Csm, gli autosospesi tornano. Ermini li tiene sulla porta

Avevano fatto sapere che sarebbero tornati a essere consiglieri del Csm a tutti gli effetti, non più autosospesi, ma i quattro togati coinvolti nello scandalo politico giudiziario Palamara-Lotti-Ferri restano per ora nel limbo. Ieri, come oggi.

Il comitato di presidenza, formato dal vicepresidente David Ermini, dal presidente della Cassazione Giovanni Mammone e dal procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, questa mattina si riunirà per esaminare la richiesta dei quattro consiglieri di poter leggere le carte che li riguardano sull’ormai famoso incontro, a maggio, in vista della nomina del procuratore di Roma. I togati coinvolti sono Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli, di Magistratura Indipendente (la corrente conservatrice) e Gianluigi Morlini, presidente, fino a pochi giorni fa, della Quinta commissione, proprio quella che tratta le nomine. Pur di non dimettersi da consigliere, come gli ha chiesto la sua corrente, ieri si è dimesso da Unicost.

I quattro togati e l’ex consigliere Luigi Spina, di Unicost, dimessosi perché indagato a Perugia per favoreggiamento di Luca Palamara, ex Csm e pm romano indagato per corruzione a Perugia, erano a un incontro in un albergo romano dove era presente Cosimo Ferri, deputato renziano del Pd, ex sottosegretario alla Giustizia ed ex segretario di MI, di cui anche da magistrato in aspettativa è sempre stato il faro. Seduti in poltrona pure Palamara e Luca Lotti, che da imputato a Roma per l’inchiesta Consip voleva scegliersi il procuratore dell’ufficio che l’ha messo sotto inchiesta.

Ed è per queste presenze terribilmente inopportune, quella di Lotti in testa, che dal Quirinale alle correnti dei magistrati, eccetto MI, alla base delle toghe, sono state chieste le dimissioni dei consiglieri. Al momento, però, non ci pensano, sostengono o di non ricordare cosa abbiano detto o che non hanno detto quasi nulla.

Sono interessati a leggere cosa ha trascritto la polizia giudiziaria che ascoltava grazie al trojan inoculato nel cellulare di Palamara. I consiglieri interessati dicono che solo dopo la lettura decideranno cosa fare: se restare autosospesi o se rientrare al lavoro. Fino a ieri sera ribadivano che “non essendo stati eterodiretti da nessuno”, l’incontro di per sé non è da dimissioni . Nell’informativa di polizia, secondo quanto ci risulta, Morlini e Criscuoli non erano stati identificati come gli altri tre. Pierluigi Morlini era indicato come “Gigi” e Criscuoli, siciliano, come una persona “con accento meridionale”. Entrambi, quando i colleghi Cartoni e Lepre si sono autosospesi alla fine di un plenum informale alla buvette del Csm, lunedì scorso, convocato da Ermini, si guardarono bene dal dire che erano loro gli altri consiglieri presenti. Solo il giorno seguente, dopo una convocazione del vicepresidente, hanno ammesso e si sono autosospesi come gli altri.

Oggi, il Comitato di presidenza dovrebbe accogliere la loro richiesta di accesso agli atti e già in giornata i consiglieri potrebbero vedere su un computer messo a disposizione dal Comitato gli stralci delle carte di Perugia che li riguardano. Non possono fare fotocopie.

Dopo la lettura di quelle carte decideranno se cambiare la loro posizione. Se restare autosospesi, se rientrare o se dimettersi, in caso di trascrizioni che mettono nero su bianco conversazioni decisamente compromettenti, eticamente parlando.

Al momento non sono né indagati né sotto procedimento disciplinare, anche se nei prossimi giorni si spettano novità sia dalla Procura generale della Cassazione sia dal ministero della Giustizia. Se ci dovessero essere delle misure disciplinari, allora il plenum del Csm ha il potere di deliberare la sospensione. Sarebbe quella formale, perché l’autosospensione è su base volontaria. La sensazione che si ha è che finora MI, da sola contro tutti, ha fatto quadrato attorno ai suoi consiglieri, per due motivi principali. Il primo riguarda la convinzione che dalle carte di Perugia emergeranno trattative indecenti politici-magistrati anche di altre correnti, il secondo motivo è che, come pensa Cosimo Ferri, se resistono alle dimissioni magari si dimettono per protesta gli altri consiglieri non coinvolti e così si scioglie il Consiglio.

