Reggia di Caserta, sospesa la nomina della direttrice

Lei si era portataavanti, il Tar al momento, le ha però fatto fare marcia indietro. La nomina dell’architetto Tiziana Maffei alla Reggia di Caserta (nello specifico: direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, Reggia di Caserta e del parco archeologico di Pompei) è stata sospesa dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio. La decisione verrà assunta il 25 giugno. Antonio Tarasco, escluso dalle terne delle candidature da presentare al ministero dei Beni culturali, aveva presentato ricorso. Ieri il decreto cautelare del tribunale sull’ atto pubblico relativo alla procedura di nomina con decreto del presidente del Consiglio di Maffei. Al centro della questione la “procedura di selezione pubblica per il conferimento dell’incarico di livello dirigenziale generale di Direttore nella parte in cui non individua il ricorrente nelle terne dei candidati da sottoporre al Ministro ai fini del conferimento dell’incarico di Direttore degli Istituti oggetto di selezione, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del bando della procedura; – di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi, con particolare riferimento ai seguenti: decreto n. 581 di nomina della Commissione di valutazione”.

I due magistrati indagati tra politica e pentiti

Uno ha costruito la sua carriera nei ruoli dell’accusa, l’altra è stata per oltre dieci anni fuori ruolo, impegnata nello staff dell’ex presidente del Senato Renato Schifani e poi nelle stanze di Via Arenula, come vicecapo Dipartimento per gli affari di Giustizia. Carmelo Petralia e Anna Palma, indagati dalla Procura di Messina per il depistaggio di via D’Amelio, sono i primi magistrati chiamati a rispondere della colossale mistificazione costruita a tavolino sulle parole del pentito farlocco, Vincenzo Scarantino.

Top secret il contenuto dell’accusa di calunnia aggravata ipotizzata nei loro confronti, ma si sospetta che un ruolo cruciale della nuova indagine potrebbero giocare le 19 bobine trasmesse da Caltanissetta con registrazioni telefoniche dell’epoca, pronte a essere riversate su supporti moderni per la valutazione.

Di certo c’è che Scarantino aveva i numeri di cellulare di almeno quattro magistrati quando, nell’estate del ’95, era detenuto ai domiciliari a San Bartolomeo al Mare (Imperia), nella casa dove sarebbe stato “indottrinato” dagli uomini del gruppo Falcone-Borsellino e dove era installato un telefono fisso. Lo ha rivelato lui stesso, nel processo in corso ai poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di averlo aiutato a memorizzare i verbali taroccati. “Il numero della Palma – ha detto Scarantino – mi sembra che me l’aveva dato Bo; quello del procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra (morto nel 2017, ndr) me l’aveva dato lui stesso, quello di Petralia me l’aveva dato il poliziotto Vincenzo Ricciardi, e quello del pm Nino Di Matteo me l’aveva passato Tinebra”. Di Matteo, sentito nel quater, è l’unico ad aver riferito spontaneamente di aver ricevuto in quel periodo messaggi vocali da Scarantino sul proprio cellulare, precisando però di non avergli mai risposto perché impegnato in un’udienza.

Diventata nel 2016 avvocato generale della Repubblica a Palermo (in quell’occasione il suo sponsor fu l’avvocato Paola Balducci, già deputata di Sel e compagna dell’ex ad delle Ferrovie dello Stato lo scomparso Lorenzo Necci), la Palma ha attraversato numerose polemiche per la sua familiarità con la politica (è sposata con Elio Cardinale, sottosegretario alla Salute nel governo Monti), la sua frequentazione di aggregazioni paramassoniche (nel ’79 fu nominata dama del Santo Sepolcro, lo stesso Ordine al quale apparteneva lo 007 Bruno Contrada, in cui rimase fino al ’93) e la sua amicizia con Totò Cuffaro, il governatore siciliano condannato per mafia. Fu Cuffaro a designare il fratello della Palma, già magistrato della Corte dei conti, “vicecommissario regionale per l’emergenza idrica in Sicilia”, come scrisse l’informatico Gioacchino Genchi nel libro autobiografico firmato con il giornalista Edoardo Montolli.

Sentita dalla Commissione regionale antimafia su via D’Amelio, Palma non ha saputo spiegare perché sul sopralluogo eseguito da Scarantino nella carrozzeria di via Messina Marine, in cui furono rubate le targhe poi montate sull’autobomba, non venne redatto alcun verbale: “Non mi sono posta assolutamente il problema – ha risposto – devo dire forse sarò stata ignorante”.

