Rodari e l’isola della clausura

“In mezzo alle montagne c’è il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a metà, c’è l’isola di San Giulio. Sull’isola di San Giulio c’è la villa del Barone Lamberto, un signore molto vecchio (ha 93 anni), assai ricco (possiede 24 banche in Italia, Svizzera, Hong Kong, Singapore eccetera), sempre malato”.

Usa queste parole Gianni Rodari per descrivere in C’era due volte il barone Lamberto quella che i poeti definiscono la “perla del lago”, il popolo “l’isola benedetta” e i mistici “la porta del cielo”.

Siamo a quattrocento metri dalla riva del lago d’Orta. Quattrocento metri che separano l’incantevole borgo, dove Mario Soldati prima e Giuseppe Tornatore nel 2016 hanno ambientato i loro lavori cinematografici, da uno scrigno di terra custodito da 68 donne che hanno scelto di fare della loro vita un inno di preghiera, di cura per l’altro inteso come persona e natura, uomo e fiori.

Sull’isola, scelta dal maestro di Omegna per il suo divertente racconto, non ci sono solo la villa del Barone (ancora oggi visitabile), il fantasioso maggiordomo Anselmo e i sei personaggi immaginati da Rodari, ma, dall’11 ottobre 1973, vivono in un antico edificio che conserva i segreti di una fortezza e di un seminario di fine Ottocento le monache di clausura dell’ordine benedettino.

Come i protagonisti di Rodari, non è facile vederle se ci si affaccia all’isola nelle vesti di turisti ma se si approda con l’intenzione di cercare un luogo dove essere accolti da uno sguardo amorevole, dalla voce del silenzio e dalla benedizione del canto orante, potrete avere il dono di incontrare questa comunità che è una delle più numerose d’Europa.

Da 48 anni a “regnare” con umiltà e servizio su quel lembo di terra lungo 275 metri e largo 140 ci sono solo loro e un prete: don Giacomo Bagnati, 88 candeline e una vita trascorsa a fare la spola, con una barca a remi, tra una parrocchia e l’altra della riva del lago.

Proprio come quel sacerdote venuto da lontano, Giulio dell’Isola Egina, quest’uomo ha deciso di approdare sullo scoglio e restarci per sempre in compagnia delle monache.

È lui l’11 ottobre del 1973 ad accogliere nella piazzetta di Orta Anna Maria Canopi e altre cinque sorelle, arrivate dall’abbazia di Viboldone, per desiderio dell’allora vescovo Aldo Del Monte.

Forse nemmeno don Bagnati si sarebbe mai immaginato che quel viaggio in motoscafo verso l’isola, accanto alla futura badessa, l’avrebbe condotto a vivere per sempre in monastero pregando sette volte al giorno come prevede la sapiente regola “Ora et labora” di San Benedetto.

Incontrarlo non lascia indifferenti: dopo quasi cinquant’anni sembra che ogni rito sia fatto per la prima volta, senza mai stancarsi di chinare le deboli gambe davanti al tabernacolo o al crocefisso, al centro della cappella del monastero.

Così come lascia senza parole (ma con molti curiosi interrogativi) vedere nel silenzio del refettorio degli ospiti una 19enne piemontese che dopo l’esame di maturità liceale, lo scorso anno, nel pieno della pandemia, ha scelto di mettersi alla prova in questo luogo ascoltando la sua vocazione: “Non è l’unica. Con noi ci sono anche un’altra ragazza di vent’anni e una di 37 che ha abbandonato un’avviata carriera nel mondo discografico per donarsi al Signore. Nella nostra comunità – spiega l’attuale badessa Madre Maria Grazia Girolimetto – ogni anno abbiamo nuovi ingressi. Sono persone che scelgono una vita autentica, seria, di fraternità e di preghiera”.

Proprio come lei che a 26 anni, con una laurea di pedagogista in mano, ha deciso di entrare in monastero: “Lo feci convintissima e lo sono ancor più oggi”.

È madre Maria Grazia ad aver più contatti con gli ospiti accolti “come Cristo in persona”, così come vuole San Benedetto. Un invito che non è solo sulla carta della Regola ma si tocca con mano vivendo qualche giorno in monastero: “Desideriamo essere – dice la badessa – un faro nella notte, un’isola di sbarco per chi arriva da lontano, per chi è alla ricerca. Qui si possono riscoprire la bellezza del silenzio, della preghiera, della vita in comunità” e del buon cibo (aggiunge chi scrive).

Nessuno pensi che queste donne in clausura vivano lontane dalle ferite del mondo: “Non abbiamo la tv, la radio ma ogni giorno leggiamo il giornale e una sorella, la sera, ha il compito di fare, per tutte, una sorta di Tg flash con le notizie più importanti”. Proprio come ogni monaco “non sono del mondo ma sono nel mondo”.

