Tutti i vampiri di “Blob” e i nostri politici da “Cantagiro”

La notte è piccola per Blob, l’unico programma che in trent’anni non è invecchiato, anzi, continua a ringiovanire. Per forza, questa è la natura dei vampiri, nutrirsi di sangue umano, e mai quanto oggi il video abbonda di cadaveri ambulanti. Il servizio pubblico ha tante carenze, le reti private non ne parliamo, ma tutti lavorano indefessamente per Blob. L’ennesima prova di salute arriva nelle maratone estive, dove il fluido mortale gorgoglia su Rai3 dalla mezzanotte in poi (i vampiri spaccano il minuto). Sabato è passato un Politicarellum coi fiocchi. Il pianto di Occhetto sulle ceneri del PCI accompagnato dalle musiche di Amarcord; Totò spiega a una maggiorata “cos’è la cosa”; Nanni Moretti fa il girotondo mentre Ollio intona Guardo gli asini che volano nel ciel; i panettonari Boldi e De Sica in adorazione dell’Avvocato e del Cavaliere, Renzi ribattezzato Frenzy in omaggio a Hitchcock…

Vampiro e strizzacervelli (non dimentichiamo che l’intestino è un secondo cervello, e si avvia a diventare il primo): se ce ne fosse bisogno, Blob ci chiarisce come proprio nell’ultimo trentennio i politici abbiano preso il posto dei cantanti degli anni 60. Santoro, Funari e Vespa hanno raccolto l’eredità del Cantagiro e del Festivalbar, mentre il fluido mortale dell’opinionismo ha vulcanizzato quel che resta dell’immaginario catodico. Politicarellum, l’ennesima vendetta di Blob in nome del cinema contro chi il cinema l’ha ucciso e se ne vanta. Edipo, in fondo, era un bravo ragazzo.

Mail Box

 

Caso Lotti, il Pd deve cambiare e lasciarsi il renzismo alle spalle

I renziani difendono Lotti: ecco l’esatta misura politica e morale di questa schiera che sembra essersi omologata al proprio mentore.

La questione riveste una gravità che va oltre ignobili comportamenti quali corruzione, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, ecc. Siamo in un ambito che coinvolge la democrazia stessa. Si tratta di un parlamentare che confabulava con i più alti magistrati per scegliere, fra le altre cose, chi lo avrebbe giudicato nel processo in cui è imputato e allontanare da Firenze il magistrato che aveva osato arrestare i genitori di Renzi. Il tutto, scoperchiando, suo malgrado, il velo che copriva le oscure manovre di quella magistratura che dovrebbe garantire la “giustizia uguale per tutti”. Se dei parlamentari della Repubblica non riconoscono la gravità della questione sono semplicemente inadeguati. Mentre se, pur rendendosene conto, fanno un misero gioco di appartenenza… peggio, molto peggio.

Giovanni Marini

 

Euro, la moneta comune è l’unico freno all’inflazione

Alberto Bagnai, influencer leghista anti-euro, afferma: “Sapete cosa succederebbe la mattina dopo l’uscita dall’euro? Ci faremmo il caffè”. Ma non dice – come pensano invece gli esperti di parere opposto – che quel caffè al bar poi costerebbe 20 mila lire. Perché la vecchia moneta si avviterebbe in una spirale di svalutazione “sudamericana”, tale da mangiarsi il valore di risparmi, retribuzioni, pensioni. Provocando scenari di scaffali vuoti nei supermercati e negozi che vendono solo a chi paga in valuta pregiata; benzina alle stelle (il petrolio lo acquistiamo in dollari) e mercato nero per beni di prima necessità. Inoltre ci sarebbe il collasso della classe media con stipendi “di carta” e l’ulteriore accentramento della ricchezza nelle poche grandi aziende che esportano, le uniche ad avvantaggiarsi di una svalutazione pronunciata.

Allora l’Europa va bene così?

No, va resa più costruttiva la politica dell’equilibrio economico, superando l’impostazione del mero rigore, obsoleta e punitiva (vedi il caso della Grecia), criticata dallo stesso Presidente Junker. Ciò detto, prima solo di ipotizzare l’uscita dall’euro pensiamoci mille volte. Non sarebbe opportuno che, mentre tutti chiediamo nuove protezioni, ci spogliassimo della moneta che più ci ha tutelato nel potere d’acquisto. Forse troppo in silenzio, per essere apprezzata.

Massimo Marnetto

 

Metalmeccanici in piazza per difendere il diritto al lavoro

I metalmeccanici sono insorti scendendo in piazza a Milano, Firenze e Napoli, chiedendo al governo e alle imprese di centrare lavoro, industria, diritti e salari.