Già nella Dda catanese nel ’92, Petralia arriva a Caltanissetta a rafforzare il pool di magistrati all’indomani di via D’Amelio e negli anni successivi approda alla Procura nazionale antimafia, per poi guidare la Procura di Ragusa. Il suo ruolo nelle indagini su via D’Amelio è segnalato dall’Antimafia regionale nell’episodio di San Bartolomeo a Mare, la prima ritrattazione di Scarantino, bloccata proprio dall’intervento del pm, che in tempo reale, alla Questura di Genova, verbalizzò la ritrattazione della ritrattazione.

La nave col petrolio “sbagliato” bloccata dall’Eni a Milazzo

La White Moon è al largo di Milazzo dal 23 maggio scorso: da 20 giorni la nave petroliera battente bandiera liberiana è lì ferma, con il suo carico di greggio, destinato alla raffineria siciliana. Ma non può scaricare un solo barile. Una fonte che ha scelto l’anonimato ci segnala l’anomalia arricchendola di dettagli che, se fossero veri, farebbero divampare il caso fino alla Casa Bianca: la tesi è che la società Eni Trading & Shipping (Ets, ndr), incaricata di acquistare il greggio per conto del colosso petrolifero italiano, avrebbe comperato dalla Oando, la più grande compagnia petrolifera nigeriana, circa 600 mila barili di petrolio iracheno, per decine di milioni di euro.

Il punto, secondo le informazioni ricevute dal Fatto, è che si tratterebbe di greggio iracheno soltanto sulla carta: in realtà, sarebbe iraniano. E dal 3 maggio gli Usa hanno decretato l’embargo contro Teheran. L’Italia era, fino a quella data, uno dei sei Paesi ai quali era stata concessa una proroga per gli affari con l’Iran. Proroga scaduta, però. Se si trattasse di greggio iraniano, insomma, qualcuno avrebbe violato i patti. Secondo l’informazione giunta al Fatto, però, sarebbe stata proprio la struttura tecnica dell’Eni a scoprire l’inghippo, dopo averlo acquistato, cercando di rimediare alla situazione.

Abbiamo chiesto all’Eni se le informazioni ricevute corrispondano al vero. “Occorre precisare – ci comunica l’ufficio stampa Eni – che nessun olio caricato sulla White Moon (che si trova attualmente ormeggiata in area non operativa) è stato ‘trasbordato’ presso la raffineria di Milazzo”. Il carico a bordo, quindi, in effetti è stato bloccato.

“Il carico in oggetto – continua Eni –, risultato non conforme alle specifiche di acquisto, è già stato respinto (numerosi giorni fa) al venditore e risolti i relativi accordi di compravendita”. Confermato anche che si tratta di greggio diverso da quello pattuito.

Replichiamo: si tratta di greggio iraniano? “Le specifiche chimico-fisiche (diversa percentuale di zolfo) sono diverse da quelle stabilite contrattualmente in misura tale da renderle (allo stato delle evidenze) incompatibili con la qualità ‘Bashra Light’ oggetto del contratto. Eni non è in grado di (ne ha interesse a) determinare i motivi di tale difformità, che possono essere disparati e che sono irrilevanti ai fini dell’intervenuta risoluzione dell’acquisto. Eni, comunque, non ha conoscenza se, o evidenza di, una precisa provenienza geografica diversa da quella indicata nei documenti di origine e di carico (Iraq)”. Confermato, quindi, anche che il greggio acquistato almeno sulla carta è iracheno. Ed è difforme da quello preventivato negli accordi di acquisto. Eni aggiunge di non sapere, e di non avere alcuna evidenza, che il greggio proviene da altre aree geografiche. Non nega che sia iraniano: precisa di non saperlo. E che, ai fini della risoluzione contrattuale, non è un elemento fondamentale. Lo è però politicamente: se qualcuno ha violato l’embargo, o ci ha messo nelle condizioni di violarlo a nostra insaputa, lo Stato italiano dovrebbe esserne informato. Confermata anche l’informazione sul venditore nigeriano: “Il contratto con Oando (che ha riconosciuto le difformità lamentate) – conclude Eni – è già stato risolto da giorni ai sensi della normativa applicabile (legge inglese) a queste tipologie di transazioni. Per l’effetto, ora Ets è creditrice della restituzione del prezzo pagato che Oando si è impegnata a versare con sollecitudine”.

