Che mestizia i renziani tornati dalle catacombe

Quando la mestizia del governo attuale raggiunge l’azimut, ricompare puntualmente una iattura socio-antropologica pronta a rammentarci come non ci sia limite al peggio. Tale iattura ha il nome di renzismo, insuperabile parossismo di masserizia politica. Il caso Lotti è di una tristezza accecante e lo è ancora di più se ricordiamo come, anche solo tre anni fa, “Lampadina” (sì, gli amici lo chiamano così: e già questo basterebbe) stava per avere pure la delega ai Servizi Segreti.

Detto che il caso Consip – come tutta la rumenta che ruota attorno al Csm – sono solo invenzioni di Marco Lillo, l’affaire Lotti a qualcosa sta servendo. Prima di tutto, a ribadire quanto sia aleatorio il concetto di “autosospensione”. In secondo luogo, a ribadire il fiero cipiglio da cernia disossata di Zingaretti. In terza e forse ultima istanza, a far uscire dai propri sepolcri quei turborenziani che fino a tre anni fa giganteggiavano, assai fieri del loro nulla, e ora pascolano malinconicamente da un talk antelucano all’altro. Poiché il renzismo è ontologica espressione del nulla, ha da sempre come proscenio preferito il social più inutile e sommamente stitico: cioè Twitter.

È lì che il turborenziano ama brucare e ancor più pasturare, mitragliando cinguettii lividi e intrisi di crassa insipienza culturale: la loro smisurata assenza di doti e neuroni non smette di affascinare. Prendiamo un giorno a caso tra i tanti possibili. Venerdì scorso. È Lotti a dare il via alle danze, con un tweet trasudante supercazzole. Nel suo misero politichese Lotti non dice nulla di nulla, ed è per questo che il primo a esaltarsi è Gentiloni: lui, col niente, ci farebbe anche i fumenti. “La decisione di Luca Lotti merita rispetto. Una decisione non facile che apprezzo perché presa nell’interesse delle istituzioni e del Pd”. Purtroppo il volemosebenismo di Gentiloni, che fa il paio col ponziopilatismo dell’ineffabile Zinga, non è da tutti condiviso. Carlo Calenda, che su Twitter ci vive per il puro gusto di mostrare muscoli che mai ha avuto né mai avrà, tuona dall’alto della sua autoproclamata rilevanza: “Quello di @LottiLuca non è affatto un comportamento normale. È al contrario inaccettabile da ogni punto di vista. A quale titolo e con quale scopo si concertano azioni riguardanti magistrati? Il Pd deve dirlo in modo molto più netto rispetto a quanto fatto fino ad ora”.

Qualcuno non concorda e lui allora risponde a tutti a manetta (non ha ancora smesso), dimostrando come il tempo libero (almeno quello) non gli manchi. Tale attacco calendico genera uno straziante effetto domino, perché a replicare al renzianissimo Carlo sono altri turborenziani: una sorta di scontro fratricida tra evanescenze mosce. Il dibattito è oltremodo rasoterra e non può quindi mancare Michele Anzaldi. Come sempre esiziale il suo contributo: “Calenda che attacca Lotti via twitter è lo stesso Calenda che organizzava cene tra i leader Pd contro le divisioni? Prima voleva ricucire, ora da neo eletto Pd polemizza ogni giorno con un collega di partito diverso. Basta qualche anticipazione di giornale per una condanna?”. Sarebbe già tutto più che sufficiente per deprimersi in eterno, ma domenica ad Assisi si son pure risentiti le Boschi e i Giachetti. Mestizia purissima. Va poi sottolineato come, dalle catacombe del renzismo vilipeso, sia addirittura ricomparso un ardito fiancheggiatore mediatico oggi decaduto: il mitologico scriba Mario Lavia. Egli è sempre stato affascinante per quel suo non dire mai nulla di rilevante, e almeno in questo non è cambiato: “Tutto quello che volete ma qui un parlamentare è stato spiato”. Parole in libertà e sinapsi crivellate sul nascere: spiace. Riavvolgendo il nastro di questa sconfortante puntata tuttora in onda di “Quando c’era lui”, laddove il “lui” è nessuno e cioè Renzi, si ha nuova contezza di come la politica odierna sia deprimente ma con lui fosse persino peggio. Così, ora che son tutti politicamente postumi in vita, alla Diversamente Lince di Rignano e ai suoi ameni giannizzeri non resta che l’unica cosa in cui eccellono sul serio: portare altre vagonate di voti a Salvini.

