Le sirene del condannato in festa per Mister Fritture

A mezzanotte e trentacinque di domenica, mentre nel comitato Alfieri è un tripudio di cori da stadio (“Alfieri è uno di noi”) e di bottiglie stappate, il frastuono delle sirene spiegate squarcia il rettilineo di via Magna Graecia. Almeno cinque autoambulanze con la scritta “Croce Azzurra” (c’è chi ne ha viste sette), precedute da un camion-vela con il faccione di Franco Alfieri, neo sindaco Pd di Capaccio Paestum – ha da poco vinto il ballottaggio con il 53% – si precipitano nel cuore dei festeggiamenti e sostano davanti al comitato. Sono lì per soccorrere qualcuno? Quanta gente si è sentita male per la troppa gioia? L’inghippo è presto svelato: le autoambulanze non sono lì per salvare infartuati o epilettici. Gli autisti scendono e si mettono ad esultare anche loro.

Un tizio alza in cielo una coppa. E l’odore del clan Marandino prende il posto del profumo delle fritture dell’ex capo della segreteria di Vincenzo De Luca, che anni fa lo indicò come campione della ricerca del consenso e delle “clientele” proprio per le campagne a base di “fritture di pesce”. Del governatore dem è tuttora consigliere per l’agricoltura. “Scusi signora, perché tutte queste ambulanze al comitato Alfieri”? “Sono di quel personaggio di Roberto Squecco, lo vede? Eccolo. Le ha mandate per festeggiare”.

Chi è Squecco e che rapporti ha con Alfieri (che si è dissociato dal carosello di ambulanze “di pessimo gusto”) lo abbiamo scritto sul Fatto di venerdì scorso, ripercorrendo l’indagine per voto di scambio politico-mafioso che ha colpito Alfieri il 13 maggio. Squecco è un imprenditore funerario condannato a un anno e 10 mesi con sentenza definitiva per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.

La Cassazione lo ha ritenuto organico ai Marandino, provò a riscuotere un prestito usuraio usando manovalanza di camorra che andava a minacciare i suoi concorrenti con le pistole in pugno. E svolgeva le sue trattative, battezzate dal boss Giovanni Marandino, al Lido Kennedy, lo stabilimento balneare di sua proprietà che in questi giorni ha dovuto spostare dei concerti “per ragioni tecniche”, si legge sui manifesti affissi su una porta chiusa. Il commissario prefettizio ha sospeso la concessione demaniale dopo la condanna. Proprio al Lido Kennedy, Alfieri ha inaugurato la campagna elettorale. E il decreto di perquisizione che lo ha colpito e ha reso nota l’indagine contiene il nome di Squecco. Il pm della Dda di Salerno Vincenzo Montemurro scrive che è un “coindagato” di Alfieri. Mentre la moglie di Squecco, Stefania Nobili (“ma sono separati ed è sbagliato associarli” sostiene l’avvocato dell’imprenditore, Mario Turi) si è candidata in una delle otto liste pro Alfieri, “Democrazia Capaccese”, ed è stata eletta con 348 preferenze. “Il sistema Alfieri va oltre ogni immaginazione, un corteo vergognoso”, denuncia il consigliere regionale M5s Michele Cammarano, che ha spammato uno dei tanti video del carosello notturno.

Dopo il passaggio in giudicato della condanna, è iniziata una battaglia legale sui beni della famiglia Squecco. La sezione misure di prevenzione di Salerno ha sequestrato villa e quote societarie dell’imprenditore e della ex moglie, intestataria della ditta Funeral Home, mentre Squecco risulta titolare della Onlus Agropoli-Croce Azzurra. Le ambulanze. Così sarebbero state rispettate le norme antitrust e regionali sull’incompatibilità dell’attività funebre con le ambulanze. In appello Squecco e signora si sono visti restituire le quote, non la villa.

Sull’indagine Alfieri il Pd ha glissato. Fa eccezione l’eurodeputato ed ex procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, che lo invitò a ritirare la candidatura. Chissà se il rumore delle sirene di Capaccio ora sveglierà qualcuno.