A sconvolgere un po’ la comunità ci ha pensato solo il Covid: la presenza di un ospite positivo, in quest’ultimi giorni, ha creato qualche preoccupazione ma “siamo tutte vaccinate. Anche chi era meno convinta l’ha fatto per il bene comune”, precisa la badessa.

Quando scende la sera, dopo una giornata di lavoro nei diversi laboratori del monastero (icone; tipografia; tessuti antichi; artigianato), all’ora della compieta, ascoltando le voci provenienti dal coro delle monache vengono in mente proprio le parole della madre fondatrice: “Placida come piccola nave, ancorata al largo della cusiana riva, l’Isola del silenzio sorride al Cielo che la bacia in fronte. Ed è sera, ed è mattina: un continuo risveglio alla vita, al canto, nell’estasiata luce dell’Amore”.

 

Promesse disattese e preghiere ai santi, sempre in mimetica

Quando inizia il passaggio delle consegne, dalle mani di Domenico Arcuri alle sue, il generale Francesco Paolo Figliuolo muove i primi passi in pompa magna e si presenta nella struttura commissariale di cui deve prendere le redini accompagnato da dieci ufficiali. Una parata di stellette. È marzo, la nomina del premier Mario Draghi avviene con la campagna vaccinale iniziata da poco più di tre mesi. Il comandante logistico dell’esercito diventa commissario all’emergenza nel segno prima della discontinuità poi degli annunci trionfali e delle previsioni sbagliate. Smonta il piano di Arcuri – a partire dalle “primule”, padiglioni per le vaccinazioni – e invoca uniformità tra le Regioni, prima promessa mancata visto che queste ultime continueranno a procedere in ordine sparso.

Il 1° marzo sono da poco cominciate le vaccinazioni degli over 80 mentre procedono quelle degli operatori sanitari e sociosanitari e degli ospiti delle Rsa. Fino al 16 febbraio l’Italia è stata sempre prima in Europa per ritmo di somministrazioni (percentuale di vaccinati in rapporto al totale della popolazione: 2,22%), il 10 marzo scivola al quinto posto, con il 3,06%. Seguirà un andamento altalenante. È vero che siamo nella fase delicata dei tagli alle forniture dei vaccini da parte delle case farmaceutiche e dei ritardi nelle consegne. Ma è così in tutta Europa. E resta il fatto che l’Italia non brillerà praticamente più nello scenario dei Paesi Ue. Tanto che a fine settembre siamo ancora ben lontani dall’obiettivo dell’immunità di gregge più volte indicato da Figliuolo con almeno l’80% della popolazione vaccinata: solo in questi ultimi giorni abbiamo raggiunto poco più del 78% e l’immunità di gregge è una chimera.

Il 13 marzo Figliuolo distribuisce il nuovo piano vaccinale, che prevede di tagliare il traguardo del mezzo milione di somministrazioni giornaliere nella settimana compresa tra il 14 e il 20 aprile. Non sarà così, bisognerà attendere altri giorni, fino al 30. Ma da Bruno Vespa a Porta a Porta Figliuolo rilancia: “Entro la metà di luglio il 60 per cento degli italiani dovrebbe aver avuto la prima e la seconda dose”. Non sarà affatto così. Il 15 luglio siamo fermi al 41,75%. Maggio, mese di transizione, dovrebbe preparare il terreno a quella che Figliuolo chiama “la spallata di giugno”, con l’arrivo di 20 milioni di dosi di vaccino. E in effetti, i primi giorni del mese si arriva anche a sfiorare la quota di 700mila somministrazioni giornaliere. Nulla a che vedere però con il milione previsto dal generale, che annuncia il nuovo obiettivo alla Stampa l’11 maggio. Quell’asticella non sarà mai superata. Figliuolo, nel fare i conti, ha infatti riposto molte aspettative sui 42 mila medici di famiglia presenti nel Paese. Camici bianchi che, invece, non riusciranno a dare un contributo decisivo anche perché le aziende sanitarie li lasciano troppo spesso a secco di dosi, preferendo gli hub. Forse è anche per questo che il commissario all’emergenza arriva al punto di affidarsi a Santa Rita. È il 1° luglio. In visita a Cascia, in Umbria, spiega di aver chiesto alla santa “di aiutare l’Italia ad uscire da questa pandemia, far sì che la campagna vaccinale proceda e che tutti gli italiani ne capiscano l’importanza. Confidenti nella scienza ma anche nella spiritualità, auspico che Santa Rita posi la sua santa mano sopra di noi per far in modo che ne usciamo”.

