Piemonte, è nata la giunta Cirio: 7 assessori alla Lega

Un presidente di Forza Italia, ma una giunta a maggioranza leghista: Alberto Cirio, neoeletto governatore, ieri ha nominato gli undici assessori che lo affiancheranno alla guida della Regione. Sette sono del Carroccio, solo due di Fi e altrettanti di FdI. Si tratta di: Fabio Carosso (Lega), vicepresidente con deleghe a Urbanistica, Programmazione e sviluppo; Elena Chiorino (FdI), per Lavoro ed Istruzione; Marco Gabusi (Fi), Trasporti, infrastrutture e opere pubbliche; Luigi Icardi (Lega) alla Sanità; Matteo Marnati (Lega), Ambiente ed energia; Vittoria Poggio (Lega) per Cultura, turismo e commercio; Marco Propopapa (Lega), Agricoltura, caccia e pesca; Fabrizio Ricca (Lega), Sicurezza e immigrazione; Roberto Rosso (FdI), Affari legali e diritti civili; Andrea Tronzano (Fi), Bilancio e finanze. Dal 1 luglio arriverà anche Chiara Caucino (Lega) con deleghe a Famiglia e pari opportunità.

Scelte volte a “privilegiare il cambiamento, la disponibilità e l’energia, inserendo persone nuove, ma con comprovata competenza, per studi specifici o esperienze amministrative e imprenditoriali – spiega il presidente Cirio – Una Giunta che rappresenta in modo capillare le nostre province e Torino”.

Si sceglie anche a Sassari

Sono 28 i comuni in cui si vota per le elezioni amministrative, domani, 16 giugno, con le urne aperte dalle 7 alle 23. L’eventuale ballottaggio, per i comuni maggiori, si terrà l’ultima domenica del mese, il 30 giugno. Sono 390 mila i cittadini chiamati a decidere da nord a sud dell’isola. Due i capoluoghi di provincia: oltre a Cagliari, anche Sassari sceglierà il nuovo sindaco. Molto attesa anche la sfida ad Alghero fra M5s, centrodestra e il sindaco uscente di centrosinistra. Fra le città più popolose anche Sinnai e Monserrato che contano più di 15 mila abitanti.

Nella provincia del Sud Sardegna (formata nel 2016 dall’unione dei territori delle ex province di Carbonia-Iglesias e Medio Campidano) si voterà a Calasetta, Esterzili, Genoni, Guasila, Samatzai, San Gavino Monreale, Sant’Anna Arresi, Serrenti, e Villasimius. Chiamata alle urne in provincia di Oristano per i comuni di Bosa, Magomadas, Sini e Sorradile. In provincia di Nuoro saranno 5 i paesi interessati (Onanì, Ortueri, Sarule, Tortolì e Villagrande Strisalis), tanti quanti in quella di Sassari (Castelsardo, Golfo Aranci, Illorai, Putifigari e Sorso). Ancora niente voto invece per il comune di Austis, in provincia di Nuoro: nel paese (circa 800 abitanti) nel cuore dell’isola, non si è presentata alcuna lista. Situazione che si ripete dal 2015. Così per l’ennesima volta al posto del sindaco sarà nominato un commissario.

Cagliari alla prova del dopo Zedda, ma la destra è avanti

A Cagliari ci sono i fenicotteri rosa. Sa genti arrubia, li chiamano: il popolo rosso. Vengono a nidificare a centinaia nello stagno di Montelargius. Visto dall’alto, il parco si allunga sulle strisce colorate dell’acqua delle saline e poi degrada nella sabbia del Poetto: uno spettacolo fenomenale. Placidi come i fenicotteri a giugno, i cagliaritani si godono una città che è un tesoro in parte sommerso. Con lo stesso distacco, domenica sceglieranno il sindaco: la persona che potrebbe far spiccare il volo a Cagliari o mantenerla nella sua attuale, confortevole medietà.

Da Roma intanto arriva una notizia a suo modo clamorosa: Matteo Salvini non metterà piede sull’isola. L’animale mitologico che negli ultimi mesi ha macinato migliaia di chilometri ovunque, da nord a sud, da Paderno Dugnano fino a San Gavino Monreale, non farà neanche mezzo comizio. Il candidato del centrodestra a Cagliari non l’ha scelto lui, ma Giorgia Meloni. Si chiama Paolo Truzzu, è stato l’ultimo segretario del Fuan di Cagliari, la giovanile del Movimento Sociale. La sinistra locale l’ha bollato, in soldoni, come un fascistello retrogrado. Truzzu però fa politica da una vita, è preparato, solido. Non ci sono sondaggi, ma si dice che l’aria tiri a destra.

