Governo politico: ministri nuovi e Salvini fuori

Maggioranza Ursula, con la Lega all’opposizione: la condizione dei partiti per portare Mario Draghi al Colle in queste ore assume questa fisionomia. Perché la trattativa non è solo sul Quirinale, ma riguarda soprattutto il governo che verrà. L’elezione del prossimo presidente della Repubblica porterà con sé una crisi di governo e la formazione di un nuovo esecutivo. Anche se il premier dovesse rimanere dov’è, dovrebbe comunque andarsi a dimettere dal nuovo capo dello Stato. Ma intanto la possibilità che Mario Draghi vada al Colle passa dalla trattativa per il nuovo governo. Non a caso fonti M5S insistono sulla necessità di porre seriamente il tema di come proseguire.

E dunque Matteo Renzi, che gioca su più tavoli, alla fine potrebbe intestarsi l’elezione di Draghi in cambio di un governo politico. Per arrivarci starebbe lavorando con Dario Franceschini (che sarebbe il predestinato per Palazzo Chigi), anche in chiave anti-Letta. Il duo Renzi-Franceschini mostra anche un certo attivismo in favore di Giuliano Amato: un modo anche per alzare il prezzo per andare su Draghi. Matteo Salvini, dal canto suo, negli ultimi giorni ha maturato la convinzione che l’elezione del prossimo capo dello Stato sarà il passaggio chiave per tornare all’opposizione. Lo ha confidato ai suoi fedelissimi negli ultimi giorni, anche alla cena natalizia con i deputati leghisti. Ed è da questa voglia di tornare a fare comizi in giro per l’Italia e di non lasciare a Giorgia Meloni lo scettro dell’opposizione nei mesi di campagna elettorale verso le politiche, che Salvini vuole partire per trattare sull’elezione di Draghi al Colle. Il segretario leghista ha aperto un canale con il premier e gli ha fatto capire che da parte della Lega non c’è nessuna preclusione alla sua elezione. Una mossa che Salvini potrebbe fare a metà gennaio, quando spera di aver convinto Berlusconi a ritirarsi dalla corsa.

Ma ha bisogno di una garanzia: che subito dopo l’elezione di Draghi nasca un governo politico che gli fornisca la scusa per dire “io non ci sto più, me ne vado”. Da qui nasce la frase di Salvini secondo cui “se si sposta la pedina Draghi, non si sa cosa succederà dopo”. La exit strategy, studiata a tavolino, prevede urne non prima dell’autunno del 2022. Il voto in primavera non piace a molti parlamentari leghisti e Salvini sa che al momento avvantaggerebbe solo Meloni. Ma se la legislatura proseguisse fino a fine anno o addirittura fino alla scadenza del 2023, Salvini avrebbe il tempo per fare opposizione, togliere potere ai suoi ministri Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani e convocare un congresso in primavera per chiedere un referendum su di sé. L’ostacolo a questo progetto si chiama Giorgetti che, dopo aver sponsorizzato Draghi al Quirinale, rischierebbe di rimanere senza potere nella Lega e senza un ministero. Per questo era uscita la voce che il vicesegretario del Carroccio avrebbe potuto sostituire Draghi a Palazzo Chigi, smentita da tutti. Così adesso il titolare del Mise pare si sia convinto che il premier debba rimanere dov’è e al Colle debba andare, per un mandato a tempo, Amato.

Un governo politico con una maggioranza Ursula sta terrorizzando anche i ministri di Forza Italia: Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta sono stati scelti da Draghi come espressione di Gianni Letta e, in caso di nuovo governo, da Arcore i nomi in pole sarebbero quelli di Antonio Tajani e Anna Maria Bernini. Nel Pd, i timori di Franceschini, Lorenzo Guerini e Andrea Orlando si concentrano sul fatto che Letta non ha fatto mistero del fatto che servirebbe almeno un ministro donna. Almeno uno dei tre, dunque, sarebbe a rischio.

