Da ieri in libreria “Musica sull’abisso”, il nuovo romanzo di Marilù Oliva. Abbiamo chiesto all’autrice – che è anche insegnante di lettere – di raccontarci cosa accade nelle scuole a proposito della “Maladolescenza” e del revenge porn.
“Prof, stavolta mi uccido. Non so perché le scrivo queste cose. Lei non mi ha mai ispirato fiducia. Tra una settimana correggerà i compiti, come fa di solito: ma sarà troppo tardi. Le scrivo quello che ho intenzione di fare così la gente saprà perché Tamara G. si è tagliata la gola. Racconta il tuo sabato sera, ci ha chiesto poco fa nella verifica di italiano, come se fossimo dei bambocci delle medie. Davvero vuole sapere il sabato sera di una quindicenne? Il mio ultimo è stato quello che ha segnato la mia condanna a morte, quattro giorni fa. Era il compleanno di Igor, il mio amico del cuore, e ha fatto una megafesta nella sua villa. Ho bevuto fino allo sballo, poi non ricordo più niente. Quello che è successo dopo me lo ha mostrato un video diffuso sui social: c’ero io che giravo nuda per la casa. Igor e tre suoi amici ne hanno approfittato. Mi hanno usata come una bambola gonfiabile. Hanno fatto sesso turnandosi, uno mi scopava, gli altri ridevano o filmavano. Poi hanno caricato il video sui social e i commenti dicevano che me lo sono meritato, che sono una puttana, perché se bevo come una spugna poi cos’altro posso aspettarmi? È da quattro giorni che non ho pace e ho provato solo un po’ di sollievo da stamattina, quando mi ha sfiorato prepotente il pensiero della morte. Sarà velocissimo. Ho cercato in casa il coltello più affilato. Non ce la faccio più a stare in questa vita, prof. Forse hanno ragione loro e quello che non sopporto non è lo squallore degli altri, ma il marciume che sento dentro di me”.
La professoressa Masi avrebbe letto quel testo dopo una settimana, come suo solito, se il caso non avesse voluto che in aula insegnanti le cadesse il plico delle verifiche. Mentre cercava di riordinarle, le cascò l’occhio sul tema di Tamara e bastò la prima frase per farglielo leggere d’un fiato, col cuore in gola. Cosa fare, avvisare subito il dirigente, contattare la famiglia? È difficile far capire all’esterno che in questo lavoro, a volte, non c’è tempo per le formalità. Si precipitò in classe in pochi secondi. Era l’ora successiva alla sua, quella di chimica. Aprì la porta come una pazza e chiese dell’allieva. Il collega, stupito, la informò che Tamara aveva chiesto il permesso di uscire. La prof corse lungo l’interminabile corridoio che la separava dal bagno delle ragazze, mai come in quel momento la scuola le sembrò immensa. Arrivò mentre uscivano due compagne di prima e la Masi chiamò la sua studentessa, ma invano. Avanzò a passi lenti, controllando dentro i vani aperti.
Tutto deserto.
Fino all’ultima apertura.
Tamara era lì, contro il muro.
Aveva già il coltello in mano e guardava la docente, gli occhi sciolti tra disperazione e paura.
“Che cazzo ci fa qui, prof. Vada via” e minacciò puntandoselo alla gola.
“Dammi quel coltello, Tamara. Stai facendo una sciocchezza”.
“Non è mia madre, lei”.
“Siamo tutti un po’ madri, quando ci mettiamo nei panni degli altri. Metti giù il coltello”.
“Non c’è lei al mio posto. A sentire gli insulti”.
“Tu non hai fatto niente di male. Non sei sporca. Sono loro che…”.
“Queste sono le sue frasi retoriche, prof. Ma non funzionano con me. Che ne sa di come ci si sente?”.
“Lo so bene, invece. Hai mai sentito parlare di Lucy Zocca?”.
“Tamara allentò la presa impercettibilmente”.
“Quella ragazza di Imola che si è buttata dal quarto piano, sette anni fa?”.
Gli occhi della prof si fecero lucidi: “Esatto, per una situazione simile alla tua. Filmata a tradimento e il video diffuso. Era la figlia di una mia amica. Ora sua madre è un simulacro senza più lacrime. Sai cosa le direbbe sua madre, se potesse? Che se ne deve fregare del giudizio degli altri. Che quel video non vale niente, le ferite si rimarginano. Tutte. La abbraccerebbe stretta stretta e le direbbe che c’è un rimedio a tutto. Ma non può farlo…”.
Le lacrime scendevano silenziose sul volto di entrambe, mentre Tamara, senza volerlo, faceva scivolare la mano che impugnava l’arma. Se ne accorse la prof. Masi e fu un attimo. Si buttò su di lei e, con una potenza che non credeva di possedere, le strappò il coltello di mano e lo gettò lontano. Poi abbracciò fortissimo la ragazza, mentre le loro lacrime si mischiarono.
Era solo l’inizio, la donna lo sapeva.
Sarebbe cominciato un percorso lungo e difficile, che avrebbe coinvolto tutti. La famiglia, la scuola, i bulli. Ma Tamara non avrebbe più desiderato il baratro. Perché non sarebbe stata mai più sola.