L’altra notizia è che il Movimento Cinque Stelle di fatto non esiste: non ha nemmeno presentato una lista. In origine ne aveva due: quella dell’ex sindacalista Cgil Pino Calledda e quella del medico Alessandro Murenu. I vertici hanno scelto la seconda e squalificato la prima. Poco più tardi si è scoperto che Murenu su Facebook condivideva pensieri di questa levatura: “Chiamare l’aborto ‘un diritto della donna’ è come chiamare la lapidazione femminile ‘un diritto dell’uomo’” e altre frasette non molto progressiste su immigrati e diritti dei gay. Luigi Di Maio si è imbufalito e ha deciso che i Cinque Stelle non avrebbero partecipato alle comunali: a Cagliari dal 4 marzo 2018 a oggi sono passati dal 33,1% (primo partito) alla resa completa. Di Maio è stato negli altri due capoluoghi al voto, Alghero e Sassari, insieme a Danilo Toninelli. Qui non sono venuti. Il ministro delle Infrastrutture non l’ha fatto nemmeno per incontrare i lavoratori del Porto Canale, che rischia di lasciare 200 persone senza lavoro: giovedì, mentre i portuali protestavano, Toninelli comiziava dall’altra parte dell’isola.

Di fatto a Cagliari è già ballottaggio: il terzo outsider Angelo Cremone e i suoi Verdes prenderanno poco. La sfida è Truzzu contro Francesca Ghirra, ex assessore all’Urbanistica dell’ultima giunta di Massimo Zedda. Ha raccolto il testimone del sindaco vincendo le primarie, poi non ha fatto molto altro per uscire dal suo cono d’ombra: votare Ghirra, in buona sostanza, vuol dire rivotare Zedda, che ha lasciato il suo incarico a metà del secondo mandato per provare l’assalto (fallito) alla Regione. A Cagliari è ancora popolare: pure a fine febbraio – quando ha perso la sfida regionale contro Christian Solinas – in città Zedda era al primo posto, grazie al voto disgiunto degli elettori di centrodestra. Il tema è molto attuale. In 8 anni il “sistema Zedda” si è basato anche su rapporti tutt’altro che conflittuali con i gruppi del potere economico cittadino e con gli stessi avversari politici. Due categorie che a Cagliari coincidono con la figura di Emilio Floris, sindaco dal 2001 al 2011, senatore di Forza Italia e imprenditore con interessi nella sanità privata. Peraltro la compagna di Zedda è la giornalista di Mediaset Roberta Floris, nipote di Mario (altro volto storico della Dc sarda), a sua volta cugino di Emilio. Chi conosce la politica sarda è convinto che il voto disgiunto (di Forza Italia) potrebbe essere ancora decisivo a favore della Ghirra.

Ma qual è l’eredità del “sistema Zedda”? Negli ultimi 8 anni Casteddu è cresciuta tanto pur senza sanare le sue contraddizioni. Le spiega l’analisi socioeconomica di Nomisma nel 2018: Cagliari è la città metropolitana con il tasso di occupazione più alto del sud Italia ma mantiene una disoccupazione giovanile “strutturalmente elevata”; ha visto esplodere il turismo negli ultimi 15 anni ma conserva “un’offerta limitata di strutture ricettive di alto livello”; garantisce servizi pubblici eccellenti anche per gli standard del centro-nord (a partire dai trasporti) ma ha il 19,5% delle abitazioni in cattivo stato di manutenzione e la sua popolazione è diminuita fino al 2012 (ora si è stabilizzata su 154mila abitanti).

È una città di bellezze assolute ma anche di periferie separate pure fisicamente dal resto del tessuto sociale. Come Sant’Elia. Ai piedi dello stadio abbandonato e cadente di Italia 90 sorge un quartiere di palazzoni di edilizia pubblica, una zona in cui tutti i parametri urbanistici e sociali crollano rispetto alla media cittadina. Nell’ultimo periodo è arrivata anche l’emergenza rifiuti, uno dei pochi veri argomenti di una campagna dal profilo non altissimo (la quinta in 15 mesi: Politiche, Suppletive, Regionali, Europee e ora Amministrative).

Secondo la Ghirra l’arrivo dell’immondizia è “per lo meno sospetto”. Incontriamo la candidata al “Lazzaretto” di Cagliari, il luogo dove gli Aragonesi chiudevano gli appestati. Mercoledì era tirato a lucido: è venuto il segretario in persona, Nicola Zingaretti, per tirarle la volata. Dopo il comizio, parlando dei rifiuti, la Ghirra tra i denti si lascia sfuggire due parole: “Metodo leghista”. Lo stesso, fa intendere, sperimentato con la protesta dei pastori subito prima delle Regionali. Truzzu ridicolizza il complotto: “Per carità. Hanno avviato la raccolta differenziata nei quartieri più complicati della città senza nessuna pianificazione, nemmeno un’isola ecologica”.

