L’appello del missionario laico Biagio Conte “non lo ammanettate, non lo arrestate, non lo rimpatriate. Non è un delinquente. È un disperato”) è stato raccolto dal Tar: con un’ordinanza depositata due giorni fa i giudici amministrativi, accogliendo le esigenze umanitarie, hanno annullato l’archiviazione della richiesta di soggiorno di Paul Yaw Aning, un ghanese di 51 anni che da ieri non rischia più l’espulsione da Palermo. “Auspico che adesso la Questura ottemperi alla decisione dell’autorità giudiziaria rilasciando a Paul un permesso di soggiorno”, ha detto il suo avvocato, Giorgio Bisagna. Per richiamare l’attenzione sul suo caso Biagio Conte aveva trascorso oltre due settimane a digiuno di cibo e acqua steso per terra con le catene alle caviglie a piazza Anita Garibaldi, a Brancaccio, dove una sera di 26 anni fa un killer della cosca dei Graviano uccise padre Pino Puglisi, oggi beato. “Paul si è reso utile non solo facendo l’idraulico e anche altri lavoretti – l’aveva difeso il missionario laico – ma assistendo i malati e trascorrendo con loro le notti in ospedale”. Ma per anni il suo permesso di soggiorno scaduto non è stato rinnovato, e quando Paul ha deciso di mettersi in regola, è scattata la segnalazione in Questura, con il conseguente provvedimento di accompagnamento alla frontiera firmato da questore e prefetto, entrambi convalidati il 26 aprile dal giudice di pace. E per lui è scattato anche l’obbligo di firma. E oggi Conte ringrazia “le autorità giudiziarie preposte a tutelare i diritti umani, senza differenze di razza, religione, cultura e ceto sociale”, riaffermando l’impegno “a favore dei tanti Paul che vivono emarginati ed esclusi anche perché vittime di una burocrazia sfiancante che penalizza e condanna la dignità delle persone”.
“Dove andranno a settembre i nostri figli?” Le mamme di Tamburi occupano le scuole
Le mamme dei Tamburi, che da tre giorni occupano le scuole Deledda e De Carolis a ridosso delle collinette ecologiche, chiuse per inquinamento a marzo scorso su ordinanza del sindaco di Taranto, andranno avanti a oltranza finché non riceveranno risposte certe su cosa accadrà a settembre. “Vogliamo sapere cosa accadrà con l’inizio dell’anno scolastico, i nostri figli hanno il diritto di restare nel quartiere dove sono nati e dove vivono”. Mamme, ma anche nonni seduti davanti alle scuole si riparano dal caldo torrido sotto gli ombrelloni da mare.
Chiara non usa mezzi termini: ”Resteremo qui finché il sindaco non verrà a dire quale sarà il destino che attende i nostri figli. Io faccio un invito a tutti del quartiere Tamburi e non, raggiungeteci per sostenere con noi una battaglia comune”, spiega ancora Chiara”, perché i figli dei Tamburi sono figli di tutti, il problema non riguarda solo noi. Passate anche solo per portare una bibita fresca, del caffè, un po’ d’acqua, per farci sentire la vostra vicinanza, ci troverete qui giorno e notte. Noi non molliamo. Il tempo dell’attesa è scaduto”.
Sono oltre 700 gli alunni, fra elementari e medie più il personale docente in cerca di una scuola dopo la chiusura della Grazia Deledda e della De Carolis , troppo vicine alle cosiddette collinette ecologiche che separano il quartiere dall’ex Ilva, sequestrate dalla magistratura perché contengono un incremento della concentrazione di arsenico, berillio cobalto e altre sostanze tossiche, fra cui la diossina. Diossina presente nel latte materno. “Non esiste un limite tollerabile di diossina, il latte materno non ne dovrebbe contenere affatto”, spiega la dottoressa Anna Maria Moschetti, del direttivo della società di Pediatria e membro dei medici per l’ambiente. “Vuol dire che i bambini sono entrati in contatto con la diossina, già prima di nascere. Poiché il latte contiene sostanze che contrastano lo sviluppo dei tumori, anche se contaminato protegge il bambino già esposto in gravidanza, cosa che il latte adattato non è in grado di fare. Dunque, è utile allattare al seno. È obbligatorio che il siderurgico interrompa la immissione di diossine sulla popolazione.” Nei giorni di “wind-days”, quando si alza il vento, i bambini restano chiusi in casa come fossero agli arresti domiciliari.