Minoranza Pd: “Zingaretti vuole che ce ne andiamo”

Un confronto tra debolezze: il giorno prima, la direzione del Pd convocata ufficialmente per discutere di Europee e Amministrative si preannuncia così. Nicola Zingaretti si richiamerà, ancora una volta, allo “spirito unitario”. E la minoranza lottiana (ovvero Br, Base Riformista) , parafrasandolo, gli chiederà di smetterla con la “retorica unitaria”. Ecco il senso della posizione del segretario: “Farò uno sforzo per riaprire un dialogo e verificare le condizioni di un passo avanti insieme, almeno sul terreno della politica e dell’iniziativa politica”. Si arriverà a un voto sulla relazione e sia Br sia la componente che fa capo a Roberto Giachetti e Maria Elena Boschi presumibilmente voteranno contro.

Ma l’ennesimo psicodramma del Pd si combatte più a colpi di social che di rotture definitive. I renziani dell’area Giachetti e di quella di Lotti – più o meno costretti dagli eventi a ricomporsi – rimproverano a Zingaretti di aver fatto una segreteria senza le minoranze. Lui oggi ribadirà che l’offerta di entrare era stata fatta. Il che è anche vero: a un certo punto si era parlato persino dello stesso Lotti in segreteria. Poi, l’inchiesta di Perugia su Luca Palamara ha travolto ogni tipo di trattativa. Eppure Zingaretti non dovrebbe affondare neanche oggi: per i suoi personali rapporti con Palamara e per la difficoltà di gestire i gruppi parlamentari, per adesso ancora renziani.

Nell’area Giachetti sono convinti che i nuovi vertici dem sperano nella scissione. “Non gli daremo questa soddisfazione. Se ce ne vogliamo andare, lo decidiamo noi”, dice uno dei big della corrente. Il punto, però, non è volere, ma potere: “Per uscire bisogna andare da qualche parte. E noi dove andiamo?”, dicono dentro Br. Il punto è che il Pd ormai va da un’altra parte e loro appaiono residui di un’esperienza conclusa, destinata a essere fatta con le prossime liste. Per adesso, si lavora sulla rappresaglia. Un gruppo di lottiani duri e puri, noti e meno noti, domenica sera, a una cena di matrimonio, si è scattato un selfie, condiviso su Facebook con l’hashtag: “#Nicolastaisereno”. In primo piano, Dario Ballini D’Amato. E poi, Alessia Rotta, Carmelo Miceli, Davide Faraone. Qualcuno si è spinto in questi giorni pure a ipotizzare la richiesta di un altro congresso.

Ma sembrano più le mosse della disperazione che una vera strategia. Perché Zingaretti sta lavorando a erodere: di fatto, dando a Maurizio Martina il compito di riscrivere lo Statuto, ha già conquistato alla maggioranza la componente che fa capo a lui e a Delrio. Una delle tre teste di Br, Lorenzo Guerini, è dialogante. E soprattutto, c’è la strategia congiunta Paolo Gentiloni – Carlo Calenda. L’ex premier ha un’agenda fittissima in giro per l’Italia: lavora a fare il federatore delle varie liste di centrosinistra che dovrebbero nascere alle prossime elezioni. E ad ispirare quella di centro capeggiata da Calenda. Obiettivo, chiudere lo spazio a ogni manovra renziana con un soggetto di centro dove gli uomini dell’ex segretario non sono benvenuti. Ma le armi di tutti sono piuttosto spuntate. Restano le parole: “Zingaretti ora indichi una meta verso la quale la comunità politica democratica possa cominciare a muoversi”, è l’editoriale di Democratica, organo online del Pd, diretto da Andrea Romano, voluto lì da Renzi. Br dopo la direzione farà una sua riunione. Ha 10 giorni per elaborare una strategia: il 5, 6 e 7 luglio si vede a Montecatini. Il 12 a Milano Renzi riunisce i Comitati.

Auto non si ferma al posto di blocco: ucciso un carabiniere

Un carabiniere è stato travolto e ucciso la notte tra domenica e lunedì da un’auto a un posto di controllo. L’episodio poco prima delle 3, a Terno d’Isola (Bergamo). Vittima un appuntato del Nucleo radiomobile di Zogno, Emanuele Anzini, 41 anni, nato a Sulmona (L’Aquila), padre di una ragazza di 19 anni che vive in Abruzzo. Un’utilitaria lo ha trascinato per una cinquantina di metri: è morto sul colpo. Al volante un cuoco 34enne di Sotto il Monte, che pare fosse in stato di ebbrezza al momento del fatto ed è stato arrestato per omicidio stradale. L’uomo, di nazionalità italiana, aveva già dei precedenti per avere provocato incidenti in stato di ebbrezza, dandosi poi alla fuga. Anzini, figlio a suo volta di un carabiniere, stava effettuando dei controlli lungo via padre Albisetti, la strada provinciale che da Presezzo e Bonate Sopra porta a Sotto il Monte Giovanni XXIII. L’impatto è stato particolarmente violento, tanto che il vetro dell’auto si è distrutto nello schianto. Immediato l’allarme via radio da parte del collega che era con lui: sul posto sono arrivate l’automedica e due ambulanze, ma per il carabiniere non c’era ormai più nulla da fare.