I sindacati lamentano le assenze politiche. Il segretario della Fim-Cisl, Marco Bentivoglio, afferma che il governo, in questa permanente campagna elettorale, fa come Schettino: si avvicina alla scogliera per raccogliere gli applausi, con la conseguenza di affondare la nave. D’altro canto chi minimizza gli effetti dello spread ignora volutamente una tassa occulta, che toglie i soldi a chi ne ha bisogno per darli agli speculatori. Il governo non dice neanche una parola sulla carneficina che persiste ogni giorno nei luoghi di lavoro, mentre riduce i premi Inail per le imprese e per lo sblocca cantieri, dando così il via libera al subappalto, e lasciando spazio non solo ad illegalità e insicurezza, ma anche a mafia, camorra, e ‘ndrangheta.

I sindacati protestano inesorabilmente ripartendo dalla piazza, mentre i lavoratori ancora aspettano una risposta.

Ines e Antonio Di Gregorio

 

Cucchi e Regeni, la stessa battaglia per la verità

Ormai è assodato: se Stefano Cucchi non avesse subito la frattura della vertebra, in seguito a percosse, non sarebbe stato ospedalizzato e, quindi, non sarebbe deceduto. “Dopo 10 lunghi anni, nei quali sono invecchiata in queste aule di tribunale – ha detto sua sorella, la coraggiosa e tenace Ilaria Cucchi – finalmente è stato riconosciuto che se Stefano non avesse ricevuto quel brutale pestaggio non sarebbe morto”. Trovo disdicevole chi insinua che lei abbia condotto questa battaglia per notorietà e ambizione. Ilaria ha lottato per la verità e la giustizia, oltre che per Amore verso il fratello, tutti nobili motivi.

Auguro gli stessi successi anche alla famiglia Regeni: i colpevoli dovrebbero sempre pagare senza sconti.

Cristian Carbognani

 

Evasione fiscale, l’informazione al servizio dei cittadini onesti

Mi complimento con il vostro giornale per l’iniziativa di informazione contro l’evasione fiscale, il vero cancro del paese, ancor più di corruzione e mafie.

Unico quotidiano il vostro che non fa sconti neppure ai pentastellati, riportando ciò che proclamano ma non riescono a fare, frenati dalla banda bassotti di turno.

Spero che possiate testimoniare il (difficile) risveglio dell’italiano, così rimbecillito e distratto da decenni (Berlusconi docet!) di disinformazione… e che finalmente l’Italia si desti, comprendendo che la furbizia non è affatto una virtù, ma un crimine, e che i frutti di questa cultura li raccolgono in pochi a danno di tutti.

Alberto Fusari

Truffe agli anziani. Carcere e pene più severe, ma serve l’ok della Camera

 

Finalmente una legge che tutela le persone anziane. Il Senato ha approvato la norma che punisce chi raggira o froda gli anziani. Pene più severe sino a sei anni di carcere e risarcimento integrale del torto subito!

Gabriele Salini

 

Gentile Salini, quella che riporta è una notizia importante che colma un gap fino a oggi indecente, dal momento che chi commette raggiri nei confronti degli anziani attualmente rischia solo la reclusione da 6 mesi a 3 anni e una multa da 51 euro a 1.032 euro, vale a dire le pene piuttosto blande comminate dal Codice Penale per questi “reati minori”. Purtroppo però non si può ancora parlare di legge. Il percorso parlamentare prevede, infatti, un altro passaggio: il testo, dopo aver ottenuto il via libera dell’Aula di Palazzo Madama, deve tornare alla Camera. E anche se il dl ha ottenuto l’unanimità, il precedente non fa bene sperare. Nella scorsa legislatura, infatti, non si fece in tempo ad approvare il disegno di legge presentato da David Ermini, allora deputato Pd e ora vicepresidente del Csm. Calendario alla mano, quindi, se la Camera confermerà l’impianto della legge approvata dal Senato, chi truffa gli anziani potrà andare in galera già da settembre. Tecnicamente sarà un nuovo comma all’articolo 643 del codice penale, quello che disciplina la circonvenzione di incapace, che manderà dietro le sbarre chi si macchia di questi reati, con pene da 2 a 6 anni di reclusione, e una multa da 500 a 2.000 euro. Così, tutti coloro che approfitteranno della condizione di debolezza degli anziani per spillare soldi, spacciandosi per venditori o fornitori di gas, falsi avvocati, amici di vecchia data dei figli o fattorini dovranno risarcire integralmente la persona truffata se vogliono usufruire della sospensione condizionale della pena. Quello delle truffe ai danni degli anziani è un fenomeno sempre più diffuso. I dati del ministero dell’Interno mostrano aumento del numero di reati: le vittime di truffa tra chi ha più di 65 anni sono salite da 14.461 nel 2014 a 15.909 nel 2015, fino ad arrivare a 20.064 nel 2016. Ma, considerando che molti non sporgono denuncia, i numeri potrebbero essere più alti. Un’emergenza sociale che va combattuta con la prevenzione e con leggi certe che non facciano sentire più sole le vittime che, oltre alla beffa dei soldi persi, devono poi affrontare da soli anche le conseguenze dell’imbarazzo o della vergogna che hanno subito.