La sfida per Cagliari è girata intorno ai personaggi più che ai loro programmi. Entrambi – come scrive il giornalista Vito Biolchini – “in fuga dal loro passato”. Francesca Ghirra, 40 anni, figlia impeccabile della borghesia di sinistra cagliaritana – il papà Giancarlo era consigliere regionale e firma dell’Unione Sarda – corre per diventare la prima sindaca donna di Casteddu e dimostrare di non essere solo una controfigura di Zedda. Paolo Truzzu corre per allontanare la macchietta con cui è stato dipinto: un fascista, una “sentinella in piedi” (il movimento antiabortista), uno che su Facebook mette i “like” alle foto di Babbo Natale col braccio teso. Lui fa spallucce e aspetta il voto. La città aspetta placida. I fenicotteri rosa sono immobili nello stagno.

Mattarella firma il dl sicurezza bis e lo Sblocca cantieri

Il Quirinale ha detto sì. Ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato la legge Sblocca cantieri, approvata ieri in via definitiva dalla Camera, e soprattutto il decreto sicurezza bis, il provvedimento-totem del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Un decreto molto contestato, che attribuisce al ministro dell’Interno quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza “la possibilità di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti”. Il provvedimento che può chiudere i porti italiani è “adottato di concerto con il ministro della difesa e con quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il presidente del Consiglio dei ministri”. In caso di violazione del divieto, è prevista per l’armatore e il proprietario della nave una multa da 10mila a 50mila euro. In caso di reiterazione è prevista la confisca della nave. Norme di cui in tanti, da associazioni a esperti, contestano la costituzionalità. Ma il Colle ieri ha ugualmente firmato il decreto, trasmettendolo alle Camere per l’approvazione.

Il leghista in corsa per guidare gli ebrei romani

Nel suo muoversi a livello nazionale, Matteo Salvini guarda con molta attenzione a ciò che succede a Roma, dove la Lega presenterà un proprio candidato alle prossime comunali. Se sarà Giulia Bongiorno, al momento la più accreditata, o Barbara Saltamartini, o forse ancora un appoggio a Giorgia Meloni, è troppo presto per dirlo, ma il leader leghista si sta costruendo una rete nella Capitale che in passato ha visto il passaggio nel Carroccio di diversi esponenti ex An e dell’Ugl, il sindacato di destra, e, in questi giorni, passa anche per la comunità ebraica, che, dato il suo peso (è la più grande d’Italia), a Roma può orientare molti voti.

Domani gli ebrei romani voteranno per il rinnovo dei vertici, con l’attuale presidente Ruth Dureghello candidata a una riconferma con la lista Per Israele, che ha succeduto Riccardo Pacifici. Tra le sei liste in competizione per rinnovare il consiglio, composto da 27 posti, ce ne sono due nuove, di cui una, Ebrei per Roma, strizza apertamente l’occhio alla Lega. Una lista spuria, che rompe il classico bipolarismo della comunità (destra/sinistra), anche se poi Dureghello ha governato con l’appoggio di tutti.

Il candidato presidente di Ebrei per Roma è Riccardo Heller, imprenditore che nutre parecchia simpatia per il ministro dell’Interno, che ha imparato a conoscere e frequentare come presidente di Roma Capitale Investment Foundation, società che aiuta le imprese a trovare i fondi per svilupparsi. Un legame facilitato da un suo grande amico, Angelo Pavoncello, imprenditore ebreo romano e leghista doc, tanto da essere candidato da Salvini alle Europee, senza però essere eletto (9.500 voti), nonostante il grande appoggio dello stesso Heller in campagna elettorale.

Tra l’altro Heller in questi giorni è impegnato in una trattativa per l’acquisto della squadra di calcio del Trapani, impegnata nei play off per la promozione in serie B. “Di Salvini ho molto apprezzato le sue posizioni pro Israele, espresse anche durante la sua visita a Gerusalemme, quando ha definito senza mezzi termini Hezbollah un’organizzazione terroristica. O l’aver difeso la Brigata Ebraica che ogni 25 aprile viene attaccata”, spiega Heller. Che di recente ha lanciato un appello a Papa Francesco per “difendere insieme le radici giudaico cristiane dell’Europa”.