Questa è la condizione in cui sono costretti a vivere, rinunciando a giocare all’aria aperta, a calpestare l’erba dei giardinetti. Maria Delia, arrivata da poco a portare la sua solidarietà si chiede: ”Ma perché queste mamme devono lottare da sole per il diritto allo studio e alla salute? Nessun rappresentante delle istituzioni si è fatto vedere. Ci sono solo agenti delle forze dell’ordine in borghese per controllare “pericolose criminali” che stanno rinunciando alla propria vita quotidiana per chiedere giustizia. Parlo a tutte le mamme d’Italia, ma non vi ribolle il sangue? E se capitasse a voi?”. Mentre a Tamburi attendono di sapere che ne sarà dei loro figli, la dichiarazione dell’ad di ArcelorMittal, ”il nostro obiettivo è zero emissioni entro il 2050”, che suona come l’ennesima provocazione.
Riviera Romagnola, fallito il Cocoricò la discoteca simbolo
Il gruppo Cocoricò, cui fa capo la celebre discoteca di Riccione, uno dei simboli della Riviera Romagnola, è stato dichiarato fallito lo scorso 4 giugno dal Tribunale di Rimini, che ha respinto la richiesta di concordato preventivo fallimentare e ha nominato un curatore. A far partire l’iter è stata l’Agenzia delle Entrate, al centro della cui azione ci sarebbe il mancato versamento delle imposte. Il prossimo 25 ottobre si svolgerà l’esame dello stato passivo del locale dove si capirà quanti sono coloro che vantano crediti verso il Cocoricò.
La discoteca, già finita sotto i riflettori nel 2015 per la morte di un 16enne per overdose, era stata sanzionata con una sospensione della licenza dal Comune di Riccione nel 2018 per non aver pagato la Tari, e dall’Erario, per non aver pagato le tasse. A gennaio, poi, era stata sottoposta a un sequestro preventivo per un totale di oltre 800 mila euro, cioè l’equivalente delle imposte risultate evase in seguito agli accertamenti effettuati nel 2018. Guai a cui si aggiunsero problemi legati al mancato pagamento di artisti, tra cui la Danceandlove, società fondata dal dj Gabry Ponte, che ha chiesto il sequestro dei marchi Cocoricò, Titilla e Memorabilia.
Tunnel Brennero, il buco dell’Austria è già di 229 milioni
Ritardi fino a mille giorni. Aumento dei costi, per uno solo dei quattro cantieri, di 229 milioni. E poi interrogazioni a raffica sulla compatibilità dell’amministratore della parte austriaca della società realizzatrice. Dalle viscere della terra – e della politica – in Alto Adige emerge il caso del tunnel del Brennero. Una storia che riguarda il versante austriaco dell’opera e parla di centinaia di milioni di extracosti che potrebbero finire sulle spalle anche dei contribuenti italiani (l’opera è a carico dei due Stati, oltre che dell’Ue che ne finanzia il 40 per cento).
Tutto parte dalle interrogazioni di Filippo Degasperi, consigliere provinciale M5S di Trento. Materiale che oggi è all’esame della Procura di Trento (non ci sono indagati). Parliamo di una delle maggiori opere in fase di realizzazione oggi in Europa, gestita da una società mista italo-austriaca, la Bbt (Brennero Basis Tunnel): 64 chilometri di tunnel ferroviario per 230 chilometri di gallerie (102 già scavate). Costo: 8,3 miliardi. I cantieri aperti sono quattro: due in Italia e due in Austria.
Da parte italiana si tiene a precisare che i tempi sono stati rispettati e per i costi si sarebbero risparmiati 10 milioni. L’attenzione si concentra, però, sui cantieri austriaci: il Pfons-Brennero (966 milioni) e il Tulfes-Pfons (377 milioni). Dalle carte ufficiali, citate da Degasperi, risulta che sulla Tulfes-Pfons le difficoltà tecniche avrebbero fatto aumentare i costi da 377 a 605 milioni.
