Hanno sfilato in tre piazze collocate al nord, al centro e al sud della Penisola: Milano, Firenze e Napoli. In migliaia hanno aderito allo sciopero unitario dei metalmeccanici indetto da Fiom, Fim e Uilm. E, in questa ennesima giornata di protesta del mondo del lavoro che va avanti ininterrotta dal 9 febbraio, si consolidano due percorsi importanti: l’unità sindacale da un lato e l’ipotesi di uno sciopero generale contro il governo, dall’altro.
L’unità è un segno importante della giornata di ieri perché le categorie metalmeccaniche in passato hanno visto le maggiori divisioni sindacali. Fratture, come quella alla Fiat, ormai ricomposte. A Milano, ad esempio, hanno sfilato fianco a fianco il segretario Fim-Cisl, Marco Bentivogli e il segretario della Cgil Maurizio Landini. A Firenze la segretaria Cisl Annamaria Furlan e quello della Uilm Rocco Palombella. A Napoli quello della Uil, Carmelo Barbagallo e Francesca Re David, leader della Fiom. “Il Governo deve sapere che se non cambia non ci fermiamo” ha detto Landini dicendo di “non escludere nulla” a proposito dello sciopero generale. Bentivogli ha invece paragonato il governo al comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino.
Nel campo metalmeccanico le ragioni, del resto, sono molte. Il contratto, la sicurezza sul lavoro – a Napoli il corteo è stato preceduto dalla sirena dei portuali a ricordare i morti sul lavoro – le tante crisi industriali che non si risolvono mai. Al tavolo del Ministero dello Sviluppo economico la lista delle emergenze somma sempre 150 tavoli. Le ultime portano i nomi di Mercatone Uno o Whirlpool ma nel complesso ci sono 210 mila più 70mila lavoratori a rischio dell’indotto che scontano le varie difficoltà del tessuto produttivo: Alitalia, Piaggio Aerospace, Iveco Defence Vehicles, l’Aferpi di Piombino o l’Alcoa di Portovesme. Fino all’annuncio di ArcelorMittal di cassa integrazione per 1400 operai all’ex Ilva di Taranto.
Quindi problemi concreti, vivissimi e poca politica. Ma se sono vere le cifre fornite dai sindacati che parlano di adesioni altissime ribadite da una percentuale complessiva, comprendendo quindi anche con le micro-fabbriche, del 19% fornita dagli imprenditori di Federmeccanica, il clima che si respira nel sindacato è anche molto politico. Non perché ci siano chissà quali progetti partitici, ma perché nel vuoti della rappresentanza del mondo del lavoro, le piazze si riempiono di chi sconta la crisi e chiede di essere tutelato. “Non ci spetta fare opposizione politica, ha detto Bentivogli, ma quando si attacca il lavoro non è un optional mobilitarsi: è il nostro dovere”.
E politiche sono quindi le conseguenze di una giornata come questa. La prima riguarda la strategia sindacale vera e propria perché lo sciopero, unitario, dei metalmeccanici, segue quello dell’Agroindustria, degli Edili, del Pubblico impiego, dei Pensionati e precede di una settimana la manifestazione unitaria del 22 giugno a Reggio Calabria, nel ricordo dei fatti di 40 anni, la rivolta del “Boia chi molla” che sconvolse la rappresentanza politica e sindacale al sud. Cgil, Cisl e Uil decidono di ricordare quelle giornate per protestare contro la riforma dell’autonomia voluta dalla Lega. Ma, è chiaro ormai, che non fanno che consolidare un percorso di unità interna che fra poco potrebbe sfociare anche in novità formali, ma rilevanti, come i comizi fanno da un solo esponente del sindacato, magari a rotazione.
E poi lo sciopero generale. Non è stato proclamato, è solo accennato, ma è chiaro che sta per essere preparato. “Dipende da settembre” dicono nelle stanze sindacali. Ma se ne parla molto. Sarebbe una novità rilevante perché l’ultimo sciopero unitario di otto ore di Cgil, Cisl e Uil risale al 16 aprile 2002, venti giorni dopo la grande manifestazione della sola Cgil di Sergio Cofferati al Circo Massimo. Dopo di quello si ricorda uno sciopero di quattro ore nel 2004, sempre contro Berlusconi e uno di 3 ore contro la riforma Fornero.
Scioperare contro un governo è l’atto più forte che il sindacato ha a disposizione. Ma in ballo ormai ci sono la capacità di tenere insieme una base sempre più disorientata e stanca, di colmare il vuoto politico nel mondo del lavoro, di riuscire a strappare qualche minimo risultato senza il quale lo stesso sindacato perde di senso. Ieri è stata una prova generale di tutto questo.