La sua lista è appoggiata dai cosiddetti “urtisti”, i venditori ambulanti di oggetti legati alla religione, che invadono quotidianamente il Vaticano. All’interno della comunità ebraica, però, la presenza di questa lista è vissuta con un certo fastidio e imbarazzo. Anche perché la vicinanza della Lega a movimenti come CasaPound per gli ebrei romani resta inaccettabile.

La riconferma di Dureghello non dovrebbe essere in discussione, ma bisognerà vedere poi la composizione del consiglio. Si vota domani, dalle 8 alle 22.30, e le altre liste sono Dor va dor e Maghen David, alleate con Per Israele, mentre sull’altro fronte ci sono Menorah e Binah is Real. Gli aventi diritto sono circa 9 mila, ma di solito vota la metà.

Ecco perché Salvini non “spezzerà le reni” all’Europa

“Ora cambieremo l’Europa”. Il grido di Matteo Salvini non è come “spezzeremo le reni alla Grecia”, ma potrebbe essere altrettanto velleitario. I rapporti di forza nel condominio di Bruxelles, infatti, sono molto sfavorevoli alle forze neo-nazionaliste capitanate da Salvini nonostante la riuscita del gruppo al Parlamento europeo, Identità e democrazia.

La presidenza al leghista Marco Zanni – la Lega è il primo partito con 28 deputati seguita dal Rassemblement National di Marine Le Pen e dalla tedesca Afd con 11 – costituisce un indubbio successo, ma la componente con i suoi 73 seggi, resta ben distante non solo dalle tre grandi formazioni europee, Ppe, Sde e liberali, oggi Renew Europe, ma anche dai Verdi, che di seggi ne hanno 75.

A rendere più evidente la difficoltà di Salvini sono però i rapporti di forza nella futura Commissione europea dove i commissari sono nominati direttamente dai governi e devono poi passare al vaglio delle competenti commissioni parlamenti dell’Assemblea di Strasburgo. Nonostante recenti proclami di piccole minoranze di blocco – si ricorda un’intervista del ministro leghista Lorenzo Fontana – l’Italia sarà l’unica ad avere un marchio rigorosamente sovranista. Al massimo potrà contare sul supporto di Polonia e Ungheria, anche se i partiti di Fidesz e del polacco PiS non fanno parte di Identità e Democrazia, Ma per poter avere almeno una minoranza di blocco le regole della Commissione dicono che occorre sommare 4 commissari in rappresentanza del 35% della popolazione europea. Si tratta del blocco che scatta nel caso di votazioni a maggioranza qualificata, il metodo di voto più diffuso nei vari Consigli dei ministri. Questo potere Salvini non ce l’avrà.

La stragrande maggioranza dei governi europei è governata dai partiti di centro, liberali o socialisti, con qualche variazione sul tema. Quando annunciava sfracelli la Lega pensava alla Danimarca e alla Finlandia, sperando in risultati positivi delle formazioni sovraniste che invece sono state ampiamente ridimensionate nelle ultime elezioni politiche. In Danimarca il governo sarà formato dalla socialdemocratica Mette Frederiksen mentre in Finlandia il governo non è solo di sinistra ma anche formato da una maggioranza di donne. Si incrina anche il fronte di Visegrad, l’insieme dei Paesi orientali formato da Polonia, Ungheria, Repubblca Ceca e Slovacchia con la vittoria, in quest’ultima dell’europeista Zuzana Caputova, mentre in Cechia, l’opposizione al liberale, Andrej Babiš, è stata capitalizzata, alle europee del 26 maggio, dal Partito pirata.

Se la Lega sperava nel successo della destra in Spagna, magari in un’alleanza che includesse i neo-nazionalisti di Vox, l’ipotesi è stata spazzata via dalla vittoria sonante di Pedro Sanchez che si appresta a formare un governo con la sinistra di Podemos. Qualcosa potrebbe accadere in due stati governati da formazioni centriste, Estonia e Croazia, dove vige un equilibrio politico fragile e in cui le formazioni sovraniste hanno ottenuto successi importanti alle europee. Ma si tratta di due stati che insieme superano di poco i 5 milioni di abitanti. Se anche Salvini raccogliesse l’appoggio di questi due e riuscisse a recuperare i rapporti con Ungheria e Polonia, l’alleanza potrebbe contare sul 22% ben lontana dal 35% richiesto dalle regole Ue.