Gli avvocati e le richieste d’asilo: “Sistematico rigetto dei ricorsi e stranieri condannati alle spese”

Aperta polemica a Venezia tra i legali impegnati nella tutela dei richiedenti asilo e i giudici della Corte d’appello, chiamati a decidere sulle impugnazioni delle decisioni del tribunale almeno fino al decreto Minniti-Orlando che nel 2017 abolì il secondo grado di giudizio. La percentuale di ricorsi accolti sarebbe vicina allo zero. Gli avvocati, si legge in un comunicato,

“hanno chiesto di verbalizzare la loro contrarietà a quella che sembra essere una regola per la Corte Veneziana: il rigetto sistematico dei ricorsi; il rifiuto del rinnovo di istruttoria, nonché la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, già disposta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, che solo in questa sede – e in questa materia – consegue ineluttabilmente al mancato accoglimento della domanda”, si legge in un comunicato della Cait , la Camera avvocati immigrazionisti del Triveneto.

Oltre al respingimento definito “sistematico” dei ricorsi, gli avvocati contestano le condanne dei richiedenti asilo al pagamento delle spese processuali e la revoca del patrocinio a spese dello Stato che molto spesso segue le pronunce negative, a volte accompagnato dalla trasmissione degli atti in Procura per procedere su eventuali reati di falso ipotizzati a carico degli stranieri ricorrenti. “Questa iniziativa – scrivono ancora – si pone nel solco di un’attività di contrasto a prassi del Foro lagunare non sempre tutelanti i diritti degli stranieri, a cominciare dal c.d. ‘Protocollo della Sezione Specializzata di Venezia’, adottato nel marzo del 2018 e tutt’ora utilizzato, senza alcun preventivo coinvolgimento degli avvocati immigrazionisti e degli Ordini distrettuali. L’iniziativa verrà mantenuta per tutte le prossime udienze e si affianca all’attività di coinvolgimento degli Ordini già intrapresa da Cait sul piano istituzionale; ad oggi, inoltre, non sono escluse ulteriori forme di protesta” .

“CasaPound, l’occupazione ha causato un danno allo Stato di 4 milioni e 600 mila euro”

L’occupazione dell’immobile di via Napoleone III, nel quartiere Esquilino a Roma da parte di Casapound, ha causato in 15 anni un danno alle casse dello Stato di 4 milioni e 600 mila euro. È quanto ha calcolato la Corte dei conti di Roma nell’invito a dedurre una sorta di chiusura delle indagini. A risarcire il danno erariale per omessa disponibilità del bene e mancata riscossione dei canoni dovranno essere nove dirigenti dell’Agenzia del Demanio e del Miur, proprietario dell’edificio.

L’immobile, di proprietà dello Stato, nel settembre del 1958 fu concesso in uso dal ministero delle Finanze (direzione Generale del Demanio) al ministero della Pubblica Istruzione e nel 2003 è stato occupato a seguito di un trasloco dei vecchi uffici. Secondo quanto ricostruito dai magistrati, i dirigenti sono colpevoli di “non aver agito in via di autotutela amministrativa e per non aver coltivato le azioni civilistiche volte alla restituzione del bene e al risarcimento dei danni (…) nonché per non aver richiesto l’indennità di occupazione sine titulo agli occupanti”.

“Non è tollerabile in uno Stato di diritto – scrivono i giudici contabili – una sorta di ‘espropriazione al contrario’ che ha finito per sottrarre per oltre tre lustri un immobile di ben sei piani, sede storica di uffici pubblici, al patrimonio dello Stato causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’erario. L’occupazione ‘sine titulo‘ dell’immobile da parte di Casapound e degli altri occupanti ha determinato una perdita economica per le finanze pubbliche e comunque una lesione al patrimonio immobiliare pubblico, dato che il cespite non è stato proficuamente utilizzato per oltre 15 anni. Tale danno – aggiungono i magistrati contabili – va imputato a titolo di responsabilità gravemente colposa, all’inerzia dei direttori ‘pro tempore‘ della direzione Roma Capitale dell’Agenzia del Demanio e ai dirigenti competenti ‘pro tempore‘ del Miur .