In effetti, nella mailing list dell’Anm ci sono messaggi di magistrati indignati con i togati che non si sono dimessi: scrivono che se resteranno al loro posto, gli altri consiglieri dovrebbero dimettersi perché non possono stare in Consiglio con questi magistrati che hanno macchiato l’istituzione e “minato il prestigio”.

Strada dei Parchi: “Senza interventi pedaggi su del 19%”

Dopo che, sia pure tra le polemiche, è stata scongiurata in extremis la chiusura del traforo del Gran Sasso annunciato da Strada Parchi, concessionaria A24 e A25, scoppia la grana pedaggi. Con una nota, a 20 giorni dalla scadenza del congelamento delle tariffe, il concessionario ha annunciato che senza interventi del governo dal primo luglio prossimo scatterà l’aumento del 19%. L’aumento dei pedaggi del 12,8% scattato ad inizio 2018, complice la serrata mobilitazione dei sindaci laziali ed abruzzesi, erano stati congelato dal concessionario dal primo ottobre fino alla fine dell’anno. L’annuncio di Strada Parchi è destinato a innescare nuove polemiche tra la società del gruppo industriale Toto e il ministero dei Trasporti già da mesi in contrasto. A stretto giro di posta la risposta del ministero: “È grazie all’impegno determinante del Mit se sono stati evitati i rincari sulle autostrade. Con tutti i concessionari e, di conseguenza, anche con Strada dei Parchi il canale di dialogo è sempre aperto, come avvenuto peraltro sul dossier Gran Sasso. Lo scopo è evitare nuove stangate dal primo luglio e trovare una intesa che sia effettivamente sostenibile per la gestione della A24-A25”.

Renault pressa Nissan per l’ok all’intesa con Fca

Come volevasi dimostrare: per capire il naufragio della fusione Fca-Renault bisognava guardare a Tokyo prima che a Parigi. E ai difficili rapporti tra la casa francese e la Nissan, cominciati a dicembre scorso con l’arresto di Carlos Ghons, presidente di Renault e ad della partnership nata 20 anni fa tra il gruppo francese e la casa nipponica (i transalpini hanno il 43,4% di Nissan, che ha il 15% di Renault).

Uno scenario difficile, nel quale John Elkann aveva pensato di insinuarsi, con una proposta di fusione con il gruppo di Bercy e la speranza di forzare la mano a Tokyo, sognando il primo gruppo mondale dell’auto. Così non è stato e, forse anche per questo, è cominciato un regolamento di conti tra i vecchi alleati. Come ha scritto il Fiancial Times, infatti, i francesi hanno appena inviato a Hiroto Saikawa, ad di Nissan, una lettera del loro presidente, Jean-Dominique Senard (l’uomo delle trattative con Fca), comunicando di voler bloccare il piano dell’azienda giapponese per rivedere la propria governance all’assemblea del 25 giugno.

La missiva annuncia uno stop all’istituzione di tre nuovi comitati di gestione (nomine, remunerazione e revisione contabile). I tre rappresentanti di Renault nel cda di Nissan si asterranno, facendo mancare la maggioranza dei due terzi: secondo la Reuters, la preoccupazione di Senard è che Parigi non avrebbe la garanzia di essere rappresentata nei comitati. Tokyo ha reagito definendo la mossa “oltraggiosa e irresponsabile”. In una nota Saiwaka ha definito spiacevola la scelta dei francesi su “un progetto che era stato ampiamente approvato anche dai membri della Renault”.

Quanto ha pesato su questo la trattativa Fca-Renault? Molto, e forse ancora di più dopo il suo fallimento. Nissan ha subito il dialogo tra Elkann e Senard: informata all’ultimo e con la sensazione di trovarsi davanti a una scelta già definita, che aveva lo scopo di spingere Tokyo ad adeguarsi. Convincendo poi Saiwaka e i suoi che Renault si preparava a replicare, più forte grazie alla fusione con Fca, la scalata alla casa giapponese bloccata dopo il caso Ghosn.

Una debolezza iniziale della trattativa Elkann-Senard, visto che sono i giapponesi a possedere l’innovazione strategica in fatto di piattaforme produttive e ricerca sulla nuova mobilità (auto elettrica, guida autonoma, contatti con Cina e Corea per le batterie elettriche etc.), e trasformatasi poi in un boomerang dopo la richiesta di un rinvio della fusione con Fca avanzata dallo Stato francese (che ha il 15% di Renault) per ottenere più garanzie sulla centralità di Parigi, assicurazioni sui posti di lavoro in Francia e infine (l’intoppo più gravei) “più tempo per coinvolgere Nissan”.