Ancora più sfavorevoli i rapporti al Parlamento europeo dove i giochi saranno fatti da popolari, socialisti e liberali, questi ultimi molto ben monitorati, al momento, da Emmanuel Macron. I popolari hanno 179 deputati, i socialisti e democratici 153, Renew Europe, 106, I commissari europei, per essere approvati, dovranno passare il vaglio delle commissioni parlamentari competenti e qualcuno ricorderà il caso della candidatura di Rocco Buttiglione, avanzata dall’Italia nel 2004 e bocciata dalla Commissione giustizia. Per dare la portata dei giochi che si stanno facendo a questo livello, vale la pena dare conto degli ultimi rumors che provengono da Bruxelles: il quotidiano online Politico.eu dava ieri l’ipotesi di una presidenza parlamentare al liberale Guy Verhofstadt, in cambio della presidenza alla Commissione al popolare tedesco Manfred Weber (sponsorizzato da Merkel ma osteggiato da Macron e dai socialisti). Mentre il gruppo socialista sta seriamente pensando di affidare la propria guida a una spagnola Iratxe García contro il tedesco Udo Bullmann. Uno spostamento a sinistra, verso i socialisti di Sanchez, che potrebbero essere davvero decisivi per le varie cariche europee. Scelte molto lontane da quelle gradite a Salvini.

B. resiste alla Lega: nuovo manifesto FI e niente annessione

Grande confusione sotto il cielo del centrodestra. Dove ogni giorno si fanno e si disfano partiti e alleanze. La notizia che Berlusconi avesse deciso di sciogliere Forza Italia per aderire alla Lega, anche se attraverso una federazione, non aveva convinto nessuno e spaventato molti. E infatti ieri Salvini l’ha smentita seccamente: “Leggo sui giornali cose assai fantasiose. Una fusione con FI non è all’ordine del giorno”, dice il vicepremier, ben sapendo che un giorno la fusione si farà, ma solo quando gli azzurri saranno ridotti al lumicino. Non si chiamerà fusione ma annessione. Ieri tutto lo stato maggiore del partito berlusconiano ha chiesto conto al leader delle sue parole. Costringendolo a rispolverare l’orgoglio forzista, con la messa a punto di un “manifesto di Forza Italia”, dove si precisa che “senza FI resta solo la destra-destra estremista”. Un dibattito quasi sterile che tornerà a riempirsi di contenuti quando il partito andrà a congresso, in autunno, e magari nel frattempo si conoscerà pure la data del voto. Nel frattempo si attende il 6 luglio, quando la convention di Giovanni Toti rivelerà un altro pezzetto di verità sul futuro del centrodestra.

Ora Salvini provoca il M5S sulle intercettazioni

Il Csm viene giù pezzo dopo pezzo e le intercettazioni ne raccontano le miserie. Musica per le orecchie di Matteo Salvini, che cerca ogni giorno nuovi motivi per provocare i Cinque Stelle, così da sfiancarli oggi e magari far saltare il governo domani, cioè entro metà luglio, in tempo per un voto a settembre.

Così il vicepremier esce dal Consiglio federale della Lega, dove ha giurato che l’esecutivo tirerà avanti, e detta le priorità: “I due dossier su cui lavorare e ottenere risultati nelle prossime settimane sono taglio delle tasse e riforma della giustizia”. Quindi ecco l’assalto alla riforma del processo penale e civile già preparata dal Guardasigilli del M5S Alfonso Bonafede, ecco Salvini che si straccia le vesti: “È incivile leggere sui giornali intercettazioni che non hanno rilievo penale, non devono finirci. L’ho detto a Bonafede e al premier Conte: o la riforma della giustizia si fa adesso, o non si fa per i prossimi cento anni. Penso che mercoledì o giovedì ne parleremo con il ministro”. Insomma, nel mirino finiscono anche le intercettazioni.

Ma a via Arenula non sussultano più di tanto. Perché Bonafede ha di fatto ultimato la sua riforma delle registrazioni. Molto diversa da quella del suo precedessore, il dem Andrea Orlando, che voleva impedire la diffusione di quelle penalmente non rilevanti. Mentre per Bonafede “non si può mettere il bavaglio all’informazione”, come teorizzò nel luglio 2018. Ieri però a parlare è Orlando: “È incredibile che Salvini lamenti ‘la pubblicazione di intercettazioni senza rilevanza penale’ dopo che tra i primi atti del suo governo c’è stato il blocco della riforma”. E ha ragione, visto che i gialloverdi hanno nuovamente prorogato l’entrata in vigore della sua riforma con il decreto sicurezza bis, il provvedimento-totem del ministro dell’Interno. Una scelta fatta proprio per lasciare spazio alle norme di Bonafede: slegate però dalla riforma della giustizia. “Salvini confonde i piani” accusa una fonte a 5Stelle. Di certo nel vertice di governo della prossima settimana si dovrà discutere innanzitutto delle nuove norme sui processi, che vogliono ridurne i tempi. Comprese quelle sull’udienza preliminare, che puntano a rafforzarne la funzione di filtro e scongiurare processi inutili.