“Sono più popolare di Draghi”: la campagna di B. non si ferma

Sta chiamando i parlamentari di Forza Italia uno a uno. Chiede loro come stanno, come hanno passato il Natale e li incoraggia a non prendere “impegni” per inizio gennaio perché “c’è da combattere una battaglia” che, se vinta, “farebbe tornare Forza Italia al 20%”. Ma soprattutto Silvio Berlusconi, tornato ad Arcore per dare il via alla sua campagna per il Quirinale, nelle telefonate con deputati e senatori azzurri aggiunge una postilla finale che ha colpito chi ci ha parlato: “Dopo la conferenza stampa di Natale, Draghi non è più amato come prima – ripete nel suo giro di telefonate – la gente ha capito che ha fatto un azzardo e che deve rimanere a Palazzo Chigi”. Un’uscita che rivela la strategia del leader di Forza Italia: per continuare a cavalcare il sogno del Quirinale, il primo obiettivo è quello di stroncare sul nascere le aspirazioni del premier. D’altronde, al momento, l’unico ostacolo che Berlusconi vede davanti a sé si chiama proprio Draghi. È il suo avversario più temuto. E quindi, dicono da Arcore, bisogna fargli terra bruciata intorno. Nella telefonata di auguri natalizi tra i due contendenti, non si è parlato espressamente di Quirinale ma il leader azzurro ha elogiato il lavoro del premier. Come dire: devi restare a Palazzo Chigi. Anche perché, al momento, Berlusconi non ha alcuna intenzione di ritirarsi per fare posto a Draghi: lo farà e si intesterà la sua elezione solo nel caso in cui capisse che non ha i numeri. Ipotesi che per adesso è esclusa anche perché, secondo i bene informati dentro Forza Italia, Berlusconi potrebbe addirittura restare in campo fino alla vigilia della prima votazione prevista con ogni probabilità per il 25 gennaio.

Ma per arrivare a quella data con qualche possibilità di essere eletto, Berlusconi ha bisogno di trovare i voti. In privato sostiene di avere “amici ovunque” e di avere “150 preferenze in più del previsto” ma chi, tra i suoi, aggiorna il pallottoliere sa che non è così. E allora il leader di FI, per sbarrare la strada a Draghi, sta provando a giocare anche su quello che ad Arcore chiamano il “fattore P”: la paura. Delle elezioni, ovviamente. “Se sarà eletto Draghi si andrà a votare, con me invece la legislatura finisce nel 2023” dice Berlusconi ai parlamentari azzurri. Una strategia che i suoi emissari stanno utilizzando anche con i peones del gruppo Misto che fanno tanto gola all’ex premier.

Resta il fatto che Berlusconi, per essere eletto al Colle, ha bisogno di corteggiare battitori liberi in tutti i gruppi parlamentari. Anche nel Pd e nel M5S. Per questo non si fermerà alla minaccia di nuove elezioni. Vuole anche lisciare il pelo sui temi a loro più cari. Per esempio, per parlare alla nebulosa dei centristi e anche ai cattolici dentro il Pd, in queste ore Berlusconi sta pubblicizzando molto la sua interrogazione da parlamentare europeo rivolto alla Commissione per chiedere di fare qualcosa contro le persecuzioni di cristiani in India e Myanmar. Una mozione che ieri è stata rilanciata sui social anche da Marcello Dell’Utri, ex braccio destro di Berlusconi e tornato molto attivo nella ricerca di voti per il Colle per conto dell’ex premier. Nei prossimi giorni, poi, il leader di FI chiederà al governo un impegno ancora più serio per “combattere la povertà”. Una mossa, dopo l’elogio del reddito di cittadinanza, per blandire i grandi elettori 5S.

Insomma, Berlusconi per il momento non ha intenzione di fare un passo indietro. Paralizzando così ogni mossa del centrodestra. Giorgia Meloni è silente e aspetta di capire cosa ne pensano gli alleati di Draghi. Matteo Salvini si agita con gli altri leader – nelle ultime ore ha parlato sia con Renzi che con Conte – ma con entrambi ha avuto conversazioni interlocutorie. Finché Berlusconi resta in campo, tutte le altre strade restano sbarrate.