Patrizia De Rubertis

Ma quale fedeltà: il problema di Sarri è vincere per forza

Non si riesce bene a capire di quali reati si sarebbe macchiato Maurizio Sarri nell’accettare di allenare la squadra più forte d’Italia, nonché una delle più forti del mondo. Perché avrebbe dovuto rifiutare? Per far felici quelli che, sui social come al bar, esigono che gli altri siano sempre coerentissimi ma che al posto loro venderebbero pure madre e prole? Maurizio Sarri ha 60 anni ed è arrivato relativamente tardi al calcio che conta. Per anni ha allenato nella provincia aretina, alternando il calcio all’attività in banca. Prima dell’Europa League col Chelsea, aveva alzato giusto una coppa con la Sansovino. Al tempo – lo so perché allenava dalle mie parti e lo intervistavo anch’io – era stimato, ma non certo da tutti. Caratteraccio. “Troppo di sinistra”. Gran fumatore e gran bestemmiatore. Pieno di superstizioni (negli anni qualcuna l’ha persa). Visionario collettivista come Sacchi, amato e odiato. Solo lui sa quanti rospi abbia ingoiato. I tifosi napoletani hanno tutto il diritto a sentirsi traditi e a ricordare come, due anni fa, Sarri minacciasse di querelare coloro che osavano ritenere possibile (all’epoca) un suo passaggio alla Juventus. È però il concetto stesso di fedeltà che fa sorridere, se lo si applica al calcio. Puoi essere fedele a un’idea, più ancora a un sogno, ma a una squadra ormai no. Andando alla Juve, Sarri può realizzare appieno la sua utopia più grande: vincere e convincere. Nel suo Paese. In questo senso, la sua decisione è coerente eccome con la sua filosofia.

Sarri ha detto bene a Vanity Fair: “Fedeltà è dare il 110% nel momento in cui ci sei. Che vuol dire essere fedele? E se un giorno la società ti manda via? Che fai: resti fedele a una moglie da cui hai divorziato? L’ultima bandiera è stata Totti, in futuro ne avremo zero”. E si è visto ieri, peraltro e purtroppo, la fine che fanno le poche bandiere rimaste. Il problema di Sarri, adesso, non è la rabbia legittima dei tifosi partenopei. E non è neanche il fatto che adesso la Treccani dovrà rettificare la definizione di “sarrismo”, soprattutto quando asserisce che esso per estensione è “l’interpretazione della personalità di Sarri come espressione sanguigna dell’anima popolare della città di Napoli e del suo tifo”. Il problema di Sarri, ora, è che deve vincere. E potrebbe pure non bastare, perché quello (in Italia) lo ha fatto benissimo anche Allegri. L’ambiente bianconero non è il suo, non solo per la tuta a cui dovrà rinunciare, e tanti ultrà lo attendono già al varco. Non potrà arrabbiarsi (lui userebbe un’altra parola) come prima e dall’altra parte c’è un’Inter pronta a vincere con Conte. Sarri è un enorme azzardo della dirigenza bianconera, infatti qualcuno già evoca Maifredi. A Sarri si chiede non di vincere, quello alla Juve è normale, ma di stravincere. Ovvero conquistare la Champions League. Gli compreranno tutti (Pogba? Icardi? Chiesa?). E non potrà fallire. Altrimenti lo massacreranno, con quel surplus di ferocia che questo Paese suole vomitare addosso agli “eretici” che inciampano. Pare che Berlusconi non lo volle al Milan (preferendogli Mihajlovic) perché in un’intervista – su queste pagine – il rosso Sarri disse di stimare Landini. Se inciamperà, rinfacceranno anche questo al ruspante Che Gue Sarri. L’uomo che, quando si troverà davanti la superstar Cristiano Ronaldo pronta a ricevere indicazioni da lui, ripenserà a come nel 1990 allenasse lo Stia. Se solo all’epoca gli avessero previsto un futuro così, lui si sarebbe messo a ridere. Oppure avrebbe tirato giù un altro santo dal sagrato. Buona rivoluzione (borghese), Commodoro Marxista.