Lite alla festa del paese, 47enne uccide un ragazzo a coltellate per uno schizzo d’acqua

Una lite scoppiata durante la festa paesana per motivi più che banali, uno spruzzo d’acqua partito da una fontanella, si è trasformata in tragedia nella tarda serata di domenica a Veniano, nel Comasco. Un giovane di 25 anni, Hans Junior Krupe, genitori olandesi, residente a Veniano, è morto colpito al fianco con un coltello a serramanico. L’omicida è un operaio e un padre di famiglia, Gabriele Luraschi, 47 anni, di Fenegrò (Como), incensurato. Ha confessato ed è stato arrestato in flagranza per omicidio volontario e porto abusivo d’arma bianca.

La lite è scoppiata intorno alle 22.20 nel campo sportivo a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla Pinetina di Appiano Gentile, dove era in corso la festa del paese. Secondo quanto riferiscono i testimoni l’omicida è stato raggiunto da uno spruzzo d’acqua partito da una fontanella dove c’erano la vittima e alcuni amici. Luraschi si è lamentato, poi i due si sono insultati, e dagli insulti si è passati alle mani. È nata una colluttazione, fino a quando l’uomo ha estratto il coltello e ha colpito il giovane. Sarebbero stati due i fendenti, letale è risultato quello inferto al fianco. Il ragazzo ha camminato barcollando per alcuni metri ed è poi stramazzato a terra vicino agli spogliatoi. Non è nemmeno riuscito a chiedere aiuto. Era ancora cosciente quando sono arrivati i soccorritori che l’hanno trasportato in ambulanza all’ospedale Sant‘Anna di Como, dove è morto circa un’ora dopo il ricovero. L’omicida, che era alla festa paesana con moglie e figli, subito dopo si è allontanato dal campo sportivo ed è tornato a casa a Fenegrò, a circa tre chilometri di distanza. Sembra che sia stato lui a telefonare ai carabinieri, che nel frattempo lo avevano individuato attraverso le testimonianze e le riprese delle telecamere in funzione durante la festa: in casa, Luraschi aveva ancora maglietta e pantaloni sporchi di sangue e il coltello a serramanico con cui ha colpito il giovane. Non sapeva, e probabilmente non immaginava, che il ragazzo fosse morto. Ha subito confessato, e dopo la nottata passata in caserma, è stato arrestato per omicidio volontario e porto d’arma bianca.

Aggressione fascista a Trastevere, si cerca tra gli ultrà di Roma e Lazio

Una trentina di foto segnaletiche di ultras della Roma e della Lazio e qualche vaga somiglianza riscontrata. “Ma per ora non ci sono sospettati”, si affrettano a precisare gli inquirenti. Si cerca negli ambienti delle curve e dell’estrema destra romana per provare a intercettare gli aggressori “rasati e con i tatuaggi” che sabato notte hanno preso a bottigliate, pugni e testate quattro ragazzi fra i 19 e i 21, nel rione Trastevere a Roma. “Avete la maglietta del Cinema America, siete antifascisti”, avrebbero urlato gli aggressori, secondo la ricostruzione fornita dai giovani, prima di scagliarsi contro di loro. Il riferimento è all’associazione culturale fondata da un gruppo di studenti per salvare l’ex cinema Piccolo America, attraverso la proiezione di film e l’organizzazione di incontri con attori e registi. Format avviato come una delle tante occupazioni di sinistra presenti in città, ma pian piano cresciuto e divenuto un appuntamento fisso dell’estate romana.

Il movente politico è stato confermato ai Carabinieri di Trastevere da Valerio Colantoni, uno dei ragazzi aggrediti, che solo ieri pomeriggio ha provveduto a sporgere denuncia formale. Inizialmente, infatti, nessuno dei quattro aveva avvertito le forze dell’ordine. Tanto che sia gli uomini dell’Arma sia la Digos si erano mossi autonomamente dopo che un altro degli aggrediti, David Habib, aveva raccontato l’accaduto ad alcuni organi di stampa locali. Anche David – operato ieri al setto nasale – ha assicurato che sporgerà a breve denuncia “con indosso la maglia dell’aggressione”. Oltre alle foto segnaletiche sottoposte ai ragazzi, le forze dell’ordine hanno acquisito le immagini di alcune delle telecamere presenti a via San Francesco a Ripa e nelle vie limitrofe. Entro domani mattina sono attese in Procura le informative di Polizia e Carabinieri, poi saranno i pm ad aprire un fascicolo e coordinare le indagini.

