Ieri è stato il giorno della prima prova dell’esame di maturità: 520 mila studenti hanno affrontato le sette tracce di Italiano. L’analisi del testo letterario (Tipologia A) vedeva la scelta fra una poesia di Ungaretti, “Risvegli” – sull’orrore della guerra –, e un brano di Sciascia da “Il giorno della civetta”, sulla lotta alla mafia. I ragazzi che invece hanno scelto di cimentarsi con la nuova Tipologia B, il testo argomentativo, hanno dovuto convincere i commissari prendendo spunto da brani di Montanari – “Istruzioni per l’uso del futuro”, sul rapporto fra patrimonio culturale e democrazia –, di Sloman e Fernbach (“L’illusione della conoscenza”, la più scelta, svolta da oltre il 30% degli studenti), o di Stajano sulla “Cultura italiana del 900”. Infine, i temi di attualità della Tipologia C, su storia e sport: uno dedicato al generale Dalla Chiesa, martire dello Stato, e l’altro a Bartali, eroe nel ciclismo e Giusto tra le nazioni.
Il passato e il futuro: siamo custodi, non padroni del tempo
Il brano del mio libro Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale la democrazia che verrà (Minimum fax 2014) che è stato scelto (con mia grande sorpresa e confusione!) per la proposta B1 nella prova inaugurale della maturità 2019 ha al centro un’idea: conoscere il passato significa mettere in gioco tutte le nostre idee sul presente, e trovare una nuova prospettiva per costruire un futuro diverso. È un’idea controcorrente: le politiche culturali attuali (si pensi alla riforma Franceschini, e all’industria mainstream della divulgazione) cercano di attualizzare il passato. Lo trasformano in uno specchio del nostro presente: la nostra allergia a ogni diversità ci spinge a evitare ogni confronto con ciò che non ci assomiglia. Eppure è proprio lì che potremmo attingere le forze e la fantasia per costruire un futuro che sia diverso dalla prosecuzione del presente. Si pensi all’idea che i musei del passato debbano ospitare le sfilate di moda: accogliendo gli stessi abiti delle vetrine delle strade dei ricchi, andiamo ancora una volta a guardarci allo specchio. E invece la traccia insisteva sul senso del tempo: sul nostro essere relativi e non assoluti. Custodi e non padroni. Una lezione che impariamo appena entriamo in quel palinsesto di vite e storie diverse che è il patrimonio culturale. Non sorprendentemente sono state tagliate le righe che contenevano la galleria dei modelli negativi: “Per questo è importante contrastare l’incessante processo che trasforma il passato in un intrattenimento fantasy antirazionalista: dal Codice da Vinci a trasmissioni come Voyager, passando per un’ampia quota delle Grandi Mostre e attraverso le cosiddette pagine culturali dei massimi quotidiani italiani”. Immagino però che questi, e molti altri esempi, siano tornati nello svolgimento dei temi. E spero che siano stati numerosi quelli che hanno respinto e contrastato le mie tesi, con argomenti cui magari non avevo pensato: perché ciò che davvero si deve imparare a scuola è il pensiero critico. Verso tutto: a partire dalle tracce della maturità.
Tomaso Montanari
Il dono più grande per mio padre: lo Stato che fa memoria
Quel che è accaduto ieri con i temi della maturità ha qualcosa di imprevedibile e di grande. A distanza di quasi 38 anni da quel 3 settembre del 1982 a Palermo lo Stato ha pienamente riconosciuto la figura del generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa come parte del suo patrimonio storico e civile. La memoria ha sconfitto l’oblio e anche le tante manipolazioni che hanno provato a scempiarla. È stata una scelta di campo definitiva, che liquida le diffidenze verso un personaggio che si rivelò scomodo per il potere e che per questo si ritrovò isolato. E che ha pagato, da morto, il fastidio suscitato presso i simpatizzanti della cultura mafiosa ma anche presso gli eredi della sinistra più ambigua verso il terrorismo. Tuttora oggetto di campagne diffamatorie da parte di politici spregiudicati, presunti esperti (ahinoi) del “caso Moro”.
Difficile dire che cosa i ragazzi sapessero di lui, nel momento in cui sono stati chiamati a scegliere tra le tracce possibili quella che lo riguardava. Ci ha però pensato il ministero a farglielo sapere. E gli va riconosciuto. La riproduzione di un discorso commemorativo tenuto a Parma da parte del prefetto Diana, offerto come base per la riflessione, ha messo infatti a disposizione degli studenti il materiale sufficiente per riflettere e scrivere. Il coraggio, la lotta contro la mafia, il sacrificio, il ruolo istituzionale aperto a studenti operai e cittadini, hanno comunque rappresentato di prima mattina agli occhi dei giovani lo Stato ideale. Sinceramente penso che a mio padre non potesse esser fatto dono più grande: diventare materia di una prova di italiano da parte degli studenti nel momento più alto della loro vita scolastica, lui che, primo prefetto nella storia d’Italia, decise di andare a parlare di mafia nelle scuole, e che sulla scuola (e sui giovani) scommise. Lo Stato che fa fare temi sulla mafia, lo Stato che fa memoria, lo Stato che onora chi per la democrazia si è immolato. Si può dire quel che si vuole ma è successo. E rende più leggeri.
Nando dalla Chiesa
La traccia su Gino Bartali è nobile, ma fuori contesto
Quest’anno i ragazzi degli esami di maturità sono stati fortunati nel ricevere proposte (in gergo “tracce”) nobili e intelligenti dal punto di vista dell’argomento. Meno dal modo in cui certi argomenti sono narrati: un mare di parole che non riescono a dirci dove siamo, con chi siamo, in che tempo siamo, chi sono “i Giusti” e chi i perseguitati. Chi mi legge non è un maturando e perciò conosce il comportamento eroico di Gino Bartali, campione sportivo del ciclismo italiano, dunque favorito dalla celebrità e messo in pericolo dall’essere così conosciuto. Bartali nascondeva nei tubi delle sue bici documenti che avrebbe recapitato a famiglie ebree (perseguitate e condannate a morte, bambini inclusi), documenti che le avrebbero salvate. Nella “traccia” si celebra l’importanza, la generosità del gesto e si racconta che rischio correva l’eroico ciclista. Manca una notizia importante: perché e da chi erano perseguitati, fino alla deportazione e alla morte, gli ebrei italiani che Bartali andava a salvare pedalando di giorno e di notte per centinaia di chilometri? Non sarà stato il governo e il regime fascista? La “traccia” non lo dice. È come se Bartali fosse andato in soccorso dei terremotati. Ma anche il secondo messaggio va perduto: la forza e la decisione di non obbedire a leggi folli e ingiuste. Il più mite dei cittadini, un religioso padre di famiglia come Gino Bartali, ha violato tutte le leggi e i regolamenti del tempo per salvare persone. Le persone erano tante e lui non si è fermato mai, fino alla distruzione del fascismo e del pericolo mortale e immorale che il fascismo rappresentava. Gli ebrei perseguitati erano cittadini italiani, come tutti. Bella e nobile, “la traccia Bartali” poteva essere ricca di notizie del nostro passato. Spero non sia stata scelta dagli studenti a cui nessuno (a scuola o a casa) ha insegnato la nostra storia. Senza il senso della storia, del fascismo, del razzismo, delle persecuzioni razziali e del coraggio, raro per chi era al sicuro, di opporsi e salvare rischiando la vita, ti resta l’elogio per un bravo campione sportivo che faceva molto allenamento.
Furio Colombo