La riforma utile: Aggredire i beni degli evasori

Ogni magistrato che si occupa di reati economici nella sua attività di pochi mesi o anni viene al cospetto di una massa gigantesca di debiti tributari che gli imprenditori privi di scrupoli accumulano prima di gettare a mare le società e farle fallire. Stiamo parlando di decine di milioni di euro e talvolta di centinaia di milioni di euro evasi sicché ognuno di noi, e siamo tanti in Italia ad affrontarli, si trova al cospetto di miliardi di euro di evasione che sommati tra loro arrivano a manovre finanziare del Bilancio dello Stato importanti di diversi miliardi di euro. Forse è da ripensare proprio il modello delle società (dare più importanza ai loro aventi diritti economici effettivi e alle loro responsabilità) poiché esse sono degli schermi dietro ai quali si occultano le più grandi nefandezze.

Queste società, piene di debiti tributari e previdenziali, vengono affondate per poi crearne nuove che continueranno a fare ciò che facevano le precedenti. Intanto gli imprenditori o bancarottieri privi di scrupolo continuano a occultare i proventi di queste grandi evasioni, casomai trasferendo i fondi nei paradisi fiscali sparsi per il mondo. In tutto questo un legislatore, quantomeno distratto, non permette ai magistrati, al contrario di quanto avviene per altri reati, di sequestrare per equivalente i profitti di queste sostanziali mega truffe ed evasioni oppure di fare un sequestro per sproporzione (art. 240 bis c.p.): insomma se tu, indagato per bancarotta ecc.., non dichiari nulla o dichiari così poco come fai ad avere ville, auto di lusso, natanti, semmai intestati a genitori o figli; in questi casi non si può non presumere che tali beni siano provento delle bancarotte sicché io ti sequestro i beni che possiedi, anche per interposta persona, in maniera sproporzionata rispetto alla tua dichiarazione dei redditi ovvero alla tua attività economica.

Si fanno i processi che durano anni e alla fine, tra condoni e sospensioni, il risultato è che costoro pagano poco o nulla sia perché scontano poco carcere e sia soprattutto perché quasi mai restituiscono il maltolto. È evidente che di fronte a questa inerzia molti imprenditori nel calcolo costi-benefici preferiscono delinquere (evadere e poi far fallire la società) perché i guadagni sono di gran lunga superiori ai costi, a differenza del sistema americano o tedesco nei quali chi ruba, omettendo di pagare le tasse, rischia grosso. Occorrerebbe che la stessa energia e lo stesso disvalore che percepiamo per la corruzione fosse percepito per i reati che danneggiano l’economia allo scopo di ristabilire un mercato leale e di contenere l’evasione fiscale nei limiti fisiologici di una moderna democrazia occidentale.

Sarebbe una riforma a costo zero prevedere che il bancarottiere sia spogliato dei suoi beni, quando si accerti il suo dolo, con sequestri per equivalente (al danno perpetrato) o con sequestri per sproporzione se ha un tenore di vita troppo elevato rispetto al suo patrimonio, al suo reddito e alla sua attività. Il valore pedagogico di questa riforma è evidente: si manderebbe il messaggio che chi delinque viene punito non solo con la restrizione della propria libertà ma anche con la perdita di tutto o parte del suo patrimonio, accumulato illecitamente. È evidente che parallelamente il processo penale e anche civile deve essere riformato nel senso della sua celerità. A Roma affrontiamo ancora processi in cui vi sono bancarotte del primo decennio del 2000, fatti che appartengono ad altre epoche, che poco importano ai più. Evidentemente non è solo questione di aumento dei mezzi e delle risorse che sicuramente mancano rispetto alla mole di lavoro, occorrono anche norme che velocizzino e che assicurino una giustizia giusta, cioè una giustizia quanto più aderente alla verità reale e celere, perché se la verità viene accertata a distanza di anni abbiamo una giustizia denegata.