“Combattiamo contro ogni genere di violenza, politica, non politica, calcistica, fascista. Anche su questo episodio c’è qualcuno che tristemente dice è stata colpa mia”, ha fatto sapere da Washington il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. “Il Cinema America va avanti, senza piangersi addosso e senza paura”, ha assicurato il giovane patron dell’associazione, Valerio Carocci, dopo aver incassato la solidarietà vip dell’attore inglese Jeremy Irons.

Ma non c’è solo la presunta “aggressione fascista” a tenere banco negli ambienti della sinistra radicale capitolina. La Prefettura di Roma, infatti, da alcune settimane ha adeguato le priorità sugli sgomberi alle direttive del Viminale, inserendo fra i primi 22 edifici da liberare alcuni simboli delle occupazioni in città. Ieri mattina, i rappresentanti di oltre 30 movimenti, associazioni e sindacati di base – aderenti all’appello Facebook “Roma non si chiude” – si sono riuniti davanti alla sede del Viminale per protestare e dare appuntamento alla manifestazione che si svolgerà sabato 22 giugno alle 16 in piazza Vittorio Emanuele.

Depistaggio Cucchi, l’Arma e il governo saranno parti civili

Palazzo Chigi, Viminale, ministero della Difesa e Arma dei Carabinieri saranno parti civili nel procedimento contro otto carabinieri accusati di depistaggio sul caso della morte di Stefano Cucchi. Fra le parti civili anche la famiglia Cucchi, tre agenti della polizia penitenziaria inizialmente accusati della morte del giovane, l’appuntato Riccardo Casamassima e l’associazione Cittadinanzattiva. La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per otto carabinieri tra cui il generale Alessandro Casarsa, allora comandante del Gruppo Roma, e Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. La richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche Francesco Cavallo, all’epoca tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, all’epoca dei fatti maggiore dell’Arma e comandante della compagnia Roma Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio alla stazione di Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei Carabinieri e il carabiniere Luca De Cianni.

“La Liguria resta senza elisoccorso. Arrivano i privati”

“In nome della sicurezza del volo e in mancanza di nuove regole reputo sia doveroso interrompere l’attività operativa in attesa che l’amministrazione ponga rimedio alla situazione”. Con questa lettera di una settimana fa il Responsabile delle Operazioni di Volo dei Vigili del Fuoco in Liguria ha sospeso il servizio di elisoccorso. In una regione con 1,5 milioni di abitanti, decine di comuni difficilmente raggiungibili e turisti sulle spiagge. Uno stop – i piloti si sono divisi tra chi è rimasto a terra e chi ha volato sotto la propria responsabilità – durato cinque giorni. Soltanto ieri il servizio è ripreso. Ma la questione va oltre il disservizio e tocca la gestione dell’elisoccorso che anche in Liguria potrebbe passare dal pubblico al privato. Una politica che, secondo il consigliere comunale genovese Stefano Giordano (M5S), rischierebbe di cacciare al vento competenze decennali. Senza valide ragioni economiche. Una battaglia che in tutta Italia vale centinaia di milioni di convenzioni con gli operatori privati. Contratti che suscitano domande, come quelli per il servizio anti-incendio dei Canadair.

Il servizio di elisoccorso dei pompieri liguri è considerato un modello a livello europeo. Non solo: qui hanno volato persone come il maggiore Rinaldo Enrico, il pilota dei Vigili del Fuoco (precipitato nel 1973) che sulla fiancata del suo minuscolo elicottero Libellula faceva una tacca per ogni persona salvata. Enrico che nel 1972, sospeso a pochi metri dalle onde, salvò molti marinai inglesi nel naufragio della London Valour.

