I disperati dell’Ucraina divisa

Prima che scoppiasse la guerra, era una passeggiata. Qualche minuto in autobus o una manciata di chilometri a piedi. Adesso è l’attraversamento di un campo minato, slalom tra i crateri lasciati lungo la strada dalle bombe, tra file di uomini che sparano in direzione contraria. Bus, file di ore, controlli ai checkpoint: sono almeno dieci ore di viaggio da una sponda all’altra. Da un lato il tricolore di Donetzk, dall’altro il bicolore di Kiev. Per i pensionati delle regioni del Donbass questo è il confine tra la pensione o la morte per fame.

Chi con le stampelle, chi in sedia a rotelle. Qualcuno da solo e zoppicando. I pensionati delle regioni in conflitto devono attraversare una volta ogni due mesi il checkpoint armato dei territori sotto controllo dei filorussi del Donbass per raggiungere la città di Stanytsia Luhanska, dove sventola il primo bicolore dello Stato ucraino, e ritirare la pensione.

Da gennaio ad aprile scorso, sono 19 i nomi nel report dell’Osce di chi non ce l’ha fatta lungo quella strada, a 530 miglia a est di Kiev e a 15mila dal confine russo. Per raggiungere il confine del loro stato, i pensionati ucraini muoiono marciando. Il destino d’Ucraina si è coagulato su un punto preciso e gravido di simboli della sua mappa di guerra: sul fracassato e traballante ponte di legno sospeso sul fiume di Siverskiy Donets, lungo il percorso per Stanytsia. Secondo Human Right Watch, ogni giorno 10 mila persone, che hanno più di 60 anni, malattie o disabilità croniche, attraversano il confine per ritirare la pensione. È la marcia delle babuske, le nonne slave dalla testa velata dagli scialli di pizzo a fiori. Un milione di persone ogni mese varcano il confine di quello che una volta era un solo Stato e ora è diviso in due sponde confuse, dove si muore di infarto cercando di raggiungere la prima banca statale disponibile a pagare, perché la burocrazia del conflitto è silenziosa ma uccide con la fame più delle bombe. Cinque anni dopo Maidan, non c’è vittoria e non c’è verità. Solo lunghe file di anziani dai capelli bianchi in attesa di 9.000 grivne di pensione, meno di cento dollari al mese. Sono minatori, operai, guidatori dei bus che per almeno 50 anni hanno portato da una shakta, miniera, all’altra i colleghi. Per la Croce rossa, ci sono almeno sei collassi al giorno e 5 persone sono morte aspettando la pensione. Sotto la neve siderale d’inverno, sotto i raggi bollenti d’estate: “Non mangiano perché non saprebbero dove andare in bagno”.

Alcuni non ricevono la pensione da 17 mesi perché non riescono ad attraversare il confine, altri si perdono in un labirinto burocratico che ad alcuni anziani è costato la fame e la perdita di circa dieci chili in un anno. Le misure restrittive introdotte da Kiev nel 2017, secondo cui gli abitanti delle zone di guerra devono identificarsi e registrarsi in territorio ucraino come profughi interni per dimostrare la loro non affiliazione alle repubbliche filorusse, hanno bloccato l’accesso a oltre 400 mila pensionati al loro unico supporto finanziario, dicono le cifre pubblicate dalle Nazioni Unite.

È una triste verità locale nella guerra globale che non interessa più a nessuno. Secondo Oleksiy Matsuka, Istituto informazioni Donetzk, “le persone in Donbass hanno bisogno di chiarezza da parte delle istituzioni ucraine, è il terzo anno di fila che non percepiscono le pensioni da Kiev”, ma la retorica ufficiale ha rintracciato un comodo alibi per il meccanismo imperfetto del mancato pagamento “nella responsabilità del Paese aggressore”, ovvero la Russia.

I vecchi lavoratori sovietici stanno in bilico tra sovranità ucraina, casse russe e bilanci slavi, entrambi comunque amari. L’attore, oggi presidente, Zelinsky in campagna elettorale aveva promesso di occuparsi anche di loro, ora esercita prudenza che assomiglia al timore, per non mantenere una promessa che potrebbe rivelarsi solo una battuta. Tre giorni dopo la sua vittoria alle urne, il presidente russo Putin ha optato per uno strategico lasciapassare geopolitico, facilitando l’accesso alla cittadinanza e passaporto della sua Federazione per i cittadini delle regioni in guerra. Secondo le ultime stime risalenti al 2018, potrebbero richiederlo anche 438 mila pensionati nella Repubblica Popolare di Lugansk e 681 mila nella Repubblica di Donetzk, un milione di persone che potrebbero ricevere 8.000 rubli di pensione, una cifra complessiva che costerebbe a Mosca 110 miliardi di rubli, un milione e mezzo di euro.