*Pubblico ministero di Roma

Élite e mercati: I veri nemici dei 5stelle

E adesso sappiamo che non c’è solo la magistratura italiana a essersi corrotta, immersa in un marciume di lotte intestine, di scambi di favori che nulla hanno a che fare con la giustizia, di rapporti equivoci con esponenti politici della cosiddetta sinistra per indirizzare le inchieste, c’è anche una magistratura brasiliana corrotta con conseguenze ancor più politicamente devastanti per quel Paese: l’eliminazione degli esponenti del chavismo bolivariano, la forma che il socialismo ha preso in Sudamerica, Dilma Rousseff e Luiz Inacio Lula, la prima estromessa dal potere con procedure molto simili a quelle con cui in Venezuela si è cercato di far fuori Maduro, il secondo messo in galera con accuse di corruzione. Sull’eliminazione politica, attraverso il braccio giudiziario, di Rousseff e Lula avevamo espresso molti dubbi già un anno fa (Fatto 11.4.2018, “Non ci provate: il caso Lula non c’entra niente con Berlusconi”). Ora questi dubbi sono confermati da un’inchiesta del sito investigativo The Intercept che ha accertato che le principali accuse nei confronti di Rousseff e di Lula sono frutto di una macchinazione giudiziaria e che il principale capo d’accusa contro Lula, l’essersi fatto regalare un lussuoso appartamento, è falso perché quell’appartamento non risulta di proprietà né di Lula né di persone a lui vicine. Alle spalle di tutto questo ci sono i soliti americani che già nel 2014 facevano spiare dai Servizi l’ex presidente Rousseff e i suoi uomini perché interessati al grande giacimento petrolifero del Presal.

Tutti i quotidiani italiani hanno dato rilievo a questa vicenda, tranne Il Giornale stretto nell’imbarazzante morsa dei suoi attacchi alla magistratura, in qualsiasi Paese del mondo, si trattasse anche della Nuova Zelanda, in funzione pro Berlusconi e il fatto che uno dei principali totem dell’estrema destra mondiale, Bolsonaro, sia arrivato al potere proprio grazie alle mene dei magistrati. C’è un dettaglio che riporta le vicende brasiliane a quelle nostrane: i magistrati carioca esultarono per il successo delle manifestazioni di piazza che aiutarono a far cadere Rousseff come, lo abbiamo ricordato sempre sul Fatto, tutta la ricca e ricchissima borghesia italiana esplose in uno scomposto tripudio dopo i risultati delle elezioni europee non tanto per la vittoria di Salvini ma per il tonfo dei Cinque Stelle. Il vero nemico in Italia, per tutti coloro che non stanno con gli “umiliati e offesi” ma dall’altra parte, compresi i dem, sono i Cinque Stelle, perché è l’unico partito italiano che, sia pur a modo suo, ha un’ispirazione socialista. Non è certamente un caso che quello italiano, per volontà dei Cinque Stelle e non certo di Salvini, sia stato l’unico governo europeo a non prendere partito per il fantoccio americano Guaidó. Numerose sono le misure di tipo socialista già prese dai Cinque Stelle, dal reddito di cittadinanza a quota 100 in comproprietà con la Lega, al decreto dignità, al taglio dei vitalizi, mentre altre bollono in pentola come il taglio alle pensioni d’oro. Nell’ideologia dei Cinque Stelle ci sono, per usare una terminologia di cui ho fatto piazza pulita a partire dalla Ragione aveva Torto? (1985), fattori sia di sinistra sia di destra, e altri che sono specifici di questo movimento. In ogni caso l’ideologia ‘grillina’ ha preso una strada tutta sua che nulla ha a che vedere con le categorie partorite dall’Illuminismo, sia in chiave liberista che marxista, con la loro mitologia della produzione, del lavoro, della scienza tecnologicamente applicata. È significativa l’opposizione alle grandi infrastrutture di cui il no alla Tav è il simbolo perché non si può avere nello stesso tempo un mondo ecologicamente ed esistenzialmente equilibrato e un modello di sviluppo basato sulla produzione e il consumo compulsivo. Particolarmente interessante, in senso esistenziale, è la distinzione espressa, sia pur in modo un po’ confuso, da Grillo fra ‘tempo libero’ e ‘tempo liberato’.

Il ‘tempo libero’ è destinato sempre al consumo, senza il quale il modello di sviluppo occidentale collasserebbe su se stesso, il ‘tempo liberato’ è invece il tempo della riflessione, della contemplazione e delle cose che ci piace veramente fare. In Occidente si è utilizzata la tecnologia in modo assurdo. Le macchine avrebbero potuto lavorare, almeno in parte, per noi, invece siamo noi a lavorare per le macchine e addirittura per gli algoritmi finanziari sfuggiti di mano agli stessi apprendisti stregoni (si veda il libro di Alexandre Laumonier 6/5. La Rivolta delle macchine) che sbattono le persone fuori dal mondo del lavoro mandandole nella caienna della disoccupazione. È ovvio che un’impostazione di questo genere mandi fuori dai gangheri le élites e i mercati internazionali in cui l’Italia non ha certo una parte di rilievo. Ed è questo il vero motivo dell’omnicomprensiva ostilità nei confronti dei ‘grillinos’ come li chiamano in Spagna.