Che cosa è successo? I vigili del fuoco in Liguria possono contare su tre elicotteri ma per una settimana, sostiene il sindacato Usb, erano tutti in manutenzione. “Ne restava un quarto”, spiega Giordano, lui pure vigile del fuoco e sindacalista Usb, “ma non era fornito di tutte le apparecchiature, per cui non poteva comunicare con il 118 e nemmeno atterrare nelle piste degli ospedali (anche il Gaslini per bambini)”. Risultato: pochi giorni fa è arrivata una missiva ai responsabili di volo a Genova. È possibile atterrare sulle piste degli aeroporti, chi atterra altrove “se ne assume le dovute responsabilità sentito il parere sanitario del medico di bordo”. Di qui la decisione di “interrompere” i voli. Ma la questione va oltre. “La Liguria”, ricorda Giordano, “è l’ultimo baluardo di un servizio di prim’ordine offerto dal Corpo”. Giordano, in un esposto che sarà presentato oggi in Procura, si chiede come si sia potuti arrivare a questo punto: con l’ultimo elicottero disponibile che aveva “un’ora e mezzo di volo prima dell’obbligatoria manutenzione, mentre due velivoli disponibili ad Arezzo e Bologna potevano volare ancora fino a quindici ore”. Ma c’è anche una questione economica: Giordano si chiede se abbia senso affidarsi ai privati “con un notevole aumento dei costi per la collettività, come si capisce confrontando la convenzione ligure con i Vigili del Fuoco e quelle stipulate con i privati in altre regioni”.

La vittima ora è sotto accusa: il femminicidio non finisce mai

La giustizia mi sta facendo più male di quanto me ne abbia fatto il mio ex quando mi ha dato fuoco”. Le parole di Valentina Pitzalis sono asciutte e spaventose. E chi conosce la vicenda, non fatica a crederle. Valentina Pitzalis è l’unica vittima di tentato femminicidio in Italia, e forse del mondo, a cui non è permesso di essere una vittima.

Tutto inizia il 4 marzo 2006 in Sardegna, a Carbonia, città operaia dal glorioso passato minerario, quando Valentina, 22 anni, sposa il suo coetaneo Manuel Piredda, dal passato turbolento. Ha 18 anni quando Eleonora, la sua fidanzatina minorenne, lo lascia. Manuel la perseguita, stampando volantini in cui la ragazza era seminuda e diffondendoli in giro per Iglesias. Revenge porn artigianale. Insieme a un complice la tormenta con telefonate anonime e sms quali: “Ciao troia sono M31, ti distruggerò sia fisicamente che psicologicamente”. Viene condannato a un anno di reclusione. Dopo il matrimonio con Valentina, Manuel è geloso in maniera ossessiva, ricopre di buste il pavimento della loro camera da letto per sentire se Valentina si alza mentre lui dorme. I due fanno brevi esperienze lavorative in Germania. Il proprietario della gelateria tedesca che li prese a lavorare, dopo più di dieci anni, dice: “Me li ricordo bene quei due, povera ragazza. Lui un tipaccio, lei fine e gentile ma soggiogata, piangeva per le scenate di gelosia. Li mandai via dopo tre giorni”.

Nel 2009 Manuel viene arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, va ai domiciliari. La perizia psichiatrica accerta una dipendenza da benzodiazepina che incide sui tratti aggressivi della sua personalità. Nel 2010 Valentina lo lascia, lui confessa di essere andato con una prostituta. Manuel è dipendente da xanax, beve, fuma hashish. Viene denunciato per furto, chiede il rito abbreviato con a fine aprile 2011. È in attesa dei domiciliari. Valentina, dopo la rottura, trova un lavoro come barista, si diploma, esce con un ragazzo. Lui le scrive che gli manca, ma lei è irremovibile: il matrimonio è finito.

IL TENTATO OMICIDIO.La sera del 17 aprile 2011 Manuel chiede a Valentina di passare a casa sua dopo il lavoro. Lui ha occupato abusivamente un appartamento dove conta di scontare i domiciliari. Le chiede di portargli un documento perché il giorno dopo ha appuntamento col suo avvocato (l’avvocato smentirà). E’ una trappola. Lei gli scrive via sms: “Io penso ke se avevi tutta questa urgenza venivi a prendertelo. Se ti va bene te lo porto domani mattina”. Ma lui la convince. Quando Valentina entra in casa, Manuel le butta addosso della benzina e le dà fuoco. Prende fuoco anche lui, probabilmente senza volerlo. Manuel muore, Valentina brucia per 20 minuti, rimane mesi in ospedale, ma si salva. Ha perso la mano destra, le orecchie, il naso. Subirà un numero infinito di operazioni.