In una recente intervista al Corriere Figliuolo loda la propria attività: “I risultati finora sono stati eccellenti, come testimoniano le cifre. Oggi la popolazione protetta con almeno una dose di vaccino, più i guariti da sei mesi al massimo, è pari a circa il 90% degli over 12”. L’equivoco macroscopico è che Figliuolo parla di almeno una dose (e non di ciclo completo) senza riferirsi, tra l’altro al totale della popolazione, come indicato dallo stesso piano vaccinale. Lunedì scorso per la sua visita a Torino chiude un centro vaccinale, senza nessun avvertimento per le persone presenti con tanto di prenotazione, dirottate altrove e costrette a code e assembramenti. Ma mentre il sistema crolla il Generalissimo scherza sulle file per i tamponi: “Gli italiani fanno code anche per il black friday, serve pazienza”.

Crisi Ucraina, Biden offre a Putin una “soluzione diplomatica”

Si terrà stasera (in Italia saranno le 21.30) il secondo colloquio in pochi giorni tra il presidente americano Joe Biden e l’omologo russo Vladimir Putin. Il tema principale resta la crisi in Ucraina; funzionari della Casa Bianca hanno anticipato che Biden offrirà a Putin una “soluzione diplomatica” senza dare altri particolari. Di certo è proprio quello a cui mirava il Cremlino; l’aver mobilitato le truppe a ridosso del Donbass mirava proprio ad avviare un colloquio su questi temi. Mosca accusa la Nato di mettergli i missili dietro la porta di casa sostenendo il governo di Kiev. Che Washington stia dalla parte dell’Ucraina non è un mistero, anche se l’ingresso di Kiev nella Nato non è possibile. Al Cremlino però basta che a quel territorio gli americani diano il loro sostegno per ricordare come dal loro punto di vista l’Occidente esagera nel rosicchiare terreno. Dopo che è stata diffusa la notizia del colloquio in programma oggi, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha raggiunto telefonicamente il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per rassicurarlo nuovamente: “Continueremo a consultarci con gli alleati della Nato e i partner nei nostri sforzi diplomatici per scoraggiare un’aggressione”. Il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha ordinato alla portaerei Uss Harry Truman di rimanere nel Mediterraneo, sebbene proprio a Natale i russi abbiano ritirato una parte delle forze schierate al confine ucraino.

Allenatori giovanili sottopagati, “Indagati i vertici del Bayern”

I dirigenti di vertice del Bayern Monaco sotto inchiesta. Secondo l’emittente tedesca Wdr, la procura di Monaco di Baviera avrebbe aperto un’indagine sulle possibili violazioni relative ai salari minimi dei tecnici delle giovanili. Gli allenatori sarebbero stati sottopagati rispetto alle prestazioni offerte e lamenterebbero anche la mancata retribuzione di straordinari e l’assenza di rimborso spese per le trasferte. Fra gli indagati ci sarebbero anche l’amministratore delegato Oliver Kahn e il suo predecessore, Karl-Heinz Rummenigge, e il ds Hasan Salihamidzic.

Hong Kong, arrestata la pop-star Denise Ho nel blitz a Stand News: celebrò Tienanmen

Non solo reporter: oltre ai giornalisti dello Stand News, media online vicino alle istanze del movimento filo-democratico dei ragazzi di Hong Kong, ieri è finita in manette anche la pop star e attivista Denise Ho. Più di duecento poliziotti hanno fatto irruzione negli uffici della testata per sequestrare tutto il materiale giornalistico e arrestare la cantante e cinque giornalisti. Tra loro ci sono il caporedattore della pubblicazione, Patrick Lam, il vicecaporedattore Ronson Chan, l’ex direttore del giornale Chung Pui-kuen e anche Margaret Ng, avvocato ed ex membro del Consiglio legislativo locale. I sei sono accusati di “cospirazione” e “pubblicazione sediziosa”, ai sensi di una legge che risale all’era coloniale, una regola che Londra impose all’inizio del Novecento per reprimere il dissenso e che era ormai caduta in disuso.