Sabato, il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire aveva dichiarato che lo Stato è disposto a scendere, a “lungo termine”, dal suo 15% per rafforzare l’asse con Nissan. E ieri, in visita a Tokyo per il G20, ha aggiunto che potrà scendere anche la quota di renault in Nissan. “La fusione con Fca – ha aggiunto – resta una bella opportunità, ma deve essere preservata l’alleanza con Nissan e Mitsubishi”. Parole che hanno rimesso in moto le voci su una possibile riapertura della trattativa con Fca (da dove non filtra, però, ottimismo), cercando di interpretare, come fa il Financial Times, la decisione di Senard come un tentativo di alzare la pressione sui giapponesi.

La realtà però è che la casa di Tokyo è il perno strategico e di sviluppo dell’accordo franco-nipponico e che, senza Nissan, Renault sarebbe un’anatra zoppa nel mercato dell’auto, anche se fusa con Fca.

Ok al Salva-Roma e arriva la norma anti De Laurentiis

Sull’onda della tregua tra i due vicepremier si salva anche Roma Capitale. Il provvedimento invocato dal Campidoglio per evitare il default della gestione commissariale del debito storico (ante 2008), torna nel decreto Crescita, quasi nella versione originale, grazie al nuovo pacchetto di 16 emendamenti presentati dai relatori. A sbloccare la norma che potrebbe far risparmiare 2,5 miliardi alla Capitale – stima il Campidoglio – e a tutta Italia, è il compromesso chiuso dai 5Stelle con la Lega: far arrivare un po’ di soldi anche agli altri grandi Comuni in dissesto o appesantiti dai debiti. Come Catania, a guida centrodestra, per citarne uno. La norma originaria è nota: il Tesoro si farà carico del debito storico finanziario della Capitale, pari a 3,5 miliardi compresi gli interessi, riducendo le risorse che oggi versa alla gestione commissariale e rinegoziando i prestiti. Salvini però voleva un intervento per tutti i Comuni. E la novità è che verrà istituito un fondo dove far confluire gli eventuali minori esborsi derivanti dalle operazioni di rinegoziazione dei mutui di Roma (non quelli passati al Tesoro), che serviranno anche per i debiti dei Comuni capoluogo delle città metropolitane. Per quelli in dissesto vengono stanziati 20 milioni per il 2019 e 35 l’anno dal 2020 al 2033. Parte dei fondi arriveranno dai tagli a Industria 4.0. Per il Comune di Alessandria, assai caro a Matteo Salvini (e al capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari), c’è perfino una norma ad hoc che stanzia 20 milioni nel biennio 2020/2021. La Lega incassa il contentino e la sindaca Virginia Raggi potrà annunciare la riduzione delle addizionali Irpef nel 2022 (nel 2021 si vota).

In breve questi gli altri emendamenti presentati.

Mercatone Uno. Anche i fornitori della società fallita il 25 maggio potranno accedere al fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti. Previsto un finanziamento di 500 mila euro del Mise a tasso zero.

Tassazione calciatori. Arriva anche una norma che sembra pensata contro il Napoli di Aurelio Del Laurentiis. Viene eliminato il super sconto sulle tasse per chi trasferisce la residenza nel Sud Italia (che limita al 10% la tassazione del reddito). Tra questi c’erano anche i calciatori, e questo ha permesso al Napoli di duellare con i grandi club in questi giorni per accaparrarsi grandi campioni. Ora lo sconto viene tagliato al 50%, lo stesso previsto per i trasferimenti di residenza nelle altre Regioni: fine del vantaggio per i club di calcio del Sud. A rischio la nomina da parte di Roma Capitale di un commissario straordinario che, gratuitamente, gestitrà le 4 partite degli Europei 2020.

Truffati dalle banche. Si allentano i vincoli relativi al patrimonio mobiliare per i beneficiari del fondo di indennizzo per i risparmiatori “traditi” dalle banche fallite. Sono esclusi dal calcolo per i limiti di reddito (35mila euro) eventuali rendite erogate da fondi di previdenza complementare e le polizze vita dal patrimonio mobiliare (tetto 100mila euro).