LA PERSECUZIONE. Quando Valentina è tra la vita e la morte, inizia la campagna d’odio nei suoi confronti. Utenti con profili fake, mentre è in coma, scrivono su Facebook cose come “Bugiarda parassita ha appiccato lei il fuoco sennò col cazzo che si era salvata, ha scritto in faccia che è carogna di merda”, “Manuel era un ragazzo d’oro”. La sorella di Valentina, Francesca, racconta: “Mi presentavo tutti i giorni con questi messaggi dai carabinieri, in lacrime”. Valentina esce dall’ospedale. Non ha mai una parola d’odio per Manuel, ripete: “Non era un mostro, ha fatto una cosa mostruosa”. La signora Roberta Mamusa, madre di Manuel, apre una serie di pagine Facebook tra cui una (attiva) con 30.000 adepti. Tutti i giorni, da otto anni, su quelle bacheche scrive su Valentina cose come “Piccolo condor che si intende di dimensioni varie”, “Strega maledetta”, “Hai la faccia che ti meriti”. I suoi seguaci commentano: “Doveva finire di bruciare”, “Psicopatica”. Vicini di casa di Valentina la minacciano di morte, altri guardano cosa fa dalla finestre di fronte e lo riferiscono nel gruppo, la Mamusa invita i 30.000 follower a tempestare di mail chiunque la inviti in tv e realizza video in cui urla: “Non ho niente da perdere, non mi fermerò mai!”. Insulta i giornalisti che difendono da sempre Valentina, tra cui Fabio Lombardi di Quarto Grado. Arriva a pubblicare un vecchio diario di Valentina spacciando testi di canzoni in cui si parla di morte per propositi omicidiari della ex nuora. La vita di Valentina è questo inferno dal 2011. La Pitzalis sporge denuncia più volte. Roberta Mamusa viene condannata in sede civile, ma si dichiara nullatenente. Oggi è a processo per diffamazione aggravata e continuata, ma continua a scrivere: “A me delle denunce e delle condanne non importa niente, vado avanti!”. Valentina non può più collaborare con la onlus FareXBene andando per scuole e convegni: ha paura ed esce di casa solo accompagnata. Vive dei suoi con una pensione minima, con cui non riesce più a pagare operazioni e spese legali. Si avvia verso la morte sociale.

La riapertura delle indagini. Dopo ben due archiviazioni per morte del reo, Valentina Pitzalis, dal 5 luglio 2017, è indagata per omicidio e incendio doloso. Quali sono le novità che determinano l’apertura di nuove indagini? Una consulenza sulle ustioni della Pitzalis accompagnata alla denuncia di Roberta Mamusa contenente indizi schiaccianti quali “Valentina amava i teschi”, “Valentina si è sposata con un abito nero”. O anche passaggi su una signora che ha saputo da uno dei dipendenti delle pompe funebri, amico del suo ex marito, che “Manuel potrebbe non aver sofferto mentre bruciava poiché era morto prima a causa di un colpo alla testa che gli aveva perforato il cranio”. A supportare questa tesi arriva poi la consulenza della criminologa Elisabetta Sionis. Colei che si definisce “d.ssa criminologo clinico esperto in psicologia giuridica” ma che non risulta iscritta ad alcun albo professionale. Ha analizzato le foto della scena del crimine e avrebbe notato un foro da proiettile sulla porta, proiettili per terra, uno nel cranio di Manuel, tagli vari.

Il corpo di Manuel semi-carbonizzato e putrefatto viene riesumato, a sei anni dalla morte. Niente proiettili e colpi in testa, la criminologa s’è sbagliata. Alla prima udienza dell’incidente probatorio, il colpo di scena: secondo la professoressa Elena Mazzeo, perito del Gip, dagli esami sulla salma di Manuel risulta sì che il ragazzo è morto per asfissia, ma non ha respirato fumo prima di morire perché la quantità di monossido di carbonio nel suo corpo è esigua. Dunque era già morto prima di prendere fuoco. Solo che non ha segni di strangolamento, come sia soffocato non si sa. La novità è accolta con fuochi pirotecnici dalla Mamusa, dai suoi legali, dalla criminologa Sionis. La stessa Sionis a cui, nell’ultima udienza del 10 giugno, il giudice ha estromesso una consulenza difensiva di centinaia di pagine con considerazioni sulla personalità di Valentina oltre l’immaginabile. Basti pensare che in un passaggio la criminologa azzarda un’analogia tra la Pitzalis e Freddy Kruger, ustionato anche lui e anche lui capace di uccidere una ragazza dandole fuoco. Allega anche una foto di Valentina con un maglione e un cappello simili a quello del protagonista del film Nightmare. Attenzione però. Il team difensivo della Mamusa non è solo questo, tra i consulenti spicca il professor Vittorio Fineschi, ex consulente della famiglia Cucchi. Il luminare, che riferisce di essere ritenuto un “influencer”, ritiene che Manuel sia verosimilmente morto per asfissia meccanica indotta con mezzi morbidi: una calza di seta da donna, per esempio, potrebbe determinare un’asfissia senza lasciare solchi profondi sul collo. Difficile però immaginare che Valentina Pitzalis, 1,57 di altezza per 50 chili, abbia potuto soffocare in due, tre minuti al massimo Manuel Piredda. Il tutto bussando alla sua porta con in mano cellulare, calza o busta per soffocarlo e una tanica di benzina.