“Maestro, rialzati”: l’Italia stretta attorno a Camilleri

Arriva la notizia ed è subito un dilagare per ogni tramite: i siti, i social, il passaparola. La prima carezza è quella di Rosario Fiorello. È un tweet. Lo traduciamo dal siciliano: “Orsù, Maestro, alzatevi”.

Tutti sanno che Andrea Camilleri è in ospedale – un arresto cardiaco – e l’Italia intera, ma anche tutto il suo pubblico nel mondo, sta col fiato sospeso. I notiziari, gli aggiornamenti – la giornata che se ne corre dal mattino fino a sera, con la raccolta dei bollettini medici – confermano una novità: il sentimento di sincero affetto che la gente ha verso uno scrittore dall’opera prodiga di vera letteratura, e dalla vita davvero meravigliosa.

Incredibile, alla sua età è pronto per un suo nuovo spettacolo. L’anno scorso è stato al Teatro Greco di Siracusa con Tiresia, adesso è atteso alle antiche Terme di Caracalla – il 15 luglio – con la sua arringa in difesa di Caino.

Incredibile. Al botteghino è tutto pronto e qualcuno – come a scongiurare l’irreparabile – acquista i biglietti.

Incredibile, appunto. Ancora al lavoro, poco prima di correre con un’ambulanza, attivo a dispetto perfino di un intervento chirurgico – una frattura al femore che negli anziani è spesso infida – Camilleri che non perde mai la testa, figurarsi il cuore, ha avuto ieri la controprova di quell’amore incondizionato che gli portano gli italiani.

Nei trend topic la preoccupazione sulle condizione di Camilleri è in vetta, supera perfino la definitiva uscita di scena di Francesco Totti dalla Roma e la catena degli hashtag e i post su ogni piattaforma rendono plastica la tensione intorno al suo capezzale. È un fatto davvero singolare che un campione del calcio debba retrocedere di popolarità rispetto a uno scrittore.

E si deve tornare indietro nel tempo – con Giuseppe Verdi – per trovare un precedente come quello vissuto ieri, ovvero l’immedesimazione di un intero popolo con un artista. Accadeva nel gennaio del 1901, Verdi è nel suo letto – febbricitante – e i milanesi spargono fogliame sulla strada dove si affaccia la dimora del maestro affinché le carrozze, con il loro rumore, non ne disturbino il riposo.

E così accadeva ieri, in una Roma accaldata, con tanta gente intorno all’Ospedale Santo Spirito, in muta ansia, in attesa, come a smentire il cinismo della città che infine sa bene chi amare per davvero. Ed era come uno sciamare silenzioso nei paraggi, ieri.

Roma che conosce bene i grandi papi parla per bocca di un portantino: “Come al Gemelli quando era ricoverato Giovanni Paolo II, lavoravo lì all’epoca, c’erano le telecamere, gli scooter ed era tutto silenzio, pensa… cade un microfono nel corridoio e non si sente il rumore…”.

Le televisioni, tutte, con la notizia danno conto dei tanti motivi per cui Camilleri è amato: il suo Commissario, la sua Sicilia, la sua militanza letteraria, il suo impegno politico, le sue recenti prese di posizioni e le sue polemiche, infine, quelle con Silvio Berlusconi ieri e con Matteo Salvini oggi. Urti di discussioni anche virulente che tra i suoi lettori – molti dei quali anche sostenitori del Cavaliere e del Capitano leghista – godono però dello statuto onorevole proprio di chi si può permettere ogni tono, anche il più aspro: “…mi dispiace perché apprezzo i libri di Camilleri”, scriveva ancora domenica sera proprio Salvini (un altro suo lettore, malgrado gli scalmanati odiatori salvinisti impegnati in queste ore a insultare il papà di Montalbano).

Gli italiani, insomma, amano Camilleri. La giornata di ieri è stata quella dell’Italia al suo capezzale. Questo strano popolo che non riesce a stare concentrato oltre tre minuti su una pagina ha invece divorato tutti i suoi 31 libri che hanno figliato venticinque milioni di copie.