Legami con Amara: destituito Musco, ex pm di Siracusa

La sezione disciplinare del Csm ha destituito dalle sue funzioni di magistrato Maurizio Musco. Già in servizio a Siracusa, viene allontanato nel 2012 su indicazione del guardasigilli Paola Severino, per il “reiterato uso distorto delle funzioni” di pm e il suo “strettissimo rapporto di amicizia” con l’avvocato Piero Amara, già legale esterno di Eni.

Vicenda conclusasi con la condanna in via definitiva (febbraio 2017) a 18 mesi per abuso d’ufficio, per aver arrecato un ingiusto danno all’ex sindaco di Augusta Massimo Carrubba e al suo assessore nel processo sulla discarica Oikothen. Per questo è trasferito a Sassari per incompatibilità ambientale.

Musco ha istruito l’inchiesta ‘Mare Rosso’, sullo sversamento di mercurio nella rada di Augusta, in cui furono coinvolti dirigenti e dipendenti di Eni e Montedison, finita in via civile con i patteggiamenti. Sotto l’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, è stato membro (a titolo gratuito) di una commissione sui reati ambientali.

Per 2000 euro muori, se rubi 49 milioni sei un idolo

Franco ha sparato. Viva Franco. Franco ha ammazzato. Viva Franco. Franco ha estratto la pistola e usata alle spalle. Non importa. Viva comunque Franco.

A Ivrea i dubbi sono eccezioni da rifiutare per una narrazione univoca, un’equazione basilare: quel che è mio lo posso difendere fino a uccidere, e con orgoglio percepito e manifesto. In fin dei conti ora lo dichiara anche la legge, in fin dei conti il ministro dell’Interno ha offerto il suo appoggio e solidarietà al tabaccaio armato con una tempistica che non lascia spazio alle sfumature. Bene, bravo, giusto.

Con qualche paradosso.

Ivrea alle ultime Europee ha votato al 27 per cento e rotti per la Lega. Peccato che il Carroccio sia lo stesso partito che ha sottratto agli italiani 49 milioni di euro, e la restituzione è stata diluita in infinite comode rate; quindi: chi deruba duemila euro (la cifra è ancora da verificare) merita di venir ucciso con una revolverata durante la fuga, e poi viene additato e schifato; mentre chi sottrae una cifra infinite volte maggiore può puntare il dito, insegnare il corretto stile di vita, dettare la strada, godere degli applausi, pavoneggiarsi del consenso. E promuovere le leggi.

In sostanza, la politica ha ridotto la visuale degli italiani al salotto di casa e alle zone limitrofe, ai metri quadri necessari per sentirsi al sicuro: a voi una bella prigione mentale, a noi il resto del bottino; una sorta di panem et circenses in salsa verde, dove il “panem” sono i 49 milioni e le altre amenità acquisite in questi anni, il “circenses” si celebra “con delle pistole perfette per gonfiare il petto, sentirsi forti e necessari, uomini ancora atti a difendere la galera”.

Sergio Leone saprebbe che film girare.

Palamara, la talpa e il colloquio con Ferri

Qualcuno aveva avvertito Luca Palamara che c’era un trojan nel suo cellulare quando ancora le indagini per corruzione sul suo conto erano segrete e tanto più lo era il virus che registrava tutto quel che accadeva intorno al suo telefono.

Non solo. Luca Palamara aveva discusso del trojan anche con il deputato del Pd, ex leader della corrente dei magistrati MI, Magistratura Indipendente, nonché ex sottosegretario alla Giustizia dei governi Renzi e Gentiloni, Cosimo Ferri. Nell’interrogatorio di Palamara il 31 maggio scorso i pm di Perugia hanno chiesto al magistrato indagato di quel colloquio con il parlamentare avente ad oggetto il suo trojan, l’esistenza del quale era data per scontata e non era stata svelata da Ferri. Palamara, richiesto di commentare il colloquio registrato, ha confermato le dicerie sul suo trojan. A un certo punto è uscito fuori, in un contesto fumoso, il nome di Stefano Erbani, magistrato e consigliere giuridico di Sergio Mattarella.

Ieri Repubblica, Il Messaggero e Corriere della Sera hanno dato una versione dell’interrogatorio che non riportava nomi: “Del Quirinale, nel suo interrogatorio reso a Perugia subito dopo la perquisizione e l’avviso di garanzia per corruzione, parla anche Palamara. Il magistrato racconta che, pochi giorni prima delle perquisizioni, una persona a lui vicina (identificata dalla Procura di Perugia) gli avrebbe riferito di aver appreso da una misteriosa talpa al Quirinale che nel suo telefono era stato installato un trojan”.