Caso Eni, ora Brescia riapre il fascicolo sui pm di Milano

La Procura di Brescia ha deciso di riaprire le indagini sui magistrati milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Chiesti altri 6 mesi per approfondire alcuni aspetti dell’inchiesta in cui il procuratore aggiunto e il sostituto sono accusati di omissione d’atti d’ufficio, nell’ipotesi che abbiano nascosto prove utili alla difesa nel procedimento per corruzione internazionale Eni-Nigeria (poi finito in primo grado con un’assoluzione). La riapertura dell’inchiesta dopo che agli indagati è già stato notificato l’atto di chiusura delle indagini è un fatto raro e inusuale. Ma questa volta il procuratore di Brescia Francesco Prete e il suo sostituto Donato Greco hanno chiesto altro tempo dopo aver sentito i due pm milanesi che, ricevuto l’avviso di fine indagini il 9 ottobre, si erano fatti interrogare a inizio dicembre.

Ora i magistrati della Procura bresciana scrivono che “in sede di interrogatorio reso dagli indagati è emersa la necessità di compiere ulteriori indagini”. De Pasquale e Spadaro, assistiti dall’avvocato Caterina Malavenda, si erano difesi dall’accusa di non aver depositato “in favore delle difese” le chat rinvenute sul cellulare di Vincenzo Armanna (uno degli imputati del processo Eni-Nigeria), anche sostenendo “l’impossibilità tecnica di ‘frammentare’ la copia forense del telefono” e quindi di depositare “le sole predette conversazioni, senza dover necessariamente disvelare l’intero contenuto del dispositivo”. Ora “appare pertanto necessario effettuare una consulenza”, proseguono i pm di Brescia, “per verificare tale circostanza, ossia la possibilità tecnica di estrapolare dalla copia forense di un dispositivo solo alcuni dati di interesse”.

Nel loro interrogatorio del 1 dicembre, De Pasquale e Spadaro hanno anche sostenuto “una conduzione ‘singolare’ delle indagini” da parte di Paolo Storari, il pm milanese titolare insieme al procuratore aggiunto Laura Pedio dell’inchiesta sul cosiddetto complotto Eni (e anch’egli indagato a Brescia con l’accusa di rivelazione di segreto, per aver fatto uscire i verbali dell’avvocato esterno di Eni Piero Amara): una conduzione “non centrata sulle ipotesi di reato in contestazione” in quel fascicolo, “ma finalizzata a screditare l’attendibilità delle dichiarazioni rese da Armanna nell’ambito del processo Eni-Nigeria”. Storari – secondo De Pasquale e Spadaro – invece di restare nel campo delle contestazioni di reato contenute nel fascicolo sul complotto, si è allargato a verificare l’attendibilità o meno delle accuse che Armanna, ex manager di Eni in Nigeria, rivolgeva alla compagnia petrolifera e ai suoi manager di vertice. “Appare pertanto necessario”, scrivono ora i pm bresciani, “acquisire ed analizzare gli atti” del procedimento sul cosiddetto complotto: “in modo da verificare la predetta circostanza, utile per un giudizio di attendibilità del dichiarante Storari”, che a Brescia ha accusato i colleghi De Pasquale e Spadaro di non aver depositato atti nel processo Eni-Nigeria che a suo dire provavano l’inattendibilità del teste Armanna ed erano dunque utili alla difesa di Eni e dei suoi manager. Il fascicolo sul complotto sarà quindi ora acquisito dai magistrati bresciani che lo analizzeranno per verificare “l’attendibilità del dichiarante Storari”. L’acquisizione non poteva essere fatta prima, spiegano i pm di Brescia, “nel rispetto del segreto investigativo”: ora caduto perché il 10 dicembre è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini. Legittima, anche se inusuale, la richiesta di proroga, spiegano Prete e Greco, “trattandosi di indagini ‘sollecitate’ dalle dichiarazioni rese dagli indagati proprio in sede di interrogatorio da loro richiesto a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini”.

Omicidio Ciatti, libero il ceceno a processo

scarceratoper un “difetto di procedibilità”. Rassoul Bissoultanov, il cittadino ceceno accusato dell’omicidio di Niccolò Ciatti a Lloret de Mar nel 2017, è uscito da giorni dal carcere di Rebibbia e ha già lasciato l’Italia. A comunicarlo è stata la famiglia del giovane scandiccese ucciso. I giudici della Corte d’Assise hanno ritenuto che Bissoultanov non fosse presente sul territorio italiano quando è stata emessa la misura di custodia cautelare. Il processo, la cui prima udienza è fissata per il 18 gennaio, si svolgerà anche in assenza dell’imputato. “Questa notizia ci lascia sconcertati e disorientati, sono vicino alla famiglia Ciatti”, ha affermato il sindaco di Firenze, Dario Nardella.