Ma, ricorda il consigliere, “sarebbero costi destinati a lievitare ulteriormente”. Per non dire delle scadenze: si parla “di estensione dei tempi contrattuali richiesta dall’appaltatore per oltre mille giorni”. Ma c’è un secondo mega-lotto da finire e ce ne sono altri da iniziare. Gli extracosti potrebbero sfuggire a ogni controllo (c’è chi teme che si giunga a mezzo miliardo).
Basta leggere i documenti ufficiali della Bbt con il carteggio tra i due amministratori, l’altoatesino Konrad Bergmeister (per la parte austriaca) e l’italiano Raffaele Zurlo. Zurlo parla di “prestazioni extracontrattuali, ordinate unilateralmente da Bergmeister in variante ai contratti esistenti”. Di più: “Bergmeister – dice Zurlo in documenti societari – ha disatteso sistematicamente i richiamati divieti, eludendo il preventivo passaggio obbligatorio davanti al Consiglio di Gestione e Sorveglianza”. Ecco il punto: l’Austria sostiene di aver agito perché le norme italiane – la Bbt ha sede sociale in Italia ed è soggetta al diritto nostrano – in materia di appalti sono farraginose e barocche. Ribattono gli italiani: noi le abbiamo seguite e abbiamo rispettato tempi e costi. La partita si fa dura: gli extracosti comportano interessi colossali. L’Ue finanzia solo le spese previste nei capitolati, quindi gli sforamenti sono a carico dei due Stati. Ma la questione tocca la governance della società e il potere altoatesino. La polemica si concentra intorno a Bergmeister, ingegnere di indubbie doti e figura chiave del potere Svp (la Südtiroler Volkspartei che da decenni domina la scena politica). Bergmeister, fondatore di un grande studio ingegneristico, è anche presidente della fondazione della banca Sparkasse. Ancora: è stato presidente dell’Università di Bolzano e direttore dell’autostrada del Brennero.
Il padre nobile della Svp, Luis Durnwalder, voleva Bergmeister come suo successore alla guida della Provincia di Bolzano. E pochi giorni fa è stato fatto il suo nome per i vertici dell’Autobrennero. Qui M5S e Verdi hanno presentato interrogazioni sui possibili conflitti di interesse. Scrissero in un’interrogazione Riccardo Fraccaro (oggi ministro) e Paul Köllensperger (ex M5S) che lo studio Bergmeister ha ottenuto 69 incarichi per almeno 4,1 milioni dalla ripartizione provinciale strade (la Provincia di Bolzano è tra gli azionisti dell’Autobrennero).
Ma il nodo più importante emerge in una recente interrogazione di Degasperi: “Parliamo dei lavori per lo svincolo Nord di Trento, opera da 31 milioni realizzata dalla Emaprice e progettata dallo studio Bergmeister. La stessa Emaprice è anche impegnata nel tunnel del Brennero. Abbiamo chiesto, senza avere risposta, chiarimenti sul doppio ruolo di Bergmeister”. L’ingegnere nei mesi scorsi ha dichiarato di aver dismesso incarichi e quote dello studio di progettazione. Abbiamo contattato Bergmeister per chiedergli la sua versione dei fatti, ma non abbiamo avuto risposta.
“I poveri sono i nuovi schiavi”. Poi il Papa attacca i nunzi-blogger
I poveri sono “i nuovi schiavi” e tra loro ci sono in prima fila i migranti “strumentalizzati per uso politico”. Il Papa lancia un nuovo appello per gli ultimi della terra anche perché, consentendoci l’incontro con Dio che in loro si identifica, sono per tutti una via di salvezza. Principi contenuti nel Messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri che si terrà domenica 17 novembre. “Dobbiamo elencare molte forme di nuove schiavitù a cui sono sottoposti milioni di uomini, donne, giovani e bambini. Come dimenticare i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?”. “Ai poveri non si perdona neppure la loro povertà”.