Nell’attesa la ministra alla Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, responsabile Giustizia del Carroccio, prepara il terreno a Omnibus: “Il problema non è solo la lunghezza dei processi, ne parlerò con Bonafede, serve una seria riflessione su quello che sta accadendo”. E il riferimento è sempre alle intercettazioni. “Io comunque non ho ancora visto i testi della riforma” assicura la ministra. Però ha partecipato a varie riunioni con Bonafede, discutendo i punti principali e facendo passare anche qualche modifica. Ergo, sa bene di cosa si parla. Ma agli aspetti tecnici si intrecciano i cascami politici. Perché dentro il M5S lo dicono in tanti, rilanciando sulla giustizia Salvini “vuole alzare l’asticella su uno dei nostri temi”. E diversi big sospettano: “Alla fine Matteo farà saltare il banco”. Una sensazione diffusa che Di Maio e il suo giro più stretto cercano di smontare.

Ma che il burrone non sia lontano lo conferma il duello sul rimpasto tra i due vicepremier. Con Salvini che è perfido: “Mettere in discussioni i ministri a 5Stelle? Non mi permetterei mai, è una scelta che spetta a Di Maio e ai parlamentari del M5S. Però su alcuni ministeri i territori lamentano lungaggini”. Così il il capo del Movimento sbotta sull’Huffington Post: “Se la Lega vuole qualcosa lo chieda, non ci giri intorno lasciando intendere una volta una cosa, una volta l’altra”.

Irritazione comprensibile, anche perché i ministri che il M5S valuta di sacrificare, Giulia Grillo (Salute) e Danilo Toninelli (Infrastrutture), non hanno alcuna intenzione di lasciare. Di sicuro lunedì mattina Di Maio li riunirà tutti i suoi ministri, per fare il punto sui vari dossier. E ragionare assieme del futuro del governo, a incerto termine.

Il conciliabolo toghe-politici: “La bomba è per il pm Ielo”

“Ragazzi in prima commissione c’è una bomba vera, perché io pensavo fosse per Pignatone… che m’avevano raccontato… ma la bomba è su Ielo…”. Chi parla è Luigi Spina, l’ex consigliere del Csm accusato di aver rivelato al pm Luca Palamara alcuni dettagli dell’indagine di Perugia in cui era coinvolto con l’accusa di corruzione. La “bomba” è la denuncia del pm Stefano Fava in cui “venivano segnalate ‘asserite’ anomalie commesse” dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone. È l’esposto rivelato dal Fatto che riguarda presunte ragioni di astensione in un’indagine in capo a Pignatone e Ielo per gli incarichi che sarebbero stati assunti dai due fratelli dei magistrati. Accuse che i pm di Perugia bollano così: “Circostanze allo stato smentite dalla documentazione sin qui acquisita”.

L’esposto però nelle mani di alcuni doveva essere l’arma per colpire Ielo, il pm che ha mandato a Perugia le carte dalle quali è nata l’indagine su Palamara. Anche questo c’è nelle intercettazioni trasmesse ad un Csm ora azzoppato. Ieri l’ennesimo tassello è saltato: si è dimesso anche Corrado Cartoni. Lascia “non per ammissione di responsabilità, ma per senso delle istituzioni”, ha scritto nella lettera inviata al vicepresidente David Ermini. “Preciso che non ho mai parlato di nomine”, ha aggiunto. Così sono diventati quattro i consiglieri che hanno lasciato il Csm per aver partecipato all’ormai famoso incontro, in vista della nomina del procuratore di Roma, con i deputati del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti (autosospesosi dal partito). E cambia l’equilibrio interno al Consiglio: subentrano al posto di due dimissionari i giudici della corrente di Piercamillo Davigo che passa da 2 a 4 consiglieri, ex equo con Area, le toghe progressiste, mentre i centristi di Unicost scendono a 3 e Mi, i conservatori, da 5 rimangono in due, più un autosospeso. In due casi però mancano candidati non eletti, pm, e quindi si voterà il 6 e 7 ottobre, come deciso dal Capo di Stato Sergio Mattarella.

Nuove intercettazioni sono riportate nell’atto d’incolpazione di Palamara, ora sotto procedimento disciplinare.