Il Carroccio espugna Forlì, ai dem Verbania Reggio, Rovigo e Prato

Il secondo successo da copertina della destra a trazione salviniana è in Romagna, a Forlì, dove il 53% di Gian Luca Zattini ha interrotto una lunghissima egemonia del Pd e della sinistra. I dem invece confermano i propri sindaci a Prato, Reggio Emilia e Verbania e strappano la maggioranza al centrodestra a Rovigo, dove rimontano a sorpresa il risultato del primo turno grazie alla vittoria di Edoardo Gaffeo.

M5S verso il gruppo con Farage

L’accordo tra il M5S e il Brexit Party di Nigel Farage (partito britannico vincitore alle recenti elezioni europee con il 31,6%), potrebbe arrivare già nelle prossime ore. Erano già stati alleati nel gruppo Efdd durante la scorsa legislatura e presto potrebbero tornare insieme. L’unione con Farage era nel mirino anche di altri gruppi del centrodestra, per via dei 29 seggi che porta in dote. Tuttavia lui stesso ha preso le distanze, anche dalla Lega, dichiarando: “Noi siamo più centristi”. Per il Movimento, che non è riuscito a creare un gruppo nuovo e autonomo, sarebbe un’occasione: altrimenti rischierebbe di finire fra i non iscritti, ottenendo quindi meno risorse economiche e voce in capitolo in Europa

Le peggiori frasi fatte dei nuovi primi cittadini

Ascoltare la gente, collegarsi al territorio, intercettare la voglia di cambiamento, ripartire dai bisogni dei cittadini, parlare di cose concrete. I commenti dei vincitori, a ogni elezione, sono puzzle di frasi fatte, banali, che sembrano trovate nei biscotti della fortuna dei ristoranti cinesi. Ecco quelle di ieri.

Ascoltare il territorio. “La città ha scelto di cambiare e di guardare al futuro. E noi abbiamo intercettato questa necessità. Ci siamo connessi al territorio”.

Andrea Corsaro, sindaco
di Vercelli, centrodestra

Abbiamo capito. “C’era il clima giusto. Ho capito che siamo stati capiti per quello che abbiamo fatto e quello che vogliamo fare”.

Matteo Biffoni, sindaco di Prato, centrosinistra.

El pueblo unido. “È la vittoria del popolo, della gente che lavora e affronta i problemi quotidiani. Io vengo dalla fabbrica e voglio rappresentare i deboli. E’ finito il tempo delle liti, voglio essere il sindaco di tutti”.

Marco Fioravanti, Ascoli Piceno, centrodestra.

Laboratorio/1. “Qui siamo un laboratorio, questo risultato avrà ripercussioni anche a livello nazionale. Dal Pd non ci sono state indicazioni, ma è chiaro che gli elettori di sinistra hanno votato per noi”.

Roberto Gravina, Campobasso, M5S.

Laboratorio/2. “La vittoria a Livorno anticipa quello che potrà accadere alle prossime elezioni. La sinistra è ancora viva, molti pentastellati ormai si schierano dalla nostra parte e in futuro potremo lavorare insieme. Livorno è un laboratorio”.

Luca Salvetti, Livorno, centrosinistra.

Laboratorio/3. “Questo è un vero laboratorio per l’Italia, con un’alleanza con protagoniste Lega e Fdi, che potrà essere esportata anche a livello nazionale”.

Ancora Marco Fioravanti, Ascoli, centrodestra.

Ripartenze. “Dobbiamo ripartire da dove ci eravamo fermati. Ci aspetta molto lavoro, ma con l’aiuto di tutti i cittadini riusciremo a far tornare Foggia protagonista”.

Franco Landella, Foggia, centrodestra.

Convergenze. “Al di là degli schieramenti, lavoreremo per trovare convergenze con gli avversari sui problemi da affrontare per il bene della città”.

Mario Guarente, Potenza, centrodestra (Lega).

