Prima che scoppiasse la guerra, era una passeggiata. Qualche minuto in autobus o una manciata di chilometri a piedi. Adesso è l’attraversamento di un campo minato, slalom tra i crateri lasciati lungo la strada dalle bombe, tra file di uomini che sparano in direzione contraria. Bus, file di ore, controlli ai checkpoint: sono almeno dieci ore di viaggio da una sponda all’altra. Da un lato il tricolore di Donetzk, dall’altro il bicolore di Kiev. Per i pensionati delle regioni del Donbass questo è il confine tra la pensione o la morte per fame.
Chi con le stampelle, chi in sedia a rotelle. Qualcuno da solo e zoppicando. I pensionati delle regioni in conflitto devono attraversare una volta ogni due mesi il checkpoint armato dei territori sotto controllo dei filorussi del Donbass per raggiungere la città di Stanytsia Luhanska, dove sventola il primo bicolore dello Stato ucraino, e ritirare la pensione.
Da gennaio ad aprile scorso, sono 19 i nomi nel report dell’Osce di chi non ce l’ha fatta lungo quella strada, a 530 miglia a est di Kiev e a 15mila dal confine russo. Per raggiungere il confine del loro stato, i pensionati ucraini muoiono marciando. Il destino d’Ucraina si è coagulato su un punto preciso e gravido di simboli della sua mappa di guerra: sul fracassato e traballante ponte di legno sospeso sul fiume di Siverskiy Donets, lungo il percorso per Stanytsia. Secondo Human Right Watch, ogni giorno 10 mila persone, che hanno più di 60 anni, malattie o disabilità croniche, attraversano il confine per ritirare la pensione. È la marcia delle babuske, le nonne slave dalla testa velata dagli scialli di pizzo a fiori. Un milione di persone ogni mese varcano il confine di quello che una volta era un solo Stato e ora è diviso in due sponde confuse, dove si muore di infarto cercando di raggiungere la prima banca statale disponibile a pagare, perché la burocrazia del conflitto è silenziosa ma uccide con la fame più delle bombe. Cinque anni dopo Maidan, non c’è vittoria e non c’è verità. Solo lunghe file di anziani dai capelli bianchi in attesa di 9.000 grivne di pensione, meno di cento dollari al mese. Sono minatori, operai, guidatori dei bus che per almeno 50 anni hanno portato da una shakta, miniera, all’altra i colleghi. Per la Croce rossa, ci sono almeno sei collassi al giorno e 5 persone sono morte aspettando la pensione. Sotto la neve siderale d’inverno, sotto i raggi bollenti d’estate: “Non mangiano perché non saprebbero dove andare in bagno”.
Alcuni non ricevono la pensione da 17 mesi perché non riescono ad attraversare il confine, altri si perdono in un labirinto burocratico che ad alcuni anziani è costato la fame e la perdita di circa dieci chili in un anno. Le misure restrittive introdotte da Kiev nel 2017, secondo cui gli abitanti delle zone di guerra devono identificarsi e registrarsi in territorio ucraino come profughi interni per dimostrare la loro non affiliazione alle repubbliche filorusse, hanno bloccato l’accesso a oltre 400 mila pensionati al loro unico supporto finanziario, dicono le cifre pubblicate dalle Nazioni Unite.
È una triste verità locale nella guerra globale che non interessa più a nessuno. Secondo Oleksiy Matsuka, Istituto informazioni Donetzk, “le persone in Donbass hanno bisogno di chiarezza da parte delle istituzioni ucraine, è il terzo anno di fila che non percepiscono le pensioni da Kiev”, ma la retorica ufficiale ha rintracciato un comodo alibi per il meccanismo imperfetto del mancato pagamento “nella responsabilità del Paese aggressore”, ovvero la Russia.
I vecchi lavoratori sovietici stanno in bilico tra sovranità ucraina, casse russe e bilanci slavi, entrambi comunque amari. L’attore, oggi presidente, Zelinsky in campagna elettorale aveva promesso di occuparsi anche di loro, ora esercita prudenza che assomiglia al timore, per non mantenere una promessa che potrebbe rivelarsi solo una battuta. Tre giorni dopo la sua vittoria alle urne, il presidente russo Putin ha optato per uno strategico lasciapassare geopolitico, facilitando l’accesso alla cittadinanza e passaporto della sua Federazione per i cittadini delle regioni in guerra. Secondo le ultime stime risalenti al 2018, potrebbero richiederlo anche 438 mila pensionati nella Repubblica Popolare di Lugansk e 681 mila nella Repubblica di Donetzk, un milione di persone che potrebbero ricevere 8.000 rubli di pensione, una cifra complessiva che costerebbe a Mosca 110 miliardi di rubli, un milione e mezzo di euro.