Mecenati. A chi farà erogazioni liberali alle scuole per almeno 10mila euro andrà uno sconto sui contributi, che può arrivare all’esonero totale in caso di assunzioni di studenti delle stesse scuole.

Affitti brevi. Arriva la stretta anti-evasione sull’imposta di soggiorno e sugli affitti brevi. Chi fa il furbo e non versa il dovuto rischia una multa da 500 a 5 mila euro.

Automobilisti. I conducenti virtuosi e i loro familiari potranno assicurare più veicoli, anche di diversa tipologia, con la classe di merito più favorevole se non si è responsabili di incidenti negli ultimi 5 anni. Arrivata anche la deroga alle imprese di San Marino, Svizzera e Vaticano: potranno circolare con la targa straniera in Italia senza incorrere nelle sanzioni scattate a inizio anno.

Scontrini. Anche i piccoli esercizi, che finora avevano beneficiato di una deroga, dovranno trasmettere ogni giorno gli scontrini in via telematica al Fisco. Concessi 12 giorni di tempo per farlo a chi è sprovvisto di una copertura Internet.

Solinas è presidente ma ancora non lascia il seggio da senatore

Sono passati 100 giorni dalla nomina a governatore della Sardegna e il leghista Christian Solinas ancora non ha rinunciato al suo seggio da senatore. Doppio incarico, per due ruoli che la Costituzione giudica incompatibili, come rimarca il rapporto della Fondazione Openpolis. Secondo la legge, se un senatore non lascia di sua spontanea volontà Palazzo Madama, dovrà intervenire la Giunta delle elezioni e delle incompatibilità del Senato, che gli intimerà di procedere entro 30 giorni; passato il termine il senatore perde automaticamente lo status di parlamentare.

Secondo quanto riporta l’agenzia Ansa, però, pare che Solinas avesse già intenzione di dimettersi, ma che invece la Lega voglia temporeggiare. La causa sarebbero i 14 ricorsi presentati al Tar della Sardegna e inerenti alle Regionali, la cui prima udienza è fissata per il 12 giugno.

Se il tribunale sardo accogliesse i ricorsi, i risultati delle urne potrebbero essere invalidati, e, c’è la possibilità che sull’isola si torni a votare. E in tal caso, per il Carroccio, la posta in gioco sarebbero gli attuali 8 seggi che detiene nell’Assemblea sarda.

La graticola si allarga, test anche per i ministri

Eccola, la graticola: un po’ processo e molto pantomima. Ora per i sottosegretari ma presto anche per i ministri, tutti a Cinque Stelle. Un’istruttoria fatta di spiegazioni, domande e schede (anonime) di valutazione, che è partita ieri sera nella pancia della Camera con i due sottosegretari alla Presidenza del Consiglio Rapporti con il Parlamento, Simone Valente e Vincenzo Santangelo, a rapporto dai capigruppo del Movimento nelle commissioni.

Di fatto un test che oggi dovrebbe proseguire con una sessione per tutti gli altri, sottosegretari e viceministri. Ammassati, per fare più in fretta possibile. Ma all’esame molto artigianale dovranno sottoporsi anche i ministri, ed è la novità delle ultime ore. “Neanche fossimo tutti nel Grande Fratello” come rumoreggiava ieri sera un big. Quasi nauseato dall’iniziativa pensata, raccontano, dal capo politico Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. Lanciata con l’obiettivo di mettere sotto pressione tutti i membri di governo e tenere buoni i tanti parlamentari che lamentano da tempo lo scollamento con l’esecutivo. In particolare con i sottosegretari, accusati innanzitutto di rispondere poco o talvolta mai al telefono. Così alla Camera già la scorsa settimana circolavano frasi che parevano dardi tra i soldati semplice del M5S: “Certi che stanno al governo farebbero bene a riabituarsi a tornare qui, così quando torneranno parlamentari semplice non sarà uno choc…”. Eppure non potevano bastare, per la sete di gogna. Non dopo le Europee del 17 per cento. E infatti già da un paio di giorni erano salite proteste diffuse: “Perché nulla per i ministri?”. Così di fronte agli eletti finiranno anche loro. E non è un dettaglio, visto che ballano almeno due maggiorenti: la titolare della Salute Giulia Grillo, sacrificabile alla Lega, e il responsabile dei Trasporti Danilo Toninelli, che potrebbe essere sostituito da un altro 5Stelle, con il primo nome che resta quello del capogruppo in Senato Stefano Patuanelli. Però prima tocca a loro, ai sottosegretari. Con quella graticola che però, per paradosso, non entusiasma neppure i più critici. Perché, spiega un deputato, “doveva essere Luigi a rimuovere i più inadeguati, così vuole solo crearsi un alibi”. E invece no, partirà tutto con l’esame dei parlamentari. Nel dettaglio, ogni sottosegretario e viceministro si ritrova di fronte gli eletti delle commissioni di riferimento, ossia quelle che si occupano dei suoi stessi temi.