Il caso del giudice Russo e il discredito della magistratura

Siamo sicuri che la degenerazione delle toghe – sorprese a scannarsi per il potere di addomesticare le sentenze per gli amici – non sia stata aiutata dalla distrazione, per così dire, dei vertici delle istituzioni giudiziarie? Ecco una storia esemplare. Il 10 gennaio 2018 il Consiglio di Stato (la magistratura più potente, tra l’altro in grado di annullare le nomine dei magistrati ordinari) ha destituito, cioè licenziato, il giudice Francesco Bellomo per aver leso l’onore e il prestigio della magistratura. Era famoso per il “dress code” imposto alle allieve dei corsi privati che (come molti magistrati) teneva. “Abbiamo agito con speditezza ed efficienza senza che ci fosse procedimento penale”, rivendicò il presidente del CdS Alessandro Pajno.

Pochi mesi prima il CdS aveva imposto la sospensione cautelare al giudice Nicola Russo, condannato il 28 giugno 2017 a 22 mesi per prostituzione minorile. Il procedimento penale, che in questo caso aveva sorpassato il pur fulmineo Pajno e la stessa agenzia Ansa che si perse la notizia, rivelò che adescava minorenni con messaggi come “Ciao sono un giovane professionista molto carino, cerco modella 500 euro più spese di viaggi”, o “Nel caso tu pensassi che io sia un povero sfigato qualsiasi ti allego idonea documentazione fotografica”. Fatti narrati con risalto dai giornali ma che, a differenza dei tacchi a spillo di Bellomo, non hanno intaccato l’onore e il prestigio dell’istituzione, né il suo sonno profondo. Eppure si sapeva che Russo era anche indagato per corruzione in atti giudiziari per un favore da 20 milioni di euro (dello Stato) fatto come giudice tributario al padre dei furbetti del quartierino Stefano Ricucci. Il quale fu arrestato il 20 luglio 2016, mentre Russo no. Per il giudice i pm avevano però chiesto la sospensione cautelare dal Consiglio di Stato, ma il gip prima e la Cassazione poi hanno rigettato la richiesta perché gli indizi contro Russo non erano giudicati schiaccianti.

Per questi indizi “non schiaccianti” Russo è stato però arrestato con Ricucci l’1 marzo 2018 mentre era già indagato per lo stesso reato in un’altra inchiesta insieme, tra gli altri, all’ex presidente aggiunto del ben frequentato Cds Riccardo Virgilio. Il 7 febbraio scorso Russo è stato nuovamente arrestato per corruzione in atti giudiziari, a quanto si sa in conseguenza delle accuse degli avvocati Piero Amara (suo difensore in precedenti processi) e Giuseppe Calafiore, arrestati un anno prima. Per Russo il 31 luglio 2018 i pm avevano chiesto il carcere ritenendolo in grado di delinquere anche da sospeso. Il Gip Daniela Caramico D’Auria ha impiegato sei mesi per valutare, poi ha concesso solo gli arresti domiciliari. Martedì prossimo inizia per Russo il processo con giudizio immediato per corruzione in atti giudiziari. Con un tabellino da una condanna, due arresti, almeno due indagini e un rinvio a giudizio il giudice non è stato destituito. Rimane sospeso, con poco più di metà stipendio come assegno alimentare, dovuto per legge: è ancora membro del Cds, quindi non è libero di trovarsi un altro lavoro. Il pugno di ferro etico che ha colpito Bellomo per Russo si è fatto di piuma.

Se il sistema giudiziario italiano fosse davvero marcio fino ai vertici potremmo immaginare che Russo non sia stato destituito perché il 28 gennaio 2016 ha firmato come estensore la sentenza del Consiglio di Stato (udienza presieduta, caso volle, da Virgilio) che ha annullato una pronuncia del Tar e ha rimesso in sella Francesco Lo Voi come procuratore capo di Palermo, dove era arrivato grazie alla spinta determinante del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma è solo una fantasia, solo uno dei cattivi pensieri che il discredito della magistratura rischia di suscitare.