LA DIFESA. L’avvocato Cataldo Intrieri che insieme alla collega Adriana Onorato difende Valentina Pitzalis considera questo caso unico nel suo genere. “È un meccanismo di fake news applicato alla giustizia: un tentato femminicidio archiviato viene riaperto cinque anni dopo in base ad una denuncia della famiglia Piredda basata su illazioni e su un falso. Il Gip di Cagliari dispone un’autopsia sulla salma che esclude ferite da arma da fuoco. Già basterebbe questo a chiudere la pratica in quanto la notizia di reato denunciata dai Piredda è falsa, invece si procede”.

Cosa dice questa perizia che fa cantare vittoria alla Mamusa?

Niente, che Piredda è morto di asfissia in un ambiente pieno di fumo. Secondo la scienza si muore asfissiati perché si sono respirati gas tossici o perché non si respira più ossigeno a causa dell’anidride carbonica che invade un locale angusto. Quella notte i vigili entrarono con l’autorespiratore perché la stanza dove giaceva Manuel era invasa dal fumo mentre Valentina era a terra, in un’altra stanza, vicino a una finestra rotta, il che l’ha salvata. Eppure i periti avanzano un’ipotesi in parte simile a quella dei Piredda, che Manuel fosse già morto prima di essere attinto dal fuoco. Come, non ce lo dicono, ma basta il dubbio per parlarne.

Nella perizia della Mazzeo si afferma che Valentina sia stata investita da un ritorno di fiamma mentre il corpo di Manuel bruciava.

I vestiti di Valentina erano impregnati di benzina, lo dice il verbale dei Carabinieri, su quelli di Manuel non sono state trovate tracce di idrocarburi, lo rilevano le analisi dei periti. Quindi è senz’altro Manuel ad aver dato fuoco a lei.

La tesi del perito del giudice Mazzeo e quella del consulente della famiglia Piredda, il professor Fineschi, però coincidono.

La professoressa Mazzeo dopo l’autopsia decide che ha bisogno di un aiuto di altri colleghi. Nel frattempo la famiglia Piredda, dopo un valzer di consulenti, li revoca tutti e nomina un luminare, il prof. Vittorio Fineschi. Questi periti hanno una caratteristica comune, oltre l’autorevolezza: sono tutti professionalmente e accademicamente vicini a Fineschi. Risulta che Fineschi abbia numerose pubblicazioni con la dottoressa Mazzeo, con la Bertol e con la Neri (gli ausiliari). Risulta che la Neri sia stata allieva e sia cresciuta professionalmente col professor Fineschi e, insieme alla professoressa Bertol, sono stati membri della medesima commissione di esami per l’assegnazione di ambite cattedre universitarie.

Perché la questione è importante?

Numerose sentenze della Cassazione ribadiscono la necessità dell’indipendenza dei periti e dei consulenti. Infatti il professor Fineschi, nella vicenda Cucchi in cui era consulente delle parti offese, ha contestato un perito ritenendo che fosse professionalmente vicino a un altro.

Come si può essere certi dell’indipendenza di un consulente?

Se la sera prima dell’udienza di un caso delicato in cui lei fosse indagata vedesse a cena insieme il perito del giudice con i consulenti della controparte avrebbe ragione ad allarmarsi. L’indipendenza è garantita dal fatto che non ci sia vicinanza e familiarità tra periti del giudice e consulenti di parte, allo stesso modo che tra avvocati e giudici. Io non so come siano i rapporti con l’autorevole consulente del Pm, una parte pubblica dunque, professor Tagliaro. Ma lui boccia il lavoro della professoressa Mazzeo.

Che ne sarà di Valentina Pitzalis?

Ho fiducia nella giustizia. La controparte si dichiara sicura della richiesta di rinvio a giudizio, non mi spiego il perché. C’è un danno da processo che ogni vittima subisce per il solo fatto di entrare in un’aula a rivivere l’orrore. Ma qui è molto peggio, il ruolo di Valentina è stato capovolto, è diventata un’indagata. Le leggi e le direttive europee impongono la tutela della vittima. Non ho rinvenuto in questa vicenda una tale sensibilità da parte dello Stato e per me è questo il rammarico professionale più grande.