Per esempio a Spina che dice: “La bomba è su Ielo”, Palamara replica: “Perciò secondo me con Davigo non è andato bene… se no non se veniva a sedè vicino a me”. E Spina poi aggiunge: “Qua c’è il problema di Ielo… quasi c’è pure il fratello di Ielo… praticamente (…) che l’avvocato di Amara era il testimone di nozze di Ielo”. Il riferimento è al legale di Piero Amara (finito in un’inchiesta su un giro di mazzette al Consiglio di Stato). Quando Amara nomina il suo avvocato, Ielo fa una richiesta di astensione motivata dal rapporto di amicizia e frequentazione (poi interrotta) con il legale. Richiesta questa che viene rigettata. Ma dell’esposto di Fava era a conoscenza anche Lotti, che con i togati discuteva di chi dovesse prendere il posto di Pignatone al vertice della Procura di Roma. Proprio qui e proprio Ielo ha chiesto il rinvio a giudizio per il parlamentare accusato di favoreggiamento nell’ambito di un filone dell’inchiesta Consip. La voce di Lotti (non indagato a Perugia) quindi viene captata dal trojan sul cellulare di Palamara. Sia quando dà le direttive per la futura nomina (“Si vira su Viola”, dice riferendosi al procuratore generale di Firenze), sia quando si vanta di aver bussato alla porta del Quirinale per lamentarsi (circostanza smentita da Mattarella).

In una intercettazione con Palamara parla dell’esposto, la “bomba su Ielo”.

Lotti: E fai uscire anche un po’ i fratelli… voglio sentirlo Fava che dice… i fratelli, le cose… non sarà così pazzo.

Palamara: Non te preoccupa’… se te dico fidate, fidate. (…) Lui vuole fa la denuncia penale… tu forse non hai capito… li vuole denuncià penalmente a Perugia… questo è il passaggio in cui… lascia perdere che so’ cose… (…) Io mi acquieterò quando (…) Pignatone mi chiamerà e mi dirà che cosa è successo… perché… la vicenda Consip la so io. E gli ho protetto il culo su tutto… alla fine… cioè, che cosa è stato? eh no ma adesso… mi fai…mi tieni sotto ricatto…me lo devi di’ ”.

“Sono state violate le regole: non potevano intercettarci”

Cosimo Ferri è un deputato che incarna le porte girevoli tra politica e magistratura. Già leader di Magistratura Indipendente, poi consigliere del Csm, sottosegretario nei Governi Letta, Renzi e Gentiloni, infine deputato renziano del Pd. A lui riportiamo lo sferzante giudizio del procuratore generale Riccardo Fuzio nel suo atto di incolpazione contro i cinque consiglieri del Csm partecipanti al celebre dopocena del 9 maggio con lo stesso Ferri, Luca Palamara e Luca Lotti.

In pratica Lotti si voleva scegliere il procuratore del suo processo. A un dopocena. Lei c’era. Cosa ne dice?

Lotti non si è scelto nessuno, non ne ha il potere e non spetta certamente a lui. Il Procuratore di Roma deve essere ancora votato e come sanno tutti lo eleggono 26 membri del Csm, autorevoli, capaci e indipendenti. Confrontarsi e dare giudizi è legittimo, poi chi deve decidere, sceglie. Lotti è un parlamentare e ha dichiarato di avere incontrato, da indagato e da imputato, diversi magistrati, non solo i consiglieri di quella sera, di tutte le correnti. E nessuno si è mai scandalizzato.

Lotti non dovrebbe stare alla larga dalla nomina del Capo della Procura che lo vuole far condannare?

Ha espresso le sue opinioni, ma “è stato alla larga” dalla scelta semplicemente perché non può decidere lui, tanto che Viola in quinta commissione è stato votato da Basile (quota Lega), Gigliotti (quota M5s) e Pier Camillo Davigo (AI), oltre che dal rappresentante di MI. Forse non è piaciuto quel voto e oggi si usa un incontro privo di rilevanza decisionale e legittimo per alzare un polverone.

Lo spettacolo dei consiglieri del Csm che si incontrano nella notte con i deputati per nominare i vertici delle Procure è sconsolante…

Siamo tutti pieni di impegni e l’orario dimostra solo che non era priorità e che era una chiacchierata a ruota libera. C’era chi addirittura dormiva, poi è evidente che gli argomenti fossero quelli, ma mi consenta di dire, anche alla luce della mia esperienza al Csm e all’Anm, che il ruolo delle correnti ha sempre avuto un peso. La musica l’ha diretta chi aveva la maggioranza e nel futuro non cambierà niente. Chi si indigna oggi spesso è stato beneficiato da queste interlocuzioni, considerandole da sempre fisiologiche.

Vero. Ma non si era mai arrivati a intercettare una conversazione come quella del 9 maggio: Lotti, politico imputato, interferisce sulle nomine e i consiglieri ci stanno.