Il mistero della Trinità ci apre all’esperienza divina dell’accoglienza

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Giovanni 16,12-15).

O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Ecco il sentimento di stupore e di gioiosa contemplazione che nasce di fronte alla Santissima Trinità. Il Figlio di Dio ci manifesta il mistero con parole comprensibili da noi uomini: Abbà-Padre e Figlio con la promessa dello Spirito Santo, ruhà, che tutto lega fin dal Principio in un legame unico e sostanziale d’Amore: battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19).

Tutto quello che Gesù ha detto su Dio ha avuto lo scopo di rivelarci quanto rende bella e buona la nostra vita e quanto è possibile vivere nella fede: molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quanto ci è stato fatto conoscere di Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo, ci fa comprendere che Dio è comunione e relazione di Persone tra le quali l’amore è tutto. Gesù è la manifestazione dell’amore che Dio ha per noi; lo Spirito Santo ci rende capaci di esprimere il nostro amore per Dio chiamandolo Padre e di vivere tra gli uomini considerandoli fratelli.

Per evitare di parlare genericamente di Dio è necessario percorrere la via (Gv 14,6) che ci abilita e ci orienta in questa ricerca. La densità e la profondità del mistero meglio si racchiudono nella preghiera: nella pazienza e nella speranza possiamo giungere alla piena conoscenza di Te, che sei amore, verità e vita. Non concetti nuovi o precisi, ma è la sapienza della vita compiuta nell’umanità santissima di Gesù, volto del Padre e respiro dello Spirito, che illumina e dà senso alla nostra esistenza.

È bello cogliere la perfetta comunione tra Gesù e il Padre: Tutto quello che il Padre possiede è mio (Gv 16,14); Gesù presenta alla nostra meditazione il mistero del Padre e dello Spirito Santo per farci cogliere l’esperienza divina del donare e del ricevere, dell’offrire e dell’accogliere. La condivisione d’intenzioni e di operazioni nella Trinità diventano modello per la nuova comunità dei discepoli, la Chiesa: l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Così, siamo stati raggiunti dal dono della vita di Gesù offerta per noi. Se la accettiamo con piena partecipazione, veniamo abilitati e resi forti per essere rivelatori e testimoni di un amore e di un destino che fa esclamare alla Sapienza divina: Ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo (Pr 8,30-31).

La Santissima Trinità ci mantenga in un atteggiamento di adorazione, di coraggioso annuncio e di meraviglia partecipando pienamente a questa grazia nella quale ci troviamo (Rm 5,2), in attesa della contemplazione beata ed eterna. Diventi il frutto buono della benedizione che Papa Francesco porterà oggi ai fedeli terremotati dell’arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche con la sua desiderata visita pastorale.

 

Prima gli italiani, ma non “il prossimo”

La sera del 3 giugno, in una piazza di Cremona, l’intera folla di un comizio del ministro dell’Interno (che stava chiudendo una campagna elettorale e stava aprendone un’altra come usa da fare da anni) ha avuto un malore. È accaduto quando, prima i più vicini poi il grosso dei leghisti partecipanti hanno notato la frase “ama il prossimo tuo”. Era scritta sulla sciarpa di un ragazzo più o meno simile a tutti gli altri che a un certo punto ha alzato la sciarpa, l’ha trasformata in un mini-striscione e si è voltato a braccia alzate da una parte e dall’altra perché tutti vedessero bene.

La frase, come è noto, appartiene alla tradizione, al costume, alle abitudini, alle preghiere, alle predicazioni della storia italiana fin da molto prima che fosse necessario affogare in mare stranieri di colore che stavano arrivando in massa per distruggere la nostra vita cristiana. Però sentite come è andata a finire, secondo il racconto di vari credibili giornali. Dopo un istante di stupore e di inevitabile tempesta mentale (tutti i presenti in quella piazza, a Cremona, hanno ascoltato la frase migliaia di volte, all’oratorio, in chiesa, a scuola, compresa Pasqua e Natale, perché è il nocciolo del cristianesimo che con furore i leghisti difendono), la folla si è inferocita e ha cominciato a picchiare. Per fortuna (o intervento provvidenziale) quattro robusti vigili urbani in borghese erano non lontani, e hanno potuto intervenire, proteggere, portare alla medicazione il giovane cattolico che, nel mezzo di una folla arrabbiata, l’ha scampata bella.

