Antefatto: una trasmissione di Rai2, Realiti (andata in onda il 5 giugno e condotta da Enrico Lucci) decide di occuparsi del fenomeno dei neomelodici, cantanti che spesso inneggiano alla criminalità e hanno un notevole seguito tra i giovanissimi. In studio, insieme a un consigliere regionale della Campania, Francesco Borrelli, c’è anche uno di questi “artisti”, il 19enne Leonardo Zappalà – siciliano, canta in napoletano, in arte Scarface – che esprime commenti indegni, formulati peraltro piuttosto confusamente, sui giudici Falcone e Borsellino: “Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita sanno quali sono le conseguenze. Come piace il dolce, deve piacere anche l’amaro”. Lucci lo riprende e gli dice: “Cosa? Studia, guarda è meglio che studi così diventerai una persona migliore”. In un reportage, poi, un altro artista detto “Tritolo”, racconta la sua storia: dieci anni di carcere per vari reatucoli tipo rapina, spaccio, furti e compagnia cantante (è il caso di dirlo) è diventato famoso durante i domiciliari. Il primo cd l’ha fatto con i soldi una rapina. La sintesi della sua vita precedente la fa lui così: “Cantante e rubavo”. Il nuovo cammino inizia con una canzone dedicata allo zio poeta (scrive versi che lui poi sviluppa), lontano ma vicino perché “nonostante ha avuto problemi con la legge” per lui è stato come un padre. Lontano perché è in carcere, da 28 anni, al 41-bis, essendo un boss della mafia catanese (circostanza spiegata nel servizio). Il consigliere Borrelli ovviamente condanna in studio l’esaltazione della criminalità e per tutta risposta si becca un video di minacce (con tanto di pistola d’oro) del suddetto “artista” postato su Facebook a trasmissione conclusa. Cinque giorni dopo scoppia una polemica che ha portato anche all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Catania, al momento senza indagati, e a una lettera di scuse da parte dell’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini (immaginiamo dettata dalle critiche di alcuni parenti delle vittime di mafia, comprensibilmente irritati).
Vale la penariportare alcune dichiarazioni del conduttore Lucci che, spiegando di avere difeso subito la memoria dei due giudici assassinati dalla mafia, dice: è compito del servizio pubblico raccontare fenomeni preoccupanti e gravi come quelli di cantanti che inneggiano alla criminalità organizzata con un seguito spaventoso tra i più giovani (nonché incomprensibile vista la qualità diciamo “artistica”) e di cui nessuno si occupa in una generale indifferenza civica. Non essendo disponibile on line l’intera puntata, questo è quanto ci è possibile ricostruire. Però il vero tema di questa ennesima bufera è cosa si può raccontare e cosa no (e non solo sulle reti della bistrattata Rai), al di là delle frasi di circostanza. Non è giusto mettere in guardia su un fenomeno come quello raccontato sopra? E cosa c’è di male nel mostrarne i protagonisti, nella loro miseria culturale, estetica e umana? Salini ha ragione quando dice che la Rai deve essere garante del principio di legalità. Ma il racconto del mondo non può ridursi a sermoni educativi. Senza dire che esiste, ed è tutelata dalla Costituzione, anche la libertà di manifestazione del pensiero, che è chiamata in causa per le opinioni che non ci piacciono assai più che per quelle che incontrano il sentimento comune. Il grande rischio delle rimozioni è che non si possa più dire nulla al di fuori delle formulette del politicamente corretto che sta rincretinendo l’opinione pubblica, purtroppo per colpa di un sistema dei media ormai privo di senso critico e strumenti intellettuali adeguati. A breve, tv e giornali si ridurranno davvero a spiegare che bisogna mangiare tanta verdura.