Pittelli resta in carcere. “Lettera non vagliata”

Restain carcere l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, imputato nel maxi-processo “Rinascita-Scott”. Lo ha deciso il Tribunale di Vibo Valentia, confermando la revoca dei domiciliari dopo la lettera scritta da Pittelli al ministro Mara Carfagna per ottenere aiuto “in qualunque modo”. Per i giudici a Pittelli non può essere applicato l’art. 18 dell’ordinamento penitenziario che consente ai detenuti di scrivere “ai membri del Parlamento”. “Le comunicazioni verso l’esterno – si legge – da parte della persona (…)” in carcere, “sono naturalmente tracciabili”, quelle dai domiciliari, “non precedute da autorizzazione, sfuggono a qualsiasi possibilità, anche astratta, di controllo”.

Saman, al vaglio dei Ris le ossa pescate dal Po: verifiche sul Dna

Il ritrovamento di un frammento osseo nell’area del Lido Po di Boretto, in provincia di Reggio Emilia, fa riaccendere i fari sul caso di Saman Abbas, la diciottenne di origine pachistana scomparsa lo scorso maggio a Novellara, nella Bassa Reggiana. Lo scrive l’edizione locale del Resto del Carlino, secondo cui i Ris di Parma analizzeranno quello che è probabilmente una parte del cranio, per capire se coincide o meno con il Dna della ragazza. Un’ipotesi non così remota per gli investigatori, che negli scorsi mesi hanno concentrato le proprie ricerche nei paesi rivieraschi sul Po, dopo che il fratello minorenne della giovane aveva raccontato al Gip di aver sentito un cugino, durante una riunione di famiglia, dire: “Facciamola in mille pezzi, la buttiamo a Guastalla, dove c’è un fiume”. La ragazza si era infatti opposta a un matrimonio combinato con un cugino in Pakistan, scatenando l’ira dei propri famigliari.

Oltre al frammento osseo, verranno analizzati anche gli abiti di Danish Hasnain, zio della diciottenne arrestato lo scorso 22 settembre in Francia: i suoi vestiti sono stati sequestrati il 6 novembre a Novellara, nel casolare dove tutta la famiglia Abbas lavorava come braccianti e custodi di un’azienda agricola. Secondo i carabinieri, sarebbe stato proprio lo zio l’esecutore materiale dell’omicidio della ragazza, su ordine dei genitori di quest’ultima. Hasnain, in carcere a Parigi in attesa di estradizione, è accusato di omicidio premeditato, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Si tratta dell’unico indagato fermato dalle forze dell’ordine oltre al cugino Ikram Ijaz, arrestato in Francia il 28 maggio e poi trasferito in una prigione italiana: l’altro cugino Nomanhulaq Nomanhulaq, e insieme a lui i genitori Shabbar e Nazia Shaheen, sono infatti latitanti, dopo essere fuggiti in Pakistan con un volo da Malpensa lo scorso maggio.

Trattativa, giudici: “Altri 90 giorni per le motivazioni”

Altri 90 giorni di tempo per scrivere le motivazioni della sentenza di secondo grado del processo Trattativa Stato-mafia. Come riporta Antimafiaduemila, la Corte di assise di Appello di Palermo, ha infatti chiesto altri tre mesi. Sono in fase di stesura le motivazioni della sentenza con la quale il 23 settembre scorso, ha disposto l’assoluzione dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, dell’ex capo del Ros, il generale Mario Mori, del generale Antonio Subranni e dell’ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno con la formula “il fatto non costituisce reato”. Con la stessa sentenza, la Corte di assise di appello aveva ridotto la pena a 27 anni per il boss corleonese Leoluca Bagarella e confermato quella per il medico-boss Antonino Cinà. Con la sentenza di settembre, la Corte ribaltò il giudizio del maggio 2018 con cui in primo grado erano stati condannati a 28 anni di carcere il boss Leoluca Bagarella, a 12 anni Dell’Utri, Mori, Subranni e Cinà. Le motivazioni del primo grado erano contenute in circa cinquemila pagine.