Evidentemente il cortocircuito mentale della strana vicenda ha colpito anche il ministro dell’Interno, che ha benevolmente placato la sua gente imbestialita dalla frase cristiana, spiegando che i “comunisti dovrebbero stare nel museo delle cere insieme ai poveri estinti del Jurassic Park” invece di rovinare le belle feste patriottiche della Lega. Chissà se una punta di stordimento ha toccato anche lui, che dedica i comizi al “cuore immacolato di Maria” e brandisce il rosario, pensando alla sequenza folle che era appena accaduta: tutta la Lega inferocita contro parole del Vangelo. Certo conosce il furore anticristiano che ha colto i suoi da quando il Papa e i cardinali e i vescovi (tranne il gruppo della congiura anti-Papa) insistono nel dire che è meglio salvare la gente in mare che affidarla ai libici o lasciarla morire. Ma la storia mentale della Lega è più complicata di così. Infatti la frase chiave delle legioni Salvini è “prima gli italiani” . Primi per principio, non per valore, dunque la negazione del valore, del merito, della genialità, della capacità di fare più e meglio, dagli acquedotti romani a Enrico Fermi.

La frase però non solo è offensiva, perché abolisce ogni riconoscimento di merito, e dunque anche del riconoscimento del meglio e del peggio (“prima gli italiani” anche al 41 bis?). È anche il motto della corruzione (“gli italiani sanno sempre come cavarsela”), dell’evasione fiscale (visto che gli italiani evadono le tasse più di tutti al mondo) e della abilità di imbroglio così splendidamente rappresentata nella “commedia all’italiana” da Totò, De Filippo e dall’intera banda dei “soliti ignoti”.

Ma, l’evento volgare e scostante della piazza di Cremona (un luogo dove il candidato leghista, sostenuto in quel comizio dal ministro dell’Interno, ha perso) propone un problema in più: gli italiani sono il prossimo? Se lo sono, vuol dire che Mimmo Lucano, già sindaco di Riace ammirato nel mondo perché aveva reso possibile e facile l’accoglienza, era il nostro prossimo e andava rispettato almeno quanto il tabaccaio che ha sparato dal balcone sette colpi alla schiena di un ladruncolo? Se non lo sono, bisognerà che ognuno di noi si guardi dall’altro e faccia in modo di non dare troppa fiducia e troppa confidenza. Se l’altro è italiano ma non è “il prossimo tuo”, meglio stare alla larga. Alla larga ciascuno di noi da ciascuno di noi?

Però: se riconosciamo che ogni italiano è il nostro prossimo, perché hanno picchiato, minacciando il linciaggio, il giovane che aveva sulla sciarpa una scritta del Vangelo ritenuta un intollerabile insulto dagli altri italiani presenti che pure sono altrettanto italiani e focosamente cattolici? Forse un italiano leghista diventa diverso e impara che c’è italiano e italiano? Se è così, chi viene prima tra due italiani, uno leghista e uno no? Passi per i comunisti, che hanno continuato a spargere terrore in Emilia-Romagna finché Salvini li ha cacciati. Ma i 5 Stelle, per esempio, che hanno voluto Fico come presidente della Camera, sono italiani alla pari o più indietro? Ci sono italiani di serie A e serie B nella classifica della Lega? Se sì, il gioco sulla esaltazione degli italiani che vengono comunque prima di tutti non tiene. Loro non vorrebbero identificarsi o sentirsi nella stessa classe di chi stringe la mano a un nero. E noi non vorremmo stringere la mano di quelli di Cremona.

Mail box

 

San Carlo, il teatro va affidato a chi di musica se ne intende

A proposito della fiorita lettera a firma Giuseppe Lanzi (12 giugno 2019) contro l’articolo del Prof. Paolo Isotta (Presidente, perché premia gli incapaci?), mi chiedo se sia cosa saggia e opportuna affidare la guida di una istituzione musicale e teatrale quale il San Carlo di Napoli – impareggiabile per storia, bellezza architettonica e perfezione acustica – nelle mani di persona incapace di distinguere Verklärte Nacht da Stille Nacht. Per ottenere risposta basterebbe, credo, affidarsi alle “argentee ali” del buon senso.

