Seria lo è. Talmente seria da incutere timore pure mentre cammina: il tacco nove non le impedisce un passo quasi marziale, fende i corridoi, risponde al cellulare, sorride poco, dà indicazioni ai collaboratori per la puntata del giorno dopo, risquilla nuovamente il cellulare, si siede, “no grazie, niente acqua”, affronta le domande, e pensa al domani professionale.
Ma lei, dorme? “Non più come una volta, magari la notte la passo davanti alla televisione”.
Eleonora Daniele è bellezza acquisita e professionalità conquistata, se uno la guarda oggi non può credere di averla vista per la prima volta nella casa del Grande Fratello. Eppure è così.
E oggi una delle curve delle quali va più fiera è quella dell’Auditel: il suo Storie italiane è uno dei programmi più visti della Rai, dove cronaca e personaggi intrecciano la vita dei telespettatori.
Carattere deciso.
Assomiglio a mio padre, persona di cuore e generosa, ma con forte personalità, un vero Leone come da quadro astrologico.
Avrà anche imparato a esserlo.
Arrivo dalla campagna veneta, da un paesino che si chiama Saonara, ma a 18 anni già abitavo da sola a Padova: lì studiavo e nel frattempo lavoravo.
Studiava, cosa?
Istituto Magistrale, desideravo insegnare, stare con i bambini.
Diplomata, con?
Non un numero altissimo, però a scuola ero brava. Forse ho preso 43.
Poi…
Ho iniziato a lavorare e ho capito che in realtà mi piaceva tutt’altro, soprattutto il marketing.
Lei a scuola.
Il contrario di oggi: ero timida, introversa, metodica sui libri; per ogni interrogazione mi ammazzavo di studio, non sapevo improvvisare su nulla; oggi come allora improvviso solo se ho una base solida.
Comunque timida.
Lo sviluppo fisico è arrivato tardi, fino ai 17-18 anni ero bruttina (ci pensa un secondo); in realtà parecchio brutta (ci pensa un ulteriore secondo); ma adesso non voglio passare per bella.
Assolutamente.
Mi chiamavano “alicina”, ed ero tanto magra, eppure mangiavo con appetito; a volte i ragazzini mi prendevano in giro.
Non piaceva.
Per niente, in quel senso non ero molto sociale, non venivo scelta in mezzo al gruppo di ragazze; poi all’improvviso è esplosa la femminilità, e con quella è arrivato pure il carattere deciso.
Di pari passo.
Quando ho intervistato Lasse Matberg (vincitore di Ballando con le stelle del 2019) mi sono molto ritrovata nel suo racconto…
In che senso?
Lui alto, un ragazzone bellissimo, ogni stereotipo positivo al suo posto, eppure mi ha confidato di essere stato vittima di bulli perché lo prendevano in giro a causa dei denti storti.
Quindi…
Ecco, uno vede un figone così e non può credere a un’infanzia difficile.
La morale personale?
A me è successa un po’ la medesima situazione, e da piccola ero veramente insicura, mi rifugiavo in perenni riflessioni, scrivevo, mi isolavo nel mio mondo.
Resta sempre quell’eco?
Sì, quello che vivi nell’infanzia prima e nell’adolescenza poi te lo porti dietro per tutta la vita, e capita di sentirti ancora oggi un brutto anatroccolo, o comunque di poter avvertire riflessi dell’insicurezza di un tempo.
È la più piccola di quattro fratelli.
Prima di me c’era Luigi: con lui sono cresciuta in simbiosi (cambia totalmente tono della voce); da sorella di un disabile con una grave forma di autismo sono maturata prima dei miei coetanei; mi sono occupata di lui soprattutto nel periodo dell’adolescenza, quando si possono manifestare episodi di autolesionismo.
E lei…
Sono immagini che restano dentro, e forse oggi mi aiutano a comprendere meglio alcune storie trattate in trasmissione.
Ha le “corde”.
Avevo sei o sette anni, il periodo della chiusura dei manicomi a causa della legge Basaglia, e quando andavamo all’ospedale psichiatrico trovavamo pazienti con patologie mentali, tipo la schizofrenia.
Altra storia rispetto all’autismo.
Durante le crisi gravi lo ricoveravano negli stessi reparti, e abbiamo vissuto situazioni molto pesanti, però con una forte condivisione del dolore.
Si scherma dalle storie che affronta in televisione?
Non sempre, a volte non riesco, non lo trovo giusto, e continuo a seguirle nel tempo, anche negli anni, perché le soluzioni si trovano se non molli la presa; se al contrario diventi una trasmissione mordi e fuggi, allora le tue aspettative si riducono alla semplice spettacolarizzazione.
Insomma, la notte non dorme tanto…
Sempre stata una dormigliona, nell’ultimo periodo meno, magari sei ore. Forse sto invecchiando.
Rimpianto?
Se potessi tornare indietro starei di più con mio fratello.
Non lo nasconde.
Parlarne è terapeutico.
(Squilla ancora il cellulare. Si alza e cammina).
Sempre sui tacchi.
Solo in trasmissione. Oggi è un caso.
Lì ci vogliono.
Sono un’esteta.
Il giornalismo quando l’ha scoperto?
Con Uno Mattina e le prime dirette del 2004 durante i giorni drammatici dello tsunami nel Sudest asiatico.
Nella prima diretta era nervosa?
Emozionata però vissuta con grande normalità, andare a braccio mi piace; poi ho lavorato per cinque anni insieme a Beatrice Bracco (celebre insegnante di recitazione) e mi ha aiutato molto, in particolare con il teatro.
Amava il palco?
Molto e un giorno non escludo di tornarci.
Cosa le piaceva?