L’arresto dell’artista che più si è esposta a favore del movimento democratico da quando Pechino ha calato la sua scure nell’ex colonia britannica ha suscitato scalpore molto lontano dai confini asiatici: Denise ha la doppia cittadinanza e in tasca ha anche un passaporto del Canada, Stato nel quale è cresciuta. Già icona del mondo Lgbt, la Ho si è unita alle marce di protesta del “movimento degli ombrelli” sin dal 2014, anno in cui è nato anche lo Stand News. L’arresto della cantante è “un esempio della persecuzione compiuta dal Partito comunista cinese contro media e giornalisti che osano contraddirlo” ha detto l’oppositore in esilio nel Regno Unito Nathan Law. Prima dello Stand News sono finiti nel mirino delle autorità, a giugno scorso, i giornalisti dell’Apple Daily, testata costretta alla chiusura dopo l’arresto dei dirigenti accusati di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale imposta dal Dragone nel luglio 2020. Il tycoon proprietario del giornale, Jimmy Lai, 74 anni, è stato arrestato e rimane in carcere da oltre trecento giorni: all’inizio di questo mese il tribunale di Hong Kong ha emesso una nuova sentenza per cui rimarrà per un altro anno dietro le sbarre. La sua colpa è stata, il 4 giugno dell’anno scorso, aver incitato la popolazione a partecipare alla veglia per le vittime della strage di Piazza Tienanmen; l’anniversario che, tradizionalmente, ogni anno si tiene a Victoria Park, è stato vietato dalle autorità cinesi negli ultimi due anni, ufficialmente, per evitare la diffusione del virus.

Basta con le barricate: il Sinn Féin è pronto a governare l’Irlanda

Nel gennaio 2018, quando Gerry Adams, rifondatore e indiscusso leader politico del Sinn Féin lasciò le redini a Mary Lou McDonald, qualche segnale di malcontento si levò perfino nelle fila di una formazione politica costruita sulla fedeltà militare al capo. Perché il Sinn Féin, fondato nel 1905 come partito repubblicano di sinistra, sotto la gestione Adams era diventato il braccio politico dell’Ira, la formazione paramilitare repubblicana al centro della guerra civile fra unionisti e repubblicani in Irlanda del Nord conclusa nel 1998 con gli Accordi di Pace del Venerdì Santo. Adams da allora si è sempre voluto identificare con il processo di pace e il de-comissariamento della lotta armata: ma la scelta di McDonald, solo 4 anni fa, era apparsa una scommessa azzardata anche per un veterano come lui.

Nelle prime interviste dopo l’insediamento, il commento più frequente alla McDonald era “You’ve got big shoes to fill!”, hai una bella eredità da onorare. Lei rispondeva “Well, I brought mine”, ‘ho la mia storia’, sono una cosa diversa da Adams. E le discontinuità erano molte davvero: allora 48enne, Mary Lou ha una biografia molto lontana dal prototipo del dirigente di Sinn Féin, cresciuto in nord Irlanda, origini popolari, vite e famiglie, lutti intrecciati alla lotta per l’indipendenza. Perché è nata e cresciuta a Dublino in una famiglia di classe media; studi in scuole private, una iniziale militanza nel Fianna Fail, partito di maggioranza di centro-destra, poi la folgorazione per il Sinn Féin e la fedeltà totale a Gerry Adams, fattore centrale per la sua ascesa. Adams l’ha preparata a lungo per la successione, puntando proprio all’estraneità di McDonald alla sanguinaria, dolorosissima stagione dei troubles. Nessuna scoria tossica al tavolo dei costanti negoziati con gli Unionisti di Belfast. E, quindi, la possibilità di delegare quei negoziati alla vice Michelle O’Neill, una figlia dei troubles, e immaginare per Sinn Féin un orizzonte più ampio, con destinazione Dublino. Quattro anni dopo, il successo di Sinn Féin sia nell’Irlanda del Nord che nella Repubblica irlandese sembra confermare la lungimiranza di Adams. Mary Lou si è rivelata una politica acuta.

Schietta, positiva, risoluta, disinvolta di fronte ai giornalisti, che chiama subito per nome e guarda negli occhi anche via Zoom, è riuscita nell’intento di fare del Sinn Féin il partito da battere. Alle telluriche elezioni politiche del 2020 è arrivata vicina alla conquista della maggioranza, facendo il pieno del voto anti-establishment che ha fatto crollare i 100 anni di dominio dei partiti di centro-destra, il Fianna Fail e il Fine Gael in crisi profonda, a poco più del 20% dei consensi. Fra Covid e ricadute economiche e sociali, la McDonald ha guidato l’opposizione con un piglio così efficace e convincente che gli ultimi sondaggi, a dicembre, danno il Sinn Féin al 35%, in salita di tre punti da ottobre. A cosa si deve questo consenso? Alla capacità di farsi identificare dagli elettori come unica credibile alternativa di sinistra alle politiche di austerity degli ultimi 10 anni. E di intercettare, finora senza passi falsi, una esigenza profonda di riforme economiche e di uguaglianza sociale che risani un paese cresciuto troppo in fretta e piagato da carenti servizi pubblici e da una bolla immobiliare che esclude giovani e famiglie. Insomma, a meno di cataclismi politici, Mary Lou McDonald è avviata a diventare, fra tre anni, la prima Taoiseach di Sinn Féin nella storia della Repubblica Irlandese, e la prima donna in questo ruolo. Lo aveva predetto nel 2019, durante una conferenza stampa a cui chi scrive era presente: “Sono una femminista impenitente. È il momento delle donne”. Intanto studia da statista: mandato prioritario di giustizia sociale ma con un occhio agli interessi della classe media e molte aperture di credito al mondo del business. Una rivoluzione di immagine e sostanza, per un partito per molto tempo sinonimo di working class. E che oggi a Dublino è invece sempre più a immagine e somiglianza di Mary Lou, della sua presenza quieta ma ferma sui temi fondamentali, valori di sinistra e unificazione delle due Irlande. Oltre alle ricette di sinistra per risolvere le contraddizioni economiche e sociali, il grande test per Sinn Féin, se mai dovesse andare al governo, sarà proprio il referendum sull’unificazione: il sogno di sempre, mai raggiunto con le armi ma che ora sembra possibile.