Ugo Tessitore

 

Salvini, meccanico disonesto alla guida di un Paese in panne

Mi chiedo da tempo chi è Salvini. Dice cose che l’italiano medio vuol sentirsi dire, con quel modo pacioso, che lo fa sembrare il vicino di casa, brava e onesta persona, che dice la sua della politica. La sua critica severa risulta credibile, salvo poi non accettare critiche da alcuno. Il suo essere disinvoltamente aperto nel suo privato e libero da regole estetiche e formali lo fa sembrare uno di noi, che possiamo incontrare ovunque nel quartiere. Così appare; la realtà però è un’altra.

La descrivo paragonandola a una situazione che sarà capitata a molti: “La macchina fa degli strani rumori. Il meccanico incolpa l’età e la fattura straniera dell’auto, ma la soluzione ha un costo moderato e potrà riconsegnarcela a breve.

Pochi giorni dopo, però, il meccanico avvisa che il problema è più grave del previsto e il costo della riparazione lievita. Obtorto collo, si autorizza il costo extra; non finisce lì, per i pezzi di ricambio ci vogliono mesi. Allora si rinuncia ai suoi servigi e si porta l’auto da un altro meccanico, meno sofisticato, ma più sincero. Il problema? La marmitta, fissata malamente. E tutto si risolve in due ore”.

Morale: creare allarmismi e non soluzioni è alla portata di ognuno.

Risolvere le criticità senza enfatizzarle non è da tutti.

Paolo Benassi

 

M5S, le case popolari come progetto “green”

In Europa crescono i partiti ambientalisti. In Italia invece abbiamo il partito degli anti-verdi, della cementificazione del territorio, secondo declinazioni del secolo scorso. I cinquestelle hanno già dimostrato di possedere un’anima ecologista, anche se oggi sembra messa in secondo piano, manifestata solo dai NoTav. Ora, visto l’esito delle europee, dovrebbero allearsi con i movimenti green e darsi obiettivi coerenti, chiari e condivisibili. Ad esempio, visto quanto succede con le occupazioni di palazzi vuoti, si capisce la necessità della popolazione di disporre di case popolari: oggi ci si contende le poche abitazioni esistenti, perché da decenni non esiste un serio programma per la loro costruzione.

Nel resto d’Europa le cose vanno infinitamente meglio: ad esempio in Francia l’abitazione è un diritto del cittadino, così come la scuola o la sanità.

Quindi questo potrebbe essere un obiettivo concreto: acquisire, con opportuni strumenti legislativi, almeno parte dell’enorme stock di costruzioni vuote e inutilizzate, ristrutturarle e metterle a disposizione della popolazione.

Un programma del fare, in puro stile “verde”, che impiegherebbe cento volte più lavoratori delle cosiddette “grandi opere”, e che sembra anche un progetto complementare al reddito di cittadinanza.

Renato de Chaurand

 

Tutela dell’ambiente, il Veneto reclama il diritto alla salute

Non ci sono più margini di ragionamento con chi crede che la questione ambientale sia la semplice ossessione di pochi fanatici.

Basta guardarsi attorno, neppure tanto lontano, per ammirare una politica distratta, se non totalmente assente, nella difesa di territorio, salute, economia. Non passa giorno che in Veneto non si scopra una nuova vessazione e il disprezzo di ogni lobby affaristica pronta a farsi beffe di norme e leggi, spesso pure insufficienti, pur di consolidare i propri conti in banca.

Il caso S.E.S.A di Este, ultimo in ordine di tempo, è esploso con la violenza di un ordigno, anche se da tempo il malcostume è ampiamente denunciato da cittadini coraggiosi. Le segnalazioni sono tante: la devastazione dei fanghi Coimpo, delle troppe discariche (Torretta, Sant’Urbano, Villadose) in pochi chilometri, di industrie chimico-farmaceutiche o di allevamenti intensivi che ammorbano l’aria, dello Pfas sversato senza scrupolo nelle acque dei fiumi, delle inutili centrali a biogas o biomasse spacciate per ecologiche. Uno scenario degno della peggiore apocalisse, a cui le istituzioni rispondono con timidezza o freddezza.