Ieri mattina invece l’incontro con i nunzi ai quali ha chiesto fedeltà, dunque l’impossibilità “a criticare alle spalle il Papa, avere dei blog o addirittura unirsi a gruppi ostili a Lui, e alla Chiesa”. In effetti, da Carlo Maria Viganò a Josef Wesolowski, da Luigi Ventura a Carlo Alberto Capella, tra tradimenti, pedofilia e abusi, diversi dispiaceri sono arrivati proprio dalla diplomazia vaticana.
“SeaWatch? Pirati sequestratori di migranti”
Non sbarcheremo i naufraghi in Libia: Tripoli non è un porto sicuro”. È categorica la Sea Watch, la Ong tedesca che mercoledì ha salvato 52 migranti nelle acque della Sar libica e che ieri ha ricevuto per la prima volta l’indicazione da parte della guardia costiera libica di far sbarcare i naufraghi proprio a Tripoli. Una disponibilità ritenuta irricevibile dall’organizzazione, che si fa forte di un rapporto delle Nazioni Unite che lo scorso anno ha definito “orrori inimmaginabili” le condizioni a cui sono sottoposti i migranti nei centri di detenzione libici e che rende dunque impraticabile ogni rapporto con Tripoli. E così ieri i naufraghi sono rimasti in mare, mentre il ministro dell’Interno Matteo Salvini accusava la Sea Watch di “pirateria” e intimava di applicare il decreto Sicurezza-bis per tenere lontana dalle coste italiane la nave dei soccorritori. L’indicazione del porto di Tripoli come punto di approdo era arrivato in mattinata, con conseguente annuncio del leader leghista: “La nave illegale, dopo aver imbarcato 52 immigrati, si trova a 38 miglia dalle coste libiche, a 125 miglia da Lampedusa, a 78 miglia dalla Tunisia e a 170 miglia da Malta. Le autorità libiche hanno assegnato Tripoli come porto più vicino per lo sbarco. Se la nave illegale Ong disobbedirà, mettendo a rischio la vita degli immigrati, ne risponderà pienamente”.
Parole cadute nel vuoto, vista l’impossibilità di riportare i 52 naufraghi in un luogo considerato non sicuro, come ribadito dalla stessa Ong: “Riportare coattivamente le persone soccorse in un Paese in guerra, farle imprigionare e torturare è un crimine. È vergognoso che l’Italia promuova queste atrocità e che i governi dell’Ue ne siano complici”.
Non abbastanza per far cambiare idea al ministro, che per tutto il giorno ha aggiornato i propri social con la posizione della nave, diretta verso Lampedusa. Fino anche a dubitare, una volta in più, delle buone intenzioni dei soccorritori: “Avevano il via libero allo sbarco, hanno atteso per ore davanti alla costa africana. L’atteggiamo della Sea Watch sembra un vero e proprio sequestro di persona per motivi politici. Polemizza col Viminale sulla pelle delle immigrati”. Parole che si aggiungono a quelle di mercoledì, quando Salvini aveva definito “un atto di pirateria” il salvataggio in mare.
Per questo la Sea Watch ha annunciato querela nei confronti del leader della Lega: “Il ministro ha rilasciato, ancora una volta, innumerevoli dichiarazioni diffamatorie a mezzo stampa, insultando la Ong e l’operato della sua nave, un operato che si sostanzia sempre in legittima attività di soccorso e salvataggio”. A preoccupare Salvini, secondo ancora la Sea Watch, dovrebbe dunque essere altro: “Lascia perplessi l’attenzione che il ministro ripone sulla Ong che ha soccorso 52 naufraghi quando ogni giorno arrivano decine e decine di persone a bordo di barche fantasma nonché di navi militari e mercantili”.
Ma è l’emergenza Sea Watch a tenere banco. E nella serata di ieri, Salvini ha confermato la linea dura, lasciando intendere che lo scontro andrà avanti per parecchio: “Gli abusivi della Ong mi querelano? Uuuh, che paura. Per gli scafisti e i loro complici i porti italiani rimangono chiusi”.