Su questo McDonald è chiara: vede una consultazione possibile entro un decennio, ma invece di sventolare il referendum di una vita come drappo rosso, lo presenta come l’esito di un lungo, necessario dibattito nel paese, auspicabile solo in un clima non divisivo. Ancora, approccio da statista. Può funzionare per ottenere il si della Repubblica Irlandese, ma per un consenso maggioritario e pacifico all’unificazione in un’Irlanda del Nord ancora profondamente divisa ci potrebbe volere ben più anche di una leader fenomenale.

Da Cingolani al caso Gkn l’anno della Transizione flop

 

Cingolani Un equivoco chiamato “Mite”

Nessuno ha capito perché Beppe Grillo ha indicato Roberto Cingolani come ministro della Transizione ecologica dando l’ok al governo Draghi, fatto sta che nei suoi 11 mesi il ministro-scienziato-manager (in aspettativa) di Leonardo è riuscito a inimicarsi tutti, ambientalisti e 5Stelle. Al suo ministero regna il caos, la parte “green” del Pnrr disegna un transizione a misura delle grandi imprese (pubbliche) di cui ha ripreso i progetti e a cui ha sveltito l’iter autorizzativo. Il, per così dire, Cingolani-pensiero è stato perfino peggio: pasdaran del nucleare e la scelta degli “ambientalisti radical chic” come nemici giurati.
VOTO: 4

 

Franco È suo il disastro manovra-Irpef

E meno male che era il braccio destro del premier. Il ministro dell’Economia Daniele Franco ha creato non pochi problemi a Draghi. Sua è la gestione disastrosa della manovra, la più extraparlamentare della storia: approvata il 28 ottobre in Cdm, sparita per giorni, è apparsa in Senato solo l’11 novembre. Il primo voto è arrivato il 20 dicembre, record assoluto. Montecitorio ha dato l’ok alla cieca. Sull’Irpef, Franco ha negoziato con i partiti un taglio che favorisce i redditi medio alti, ignorando i sindacati. Risultato: sciopero generale e figuraccia del premier, convinto a mentire sui veri beneficiari della misura.
VOTO: 4,5

 

Lavoratori Gkn Un progetto più che una vertenza

All’inizio sembrava l’ennesima vertenza operaia: la fabbrica delocalizzata da un fondo internazionale che mira al profitto. Ma quegli operai hanno fatto di più, hanno costruito una mobilitazione allargata, hanno parlato a tutti e realizzato, come scrivono loro stessi, una comunità. Lo hanno fatto parlando il linguaggio delle lotte sindacali, adottando però anche le nuove forme del mutualismo fino a ipotizzare piani di riconversione autogestita. Ora si apre la fase difficile della transizione promessa dalla nuova proprietà. Ma quel collettivo ha mostrato un altro volto della politica: partecipazione e voglia di contare
VOTO: 10

 

Bonomi O del cretinismo economico

Più o meno 90 anni fa Gramsci spiegò il cretinismo economico degli industriali, che “non hanno mai compreso i loro veri interessi e si sono sempre comportati antieconomicamente”. Bonomi è un monumento equestre al concetto. Con lui la retorica confindustriale è diventata, se possibile, definitivamente accattona. Dopo aver bombardato il “sussidistan” del Conte II (ma solo quello degli altri), ha steso il tappeto rosso all’“uomo della necessità”, salvo poi scoprire la cocente delusione. “Con queste misure si dà il calcio alla lattina”, ha detto della manovra e ha pure bocciato il taglio Irpef. La colpa però l’ha data ai “partiti”.
VOTO: 3

 