Chi rivendica il diritto ad un ambiente salubre, che sia il volano economico dei nostri territori, viene sempre mortificato nelle proprie istanze da chi preferisce l’umiliante ricatto salute-lavoro. E poi, in barba alle promesse fatte in campagna elettorale, il quadro normativo che disciplina la materia ambientale ha subìto un drastico peggioramento (basti pensare all’articolo 41 del decreto Genova) per cui, ancora, si attende un rimedio.

Quanto dovrà continuare tutto questo? Fino a quando le persone potranno sopportare la malattia di un congiunto, di un figlio, senza ribellarsi davvero?

Vanni Destro

Il passato non torna, ma è bello sognare un nuovo Berlinguer

“Quanto sarebbe diverso avere oggi un Berlinguer a capo del Pd”.

Eugenio Scalfari

 

È la domanda che, invariabilmente, noi giornalisti ci sentiamo rivolgere quando il discorso cade sulle differenze tra i politici di ieri e quelli di oggi: come mai siamo caduti così in basso? Un giudizio sprezzante che scaturisce dalla nostalgia per i giganti di allora: i Pertini, i Berlinguer, i Moro, i La Malfa, gli Almirante (senza contare i padri fondatori della Repubblica: da De Gasperi, a Nenni, a Togliatti), prima ancora che dal pollice verso sui “nani” di adesso. Infatti, chi ci mette di fronte all’imbarazzante paragone ha in genere i capelli bianchi o brizzolati ed era giovane, o giovanissimo, quando i cari leader della Dc, del Pci o del Msi riempivano le piazze (mentre ai giovani e giovanissimi di oggi quei nomi quasi sempre non dicono niente). Però, si sa, la nostalgia addolcisce i ricordi mentre a pensarci bene il bel tempo che fu ci ha regalato anche gli Andreotti e i Craxi del Garofano senza contare, per esempio, i notabili del Pci schierati con Mosca ai tempi dei carri armati a Budapest. Un confronto così impietoso tra l’allora e l’adesso risente del giudizio immancabilmente sferzante che i Salvini e i Di Maio (per non dire delle seconde e terze file di Lega e M5S) suscitano in chi magari non perdona loro di aver conquistato il governo del Paese senza chiedere permesso (gli stessi che dalle cattedre dei giornali impartiscono voti e note sul registro). Dunque, avremmo dei vicepremier impreparati, incompetenti, immaturi perché la scuola che (non) li ha preparati è quella scassatissima degli insegnanti post-68, priva di autorità, disciplina e talora delle conoscenze più superficiali. Obiezione a sua volta ideologica, e ingiusta nei confronti della scuola pubblica italiana pur sempre tra le migliori in assoluto. Anche perché la domanda sul come siamo caduti in basso coinvolge nazioni che sull’istruzione investono molto. Così negli Stati Uniti, la figura di un Donald Trump suscita diffusa, cocente nostalgia per i Roosevelt, i Kennedy, e forse perfino per i Bush e i Clinton. E in Francia, chi oserebbe paragonare i Macron e i Le Pen ai De Gaulle ma anche ai Mitterrand e agli Chirac? Solo in Germania la Merkel regge il confronto con gli Adenauer e i Brandt, ma parliamo dei soliti primi della classe. Certo, quando qui da noi si pone il problema della selezione della classe dirigente non possiamo non notare che “prima” approdava in Parlamento il fior fiore delle università, delle imprese, degli studi professionali, della cultura, dello spettacolo, tutta gente impeccabile nell’uso dei congiuntivo. A parte il fatto che queste élite sono ritornate in gran parte alle loro occupazioni, perché la politica è troppo faticosa e gli emolumenti poco invitanti, non v’è chi non veda quanto per l’odierna scalata al potere l’uso sapiente dello smartphone sia più utile che conoscere la capitale della Nigeria. Tutto in fondo cominciò vent’anni fa con i video di Berlusconi che resero archeologia le tribune politiche che i capelli bianchi rimpiangono. Impossibile tornare indietro ma sognare un nuovo Berlinguer alla guida del Pd, un nuovo Pertini leader dei grillini o un nuovo Almirante capo della destra aiuta.