Ha 20 minuti per spiegare quanto fatto nel primo anno di governo, poi nei successivi 20 deve rispondere a domande. Di seguito, gli “esaminatori” compilano delle schede di valutazione (anonime) basate su vari criteri: dalla presenza in Parlamento alla risposte fornite agli eletti, fino agli “obiettivi raggiunti”. E tutte finiranno sul tavolo dei Direttivi di Camera e Senato, che dovranno poi emanare le eventuali sentenze con Di Maio. “Ma lui sa già chi dover mandare via” è la convinzione diffusa. E nei boatos circolano i nomi più a rischio: dal sottosegretario ai Trasporti Michele Dell’Orco a quello alla Giustizia, Vittorio Ferraresi. E in bilico, raccontano, ci sono anche un paio di sottosegretari “tecnici”. Mentre quello all’Economia Alessio Villarosa ha più volte manifestato “malessere”. Però chissà dove prevalgono le verità e dove invece i cattivi pensieri. La certezza che ieri sera a rompere il ghiaccio è Santangelo: 47 anni, architetto di Trapani, alla seconda legislatura con il Movimento. Nella sala Tatarella della Camera ha di fronte solo capigruppo (lui e Valente non hanno una materia di riferimento).

Cita provvedimenti di cui si è occupato, fa esempi. Riceve poche, svogliate domande. Poi tocca a Valente, 32enne di Savona, anche lui al secondo mandato. Prima di entrare, giura: “Chi è convinto del proprio lavoro va avanti tranquillo”. Dentro legge una memoria, e rivendica: “Sono riuscito a portare a casa una riforma del sistema sportivo, pur non avendo la delega su quel tema”. Cose da graticola.

 

I due vice e il premier “rivale”. La scure Ue sul vertice a Chigi

Al tavolo in tre, divisi in due squadre. Da una parte i due vicepremier che fino a ieri si sbranavano, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ora uniti dal rivendicare la linea dura con l’Europa e quindi il primato dei partiti, il loro primato. Dall’altra il premier che le barricate proprio non le vuole, Giuseppe Conte, e che a Palazzo Chigi, nel vertice iniziato attorno alle 22, lo ribadisce ai due: “Non possiamo andare allo scontro con Bruxelles”.

Così dice Conte, ma è un po’ come se parlasse il Quirinale. E non è un sospetto, è un filo che si può quasi toccare. Perché il premier vuole sostenere, insieme al ministro dell’Economia Giovanni Tria, la linea del Colle. Ossia, serve un accordo con la Commissione e i governi dell’Ue. Sia Conte che Tria (e peraltro pure i gialloverdi) sono convinti che non sia affatto necessaria una manovra correttiva, come chiedono i falchi europei. Il governo è infatti convinto che il deficit quest’anno chiuderà al 2,1 per cento o anche al 2 per cento del Pil, ben sotto il 2,5 stimato da Bruxelles grazie al buon andamento delle entrate e ai risparmi su Reddito di cittadinanza e Quota 100 (1,3 miliardi nel 2019, 3-4 l’anno nel 2020-2021). La Commissione però non considera quelle che sono al momento stime. L’ipotesi al Tesoro è così di definanziare già da subito le due misure. Un’idea che non piace al M5S, che vuole dirottare quei risparmi su misure sociali. Un piano che potrebbe anche bastare, a patto, però, di dare ampie rassicurazioni alla Commissione sul 2020, dove a bilancio ci sono 23 miliardi di aumenti automatici dell’Iva. L’Ue non vuole vedere cose come la Flat tax in deficit, e su questo Tria e Conte convergono. Anche i 5Stelle la pensano allo stesso modo, e infatti da giorni importanti fonti di governo del M5S spiegano che “la Flat tax, come pensata dalla Lega, non ci potrà essere”.

