“In mezzo alle montagne c’è il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a metà, c’è l’isola di San Giulio. Sull’isola di San Giulio c’è la villa del Barone Lamberto, un signore molto vecchio (ha 93 anni), assai ricco (possiede 24 banche in Italia, Svizzera, Hong Kong, Singapore eccetera), sempre malato”.
Usa queste parole Gianni Rodari per descrivere in C’era due volte il barone Lamberto quella che i poeti definiscono la “perla del lago”, il popolo “l’isola benedetta” e i mistici “la porta del cielo”.
Siamo a quattrocento metri dalla riva del lago d’Orta. Quattrocento metri che separano l’incantevole borgo, dove Mario Soldati prima e Giuseppe Tornatore nel 2016 hanno ambientato i loro lavori cinematografici, da uno scrigno di terra custodito da 68 donne che hanno scelto di fare della loro vita un inno di preghiera, di cura per l’altro inteso come persona e natura, uomo e fiori.
Sull’isola, scelta dal maestro di Omegna per il suo divertente racconto, non ci sono solo la villa del Barone (ancora oggi visitabile), il fantasioso maggiordomo Anselmo e i sei personaggi immaginati da Rodari, ma, dall’11 ottobre 1973, vivono in un antico edificio che conserva i segreti di una fortezza e di un seminario di fine Ottocento le monache di clausura dell’ordine benedettino.
Come i protagonisti di Rodari, non è facile vederle se ci si affaccia all’isola nelle vesti di turisti ma se si approda con l’intenzione di cercare un luogo dove essere accolti da uno sguardo amorevole, dalla voce del silenzio e dalla benedizione del canto orante, potrete avere il dono di incontrare questa comunità che è una delle più numerose d’Europa.
Da 48 anni a “regnare” con umiltà e servizio su quel lembo di terra lungo 275 metri e largo 140 ci sono solo loro e un prete: don Giacomo Bagnati, 88 candeline e una vita trascorsa a fare la spola, con una barca a remi, tra una parrocchia e l’altra della riva del lago.
Proprio come quel sacerdote venuto da lontano, Giulio dell’Isola Egina, quest’uomo ha deciso di approdare sullo scoglio e restarci per sempre in compagnia delle monache.
È lui l’11 ottobre del 1973 ad accogliere nella piazzetta di Orta Anna Maria Canopi e altre cinque sorelle, arrivate dall’abbazia di Viboldone, per desiderio dell’allora vescovo Aldo Del Monte.
Forse nemmeno don Bagnati si sarebbe mai immaginato che quel viaggio in motoscafo verso l’isola, accanto alla futura badessa, l’avrebbe condotto a vivere per sempre in monastero pregando sette volte al giorno come prevede la sapiente regola “Ora et labora” di San Benedetto.
Incontrarlo non lascia indifferenti: dopo quasi cinquant’anni sembra che ogni rito sia fatto per la prima volta, senza mai stancarsi di chinare le deboli gambe davanti al tabernacolo o al crocefisso, al centro della cappella del monastero.
Così come lascia senza parole (ma con molti curiosi interrogativi) vedere nel silenzio del refettorio degli ospiti una 19enne piemontese che dopo l’esame di maturità liceale, lo scorso anno, nel pieno della pandemia, ha scelto di mettersi alla prova in questo luogo ascoltando la sua vocazione: “Non è l’unica. Con noi ci sono anche un’altra ragazza di vent’anni e una di 37 che ha abbandonato un’avviata carriera nel mondo discografico per donarsi al Signore. Nella nostra comunità – spiega l’attuale badessa Madre Maria Grazia Girolimetto – ogni anno abbiamo nuovi ingressi. Sono persone che scelgono una vita autentica, seria, di fraternità e di preghiera”.
Proprio come lei che a 26 anni, con una laurea di pedagogista in mano, ha deciso di entrare in monastero: “Lo feci convintissima e lo sono ancor più oggi”.
È madre Maria Grazia ad aver più contatti con gli ospiti accolti “come Cristo in persona”, così come vuole San Benedetto. Un invito che non è solo sulla carta della Regola ma si tocca con mano vivendo qualche giorno in monastero: “Desideriamo essere – dice la badessa – un faro nella notte, un’isola di sbarco per chi arriva da lontano, per chi è alla ricerca. Qui si possono riscoprire la bellezza del silenzio, della preghiera, della vita in comunità” e del buon cibo (aggiunge chi scrive).
Nessuno pensi che queste donne in clausura vivano lontane dalle ferite del mondo: “Non abbiamo la tv, la radio ma ogni giorno leggiamo il giornale e una sorella, la sera, ha il compito di fare, per tutte, una sorta di Tg flash con le notizie più importanti”. Proprio come ogni monaco “non sono del mondo ma sono nel mondo”.
A sconvolgere un po’ la comunità ci ha pensato solo il Covid: la presenza di un ospite positivo, in quest’ultimi giorni, ha creato qualche preoccupazione ma “siamo tutte vaccinate. Anche chi era meno convinta l’ha fatto per il bene comune”, precisa la badessa.
Quando scende la sera, dopo una giornata di lavoro nei diversi laboratori del monastero (icone; tipografia; tessuti antichi; artigianato), all’ora della compieta, ascoltando le voci provenienti dal coro delle monache vengono in mente proprio le parole della madre fondatrice: “Placida come piccola nave, ancorata al largo della cusiana riva, l’Isola del silenzio sorride al Cielo che la bacia in fronte. Ed è sera, ed è mattina: un continuo risveglio alla vita, al canto, nell’estasiata luce dell’Amore”.