Ha detto bene, non era mai stata intercettata. Ritrovarsi per discutere non significa affatto interferire, significa confrontarsi ed esprimere valutazioni, come è normale. Quello che conta è puntare sempre sul merito ma è ipocrita criminalizzare il confronto inevitabile, per la stessa conformazione del Csm, tra magistratura e politica.

I consiglieri coinvolti si devono dimettere o si deve arrivare allo scioglimento?

Le dimissioni sono scelte personali, anche se mi appaiono eccessive. Lo scioglimento è una prerogativa del Presidente della Repubblica. Spetterà a lui valutare se le sostituzioni dei dimissionari alterino o meno il quadro rappresentativo. Fa comunque sorridere, ripensando al passato, che molti esponenti dell’Anm e del Csm oggi evochino dimissioni di massa, senza ricordare alcuni precedenti con atteggiamenti opposti. Ad esempio, il consigliere Vigorito (Area) alcuni anni fa via e-mail candidamente spiegava ai suoi di “pressioni interne” condizionanti la nomina a presidente del tribunale di sorveglianza di Salerno. Nessuno chiese passi indietro.

Nelle intercettazioni si sentirebbe Lotti che – a proposito del vicepresidente del Csm David Ermini – dice: “Qualche messaggio gli va dato forte” e Fuzio parla di una “strategia di danneggiamento” del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, che ha arrestato ai domiciliari i coniugi Tiziano e Laura Renzi. Inoltre si parla di “enfatizzazione” del profilo professionale di Marcello Viola.

Viola, Creazzo, Lo Voi sono tre ottimi magistrati. Nessuno di loro ha bisogno di essere enfatizzato. Viola, poi, come detto, è stato votato in commissione da consiglieri di quasi tutte le componenti togate e non. Un consenso che mi sembra parli da solo, al di là di ogni polemica e di ogni trojan…

Si sapeva che Lotti era imputato e che Palamara era nel mirino dei pm di Perugia. Almeno sulle nomine potevano fare un passo indietro, o no?

Meno ipocrisia e più serietà. Ermini è stato eletto anche con i voti di Unicost (corrente di Palamara) quando voi del Fatto avevate già detto che c’era un fascicolo su di lui a Perugia. Il Fatto sulla nomina di Ermini è stato sempre critico. Agli altri che si svegliano oggi dico: perché Palamara e Lotti possono appoggiare Ermini e non possono invece chiacchierare, senza esito peraltro, sul resto? Seguendo questo schema allora il primo che si dovrebbe dimettere sarebbe proprio Ermini visti i contatti ed i rapporti con Lotti!

Il procuratore generale Fuzio nel suo atto di incolpazione scrive che i consiglieri del Csm presenti il 9 erano tutti consapevoli dell’arrivo di Lotti. “Preventiva e sicura consapevolezza”. Altro che sorpresa…

La ricostruzione dell’organizzazione dell’incontro del 9 maggio è per me difficile a distanza di settimane. Da quello che si legge sui giornali, e che lei mi sta ripetendo, si parla di “preventiva organizzazione” e di una telefonata di Palamara a me. Io non la ricordo ma, da come la riportano i giornali, sarebbe chiaro che quell’incontro tra il sottoscritto, oggi parlamentare, e gli altri era stato organizzato il giorno prima al telefono. C’è da chiedersi molto seriamente allora come mai non si sia proceduto, a quel momento, allo spegnimento del microfono.

Lei sostiene che la registrazione della riunione del 9 maggio tra i consiglieri del Csm e Palamara non sarebbe un’intercettazione valida perché era chiaro da prima che, intercettando la riunione, si sarebbe ascoltato almeno un parlamentare?

Su questo occorrerà fare chiarezza anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 390 del 2007, che sottolinea le prerogative dei membri della Camera e del Senato, ai sensi dell’art. 68 della Costituzione. Ci vuole la necessaria preventiva autorizzazione all’intercettazione tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione.

E in questo caso lei dice che la Guardia di Finanza avrebbe dovuto spengere il registratore perché era chiaro che almeno lei avrebbe partecipato alla riunione, giusto?

Può sembrare un tecnicismo ma visto che in questi giorni, con troppa leggerezza rispetto ai fatti, si evocano violazioni delle regole e dei principi costituzionali, credo che su questo punto tali violazioni siano palesi e che per molto meno ho visto in passato intervenire la magistratura e gli organi preposti. Anche su tale questione, come sul resto, attendo di leggere le carte e di valutare iniziative.

Lei hai presentato Viola a Lotti?

No.

Perché discutevate degli esposti contro Ielo e Pignatone e contro Creazzo?

Non capisco a quale circostanza si riferisca. Degli esposti comunque ne parlavano tutti negli ambienti giudiziari e non.