Sol dell’avvenire. “Domani il sole sorgerà ancora su Ferrara. Sarò il sindaco di tutti, spero che la mia vittoria sancisca la pace anche sugli argomenti più divisivi”.

Alan Fabbri, Ferrara, centrodestra (Lega).

Uno originale c’è. “Ora che ho vinto, mi tocca mantenere la promessa e andare in pellegrinaggio a piedi al Santuario della Madonna nera di Oropa”.

Claudio Corradino, Biella, centrodestra. (Il santuario è a 1.200 metri di altezza, a due ore dalla città).

Livorno canta “Bella Ciao”. “Noga” alla festa di Salvetti

Qualcuno in città ha timidamente rispolverato le bandiere rosse prima di appenderle alle finestre del quartiere Venezia. E domenica sera, quando il risultato sembrava ormai consolidato, il neo sindaco Luca Salvetti è arrivato in Comune tra una folla festante che ha intonato una sola canzone: “Bella Ciao”. Una “liberazione” da cinque anni di governo a 5 Stelle ma soprattutto dal pericolo leghista, incarnato dal poliziotto tutto sicurezza e no all’immigrazione Andrea Romiti.

A Livorno, tutta questa voglia di sinistra non si vedeva da tempo. Nel 2014 Gramsci e Berlinguer sembravano essere stati sepolti definitivamente da quel piccolo ingegnere aerospaziale, Filippo Nogarin, che sembrava venuto da Marte e parlava di verde pubblico, raccolta dei rifiuti porta a porta e mobilità sostenibile. Oggi, con pregi e difetti, l’èra del “Noga” e dei 5 Stelle d’antan è finita sotto i colpi di un vento nazionale che a Livorno ha fatto passare la Lega dal 5% del 2014 al 27%, ma anche a causa di errori marchiani dei grillini su raccolta differenziata e parcheggi a pagamento. Cambiamenti radicali e regole precise in una città da sempre anarchica nell’anima.

Eppure, l’argine alla destra salviniana di Romiti alla fine è riuscito: ha vinto il giornalista Luca Salvetti, volto molto noto in città che ha tentato fin da subito di nascondere il Pd che lo aveva proposto e sostenuto. “Le posizioni del Pd chiedile al Pd, io non ho la tessera e parlo per me” ha risposto Salvetti a un elettore incredulo che gli chiedeva delle sue posizioni su una discarica a est di Livorno. Un indipendente, insomma: “In tasca ho solo la tessera da giornalista e del Livorno calcio” rivendica fiero. Nessuna esperienza politica: in città è conosciuto per il suo lavoro da cronista e per aver giocato a calcio con un livornese molto più noto, Massimiliano Allegri.

Salvetti adesso dovrà necessariamente concedere qualcosa alla sua sinistra: al ballottaggio contro Romiti (63-37%), è riuscito a conquistare ben 15mila voti rispetto al primo turno soprattutto grazie all’indicazione di voto di “Buongiorno Livorno”, la lista di sinistra di Marco Bruciati che aveva raccolto ben 12mila consensi il 26 maggio. E gli elettori del M5S, culturalmente vicini al centrosinistra? Secondo i flussi elettorali, alcuni (pochi) si sono montanellianamente “turati il naso” per arginare la destra, mentre molti sono rimasti a casa, o meglio sono andati al mare nella prima giornata di caldo della stagione. Fallito invece il tentativo di Romiti di corteggiare gli elettori 5S in nome del governo nazionale.

Domenica sera in Comune, tra il sindaco uscente Filippo Nogarin e il nuovo arrivato Salvetti, si respirava quasi un’aria di festa. Come dire: l’abbiamo scampata. “I livornesi hanno votato soprattutto per la persona Salvetti e non per il Pd – dice al Fatto Filippo Nogarin, che risponde (senza alcuna ironia del cronista) dai giardinetti –. Adesso sarà chiamato a continuare il nostro percorso di buongoverno senza tornare indietro su molte cose fatte come il no al nuovo ospedale o lo spegnimento dell’inceneritore nel 2021. Noi invece abbiamo commesso degli errori sicuramente senza riuscire a intercettare i nostri elettori: i parcheggi a pagamento e la raccolta dei rifiuti porta a porta sono cose che vanno fatte ma che non portano consenso. Ma io rifarei tutto”.