Temere per lui – restarsene in apprensione con tutti i “forza!”, i “non mollare!” – è stato ieri il degno contrappasso per chi credeva di avere visto già consegnata l’Italia all’arida ignavia dei senza sogni orbi di ogni fantasia. Un pensiero senza l’unto della retorica è quello del suo immenso pubblico in attesa di buone nuove dall’ospedale.

È una gara di evviva dall’alto dei suoi 93 anni dove ci sta che possano esserci gli acciacchi, dov’è ovvio immaginarsi la fatica – saperlo attaccato alle macchine per respirare – e la formula “condizioni stazionarie” diventa ben più che una consolazione, piuttosto un mantra cui destinare l’immedesimazione di tanti italiani se non proprio tutti, comunque i tantissimi che a Camilleri porgono la più bella laurea, quella di essere un beniamino che abita il luogo in assoluto più urgente per arginare il nulla, e cioè il libro.

Incredibile, ha un arresto cardiaco, una complicazione respiratoria e mentre tutti si prendono lo spavento lui appronta per se stesso un nuovo capitolo di allegria.

Tutto il bene che la gente gli porta lo sa spiegare solo Fiorello: “Avanti maistru… fozza susemini!!!”.

Cancelletto-Camilleri. Come lui, nessuno mai. #camilleri. Come lui, nessun hashtag mai.

 

 

La scheda
Ieri alle 9,30 Andrea Camilleri, 93 anni, è stato portato in ambulanza all’ospedale romano Santo Spirito dopo un arresto cardiaco. Le sue condizioni sono apparse subito molto gravi

Il bollettino del pomeriggio parla di “rianimazione con supporto respiratorio meccanico e supporto farmacologico”. La prognosi
è riservata

Dl Dignità, la Lega propone deroghe per lavoro a termine

Affidare alla contrattazione più rappresentativa l’individuazione delle formule migliori per poter utilizzare ancora il lavoro flessibile: è questa l’idea del sottosegretario leghista al Lavoro, Claudio Durigon, per modificare il decreto Dignità. “Tornare alle leggi sul lavoro di ‘piddina memoria‘ e lasciare spazio a sfruttamento e precariato? Anche no”, ha subito replicato il sottosegretario M5s Claudio Cominardi. E poco dopo il vicepremier Luigi Di Maio ha ribadito: “Il decreto non si tocca. Chi rivuole ampliare la portata dei contratti a termine, sottopagando i lavoratori e altro, può rivolgersi a Renzi. Il Jobs Act è stata una delle peggiori legge mai fatta negli ultimi 20 anni”. Il testo di Durigon ammorbidisce la stretta sui contratti precari che ha reso obbligatoria la causale in caso di proroghe dopo i primi 12 mesi: i contratti collettivi potranno individuare “causali aggiuntive” rispetto a quelle previste. Allargando così la possibilità di ricorrere a rapporti a tempo. Va detto però che la modifica non sarebbe nemmeno necessaria: già oggi i contratti collettivi e quelli “di prossimità” (aziendali o territoriali) possono prevedere deroghe o allungare il periodo durante il quale non è obbligatoria la causale.

Pasticci, furbate e “segreti”: il Daspo di Fico a 11 lobbisti

Roberto Fico fa sul serio. E ha dato cartellino rosso ad almeno 11 lobbisti che hanno violato le regole imposte dalla Camera. Per gli interessati questo significa il daspo da Montecitorio per un anno e in alcuni casi per l’intera legislatura. Si tratta delle prime sanzioni di cui si abbia memoria irrogate da quanto esiste il Registro dei portatori di interessi. Che ogni anno, dal 2017, dovrebbero rendere conto di cosa hanno fatto in Parlamento e soprattutto chi hanno contattato e per far che cosa. Un cambio di passo, a quanto pare. Specie perché da qualche mese, la Camera esige di sapere i nomi dei singoli deputati avvicinati nel Palazzo, senza accontentarsi di riferimenti generici come avveniva invece in precedenza.

Le sanzioni irrogate di recente dall’Ufficio di presidenza di Montecitorio, su proposta del collegio dei questori, certificano che le relazioni presentate sono 239 e quasi tutte soddisfano i requisiti. Ma con qualche eccezione. Fra tutti gli iscritti al registro in cui compaiono persone fisiche, ma anche società, in cinque non hanno proprio fornito le dichiarazioni relative al 2018. Si tratta di Aniem (l’associazione nazionale imprese edili e manufatturiere), Ovale Italia (società delle sigarette elettroniche), Daniele Carlo Alicicco, Expo Training srl (attiva nella formazione al lavoro) e l’Associazione Btc-Blockchain Tecnology Cryptocurrency. Per tutti loro è scattata la cancellazione dal registri con il divieto di richiedere l’iscrizione fino al termine della legislatura con revoca contestuale del titolo di accesso alle sede della Camera. In un altro caso, quello di Antonio Giordano, l’espulsione è scattata perché le verifiche effettuate dal collegio dei questori hanno evidenziato che “ha fornito indicazioni non corrette relativamente ai deputati incontrati”. E nonostante i solleciti, non ha ritenuto di fornire ulteriori chiarimenti.