Scivolo di 5 anni per nuove assunzioni: ok al contratto Durigon

un emendamento al dl sviluppo di cui il sottosegretario leghista al Lavoro, Claudio Durigon, rivendica la paternità e che uscito dal dl Crescita e riformulato è finito ora nel prossimo veicolo normativo: per le aziende con più di mille dipendenti arriva il contratto di espansione. In pratica, per agevolare le nuove assunzioni nei processi di trasformazione delle imprese, sarebbero previsti prepensionamenti anticipati di 5 anni con onere a carico dell’impresa e ai quale il lavoratore potrà accedere su base volontaria. Il tutto all’interno di un contratto sottoscritto da ministero del Lavoro, impresa e sindacato con impegni precisi e verificabili. La norma, che è stata riformulata, secondo quanto riferito ieri dall’agenzia di stampa Adnkronos, avrebbe il via libera della Ragioneria e dovrebbe essere approvata la prossima settimana. Il costo nel biennio per lo Stato è di 70 milioni. La misura sarà comunque sperimentale e riguarderà gli anni 2019 e 2020. L’obiettivo è consentire all’azienda di assumere nuovi lavoratori con professionalità specifiche a fronte di una riduzione dell’orario di lavoro di altre professionalità in organico non più utilizzabili in modo proficuo. Riduzione che potrebbe arrivare anche al 100%.

Banche, nel 2018 spending review da 2,2 miliardi sui lavoratori

Ricavi delle banche stabili a 82 miliardi di euro e gli utili in salita del 2% raggiunti, però, anche con gli interventi sui costi del personale scesi di 2,2 miliardi (-7,2%) da 30,7 a 28,5 miliardi. E con minori accantonamenti e svalutazioni relativi a crediti deteriorati per 6,4 miliardi (-33%). È questa la fotografia sui conti 2018 delle banche italiane realizzata da un rapporto della Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) su dati Bankitalia, a pochi giorni dall’avvio del negoziato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di 300mila bancari. Secondo la Fabi, i costi delle banche sono scesi da 56,8 a 54,8 miliardi del 2017: la spending review è stata tutta a carico dei lavoratori con interventi pari al 7,2%, da 30,7 miliardi a 28,5 miliardi. I costi del personale assorbono il 34,4% dei “ricavi” nel 2018 rispetto al 37,5% del 2017.

Alitalia e rinvii, l’associazione piloti conferma lo sciopero

”Basta rinvii, speriamo questo sia l’ultimo”: a dirlo, ieri, è stato Marco Veneziani, presidente dell’Associazione Nazionale Piloti (Anp) commentando la proroga al 15 luglio della scadenza per la presentazione dell’offerta per l’acquisizione di Alitalia e confermando lo sciopero di 24 ore del personale navigante della compagnia, proclamato per il 24 giugno anche con Anpav e Anpac. Intanto, per lunedì prossimo è convocata un’assemblea aperta a tutto il personale navigante. “Ribadiamo ormai da mesi, che il governo, insieme ai commissari straordinari, non può perdere ulteriore tempo in proroghe per il salvataggio della nostra compagnia di bandiera e siamo fortemente convinti che il futuro rilancio di Alitalia possa avvenire chiudendo l’operazione con un partner solido e competente come il gruppo Atlantia”, dice Veneziani.

Multe, prigione e agevolazioni. La ricetta tedesca anti-evasori

Un Pil quasi doppio dell’Italia, entrate in crescita, debito pubblico in percentuale con il Pil al 63,9% e 65 miliardi di euro che sfuggono al fisco ogni anno, contro i 107 del Bel paese. Ma se ti beccano (e succede spesso) rischi anche di finire in galera: è il biglietto da visita del sistema fiscale tedesco che punta tutto sull’efficienza della macchina amministrativa. Ma anche sull’equità e la progressività della tassazione per far tornare i conti delle famiglie e incentivare uno sviluppo sostenibile in un’ottica “green” che oggi raccolga la pressione elettorale ambientalista.

