, a sinistra solo buoni propositi”

“Mi sembra che la situazione sia semplice: da un lato c’è una destra prepotentemente vincente, dall’altro una sinistra con buoni propositi”. Reduce dal successo al botteghino del suo Il Traditore (dopo Cannes, oltre quattro milioni di incassi e pellicola già venduta in 68 Paesi, America compresa), Marco Bellocchio è stato in piazza San Cosimato, per la proiezione di Ultimo tango a Parigi, ieri sera, poche ore dopo la notizia della seconda aggressione ai danni di una ragazza del Cinema America. “Di’ al tuo ragazzo di stare calmo”, avrebbero detto in due all’ex fidanzata del presidente dell’associazione Piccolo America, Valerio Carocci. “È ovvio solidarizzare con loro, senza bisogno di mitizzarli troppo”, sostiene il regista.

Bellocchio, cosa sta succedendo in Italia secondo lei?

Da cittadino, da uno che s’informa leggendo i giornali, non avendo tessere di partito, l’analisi mi sembra chiara: vedo una destra vincente che aggrega tutta una serie di forze di estrema destra. Un tempo c’era l’antifascismo di Bossi, adesso c’è una Lega che integra: è la novità di quel partito. L’estrema destra vota per Salvini e per Fratelli d’Italia, che non dico garantiscano l’impunità ai violenti, ma almeno la protezione. E poi gli italiani dicono di aver paura.

Paura? Di che cosa?

Ovviamente parlo di una maggioranza relativa di persone, quelle che votano Lega e che si sentono protette dal volto e dalle parole di Salvini. La paura sta nella percezione, non certo nei fatti. Anche se i furti diminuiscono, il rischio dell’invasione straniera non esiste, anzi gli immigrati portano ricchezza, questi italiani preferiscono affidarsi a chi dice: noi vi difendiamo. Un messaggio che penetra nelle coscienze.

Colpa degli italiani, quindi?

Tutti noi abbiamo paura di qualcosa, è normale. Il brutto è cavalcare questa paura, approfittarne, gestirla. Pensate a cosa è accaduto a tanti cattolici che si sono schierati con Salvini, nonostante il messaggio del papa vada in direzione opposta.

Esistono ancora gli anticorpi?

La sinistra, ammesso che il Partito democratico sia di sinistra, si deve ancora riprendere. È assurdo pensare di aspettare che “gli altri” falliscano, è una dimensione passiva, rinunciataria. “Aspettiamo la Finanziaria e allora…” e allora che?

Però il Pd si è rinnovato.

La nuova segreteria è meglio della precedente, ma siamo ancora ai buoni propositi. L’idea di tornare verso il popolo, verso la base, nelle fabbriche, come in passato Berlinguer, è poco credibile. Non voglio dire che l’immagine del Pd sia sempre quella dei radical chic, però vedere loro davanti ai cancelli sarebbe inutile. Salvini è enormemente più penetrante e a modo suo c’è riuscito anche il Movimento 5 Stelle, nella chiave dell’aiuto ai poveri e dell’assistenza. Il Pd dovrebbe trovare soluzioni, oltre ai propositi, facendo enormi sforzi.

Crede che a Roma si stia vivendo un momento di tensione particolare?

Quelli di CasaPound sono violenti, hanno tentato di impedire a una famiglia rom di entrare nell’appartamento modestissimo, in periferia, che le era stato legittimamente assegnato. E invece lo Stato non ha la forza di farli uscire dal palazzo occupato, nonostante siano anche morosi. Lo dice ma non lo fa. È un momento in cui le destre sono prepotentemente vincenti.

Vi ricordate di Guaidó? Ecco, potete dimenticarlo

Sic transit, si sa, è storia nota. Per evitare, però, che il lettore sprechi memoria per ricordare cose o nomi che non servono più, questa rubrica avanza un avviso di cancellazione per Juan Guaidó. Riassunto: Guaidó è il tizio che l’Assemblea nazionale venezuelana a gennaio proclamò presidente ad interim dichiarando illegittimo Nicolas Maduro; Guaidó – benedetto dai meglio golpisti di Washington e Miami – in un mese avrebbe dovuto portare il Venezuela alle elezioni grazie alla rivolta dell’esercito contro la “dittatura” chavista. Questo mese dura da 180 giorni, il golpe (per ora) è passato di moda e Guaidó con lui. Il problema ora è rimuoverlo senza dare nell’occhio. E veniamo all’oggi. Qualche giorno fa il PanAm Post – un giornale di destra di Miami (particolare non secondario) – ha svelato che alcuni membri dello staff del Signor interim e del suo partito hanno sperperato in lussi sibaritici e gentili signorine centinaia di migliaia di dollari raccolti per alloggiare in Colombia i disertori venezuelani (circa 700) e aiutare la popolazione alla fame. A corredo dello scoop del giornale degli amici degli amici, è arrivato il commento del segretario dell’Organizzazione degli Stati americani, Luis Almagro (caro al Pentagono): serve subito un’inchiesta approfondita sui soldi sottratti dallo staff di Guaidò, “non c’è democratizzazione possibile sotto l’opacità della corruzione”. Il povero Juan, insomma, è già il passato: a tempo debito si saprà il nome del prossimo eroe della democrazia, per ora vi basti dimenticare quello vecchio.