Quirinale, la corsa ai voti mentre a Bari è alla sbarra

Convalescenze, elezioni, cambio di giudici, Covid e strutture inagibili. Il procedimento penale a Bari contro Silvio Berlusconi, accusato di aver pagato l’imprenditore Gianpaolo Tarantini per mentire ai pm baresi che indagavano sulle escort alle feste, a 12 anni di distanza dai fatti contestati, è ancora nella sua fase iniziale. Anche la prossima udienza, quella del 21 gennaio, potrebbe essere rinviata vista la sua concomitanza con l’elezione del presidente della Repubblica. Ma come si è arrivati a questo punto?

2011. La Procura di Napoli inizialmente ipotizzava che Berlusconi fosse vittima di un’estorsione di Valter Lavitola e Tarantini. Il tribunale del Riesame, però, rimodula la vicenda sostenendo che era stato Berlusconi ad aver pagato i silenzi di Tarantini ai pm di Bari. Il fascicolo così passa a Bari.

Luglio 2014. La Procura chiede il rinvio a giudizio sostenendo che tra l’estate 2010 e l’agosto 2011, “Gianpi” avrebbe ricevuto da Berlusconi, tramite Lavitola o uomini del suo entourage, 500 mila euro in totale, le spese legali, l’affitto di un appartamento ai Parioli, e anche un lavoro fittizio. Tutto per mentire ai pm.

Novembre 2014. Parte l’udienza preliminare.

Agosto 2015. Il tribunale chiede alla Camera dei Deputati l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni, che arriverà solo a febbraio 2016.

Giugno 2016. Il palazzo di giustizia di Bari viene dichiarato inagibile. Il procedimento slitta. Non solo. In quegli stessi giorni l’ex premier si sottopone a un intervento al cuore e il 10 ottobre 2016 la difesa ottiene un nuovo rinvio: il leader di FI era ancora convalescente.

3 ottobre 2016. Arriva la richiesta di rinvio a giudizio. Nelle udienze successive la difesa tira fuori un altro impedimento: la decisione del giudice avrebbe potuto influenzare le elezioni politiche di marzo 2018. Nuovo slittamento. Il rinvio a giudizio arriva a novembre 2018.

4 marzo 2019. Prima udienza del processo: la difesa di Berlusconi ottiene ancora un rinvio in vista delle elezioni europee del 2019 che consegnano all’ex premier un seggio a Strasburgo. Nel 2020 nuovi rinvii causa pandemia. Poi cambia anche un giudice del collegio, ma la difesa di B. dà il consenso a proseguire senza rinnovare gli atti.

21 gennaio 2022. Si torna in aula: le aspirazioni di B. al Colle potrebbero rappresentare il nuovo scoglio per il processo.

Quel film “sparito” su B.: “Fu offerto a Silvio”

Un’offerta per il film con il girato dell’intervista ‘sparita’ di Borsellino c’è stata. Solo che, secondo Michel Thoulouze, ex manager di Telepiù e Canal Plus intervistato dal Fatto, a fare l’offerta per il film sarebbe stato l’autore, Jean Pierre Moscardo, a Berlusconi e non viceversa. Le versioni ora sono due. Non abbiamo i mezzi per verificare dove stia la verità ma, vista la delicatezza del tema e la distrazione degli altri quotidiani, ripercorriamo la storia dall’inizio.

Lunedì scorso L’Espsresso titola: “Un milione di dollari per insabbiare lo scoop di Borsellino su Berlusconi, Dell’Utri e la mafia. Un emissario Fininvest offrì soldi per censurare l’intervista a Canal Plus del magistrato, che accusava apertamente il boss Vittorio Mangano e confermava i suoi rapporti con il braccio destro del Cavaliere: filmata poco prima della morte del giudice eroe, fu tenuta segreta per due anni, fino a dopo le elezioni del 1994. A riaprire il caso sono le rivelazioni in punto di morte del giornalista francese Fabrizio Calvi: ‘So chi è stato il traditore’”.