I legali di Palamara, Mariano e Benedetto Buratti, spiegano: “Il nostro assistito non ha mai fatto riferimento al Quirinale. Dopo che gli è stato chiesto di una conversazione intercorsa con Ferri nella quale si discuteva di questa circostanza del possibile trojan e delle indagini, ma come evenienza di cui molti parlavano, Palamara ha soltanto riferito di non avere avuto né allora né ora preoccupazione per un eventuale trojan non avendo nulla da nascondere”. Anche il Quirinale è intervenuto ieri: “La Presidenza della Repubblica non dispone di notizie su indagini giudiziarie e dal Quirinale non può essere uscita alcuna informazione al riguardo”. Il Fatto ha sentito Ferri. “Ricordo un colloquio con Palamara ma non ricordo a distanza di tempo con esattezza la data né il suo contenuto preciso. Posso dire però che lui scherzava addirittura su questa circostanza come se fosse impossibile, tanto è vero che si portava sempre dietro il cellulare. Era noto, dopo l’articolo del Fatto del settembre 2018, che esisteva un fascicolo a Perugia sui rapporti tra l’ imprenditore Fabrizio Centofanti e Palamara. Ricordo che però, più di recente, si è diffusa al Csm la voce tra i consiglieri che esistesse una seconda informativa che parlava di incontri serali sulle nomine, con Palamara. Questa voce sull’inchiesta sulle nomine fu connessa nelle voci di corridoio a un incontro tra un esponente di Unicost e Stefano Erbani. Io ovviamente – dice Ferri – non so se sia vero l’incontro né le maldicenze che circolavano. E non ne ho mai parlato con nessuno dei due di questo”. Quindi si potrebbe trattare di una falsità messa in giro a bella posta per inquinare il quadro già poco limpido. Stefano Erbani replica: “Non ho mai divulgato nessuna notizia a nessuno sulle indagini riguardanti Luca Palamara. Non sapevo nulla e non rientra nei miei compiti informarmi delle inchieste. Attendo di verificare se effettivamente vi sia traccia di simili affermazioni nelle carte del procedimento. Sono pronto a rivalermi in ogni sede contro chi affermi cose simili”.

Le “interferenze” di Lotti: “A Roma si vira su Viola”

“Le interferenze illecite” di Luca Lotti in “un centro di potere” esterno al Csm che decideva sulle nomine. È quanto si legge negli atti del Gico della Guardia di finanza, depositati alla Procura di Perugia e al Csm, sull’indagine Palamara. Tra le manovre “palesi quanto illecite da parte di soggetto rivestente la qualità di imputato”, scrive il Gico, quella per la Procura di Roma dove, dice Lotti, “si vira su Marcello Viola”.

Negli atti, pubblicati in parte ieri sera dal Sole 24 Ore, si legge che un ruolo diretto lo avrebbe giocato anche Pierluigi Morlini che ieri ha inviato una lettera di dimissioni al vicepresidente Ermini in cui ammette che nell’incontro notturno con Ferri-Lotti-Palamara e altri colleghi togati si è parlato di “attività consiliari”, cioè della nomina del procuratore di Roma, dopo il pensionamento di Pignatone. Secondo il Gico Morlini parla di altri voti da raccogliere su Viola. Si parla anche di Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze, altro candidato contrapposto al procuratore di Palermo Francesco Lo Voi ritenuto “in contibnuità” con Giuseppe Pignatone: “«Gli va messa paura”, dice Palamara.

Sia Morlini che gli altri presenti all’incontro, Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli e Antonio Lepre, da ieri sono sotto procedimento disciplinare promosso dal Pg della Cassazione Riccardo Fuzio. A quanto risulta al Fatto, vengono loro contestati “comportamenti abitualmente o gravemente scorretti” nei confronti degli altri consiglieri. Nell’ennesima, convulsa, giornata di ieri è protagonista anche il Quirinale che ha smentito articoli di stampa: “ Quanto alla notizia che Lotti si sarebbe lamentato con il Quirinale dell’inchiesta di Roma a suo carico, si precisa che il capo dello Stato lo ha incontrato il 6 agosto scorso per un saluto di congedo dei ministri”. Inoltre, il presidente Mattarella “non è mai intervenuto sulle nomine se non con interventi per richiamare il rispetto rigoroso dei criteri e delle regole”.