Nel 2017 sono state oltre 62mila le indagini concluse dagli uffici fiscali dei Länder che hanno portato all’individuazione di reati tributari. I giudici tedeschi hanno comminato pene per un totale di 1.500 anni di detenzione e imposto sanzioni per un importo complessivo di oltre 29 milioni di euro. Circa 25mila procedimenti sono stati sospesi in base all’articolo 170 del Codice di procedura penale: 9mila dopo una procedura di voluntary disclosure, valida per importi sopra i 25mila euro, 600 dopo una conciliazione e il versamento di una somma all’Erario. Altri 16mila procedimenti sono stati estinti in base all’articolo del Codice che prevede l’interruzione se il contribuente sceglie di versare una somma al Tesoro o a un’organizzazione non profit, accetta di fornire servizi con finalità sociali o di partecipare a un corso di “recupero” o di ripagare i danni a persone danneggiate dall’evasione commessa. Il ministero delle Finanze tedesco ha fatto il punto anche sulle indagini non penali condotte nell’ultimo anno dagli uffici tributari. Circa 5mila procedimenti di carattere amministrativo hanno portato a più di 3mila notifiche di multe. Le sanzioni sono state irrogate, in particolare, nei casi in cui è stata sottostimata l’imposta, nei casi di frodi fiscali minori, di Iva non versata o versata per un importo inferiore.

Il Governo tedesco mette sotto la lente d’ingrandimento l’economia del Paese con l’Annual Economic Report, il documento redatto ogni inizio d’anno dal Consiglio degli esperti economici del governo tedesco, che evidenzia per il 2019 l’importanza dell’Act to reduce family tax burdens and to modify additional tax regulations, la legge entrata in vigore il primo gennaio con l’obiettivo di ridurre la pressione fiscale sulle famiglie. Sono stati aumentati le detrazioni e il bonus mensile per ciascun figlio a carico. Il report evidenzia la progressività e l’equità della misura, di cui beneficeranno maggiormente i redditi medio-bassi. In agenda per il prossimo futuro le norme per introdurre incentivi fiscali a sostegno delle costruzioni e alle imprese che investono in ricerca e sviluppo. Anche il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali rimane uno degli obiettivi prioritari del governo. Alla fine del 2018 è stata approvata la legge sulle frodi Iva nel settore dell’e-commerce. In base alle nuove regole, gli operatori che gestiscono vendite online saranno responsabili del versamento dell’Iva da parte dei venditori che utilizzano le piattaforme. Inoltre, dovranno farsi rilasciare dai venditori dei certificati che dimostrino la loro registrazione ai fini Iva presso le autorità fiscali tedesche. Berlino ha introdotto anche la detassazione delle spese di trasporto pubblico sostenute dai datori di lavoro per i dipendenti, agevolazioni fiscali per l’uso dei veicoli elettrici ed esenzioni per chi usa la bici. Per favorire gli investimenti, inoltre, è in arrivo la tassazione anticipata degli utili non distribuiti. Il cuneo fiscale è al 49,5%, in Italia al 47,9%. Secondo uno studio elaborato dal quotidiano online della nostra Agenzia delle Entrate, Fiscooggi.it , per il sistema tributario tedesco sono considerati redditi tassabili tutti i proventi dell’attività lavorativa in qualsiasi forma, i redditi da capitale e gli altri redditi. Il contribuente ha il diritto ad un’esenzione dall’imposta per i primi 8.821 euro (raddoppiati nel caso di dichiarazione congiunta). Sono deducibili dal reddito i premi assicurativi fino a 2.800 euro per i lavoratori autonomi e 1.900 per i dipendenti, i costi per la formazione professionale fino a 4.000 euro; donazioni ad associazioni caritative, culturali e sportive; alimenti ai coniugi divorziati fino a 13.805 euro (reddito imponibile per il ricevente).

È prevista una deduzione standard di 801 che sale a 1000 per i lavoratori dipendenti. Le detrazioni per i figli a carico sono 3.624 euro per ogni figlio (tra i 18 e i 25 solo se frequentano scuole o corsi di formazione). I redditi da capitale (interessi, dividendi e plusvalenze) non rientrano nel reddito imponibile ma sono soggetti ad aliquota unica del 25% cui si aggiunge il contributo di solidarietà per i Länder orientali. Nel caso dei dividendi e interessi, viene applicata con ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Le società sono tassate sui redditi ovunque prodotti se residenti, su quelli di provenienza tedesca per i non residenti. L’imposta è calcolata applicando al reddito imponibile un’aliquota del 15%, su cui va poi calcolato un ulteriore 5,5% di tassa di solidarietà per finanziare i costi della riunificazione tedesca. Aliquota totale: 15,82%. I dividendi sono esenti da imposta per una quota pari al 95% dell’importo.