Landini&C. Il sussulto non salva i sindacati

Se non ci fosse stato il sindacato negli ultimi mesi del 2021 non ci sarebbe stata dialettica sociale. Lo sciopero di Cgil e Uil è stato attaccato in modo sguaiato e indecente, sintomo di una politica asserragliata nel palazzo e tutta attenta a specchiarsi nei presunti successi dell’uomo al comando. E così l’informazione maggioritaria, basti guardare l’atteggiamento sulla riforma fiscale. Landini e Bombardieri meritano 8 per aver tenuto aperta questa finestra. Ma il sindacato di problemi ne ha diversi: scollamento, fatica ad andare al passo con i cambiamenti, propensione ad accordi di vertice. Lo sciopero non basta.
VOTO: 6,5

 

Del Vecchio&C. Il “salottino” è ormai una Rsa

Toccherà agli storici spiegare come l’Italia sia passata dal salotto finanziario delle grandi famiglie industriali all’assalto alle Generali di due anziani ricchi in cerca di futuro. Forse la sintesi del declino italiano è davvero nella guerra che Leonardo Del Vecchio (86 anni), patron di EssilorLuxottica, e Franco Caltagirone (78) hanno dichiarato a quel che resta di Mediobanca per prendersi l’ultima vacca da mungere del capitalismo italiano. La grande stampa (ultimo il Corsera), non capendo cosa vogliono i due, fa da Rsa, ospitando interviste pensose, ma vuote, sul futuro dell’Italia, da cui si deduce solo che pensano agli affari loro.
VOTO: 5

 

Lagarde Ha resistito ai falchi, ora?

Conservazione è la parola con cui riassumere questo secondo anno di gestione pandemica della Bce. Conservazione dell’espansione monetaria iniziata nel 2020. Conservazione della natura, monetarista e anti-inflattiva, della banca centrale, riassunta nella revisione della strategia diffusa a luglio. Conservazione del ruolo di arbitro tra i vari interessi contrapposti dei membri del consiglio, resistendo alle sempre più forti spinte dei Paesi del nord verso una stretta monetaria. Il 2022 inizierà però con il picco dell’inflazione e della diffusione del virus. Contenere i prezzi senza schiantare la crescita sarà la sfida del 2022.
VOTO: 6,5

 

Elon Musk Intasca miliardi a colpi di tweet

Quest’anno, bontà sua, pagherà tasse per 11 miliardi di dollari. Solo nelle ultime ore, Elon Musk, miliardario sudafricano naturalizzato cittadino Usa e amministratore delegato di Tesla, ha venduto le sue azioni della casa di auto elettriche per oltre 1,02 miliardi. Soldi, dice, necessari per pagare il Fisco. Tra uno scontro con Pechino per il lancio dei satelliti della sua società SpaceX e uno spinello, un tweet sulle criptovalute e un altro sulle sue quote azionarie, Musk non può lamentarsi: la sua fortuna vale circa 266 miliardi. Ma la Sec, l’autorità Usa sulle Borse, non apprezza il suo uso dei social per i rischi di manipolare i mercati.
VOTO: 6

 

Bancel Chi s’ingrassa grazie ai vaccini

Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna, quest’anno ha venduto un milione di titoli della sua azienda produttrice di vaccini contro il Covid. Il ricavo è stato di 200 milioni di euro. Bancel possiede altri 15 milioni di azioni della società, una delle Big Pharma: il valore teorico attuale è di 3 miliardi. A proposito del vaccino, lo stesso Bancel ha dichiarato che Moderna “ha preso molti rischi finanziari, non l’avremmo mai fatto per un vaccino tradizionale” e che “se si vogliono dati scientifici perfetti sulla sicurezza su 10 anni, bisogna aspettare 10 anni”. Intanto, a ogni buon conto, lui incassa.
VOTO: 5

 

Perrazzelli Statua di marmo in banca d’italia

A Carlo Bertini, il whistleblower di Banca d’Italia che le chiedeva aiuto dopo essere stato demansionato, sanzionato e sottoposto a visita psichiatrica (che lo ha giudicato idoneo al lavoro) per aver fatto emergere le connessioni tra Mps e Dpi, il broker di diamanti venduti a prezzi gonfiati a migliaia di clienti, il vicedirettore generale di Palazzo Koch Alessandra Perrazzelli ha consigliato, “anche di fronte a cose spaventose”, di comportarsi “come una statua di marmo” e farsi scivolare addosso le cose, perché questo è il metodo “di chi fa carriera”. Questi “marmi di carriera” danneggiano la credibilità di via Nazionale.
VOTO: 4

 

Testi di Nicola Borzi, Salvatore Cannavò, Carlo Di Foggia e Francesco Lenzi

Mail box

 