Soprattutto il rapporto con il pubblico, quell’immediatezza che spesso manca con la televisione.
Va a teatro?
Non spesso, la sera non esco quasi mai, la mattina mi sveglio alle cinque.
Sorride qualche volta?
No, piuttosto mi piace fare le battute.
Quindi, “no”.
Ho una vena malinconica, non sono una donna da risata a crepapelle, mi controllo perennemente.
Un falò sulla spiaggia?
Mai uno.
Campeggio?
Uno solo, poi mi sono ripromessa di non capitarci più (e qui sorride).
È stato un dramma.
Da ventenne e in Sardegna: arrivai alla fine della vacanza senza neanche i centesimi per acquistare una bottiglietta d’acqua.
Ultradramma.
Sono cresciuta in campagna, stavo bene a casa mia, non sentivo una particolare esigenza di immergermi nella natura.
Casa ordinata.
Lo sono diventata.
In cosa è peggiorata?
Sul controllo, non mollo nulla, monitoro ogni sfumatura.
Ogni.
Questo lato caratteriale si è sviluppato con il lavoro, poi l’atteggiamento si è diffuso nel resto della vita.
Quindi…
A casa un tempo ero ultra-disordinata, un bordello, mamma disperata, oggetti e vestiti nascosti sotto il letto; ora no, ed è un problema: non mi riconosco più.
Si incavola?
Abbastanza.
Le passa?
Velocemente.
In trasmissione ogni tanto cazzia gli ospiti.
Può capitare, ma siamo in onda su Rai1, televisione pubblica, ed è una responsabilità grossa: anche una frase giusta, ma espressa in maniera sbagliata, può diventare una bomba.
Questo, significa…
Se sento qualcosa che può diventare un problema, allora intervengo; spesso i nostri temi sono l’immigrazione, la sanità, la cronaca, questioni che toccano il pubblico, e sono necessarie le giuste tutele per tutti, anche delle minoranze.
Ha cavalcato la storia di Pamela Prati.
All’inizio, leggendo le inchieste di Roberto D’Agostino su Dagospia, l’avevo derubricata a vicenda passata. Sbagliato.
Invece.
Dopo mi sono incuriosita, in particolare quando sono arrivate le altre testimonianze: lì ho capito che non era un singolo caso ma un sistema.
Diffuso?
Nel tempo mi è giunta qualche ulteriore chiacchiera, ma a microfoni spenti.
Non è solo gossip.
Con le denunce partite, si esce fuori dal semplice spettacolo.
Lei non è molto gossippata.
Tra un po’ sì, a settembre mi sposo.
Contenta.
Quando ho provato l’abito una lacrimuccia è scesa.
Torniamo al gossip…
Ci sono personaggi che vivono anche di quello, per me non è così decisivo, mi occupo di altro.
La infastidisce?
Fa parte di questa vita, e se sei un personaggio pubblico un po’ di te lo devi raccontare, pure se non è semplice: quando sono andata ospite da Mara Venier per Domenica In, i giorni precedenti avevo la testa alla diretta. Sapevo che avrei parlato di mio fratello.
E…
Il pubblico ti ama anche per quello che sei; cerco di non esagerare, infatti non sto tutto il tempo sui social, non posto in continuazione foto. Evito per quel che posso.
Calendario sexy?
Proposto, ma non sono un personaggio adatto; detto questo non ci vedo nulla di male, il corpo può raccontare molto di te. E ci sono donne talmente belle che se non si mostrassero sarebbe un peccato.
Rifatte o naturali?
La chirurgia non la amo.
Però ne è circondata.
Abbastanza, e spesso neanche me ne accorgo. Sa chi mi piace? Rita Dalla Chiesa, donne elegante, interessante, intelligente.
Non rifatta.
Poteva essere diversa, invece ha deciso di mostrarsi bella per quello che è: se un giorno avessi una figlia mi piacerebbe decidesse di vivere così la propria vita, di ispirarsi a una come Rita.
A che ora monitora i dati Auditel?
Alle 10, appena escono.
Appuntamento fisso.
Li vedo senza particolare ansia, però li studio fino in fondo, e tutti i giorni, non solo i miei, pure quelli degli altri; magari avrò un nuovo futuro come esperta di numeri.
A chi dice grazie.
Un grazie non si nega a nessuno.
Nello specifico.
Ai miei nonni: mi hanno cresciuta fino ai cinque anni, e quando i miei lavoravano; forse sono i momenti più belli della mia vita; in particolare nonna, rapporto simbiotico, talmente forte da ricordarmi qualsiasi momento vissuto insieme.
Con lei rideva?
Sì… (risposta d’istinto. Poi si ferma e ci ripensa). Non lo so, forse non sono mai stata sorridente; però mi ha regalato molta forza. E oggi mi serve.
Professionalmente, a chi il “grazie”?
Luca Giurato: mi ha insegnato a sparigliare, a essere anche diversa dalla norma, a ribaltare l’apparenza, magari con un paio di calzini colorati, persino nei momenti ufficiali come per un’intervista importante.
Principe di gaffe.
Ecco, lì ridevo, pure quando finiva su Striscia la Notizia.
Perché rideva di Striscia?
Rivedevo di gaffe e momenti che magari mi ero persa: non sempre coglievo le sfumature di Luca.
Tra odio e indifferenza, cosa preferisce?
Eh… (Silenzio). È banale dire indifferenza, però è troppo importante dire “odio”. Nessuno dei due: non mi appartengono.
(Scriveva Herman Melville in “Moby Dick”: “Ma è vana impresa volgarizzare gli abissi, e ogni verità è un abisso”).
Twitter: @A_Ferrucci