L’obiettivo comune, in ogni caso, è rimandare la partita all’autunno. Oggi a Bruxelles si terrà la riunione del Comitato economico e finanziario del Consiglio Ue, che dovrebbe dare la propria opinione sulla proposta di Bruxelles di avviare la procedura. La decisione finale spetta all’Ecofin, la riunione dei ministri delle finanze Ue, del 9 luglio. Se si riesce a scavallare quella data, si va all’autunno.

È soprattutto di questo che si parla a Chigi, in un clima fintamente cortese. Perché le esternazioni mattutine sul Corriere della Sera del premier, un continuo ripetere che va scongiurata la procedura d’infrazione, non sono piaciute piani alti del Movimento, cioè a Di Maio e ai suoi. “Ora con l’Europa bisogna seguire la linea dei partiti, della politica, anche perché l’altra volta alla fine non è andata benissimo…”, si sfogano persone vicine al capo politico. E l’altra volta è quella della trattativa che portò a una manovra con un deficit del 2,04. Ed è la conferma di un disagio, verso il presidente del Consiglio ancora alto nei sondaggi, che lo scorso lunedì ha dettato le sue condizioni ai due vicepremier. E non era un gioco di sponda con il Movimento. Racconta un big del M5S: “Lunedì sera la Lega aveva forzato sullo Sblocca cantieri perché era convinta che il discorso di Conte fosse stato ideato assieme a Di Maio. Ma non era così, Luigi era stato solo pre-avvertito”. Insomma, Salvini si era arrabbiato a vuoto. Una settimana dopo, Di Maio e il premier sono separati da un coltre di gelo. E ora i vicepremier pensa alla contromossa da attuare già oggi in Aula alla Camera, quando Tria si presenterà per un’informativa sulla procedura d’infrazione. L’occasione per i Cinque Stelle per presentare al ministro, e quindi a Conte, le richieste e quindi la linea nella trattativa con l’Europa. In pratica, il grimaldello per provare a ingabbiare Tria, ricordandogli che gli eletti, cioè la politica, sono loro. Ed è l’ulteriore segnale della distanza, con Conte.

“Corruzione e metodo mafioso”: per Landolfi chiesti 3 anni e 6 mesi

Il pubblico ministero della Dda di Napoli, Simona Belluccio, ha chiesto tre anni e sei mesi per l’ex ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi (An) originario di Mondragone (Caserta) per l’accusa di presunti episodi di corruzione e truffa con l’aggravante del metodo mafioso per aver agito per favorire il clan La Torre. Il pm nel corso della requisitoria, dinanzi al collegio, tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduto dal giudice Loredana Di Girolamo, si è soffermata sulle accuse della Procura. Landolfi, secondo la procura, avrebbe corrotto un ex consigliere comunale di Mondragone per indurlo alle dimissioni per evitare l’uscita politica dell’ex sindaco Ugo Alfredo Conte. In cambio questi avrebbe ottenuto la promessa di entrare a far parte della Giunta comunale e un contratto di lavoro per la moglie nel consorzio Eco4, gestito, secondo le accuse, dal clan La Torre. Proprio per le infiltrazioni camorristiche nella Eco4, la società che si occupava della raccolta dei rifiuti a Mondragone, lo scorso febbraio, l’ex primo cittadino Conte è stato condannato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere a 8 anni e 6 mesi. La sentenza per Landolfi è fissata per ottobre.

Fava sul palco recita i verbali del “sistema Montante”

Claudio Fava, presidente della Commissione antimafia dell’Assemblea regionale siciliana, mette in campo il mestiere drammaturgico ereditato dal padre Pippo (giornalista ucciso 35 anni fa dalla mafia) e e porta in teatro un’antologia delle 50 audizioni condotte sul caso Montante. Un mese fa l’ex vicepresidente della Confindustria, celebrato per anni come eroe dell’antimafia, è stato condannato a 14 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. “Invece di tenerli chiusi negli scrigni del palazzo, li andiamo a recitare a casa loro”, spiega Fava. Domani sera, infatti, andrà in scena al teatro comunale di Caltanissetta (la città di Montante) questa singolare proposta teatrale realizzata grazie all’aiuto di tre attori del Teatro Stabile di Catania (David Coco, Simone Luglio e Liborio Natali).