Troppi i necrologi di no-vax sui giornali

Non passa giorno che non ci sia notizia di qualche “famoso” no-vax deceduto proprio a causa del Covid, mentre di vaccinati che hanno subìto la stessa sorte (ce ne sono, purtroppo) non se ne parla mai. Eppure che muoiano i non vaccinati è molto più che normale: una vecchia ma sempre valida legge del giornalismo vuole che la notizia da pubblicare non sia quella di un cane che morde un uomo, semmai quella dell’uomo che morde il cane. È comprensibile lo scopo pedagogico, che vorrebbe spingere gli indecisi a vaccinarsi, ma non è molto corretto dal punto di vista giornalistico. Come ho trovato scorretto che nessuno abbia pensato di andare a vedere come abbiano passato il Natale i genitori della povera Camilla Canepa, la 18enne morta la scorsa estate proprio a causa del vaccino a cui si era sottoposta. Mi duole dirlo, ma se Camilla fosse stata contraria ai vaccini, quasi sicuramente sarebbe ancora in vita, vista la sua giovane età e la sua buona salute. Spero solo che la sua famiglia, e quelle delle altre vittime degli effetti imprevisti procurati dai vari vaccini, vengano in qualche modo risarcite.

Mauro Chiostri

 

Prestigiacomo replica sui siti inquinanti

Mi vedo costretta a intervenire per cercare di ristabilire la verità, che è stata ignorata e distorta, dando credito ad Angelo Bonelli, che da quindici anni vitupera tutti i ministri dell’Ambiente di qualunque colore politico, e a fonti del ministero che la verità l’hanno invece ribaltata. Nel vostro articolo “Il trucco per ridurre i siti inquinati” mi si addebita, en passant, un obiettivo personale, nel disprezzo dell’ambiente e della salute pubblica, avendo io proposto (e avendo il Parlamento approvato ad amplissima maggioranza col parere positivo del governo) un emendamento sui “Sin”, siti inquinati di interesse nazionale. Voi adombrate un mio interesse personale in questa vicenda perché la mia famiglia opera con due imprese nella zona industriale siracusana che è uno dei Sin nazionali. Mi rincresce particolarmente che i suoi attenti giornalisti non abbiano nemmeno citato (o forse nemmeno letto) il testo dell’emendamento che riporto nella parte saliente. L’emendamento da me presentato dice infatti che i Comuni “possono fare richiesta al Ministero della transizione ecologica di riperimetrazione dell’area Sin, per escludere dagli obblighi, procedure e vincoli previsti dalla normativa vigente, quei territori che non presentano fattori di inquinamento ambientale e che, per la tipologia di attività cui sono state interessate, risultano escluse dal rischio di contaminazione e conseguentemente non necessitano di specifici interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica”. Ovviamente le richieste dei Comuni dovranno poi essere vagliate e, se ritenute legittime e non ambientalmente nocive, approvate dal Ministero della Transizione Ecologica entro 30 giorni. Stiamo parlando quindi non delle aree inquinate, ma di quelle che, come pure si rileva nel vostro articolo, furono inserite nella perimetrazione originaria dei siti, “largheggiando” nella speranza che arrivassero ingenti finanziamenti poi mai arrivati. L’emendamento poi riformulato dal governo e approvato prevede non l’eventuale riperimetrazione dei Sin che attraverso i comuni ne fanno richiesta, ma una revisione complessiva di tutti i Sin. Quindi la riformulazione del governo che io ho accolto ha esteso la portata dell’intervento a tutti i Sin. Ma avete ragione quando parlate di un mio interesse per il Sin di Siracusa-Priolo-Augusta, solo che potevate informarvi meglio: a Siracusa, dopo 70 anni, finalmente si sta realizzando il nuovo ospedale, in una zona lontanissima dall’area industriale, a Siracusa sud, coltivata da sempre ad agrumeti. Ebbene quell’area è ricompresa nel Sin e questo rende la procedura inutilmente complessa e laboriosa e lunga per terreni che mai sono stati interessati da attività industriali o economiche inquinanti, ma sono sempre stati solo terreni agricoli. Io non ho responsabilità amministrative negli enti locali del Siracusano, nessuno dei quali è governato da Forza Italia, ma credo di aver fornito alla mia comunità, e alle altre che hanno problemi simili, uno strumento di semplificazione e sburocratizzazione, anche in vista degli auspicati investimenti del Pnrr.