A proposito di nomine, il consigliere dimissionario Morlini era presidente della Quinta commissione, che si occupa proprio degli incarichi dei magistrati, ed era tra i quattro autosospesi. Ieri, la decisione di dimettersi, dopo la notizia del procedimento disciplinare.

Criscuoli si è dimesso da giudice supplente della sezione disciplinare, ma non da consigliere, quindi resta autosospeso, come Lepre e Cartoni. Tutti e tre si sarebbero lamentati di non aver potuto leggere le carte che li riguardano.

Nella lettera a Ermini, Morlini parla di un errore di “leggerezza”. Racconta di essere stato invitato da un collega “di cui mi fidavo” a un dopo cena con “alcuni consiglieri ed ex consiglieri del Csm (Ferri e Palamara, ndr). All’incontro, è successivamente e per me inaspettatamente intervenuto l’onorevole Lotti. Pur essendomi congedato prima che la serata terminasse, non mi sono immediatamente allontanato, nonostante tutti noi parlassimo di questioni consiliari”. Morlini, però, rivendica di aver agito per tutte le nomine, compresa Roma, “senza condizionamento politico o esterno”.

Morlini era di Unicost, la corrente centrista, Cartoni, Criscuoli e Lepre, sono di MI, la corrente conservatrice che sabato scorso li aveva invitati a revocare la loro autosospensione e a riprendere l’attività consiliare.

A oggi, Cartoni, Criscuoli e Lepre restano autosospesi, ma rischiano una sospensione formale, se non si dimettono prima, perché il Pg della Cassazione sembra intenzionato a chiederla ai giudici disciplinari del Csm. Se accolgono l’eventuale richiesta, scatterà automaticamente. Il Consiglio, dunque, è costretto a funzionare in forma ridotta, con due togati dimissionari e 3 autosospesi su 16. A bocce ferme, Morlini, giudice di merito, sarà sostituito dal primo dei non eletti, Giuseppe Marra.

Il deputato di FI Diego Sozzani è indagato anche per corruzione

È indagato anche per corruzione il deputato di Forza Italia Diego Sozzani, per il quale i magistrati milanesi hanno già chiesto alla Camera l’autorizzazione all’arresto per finanziamento illecito nella maxi indagine della Dda di Milano. È emerso nell’ambito del procedimento che si sta svolgendo davanti al gip Raffaella Mascarino sull’utilizzabilità o meno di sette intercettazioni che lo riguardano e che, secondo i pm, come scritto negli atti, individuano diverse e ulteriori “operazioni illecite”. L’iscrizione di Sozzani risale a circa due settimane fa. Ora la Procura attende il via libera dalla Camera. Nelle intercettazioni, in parte già messe agli atti, emergono i rapporti con l’imprenditore Claudio Milanese (non indagato) al quale Sozzani si offre per risolvere almeno due appalti. Dai dialoghi emerge una bozza d’accordo remunerativo per Sozzani. Dirà Milanese: “Consulenziale”. La Procura, inoltre, sempre su Sozzani sta guardando i documenti di una sua società, la Greenline, al centro, si legge negli atti, di un “illecito sistema di affidamento di incarichi onerosi (…) da parte delle società pubbliche (…) in cambio della retrocessione di una quota dell’incarico in favore degli amministratori formali e di fatto”.

Totò Riina nel 2013: “La ‘primula’ Matteo investe sui ‘pali’…”

Il “capo dei capi” di Cosa Nostra, Totò Riina, morto il 17 novembre 2017, sembra non condividere molto la scelta di una parte della mafia di investire nel settore delle rinnovabili. È un aspetto che emerge dalle carte della Procura di Palermo su Vito Nicastri che riprendono un’intercettazione del 2013 di Riina in quel momento detenuto nel carcere di Opera. “Il settore delle energie rinnovabili – è scritto negli atti – è stato oggetto in tempi recenti di particolari attenzioni da parte di Cosa Nostra e degli imprenditori a questa vicini e/o contigui”. E ancora: “Detta confluenza di interessi da parte di più articolazioni mafiose, è stata plasticamente rappresentata dal suo capo assoluto, Salvatore Riina, il quale durante la sua detenzione nel carcere milanese di Opera, nell’affrontare temi e vicende relative ad altre questioni criminali, commentava già nel 2013 con il suo interlocutore la decisione di speculare nel settore eolico da parte del latitante Messina Denaro, reo a dire del Riina di tralasciare gli affari tradizionalmente oggetto delle attività criminale di Cosa Nostra e di dedicarsi ai ‘pali’, figura retorica utilizzata dal boss per indicare attività imprenditoriale riferibile al settore dell’eolico”.