Il tema dello ‘scoop’ del settimanale è l’intervista registrata il 21 maggio 1992 a casa del magistrato da due giornalisti che stavano facendo un documentario ‘duro’ su Berlusconi per Canal Plus: Jean Pierre Moscardo, morto nel 2010 e Jean Claude Zagdoun (in arte Fabrizio Calvi), morto il 23 ottobre scorso di Sla dopo una lunga malattia.

L’intervista, registrata due giorni prima della strage di Capaci, faceva parte di un film più ampio su Berlusconi. Non andò mai in onda su Canal Plus. Nel 1994 L’Espresso pubblicò alcuni fotogrammi e le battute salienti di Borsellino su Mangano. Poi nel 2000 RaiNews ne mise in onda una parte. Infine la versione lunga uscì in edicola con Il Fatto nel 2009. I magistrati in passato si sono interessati all’intervista analizzando (e scartando) l’ipotesi che potesse essere il movente dell’accelerazione della strage di via D’Amelio, avvenuta due mesi dopo. Calvi, secondo l’articolo, svela due cose a L’Espresso: “Una confidenza che Fabrizio ha ricevuto da Moscardo (…) gli ha rivelato che era stato contattato da un emissario, incaricato – scrive L’Espresso – di offrirgli ‘un milione di dollari’ per avere i filmati completi, cioè tutte le 50 ore di girato. Una proposta fatta a nome di uno dei manager più vicini a Berlusconi. Moscardo è morto nel 2010, la sua confidenza risale a ‘qualche anno prima’. Calvi ne ha parlato per la prima volta a L’Espresso poco prima di morire. Il regista gli fece il nome dell’emissario e gli assicurò – prosegue l’articolo – di aver rifiutato quei soldi, ma ne parlava con imbarazzo. Fabrizio era convinto che non gli avesse raccontato tutto. Il secondo indizio – prosegue il settimanale – è un’altra confidenza di Calvi (…): ‘So chi è stato il traditore’. Nelle sue ultime telefonate via Internet, Fabrizio ci ha fatto il suo nome: un manager francese che ha lavorato per Canal Plus, ma è stato anche consulente delle tv di Berlusconi. È lui l’emissario che offrì i soldi a Moscardo”.

Chi sarà? A noi Calvi, quando lo intervistammo nel 2018, non disse nulla della presunta offerta né dell’emissario.

Per capirne di più abbiamo contattato l’ex manager di Canal Plus Michel Thoulouze, 76 anni. Vive a Venezia dove ha comprato una tenuta sull’isola di Sant’Erasmo e produce un ottimo vino dopo essere stato amministratore delegato della pay-tv Telepiù quando fu comprata da Canal Plus, nel 1997, e consigliere di Mediaset dal 1997 al 2000.

Thoulouze è un personaggio da film. A il Giornale nel 2010 narrò le sue storie d’amore con la reporter francese Martine Laroche-Joubert, con Kelly McGillis, protagonista del film Top Gun, e con la moglie attuale, Patricia Ricard, azionista del gruppo Pernod-Ricard: 6 miliardi di fatturato con champagne e whisky celebri. Il padre di Thoulouze era addetto diplomatico a Roma ma “in realtà̀ faceva la spia”, spiegò a il Giornale Thoulouze. Nell’intervista narrò anche l’amicizia con Berlusconi e le grandi cene dopo le partite del Milan al ristorante L’Assassino.

Thoulouze sembra la persona giusta per un’opinione sulla presunta offerta. Qui riferiamo quanto ci ha detto su Moscardo, Calvi e Berlusconi precisando che ovviamente sono suoi giudizi personali.

Thoulouze lei cosa pensa di questa storia?

È tutto falso. È tutto falso. E io lo so che è tutto falso. Io conoscevo bene Moscardo perché ho fatto per anni tanti documentari investigativi con lui e l’ho protetto per anni perché spesso la sera era ubriaco.

Come sono andate le cose allora secondo lei?

Io ero a Telepiù, sarà stato il 1998, e Moscardo è venuto nel mio ufficio a Milano a dirmi: “Tu pensi che si può vendere a …?”. Io gli ho detto che non è giornalismo fare questo. Gli ho fatto una lezione sul fatto che non si fa. Ma io so che hanno fatto un passaggio e qualcuno, del quale io conosco il nome, ha fatto la domanda a Berlusconi, e lui ha detto: “Non compro”. Anche Calvi voleva vendere. Vuole sapere la verità? Io volevo dare a Berlusconi questa intervista ma senza denaro. Io ho detto a Moscardo: “Non fate il ricatto. O la date o la tenete ma non fate il ricatto del denaro”. Invece loro ci hanno provato comunque e Berlusconi ha detto no. Sono io che ho detto a Moscardo che Berlusconi aveva detto no.

