Ora Luigi Di Maio è più trapezista che capo. Cammina sul filo della crisi con il terrore del vuoto e un unico scopo, “far passare la nottata” come sintetizza un big. Però è come se avesse una benda sugli occhi. “Non riesco a capire cosa voglia fare Matteo Salvini, non so decifrarlo” ammette ai ministri a 5Stelle riuniti ieri mattina a Palazzo Chigi. Non sa se l’altro vicepremier punti davvero al voto a settembre. “Dobbiamo aspettare che faccia mosse concrete” ripete Di Maio alla sua squadra, a cui non fa menzione di un rimpasto o eventuali sostituzioni.
Non può permettersi scontenti in casa, perché l’urgenza è reggere l’urto del leghista. Quel Salvini che dagli Stati Uniti pretende la flat tax con tono padronale: “I margini ci devono essere, non è una scelta”. E poi giù altre botte: “Gli accordi sull’acquisto degli F-35 non si possono rimangiare”. Un calcio a un totem del Movimento. Ma Di Maio vuole resistere. “Non dobbiamo farci schiacciare sulle proposte dai leghisti, ma neanche dare loro pretesti per rompere” predica. Quindi va bene rilanciare con le carte del M5S, salario minimo, conflitto d’interessi e riduzione del cuneo fiscale. Ma niente strappi almeno fino al 20 luglio, per schivare il voto a settembre. Così il rimpasto che il leader del Carroccio vorrebbe ma non chiede (e il suo vero obiettivo è il ministero della Difesa) resta congelato. Magari chiuso nello stesso cassetto dove Di Maio tiene le schede della graticola per i sottosegretari della scorsa settimana.
Un malloppo di fogli con valutazioni (anonime) compilate da parlamentari e presidenti di commissione, che bocciano parecchi membri di governo. “Rischiano grosso almeno in 5-6” soffiano dai piani alti. E rimbalzano nomi come quello di Michele Dell’Orco (Trasporti), Angelo Tofalo (Difesa) e Davide Crippa (Mise). Ma l’elenco è più lungo, e chissà se e quando il capo politico vorrà intervenire. Difficile capire se vorrà tagliare teste, anche se quei giudizi pesano. Perché i parlamentari accusano i sottosegretari di fare “troppi viaggi”, ne bocciano “la capacità di ascolto”, rilanciano vecchi strali: “In Parlamento non si vedono mai, e non rispondono al telefono”. Non può essere un dettaglio, per il Di Maio che ha ventilato una graticola anche per i ministri. Però ieri proprio loro, ai ministri, il vicepremier parla di altro. Per esempio di riorganizzazione del M5S, di una struttura “che dobbiamo darci per tornare sui territori”. E ripete il comandamento: “Dobbiamo portare avanti il governo e realizzare i punti del contratto, mostrare che siamo leali”. Dentro l’accordo tra gialloverdi però c’è anche la flat tax. Ma i soldi per una sola aliquota non ci sono, lo sanno i 5Stelle. Peccato che non possano dire la verità, perché sarebbe un varco per Salvini. Così il capo gioca con le parole e contro-propone una flat tax che non lo è, cioè una misura fiscale “rivolta al ceto medio”.
Invece il suo staff “fa trapelare la piena fiducia in Conte”, l’ultimo frangiflutti al Carroccio. Domani potrebbe esserci il vertice a tre, con il premier e i due vice, sulla lettera di risposta alla commissione europea sulla procedura d’infrazione. “Sarà un testo condiviso” assicura ovviamente lui, Salvini. Il leghista che picchia, mentre Di Maio incassa i colpi: più che può.