“Descalzi dica da dove arriva il petrolio ‘sbagliato’ di Eni”
Da dove arriva il petrolio a bordo della White Moon che dal 23 maggio staziona al largo di Milazzo: è uno dei quesiti che la Commissione industria del Senato, presieduta dal senatore M5S Gianni Girotto, ha ufficialmente rivolto all’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, dopo le rivelazioni del Fatto Quotidiano. Una fonte che ha scelto l’anonimato sospetta che provenga dall’Iran. E sul petrolio di Teheran dal 3 maggio scorso incombono le sanzioni predisposte dagli Usa. Interpellata dal Fatto, l’Eni ha risposto di non avere né “conoscenza” né “evidenza” di “una precisa provenienza geografica diversa da quella indicata nei documenti di origine e di scarico”. E i documenti, spiega l’Eni, parlano di greggio iracheno. La Commissione industria vuole da Eni “piena contezza” sulla partita di greggio che da due settimane è a bordo della White Moon: il suo prolungato stazionamento al largo di Milazzo – scrive la Commissione a Eni – suscita preoccupazioni sotto il profilo ambientale e “dubbi” sulla “regolarità dell’operazione”.
Il punto – come rivelato ieri dal Fatto – è che il contratto stipulato dalla Eni Trading & Shipping Spa con la nigeriana Oando, che le ha venduto il petrolio, non è andato come previsto. Le qualità del prodotto sono differenti da quelle previste. “Le specifiche chimico fisiche, la diversa percentuale di zolfo – ha spiegato Eni – sono diverse da quelle stabilite contrattualmente in misura tale da renderle (allo stato delle evidenze) incompatibili con la qualità ‘Bashra Light’ oggetto del contratto. Eni non è in grado di (né ha interesse a) determinare i motivi di tali difformità, che possono essere disparati e che sono irrilevanti ai fini della intervenuta risoluzione dell’acquisto”. Eni spiega di aver già risolto da giorni il contratto con Oando: “La Ets – aggiunge – è creditrice della restituzione del prezzo pagato che Oando s’è impegnata a versare con sollecitudine”.
Quel che è certo, insomma, è che il carico non è di olio Basrah Light previsto dal contratto. I documenti parlano di greggio iracheno ed Eni spiega di non avere alcuna evidenza di una provenienza diversa. Ogni olio ha le sue caratteristiche. Il Basrah Light è infatti conosciuto come petrolio iracheno e per essere tale deve avere una percentuale di zolfo pari al 2,90%. Se lo zolfo scende all’1,60%, invece, può essere olio che arriva da giacimenti iracheni o Usa. In altre parole: dalle caratteristiche tecniche si può risalire al giacimento di provenienza. Abbiamo chiesto a Eni quali siano le percentuali di zolfo del carico della White Moon: “Si tratta di informazioni coperte da confidenzialità commerciale” è la risposta di Eni, che aggiunge: “Il carico della White Moon è risultato significativamente, e cioè in misura percentualmente rilevante, ben al di sopra delle percentuali di tolleranza o scostamento della usuale prassi tecnico commerciale”. Se la percentuale di zolfo e altre sostanze si discosta quindi in modo significativo, come spiega la stessa Eni, il carico è “incompatibile” con il Bashra Light, che è con certezza olio iracheno. L’Eni non ha “evidenza” di altre provenienze geografiche. Ma la Commissione industria del Senato ha intenzione di scoprire con esattezza da quale giacimento sia stato prelevato.
A Bergamo nasce la fronda anti-Salvini
Matteo Salvini è nato Giovane padano e così ha sollevato non poco scalpore la notizia del Corriere di Bergamo su una nuova formazione politica, Pro Lombardia indipendente, fondata un anno fa da ex Giovani Padani e che adesso si riunisce pubblicamente nella sua prima assemblea provinciale.
Daniel Manzoni, 27 anni, militante leghista con tessera già a 15 anni dice: “La Lega ha cambiato obiettivi e soprattutto al governo si parla di una autonomia farlocca. Lombardia è nazione a tutti gli effetti”. Il fuoco cova sotto la cenere, i numeri sono ancora piccoli ma il punto è evidente: una parte del nord non si riconosce con l’attuale Lega. A dimostrarlo è anche l’emorragia di iscrizioni al partito. Un tema tabù nella nuova Lega dai colori blu del vicepremier.