Mittelfest porta in scena i leader, dall’Eroica a Cesare

Viviamo anni in cui piace il leader forte. È diffusa la fascinazione di massa dell’uomo solo al comando, che snobba i corpi intermedi (partiti, chiese, sindacati…) e parla direttamente al popolo, anzi alla gente. Bene ha fatto allora Haris Pašovi – il pluripremiato regista di teatro e cinema originario di Sarajevo, al suo secondo anno come direttore artistico del Mittelfest di Cividale del Friuli – a scegliere “Leadership” come tema dell’edizione 2019 del più internazionale tra i festival che si tengono in Italia. Il Mittelfest ha sempre portato a Cividale la cultura che si forma e cresce nell’Europa centrale e balcanica. E ha sempre mescolato i generi, teatro e musica, danza e arte. Quest’anno Pašovi ha deciso di formare il programma della manifestazione attorno alla parola-chiave “leadership”, declinata nella cultura e nell’arte, ma anche nell’economia e nella politica.

“Con gli smartphone in mano abbiamo la sensazione di controllare la vita”, dice Pašovi. “Poi ci capita di scoprire che siamo invece controllati. Molte operazioni vengono fatte in Internet da persone che influenzano la nostra esistenza”. La Rete: occasione di diffusione delle decisioni e delle culture, però anche, al contrario, di centralizzazione del comando. Sviluppo della democrazia dal basso ma, nello stesso tempo, pericolo di controllo. “Ci sono poi le forme tradizionali di leadership”, continua Pašovi, “che si dimostra necessaria non solo nella politica, ma anche nella società, negli affari, nelle arti, nella scienza, nella famiglia, persino nelle relazioni amorose”. Ebbene: “Che cosa impedisce alla leadership di diventare dittatura? C’è differenza tra la leadership maschile e femminile? Quali sono le qualità di un buon leader?”.

Sono le domande che il Mittelfest 2019 esplorerà dal 12 al 21 luglio, offrendo, più che risposte teoriche, suggestioni artistiche. Presenterà 29 progetti di spettacolo provenienti da dodici Paesi, sette prime assolute, dodici prime italiane. Paese ospite d’onore: la Grecia, a cui saranno dedicati due forum per raccontare la ripresa dopo la crisi, che può partire dalla cultura. “Una vera Unione europea non può reggersi esclusivamente sulla base di logiche economiche e finanziarie”, dice il presidente di Mittelfest Federico Rossi, “ma deve considerare pure i contributi storici di arte, cultura, idee e valori. In un momento storico tanto travagliato per il futuro dell’Europa, l’arte e la cultura sono l’humus senza il quale non sarà possibile alcuna rinascita, che dovrà essere fecondata da memoria e immaginazione”.

Il 12 luglio a inaugurare il Mittelfest sarà il concerto Leader, con musiche di Beethoven eseguite dall’ungherese Savaria Symphony Orchestra diretta da Marco Feruglio, con in prima fila l’armeno Sergej Khachatryan, vero “leader” del violino. Ascolteremo l’Eroica, inizialmente dedicata al “leader” Napoleone da Beethoven, che poi ritirò la dedica quando il generale della Rivoluzione divenne tiranno, e il Coriolano, ispirata alla figura drammatica di un altro “leader” della Roma antica. A Giulio Cesare è dedicato lo spettacolo del maggiore maestro italiano nel teatro di ricerca, Romeo Castellucci. Prima assoluta dello spettacolo L’infinito tra parentesi, del giallista e chimico Marco Malvaldi che debutta a teatro mettendo in scena la contesa per la leadership tra scienza e cultura umanistica. Prima nazionale del Tamburo di Latta / The Tin Drum di Günter Grass, portato in scena dal Berliner Ensemble. Musica folk e balcanica, con inserti klezmer, atmosfere orientali, jazz e reggae, della slovacca Pressburger Klezmer Band. E tanto altro, a Cividale del Friuli, Mitteleuropa.