Sbarrati i portoni della Camera, almeno fino a marzo 2020, ad altri 5 soggetti che invece le relazioni le hanno presentate ma sono stati troppo vaghi sugli incontri avuti a Montecitorio: si tratta dell’associazione World Medical Aid, Imperial Tobacco Italia, Rinaldo Marinoni, Noesi Srls, Si-Cel (il sindacato italiano confederazione europea del Lavoro). Secondo le nuove norme approvate il 7 febbraio scorso, infatti, “le relazioni devono dare conto dei contatti intervenuti con deputati nominativamente individuati e non possono contenere indicazioni di carattere generico”.

I 5 lobbisti, invece, come si legge nella ‘sentenza’ dell’Ufficio di presidenza, non hanno integrato le loro relazioni “che non saranno pertanto pubblicate, in quanto non verificate positivamente”. Ma anche altre relazioni non verranno pubblicate sul registro che compare sul sito web della Camera: l’Associazione italiana Broker di assicurazione, ma pure Sogei più altri 4 soggetti privati (Emanuel Bonanni, Cesidio Gammarota, Antonio Pedicini e Bartolomeo Scalzi) che si sono limitati a dichiarare di non aver svolto alcuna attività. Inutile dunque la pubblicazione annuale dal momento che nel 2018 non hanno neppure ritirato il permesso di accesso a Montecitorio.

Cosa dovrebbe esserci in queste benedette relazioni? Prima della stretta sull’indicazione nominativa dei deputati, le informazioni che non potevano mancare erano relative ai dati anagrafici dei portatori d’interesse, alla data di rilascio dei pass di accesso alla Camera, agli interessi rappresentati (propri o di terzi), all’attività di rappresentanza in particolare degli obiettivi perseguiti e le modalità di svolgimento dell’attività di lobby, cioè se ne fossero derivate proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi o altra iniziativa o comunicazione orale e scritta. Informazioni ritenute troppo vaghe, almeno a sentire Openpolis che scartabellando le relazioni le aveva ritenute obiettivamente poco utili alla causa della trasparenza. In mancanza di una legge nazionale, del resto ogni amministrazione si è arrangiata come ha potuto o voluto. Luigi Di Maio, ad esempio, si è dotato di un registro dei portatori di interesse per i due ministeri a cui è preposto, anche se le amministrazioni, come si legge sul sito dedicato, non effettuano controlli sulla veridicità dei dati immessi sulla piattaforma informativa dagli stessi lobbisti. Al ministero dello Sviluppo economico si tenta, non sempre con successo, di tenere aggiornata l’agenda degli incontri che è una buona prassi in cui va forte il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Ma l’impressione è che nel governo e nei palazzi pure delle Regioni si possa fare molto di più.

Lettera Ue, governo pronto a fornire garanzie sui conti 2019

Passa anche dal Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi la partita in corso tra l’Ue e l’Italia sulla procedura d’infrazione per debito. Il tema non è all’ordine del giorno del vertice che cercherà di risolvere il complicatissimo rebus delle nomine Ue, ma se ne parlerà a margine degli incontri che avrà Giuseppe Conte. Il premier dovrebbe discutere mercoledì in un vertice con i due vice Di Maio e Salvini i contenuti della lettera che invierà in settimana alla Commissione per evitare l’avvio della procedura (il termine ultimo è l’Ecofin del 9 luglio). L’obiettivo a cui lavora il premier insieme al ministro dell’Economia Giovanni Tria è ottenere un rinvio della partita all’autunno, con la manovra. È sul 2020, dove a bilancio ci sono 23 miliardi di aumenti automatici dell’Iva, che si gioca infatti il confronto con Bruxelles. Pe il 2019 il governo esclude una manovra correttiva ma probabilmente si impegnerà in fase di assestamento di bilancio a fine mese a garantire che il deficit sarà più basso del 2,5% previsto dall’Ue, grazie alle maggiori entrate e ai risparmi su Reddito di cittadinanza e Quota 100 (possibile una norma che definanzi i fondi). Nella lettera Conte chiederà anche di rivedere le regole Ue.