Il tono di Manzoni è pacato, l’ex giovane padano introduce Pro Lombardia indipendente come “un progetto a cui stanno aderendo non solo ex giovani leghisti ma anche e soprattutto persone che non hanno mai militato in un partito”.
Il ritorno al territorio domina nell’agenda della nuova realtà politica. “Un anno fa abbiamo deciso di uscire dalla Lega e oggi siamo pronti per creare qualcosa che guarda all’Europa più che all’Italia”. Quindi mentre gli uomini di Salvini strizzano l’occhio ai minibot – pur di prendere le distanze dall’Ue – la nuova leva padana ci si ispira. Continua Manzoni: “L’Europa non è perfetta ma se la Lombardia vuole ottenere qualcosa deve guardare in quella direzione più che alla politica nazionale”. Eppoi: consolidare i rapporti con i movimenti indipendentisti e autonomisti sparsi nel vecchio continente, scozzesi e catalani in primis ma anche le anime dell’est Europa e pedalare a testa bassa nei paesi, nelle microaree del profondo nord dove i duri e puri non si ritrovano e a conti fatti non si riconoscono nella Lega che governa l’Italia.
La delusione è stata aver trascurato nei fatti l’obiettivo dell’autogoverno regionale.
In fondo in fondo poi chi è stato leghista vuole sapere dove siano finiti i 49milioni di euro spariti con la Lega di Bossi e Belsito e soprattutto dove vanno a finire i soldi delle iscrizioni.
Argomenti non da poco. Perché vanno bene i sogni ma sugli “sghèi”, il nord non perdona.
“Il Pd qui ha portato l’Africa, ma picchio solo i neri cattivi”
Ècome Nembo Kid. Si chiama Naomo.
Piacere, Nicola Lodi. Tutti mi conoscono come Naomo, ricorda il personaggio di Panariello (una specie di Briatore, ndr)? Faccio il barbiere, ho 43 anni e sono il consigliere comunale più votato di tutti i tempi qui a Ferrara.
Naomo se vede un nero lo prende a calci in culo.
Alt. Se infastidisce, si ubriaca, stramazza in terra, disturba, spaccia io intervengo. Ferrara è stata terrorizzata da questi spacciatori che hanno requisito interi quartieri, la nostra gente non dormiva più, uscire di casa era divenuto problematico.
Naomo è il leghista perfetto, un Salvini minore. Il sole non tramonta senza un suo video di contrasto alla criminalità.
Sono molto fisico nella battaglia politica. E interagisco con la gente. I video mi servono a fare conoscere le nostre battaglie.
Ha alzato la bandiera della Lega sul pennone del tricolore nella piazza principale.
Un atto di orgoglio, sei mesi fa. Per la battaglia conclusiva: la conquista del Comune dopo 73 anni di dominio della sinistra. E così è stato.
Naomo sarà il nuovo assessore alla Sicurezza.
Dove vorrà Alan, che è mio amico e adesso è sindaco.
Lei ha fatto anche blocchi stradali, ha chiesto documenti a migranti e viandanti.
Ho lottato per ridare civiltà e sicurezza. Ora con Salvini qui a Ferrara c’è l’esercito.
Non si sarebbe mai detto che Ferrara fosse così rovinata.
Venga e vedrà. Bande di nigeriani, della mafia nigeriana.
Dai suoi video sembra una città del Sudan.
Scherza? Son successe cose terribili.
Senza Naomo la Lega sarebbe stata un gattino cieco. L’ha fatta divenire aggressiva. Un tuono.
Sono pacifico, di natura cordiale.
Coi migranti è più nervoso.
Con chi si comporta male.
Con gli invaders.
Una vignetta capitata sulla mia pagina.
Dove c’è casino c’è Naomo.
Ero anche a Gorino quando facemmo le vittoriose barricate.
Contro dodici donne inermi.