Chi è il collaboratore di Berlusconi che le ha riferito la storia del suo ‘no’?

Lo so ma non ve lo dico.

Secondo lei quindi sarebbe avvenuto il contrario di quel che racconta Calvi a L’Espresso?

Esattamente il contrario. Moscardo aveva tanto bisogno di denaro. Non avrebbe mai rifiutato un’offerta così.

Lei ha mai parlato con Berlusconi di questa storia?

No, direttamente mai.

La persona che le ha riferito il no di Berlusconi è seria?

Non potrebbe essere più seria. È uno che ha il contatto diretto con Berlusconi e ha una reputazione impeccabile anche fuori dal gruppo in Italia. Non è uno che andava ai bunga bunga insomma. Ed è vivo.

Lei quando ha conosciuto Berlusconi?

Quando sono diventato amministratore delegato di Telepiù (nel 1997, ndr) e come tutti i gestori di una tv sono andato a baciare l’anello del potere.

Non nel 1992?

No, assolutamente.

L’Espresso scrive che l’emissario della presunta offerta sarebbe un ex manager di Canal Plus che ha fatto il consulente per Mediaset ed era contrario a produrre il documentario. Lei è stato consulente Mediaset? Chi sarà?

Non sono stato consulente. Avranno messo in questo personaggio che non esiste un po’ di me e di qualcun altro ma puoi cercare quanto vuoi, non lo troverai mai perché non esiste.

Lei che ruolo ha avuto nel 1992 nella produzione del documentario mai andato in onda?

Nessuno. Il documentario fu chiesto a Moscardo. Di solito lavorava con me ma quella volta non so perché fece da solo a mia insaputa. Moscardo era caotico. Al montaggio io rimettevo tutto in ordine. Non so perché per la prima volta non ha fatto con me. E dunque il documentario era una m… Per questo non è passato in tv.

Calvi nel 2018 mi disse che alla fine del lavoro nel ’92 avevano chiamato Berlusconi, per contestargli quel che avevano trovato, nella sua casa di St Moritz. La cameriera disse che era fuori. Prima di richiamarlo, fecero vedere il documentario al patron di Canal Plus, André Rousselet. Non gli piacque perché era troppo personale, bloccò la messa in onda e non richiamarono più Berlusconi. Moscardo le ha detto qualcosa su questa telefonata?

Nulla. Io però so che devi sempre dimostrare, per le eventuali cause, di avere fatto un’offerta al soggetto che tu attacchi per permettergli di difendersi nel documentario. Lo facevamo sempre ma con una comunicazione scritta, non al telefono.

Sicuro che già nel 1992 non ci sia stato un contatto tra Canal Plus e Berlusconi? Perché non avete trasmesso nulla su Canal Plus?

La verità è che non l’hanno trasmessa perché quel documentario era una m…. Moscardo era caotico anche se sapeva far parlare gli intervistati.

Come faceva?

Aveva una dote naturale e poi gli avevamo dato uno strumento che fregava tutti: la camera filmava dal lato dove si mette l’occhio. Tu la mettevi sul tavolo girata e la persona parlava. Capito come?

Cioè il giornalista diceva: “Giudice stia tranquillo ora giriamo la camera”. Lui si rilassava pensando di non essere ripreso e la camera andava di nascosto?

Esatto. Questo strumento lo avevamo messo a punto con un tecnico bravissimo e lo avevamo dato a Moscardo. Prima usavamo la borsa truccata con la camera dentro ma non funzionava più. Si insospettivano.

La scena di Borsellino che dà le carte a Calvi, mentre è registrato, è dovuta al giochino della telecamera con l’obiettivo girato?

Non so. Può essere. So che Moscardo aveva quella telecamera. Io non ho partecipato a quel documentario.

Lei quando lo ha visto la prima volta?