Stefania Prestigiacomo

 

Continua la petizione contro il Caimano

Ho 46 anni, sono nato in Italia e ho sempre vissuto nel mio paese. Lavoro come impiegato per un’azienda privata, con un contratto che mi permette di avere una vita dignitosa. Non ho una cultura politica di alto spessore: ascolto i radiogiornali, a volte leggo alcuni quotidiani e mi è capitato di leggere dei libri sulla politica nazionale. Negli anni, schiaffeggiato dalle catastrofiche gestioni governative, ho perso gran parte del mio “spirito patriottico”. Ma non ho mai smesso di essere orgoglioso della mia italianità. Questo per dire che sono indignato dal solo fatto di aver sentito abbinare il nome di Silvio Berlusconi alla carica di presidente della Repubblica. Se mai questa lubrica follia diventerà realtà, sarà una tale onta per il mio paese che proverò una eterna vergogna e avversione per tutta la classe politica. Perderò ogni dignità nel considerarmi italiano. Cosa posso fare per impedire che ciò accada?

Simone

Aderire alla nostra petizione e farla firmare a più persone possibile fra i suoi conoscenti.

M. Trav.

Terza dose: “Nessuno si cura di farla a mio suocero, invalido di 94 anni”

Gentile Redazione, pur essendo un medico ospedaliero in pensione e quindi avvezza al malfunzionamento della tanto amata Sanità pubblica, non riesco a uscire dal ginepraio della terza dose di vaccino anti-Covid per mio suocero di 94 anni.

Essendo allettato e cardiopatico, ha ricevuto le prime due dosi a domicilio, di cui l’ultima il 15 maggio, eseguite da equipe predisposta dell’Asl di appartenenza che è la To5 (nel torinese, in Piemonte).

Ora, per la terza dose non è possibile richiederla sul sito regionale, e neppure al medico curante, che ha semplicemente risposto che non è suo compito. Dopo innumerevoli tentativi di chiedere informazioni al numero verde della Regione Piemonte, con attese bibliche, ho parlato giorni fa con un operatore che avrebbe sollecitato un contatto da parte di un fantomatico responsabile, del quale non ho notizie.

Ho saputo da colleghi vaccinatori che il vaccino domiciliare è stato sospeso per gli alti costi e per i troppi falsi infermi.

Dunque, un soggetto fragilissimo che andrebbe protetto senza alcun dubbio o esitazione, e del quale l’Asl di appartenenza possiede tutti i dati riguardanti patologie e impossibilità a uscire da casa, viene abbandonato, dimenticato e, consentitemi, preso in giro. È vergognoso.

Anna Dalla Villa

Omicron fa più male all’economia

In un momentod’estrema stanchezza, tra tante notizie spesso discordanti, fare chiarezza è diventato un dovere deontologico. Pochi, purtroppo, oggi valutano l’impatto di ogni parola o rigo scritto sulla vita di ognuno di noi. Sulla variante Omicron, descritta già a poche ore dell’annuncio da parte del Sudafrica come pericolosissima, è lecito dire che regni la confusione. Venga scritto a caratteri cubitali. Tutto ciò che si afferma su di essa, sono ipotesi personali se non bugie volontarie. Nulla si sa. Stiamo raccogliendo i dati che si aggiungono a quelli che ci arrivano dal Sudafrica. Ancora nulla di definitivo, ma i vaccini attuali sembrano essere meno efficaci: eppure ciò potrebbe influire poco se si confermasse la bassa patogenicità. L’unica osservazione su Omicron fondata su dati concreti è che sembra ci sia una ritardo tra l’infezione e il ricovero, rispetto a prima. La percentuale molto ridotta di casi severi (pare il 29% in meno rispetto alla variante precedente) potrebbe diventare un alto numero assoluto con una nuova pressione sulle strutture ospedaliere. Da circa una settimana il numero dei contagi è esponenziale ma i soggetti, fatta eccezione di qualche fragile, sono asintomatici o paucisintomatici. Per avere dati certi, purtroppo dovremo aspettare di osservare i ricoverati e i decessi. Adesso, però, si pone il problema di politica sanitaria di come intervenire per contenere un pericolo a oggi del tutto sconosciuto. La massima prevenzione imporrebbe nuove chiusure, nuove limitazioni. Teoricamente, se impedissimo al virus di circolare, eviteremmo le conseguenze sanitarie. Questa è però l’ottica esclusivamente epidemiologica. La politica è chiamata ad avere uno sguardo più ampio. La risposta della popolazione alle vaccinazioni, l’accettazione delle misure finora adottate, è stata quasi totale. Forse si potrebbe evitare di uccidere definitivamente l’economia e l’integrità psicologico-sociale di molti solo affidandosi a un comportamento responsabile. Sarebbe l’assunzione di una importante responsabilità, ma stiamo assistendo a tutt’altra storia. È necessario parlare ancora di chiusure e colori minacciosi delle regioni?