Bravo, anche lei a lisciare il pelo, a ritenere che si debba essere tutti buoni, accoglienti. A non far nulla se poi si spaccia. Naomo qui a Ferrara l’ha fatto crescere il Pd. Grazie alla loro dissennatezza, all’apatia, all’utilizzo senza senso della parola integrazione. L’insicurezza era solo distorta percezione? S’è visto. Naomo batte il partito di Dario Franceschini, il mio illustre concittadino. Il barbiere contro il ministro. Ha vinto il barbiere.
Il centrosinistra è stato troppo tollerante.
Inerme, e a volte addirittura colluso.
Ha portato l’Africa in Padania.
È la realtà. Il tema sicurezza è così sentito, ma così tanto…
Se per una magia domani scomparissero i migranti lei sarebbe nei guai.
Ma io voglio bene a loro.
A calci in culo.
Alt. Se spacci, sporchi, rubi, aggredisci. Altrimenti no. Mia moglie è moldava, miei amici sono i tunisini.
Ferrara era tutta nebbia e noia. Con Naomo la musica è cambiata.
La nebbia è bellissima. Ricorda quei meravigliosi film di Antonioni?
Naomo, lei però è anche un po’ furbetto. Quando il Pd l’ha accusata di aver avuto frequentazioni in tribunale lei ha mostrato il casellario giudiziario dal quale non risultava nulla.
Ho esibito la pura verità.
Ma non ha detto delle cinque condanne subìte che, grazie alla non menzione, le hanno permesso di dire: io non ho nulla.
Condanne per cosa?
Stalking.
Alt. Non è una condanna. Errori commessi anni fa, tutto risolto con una ammonizione del questore.
Una causa di lavoro in cui lei ha un po’ fatto il furbo…
Mai furbo, non lo dica mai. Vero l’ho persa.
Quando Estense.com l’ha scritto, lei ha organizzato uno shitstorming. Commenti concordati per danneggiare la credibilità del giornale.
Devo difendermi dalla macchina del fango. Io sono buono con tutti i giornalisti, però se dicono o scrivono cose cattive o false…
La verità può essere dolorosa, ma resta la verità.
Io mi difendo.
Come quando ha invitato il suo popolo a deridere un collega in piazza, colpevole di un articolo non gradito.
Ma no, tutto esagerato.
Lei sarà assessore alla sicurezza.
Questo non lo so. Stamane però sono andato all’incontro col prefetto, delegato dal sindaco, sulle questioni di ordine pubblico.
Le forze armate sono entrate a Ferrara.
L’esercito, grazie a Salvini, è con noi.
La città sarà vigilatissima.
Ma scherza?
Bella l’idea di farsi la vasca idromassaggio nella casa popolare che abita.
L’ho pagata io e ho rimesso a nuovo l’appartamento con i miei soldi. Quando lo restituirò al Comune avrà un valore molto più alto di quando l’ho ricevuto.
La difesa di Emiliano: “Non ho dato deleghe, il reato non esiste”
Ha affidatoa Facebook la sua ricostruzione dei fatti, Michele Emiliano, il governatore della Puglia indagato per abuso d’ufficio per una nomina che, secondo l’accusa, avrebbe violato la legge Severino. Sicuro che verrà archiviato, visto che anche un parere dell’Autorità nazionale anti-corruzione si è espresso sul punto: “L’inconferibilità della nomina di un sindaco in un cda è stata esclusa dall’Anac e dagli uffici del mio Gabinetto perché il sindaco nominato è un semplice consigliere di amministrazione senza deleghe”, ha spiegato Emiliano. In pratica, secondo il governatore pugliese, “il fatto di reato tecnicamente non sussiste” perché “l’inconferibilità dei sindaci riguarda solo il ruolo di presidente con deleghe o di amministratore delegato”. Non il caso, quindi, dell’ex sindaco di Bisceglie, Francesco Spina, che ha nominato consigliere della società Innovapuglia, che non è quindi presidente né amministratore delegato: “In caso di consiglieri di amministrazione senza deleghe – ha concluso Emiliano – non sussiste alcuna inconferibilità”.