Dopo. Quando Moscardo mi ha detto “Non lo mandano in onda” gli ho detto “mostramelo”. Allora l’ho visto nella sala montaggio ed era una m….

Nel 2018 a casa sua Calvi lo mostrò anche a me. Era da sistemare ma c’erano molte cose buone. Non solo l’intervista a Borsellino, anche quelle al finanziere Rapisarda (morto nel 2011), al collaboratore di Carboni, Emilio Pellicani (morto nel 2005), a un’amica di Berlusconi. Tutte inedite e interessanti. Tanta roba…

Non c’era struttura. Il pubblico deve essere preso per mano dall’inizio alla fine, se no si perde. Per questo non passò in tv.

Mi pare strano. Perché dopo la morte di Borsellino non l’avete usata?

Moscardo sarà stato impegnato in altre cose e poi Borsellino in Francia non era così importante come in Italia.

Lombardia al collasso fra tamponi e ospedali

“Nonostante il boom di contagi in Lombardia, la situazione è ben diversa da un anno fa”, parole di Guido Bertolaso ieri al Corriere. Per il consulente della Regione Lombardia negli ospedali “i reparti non sono chiusi, si fanno gli ambulatori, gli interventi. Un anno fa tutto era molto diverso. Per questo nonostante il record cambia poco, per fortuna”. Non importa che ieri i positivi siano stati 32.696, i morti 28, i ricoverati in terapia intensiva 191 e 1.831 quelli in non intensiva. “Va tutto bene”. Tuttavia, mentre lui pontificava, la dg Welfare del Pirellone diramava a tutti gli ospedali la nota con la quale la Regione ordina a tutti di aumentare i posti di terapia intensiva, portandoli dagli attuali 185 a 263. “Ad oggi risultano attivi n. 185 posti letto dedicati a pazienti Covid-19 con un aumento delle richieste negli ultimi giorni. Appare pertanto necessario procedere con l’ampliamento dei posti letto dei Centri già attivi e attivare nuovi Centri”, si legge. Con la stessa nota si avverte che “quando sarà prossima la saturazione dei posti letto sopra indicati, saranno gradualmente attivati n. 3 moduli da 15 posti letto ciascuno nella struttura temporanea allestita presso Fiera Milano City”. Infine ordina a 13 ospedali di dare i sanitari all’Astronave: 34 medici e 116 infermieri. Tutti sanitari sottratti alle loro strutture. A testimoniare che non va tutto bene, anche la delibera firmata ieri in gran fretta che aumenta di ulteriori 800 i posti letto per sub-acuti e degenza base. L’assessore Letizia Moratti ha poi stanziato 12 milioni per “la prosecuzione dell’attività dei Covid hotel”, che fino a oggi non erano stati attivati. Nulla, invece, sulle Usca, le grandi sconosciute di questa quarta ondata.

Va ancora peggio sul fronte tamponi: all’Ospedale San Carlo il software è andato in tilt martedì mattina e fino a ieri pomeriggio ha dato problemi. Risultato: inutili attese anche di 12 ore per centinaia di pazienti, martedì e mercoledì tamponi solo ai prenotati. Al San Paolo nel pomeriggio di ieri erano finiti i tamponi. File e problemi anche al Ptp di Lodi, dove per gestire l’assalto dei pazienti è dovuto scendere in campo l’esercito.

Anche i medici di famiglia sono in guerra. Per Paola Pedrini, segretario regionale Fimmg: “C’è un sovraccarico di lavoro perché, oltre a dover visitare i pazienti Covid e non Covid, ci sono tutte le chiamate di quegli assistiti che non sanno cosa fare, hanno il tampone positivo, hanno il Covid, ma non riescono a prenotare il molecolare, non ricevono il certificato di isolamento e non riescono a contattare telefonicamente nessuno in Ats, dove sicuramente sono a loro volta oberati di lavoro e con poco personale. Per certe criticità di tipo organizzativo ci sembra di essere ancora a dicembre 2020”.

Disagi anche nei trasporti, con Trenord che sopprimerà “100 corse nei prossimi giorni”, per le assenze di capitreno e macchinisti. Ma stiano tranquilli, i lombardi, perché “la situazione è ben diversa da un anno fa”, lo dice Bertolaso.