“Jurassic Park”, Giorgetti e le pressioni sul sindaco

Milano

Nomine nelle società partecipate, ma anche nomine politiche. Nino Caianiello, ex coordinatore di FI a Varese nonché presunto burattinaio del tangentificio lombardo, voleva avere tutto sotto controllo. Per farlo non si faceva problemi a chiedere l’aiuto degli “amici” della Lega, semplici parlamentari ma anche figure con incarichi di governo come il sottosegretario di Stato Giancarlo Giorgetti.

È proprio questa la novità di rilievo che emerge da due verbali successivi agli arresti del 7 maggio scorso. Sul piatto la nomina di Alessandro Petrone ad assessore all’Urbanistica nel Comune di Gallarate. Petrone, indagato per corruzione e associazione a delinquere dalla Procura di Milano, è da sempre un fedelissimo di Caianiello, il quale per piazzarlo sulla poltrona chiede l’aiuto di Giorgetti perché faccia pressioni sul sindaco di Gallarate, il leghista Andrea Cassani. La vicenda risale al 2017. In quell’anno in giunta come assessore all’Urbanistica c’è Orietta Liccati di Forza italia che è anche compagna dell’allora sindaco di Lonate Pozzolo Danilo Rivolta. Il 16 maggio di quell’anno la Procura di Busto Arsizio esegue diverse ordinanze per corruzione e abuso d’ufficio. Oltre a Rivolta finirà indagata anche la Liccati. Da quel momento, le deleghe dell’assessorato passano al sindaco. La situazione scompagina i piani di Caianiello che punta alla continuità politica mettendo il suo fedelissimo Alessandro Petrone. È in questo momento, secondo le testimonianze agli atti, che Nino Jurassic Park Caianiello mette in campo tutta la sua arte di gran tessitore di rapporti. Per scardinare le resistenze di Cassani bisogna puntare in alto. Tanto più che il sindaco di Gallarate pare ostile ai piani di Caianiello per modificare il Pgt.

Andrea Cassani, che non risulta indagato, viene sentito in Procura. Davanti ai pm confermerà le pressioni, senza però citare il nome di Giorgetti. Cassani spiegherà che messaggi sono arrivati dal parlamentare del Carroccio Matteo Bianchi. Il politico leghista, oggi non indagato, è in strettissimi rapporti con Caianiello. Più volte andrà a trovarlo nel suo bar-ambulatorio di Gallarate per parlare di diverse faccende. A chiarire definitivamente il quadro è il verbale di Marta Cundari, dirigente dell’ufficio tecnico del comune di Gallarate, indagata per abuso d’ufficio. Qui la dirigente pubblica spiega come Caianiello abbia chiesto e ottenuto, anche per il tramite di Matteo Bianchi, l’intervento di Giancarlo Giorgetti sul sindaco Cassani per nominare Petrone. Nel settembre del 2017, il sindaco di Gallarate nomina Petrone assessore all’Urbanistica. A oltre un mese dagli arresti, ancora Petrone non è stato sentito dalla Procura. Chi parla è invece Alberto Bilardo, altro uomo di Caianiello, politico di FI e dirigente apicale di una partecipata. Al momento sono stati tre gli interrogatori fiume nei quali Bilardo (indagato per corruzione) ha spiegato il flusso di denaro della cosiddetta “decima” e il sistema di Jurassic Park. Nessun cenno sulla Lega e sui rapporti con i vertici nazionali. Insomma, il sottosegretario di Stato Giorgetti nonché numero due del Carroccio in questa inchiesta è il convitato di pietra. C’è, ma non si vede, e non è indagato.

Nei verbali successivi agli arresti, in pochi fanno il suo nome. Eppure la Procura oltre a quello di FI sta delineando il sistema Lega. Un sistema dove alla nomina non corrisponde una retrocessione in denaro come per la cerchia di Caianiello, ma assunzioni di persone vicine al partito. Un quadro che non ha rilevanza penale. Il recordman degli incarichi (dalla Fondazione Cariplo a Italgas) è l’avvocato Andrea Mascetti (non indagato). “Lui – dirà Caianiello – è l’uomo di Giorgetti”. E così, nome dopo nome, dall’indagato Paolo Orrigoni all’imprenditore Claudio Milanese (non indagato), si compone il cerchio magico del Richelieu leghista.