I cittadini nisseni potranno così ascoltare dalle parole dei protagonisti la ricostruzione del tonitruante decennio di Montante e dei suoi sodali, durante il quale la propaganda antimafia è servita a proteggere un inquietante sistema di malaffare. “Ho fatto solo la scelta dei passi più rivelatori e mi limiterò a presentarli al pubblico”, spiega Fava, “ma ai verbali non ho aggiunto o tolto una parola: sono in grado da soli di rendere la comicità e tragicità insieme di quel sistema di affari. I nostri auditi hanno fatto un egregio lavoro di drammaturgia involontaria”.

Tra i passaggi più avvincenti le testimonianze dell’ex ministro Angelino Alfano, del giornalista Roberto Galullo e del boss del Pd siciliano Beppe Lumia chiamati a spiegare i loro rapporti con Montante. Ma anche le denunce dell’ex assessore ed ex pm di Caltanissetta Nicolò Marino e del giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni – che racconta le proteste dell’allora sindaco di Catania Enzo Bianco, rivolte direttamente all’editore, per i primi articoli sul “sistema Montante”.

Rai, insulti in tv a Falcone e Borsellino. L’indagine interna e le scuse di Salini

Nuova bufera in casa Rai. È bastata una sola puntata di Realiti, il nuovo show condotto da Enrico Lucci su Rai2, per scatenare un putiferio. Tutto parte da un servizio sul nuovo fenomeno dei neomelodici siciliani, di Catania in questo caso: il genere tanto amato a Napoli e in Campania è arrivato pure in Sicilia, anche se cantato sempre in napoletano. Così nella prima puntata, mercoledì scorso, è andato in onda un servizio sul tema, con intervista a Niko Pandetta, detto Tritolo, neomelodico pregiudicato, nipote del boss mafioso Turi Cappello, dell’omonimo clan, che sta scontando l’ergastolo in regime di 41 bis.

Pandetta nel servizio rivela tranquillamente di essersi finanziato il primo cd con una rapina e di prendere spunto, per le sue canzoni, dallo zio Turi carcerato, che gli scrive poesie. Del resto i titoli di alcuni suoi brani – Nu pate latitante e Onore e dignità – lasciano poco spazio alla fantasia. Ma il patatrac arriva in studio, dove è ospite un altro neomelodico, Leonardo Zappalà, 19 anni, detto Scarface. Il quale, dopo un servizio su Falcone e Borsellino, dice: “Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita le sanno le conseguenze. Come ci piace il dolce, ci deve piacere anche l’amaro”. Insomma, se fai il giudice antimafia, te lo devi aspettare di essere ammazzato. La reazione di Lucci è immediata, ma non basta a evitare le polemiche: “Ti do un consiglio, vatti a studiare la storia, diventerai una persona migliore di quella che sei adesso”. In studio una condanna ai neomelodici arriva subito dal consigliere regionale campano Francesco Emilio Borrelli. Il quale, però, nelle ore successive, viene minacciato proprio da Pandetta, con un video fatto girare su Facebook. “Borrelli, le pistole io ce le ho d’oro, guarda qua”, esclama il neomelodico sventolando un revolver.

Tutto ciò passa praticamente inosservato, se non fosse che ieri mattina sulla vicenda fa un post Paolo Borrometi, il giornalista siciliano sotto scorta per le sue inchieste sulla mafia. Che qualche anno fa ha subìto un tentativo di attentato proprio dal clan Cappello. Post subito ripreso da Vittorio Di Trapani dell’Usigrai. Il quale, oltre alla gravità di dar voce a una persona che inneggia ai mafiosi, accende la polemica su viaggio e hotel pagati dalla Rai. Da Viale Mazzini arrivano in serate le scuse dell’ad Fabrizio Salini e l’avvio di un’inchiesta interna per delle parole definite “indegne”. Anche Enrico Lucci è intervenuto: “Davanti a me non c’era Totò Riina, ma un pischello che sta sul web e ha degli idoli di m…. Non era un mafioso, perché io con i mafiosi non parlo e tantomeno li invito in trasmissione”, ha spiegato Lucci. Nel pomeriggio sono insorte anche la famiglia di Borsellino (“è stata una vergogna!”) e Maria Falcone (“parole scellerate da parte di un giovane superficiale”). Il programma, tra l’altro, è andato pure male, col 2,5% di share per soli 428 mila telespettatori. Da qui la decisione di Carlo Freccero di spostarlo in seconda serata. Ma ora, dopo queste polemiche, è stato fatto un passo in più: le puntate non saranno più in diretta, ma registrate.