Avevano fatto sapere che sarebbero tornati a essere consiglieri del Csm a tutti gli effetti, non più autosospesi, ma i quattro togati coinvolti nello scandalo politico giudiziario Palamara-Lotti-Ferri restano per ora nel limbo. Ieri, come oggi.
Il comitato di presidenza, formato dal vicepresidente David Ermini, dal presidente della Cassazione Giovanni Mammone e dal procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, questa mattina si riunirà per esaminare la richiesta dei quattro consiglieri di poter leggere le carte che li riguardano sull’ormai famoso incontro, a maggio, in vista della nomina del procuratore di Roma. I togati coinvolti sono Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli, di Magistratura Indipendente (la corrente conservatrice) e Gianluigi Morlini, presidente, fino a pochi giorni fa, della Quinta commissione, proprio quella che tratta le nomine. Pur di non dimettersi da consigliere, come gli ha chiesto la sua corrente, ieri si è dimesso da Unicost.
I quattro togati e l’ex consigliere Luigi Spina, di Unicost, dimessosi perché indagato a Perugia per favoreggiamento di Luca Palamara, ex Csm e pm romano indagato per corruzione a Perugia, erano a un incontro in un albergo romano dove era presente Cosimo Ferri, deputato renziano del Pd, ex sottosegretario alla Giustizia ed ex segretario di MI, di cui anche da magistrato in aspettativa è sempre stato il faro. Seduti in poltrona pure Palamara e Luca Lotti, che da imputato a Roma per l’inchiesta Consip voleva scegliersi il procuratore dell’ufficio che l’ha messo sotto inchiesta.
Ed è per queste presenze terribilmente inopportune, quella di Lotti in testa, che dal Quirinale alle correnti dei magistrati, eccetto MI, alla base delle toghe, sono state chieste le dimissioni dei consiglieri. Al momento, però, non ci pensano, sostengono o di non ricordare cosa abbiano detto o che non hanno detto quasi nulla.
Sono interessati a leggere cosa ha trascritto la polizia giudiziaria che ascoltava grazie al trojan inoculato nel cellulare di Palamara. I consiglieri interessati dicono che solo dopo la lettura decideranno cosa fare: se restare autosospesi o se rientrare al lavoro. Fino a ieri sera ribadivano che “non essendo stati eterodiretti da nessuno”, l’incontro di per sé non è da dimissioni . Nell’informativa di polizia, secondo quanto ci risulta, Morlini e Criscuoli non erano stati identificati come gli altri tre. Pierluigi Morlini era indicato come “Gigi” e Criscuoli, siciliano, come una persona “con accento meridionale”. Entrambi, quando i colleghi Cartoni e Lepre si sono autosospesi alla fine di un plenum informale alla buvette del Csm, lunedì scorso, convocato da Ermini, si guardarono bene dal dire che erano loro gli altri consiglieri presenti. Solo il giorno seguente, dopo una convocazione del vicepresidente, hanno ammesso e si sono autosospesi come gli altri.
Oggi, il Comitato di presidenza dovrebbe accogliere la loro richiesta di accesso agli atti e già in giornata i consiglieri potrebbero vedere su un computer messo a disposizione dal Comitato gli stralci delle carte di Perugia che li riguardano. Non possono fare fotocopie.
Dopo la lettura di quelle carte decideranno se cambiare la loro posizione. Se restare autosospesi, se rientrare o se dimettersi, in caso di trascrizioni che mettono nero su bianco conversazioni decisamente compromettenti, eticamente parlando.
Al momento non sono né indagati né sotto procedimento disciplinare, anche se nei prossimi giorni si spettano novità sia dalla Procura generale della Cassazione sia dal ministero della Giustizia. Se ci dovessero essere delle misure disciplinari, allora il plenum del Csm ha il potere di deliberare la sospensione. Sarebbe quella formale, perché l’autosospensione è su base volontaria. La sensazione che si ha è che finora MI, da sola contro tutti, ha fatto quadrato attorno ai suoi consiglieri, per due motivi principali. Il primo riguarda la convinzione che dalle carte di Perugia emergeranno trattative indecenti politici-magistrati anche di altre correnti, il secondo motivo è che, come pensa Cosimo Ferri, se resistono alle dimissioni magari si dimettono per protesta gli altri consiglieri non coinvolti e così si scioglie il Consiglio.
In effetti, nella mailing list dell’Anm ci sono messaggi di magistrati indignati con i togati che non si sono dimessi: scrivono che se resteranno al loro posto, gli altri consiglieri dovrebbero dimettersi perché non possono stare in Consiglio con questi magistrati che hanno macchiato l’istituzione e “minato il prestigio”.