Proprio su rifiuti e parcheggi, Salvetti ha costruito tutta la sua campagna elettorale. Poi c’è da capire cosa ne farà del reddito di cittadinanza sperimentato proprio qui dal M5S e di quella lotta alla povertà lasciata per troppo tempo a grillini e associazioni cattoliche. Ma in cima all’agenda, oltre alla formazione della nuova giunta in parte formata da esponenti dem e in parte da civici, c’è il tema del lavoro: “A Livorno ci sono 28 mila disoccupati e bisogna partire da lì” ha esordito Salvetti che si è anche definito il sindaco “della porta accanto”. Magari ci riuscirà, magari no. Intanto Livorno, seppur un po’ scolorita, è tornata rossa. E lo sarà per i prossimi 5 anni.

Anche il Lazio di Zingaretti va alla Lega. Il centrosinistra perde 5 Comuni su 9

Matteo Salvini fa il pieno di voti anche nel Lazio, dove il centrodestra a trazione leghista conquista 6 dei 9 Comuni andati al ballottaggio strappando storiche roccaforti in provincia di Roma al Pd e recenti conquiste ai 5 Stelle sul litorale. Dalle amministrative insomma arriva una conferma del risultato ottenuto due settimane fa alle europee, che ha visto per la prima volta la formazione del vicepremier e ministro dell’Interno toccare il 32,6% nel Lazio, imponendosi nettamente come primo partito sul territorio.

Numeri alla mano, se una eventuale crisi di governo portasse nuovamente al voto anche per il Lazio, governato da sei anni dal segretario Pd Nicola Zingaretti, anche il cuore nel centro Italia potrebbe aggiungersi alle Regioni a guida leghista. Discorso analogo vale anche per il Campidoglio, dove la consiliatura scade tra due anni e replicando il risultato di due settimane fa alle europee il Movimento 5 Stelle, alla guida della città con Virginia Raggi, non arriverebbe nemmeno al ballottaggio.

Ancora priva di una classe dirigente sul territorio, la Lega tra Roma e provincia si affida a uno schema collaudato: porta al successo candidati di altre liste affermandosi però come primo partito forte delle preferenze di esponenti locali con un passato politico a destra. Uno schema che le ha consentito di imporsi ovunque, anche nei Comuni laziali dove a vincere è il centrosinistra, come primo partito. Ecco allora Salvini esultare: “Abbiamo i primi quattro sindaci nel Lazio”.

Nell’alto Lazio il centrodestra ha conquistato lo snodo del turismo croceristico, Civitavecchia – l’amministrazione uscente a 5 Stelle è rimasta fuori al ballottaggio – con Ernesto Tedesco, forte anche di una buon risultato di Forza Italia. Mentre nella Tuscia ha vinto a Civita Castellana (un tempo polo regionale della ceramica) e tra i lidi etruschi di Tarquinia. Attorno alla Capitale la Lega ha vinto a Ciampino – 40 mila abitanti, sede del secondo aeroporto cittadino – dopo 18 anni di giunte a guida prima Pds e poi Pd, portando a capo del Comune Daniela Ballico, una sindacalista dell’Ugl. Dopo 20 anni di maggioranze tra Partito Popolare e Pd anche Palestrina passa al centrodestra: il sindaco sarà Mario Moretti, espressione di una lista civica. L’ondata leghista travolge anche Nettuno. I Dem tengono invece il feudo di Monterotondo e ottengono Cassino nel basso Lazio mentre a Tivoli si è imposta una coalizione civica.

Il Pd fermo a Franceschini: così Ferrara diventa leghista

“Dedico questa vittoria a un ragazzo di 14 anni che aveva l’adesivo della Lega Nord sul diario e mai avrebbe pensato di vincere a Ferrara”. Quel giorno è arrivato, Alan Fabbri è il primo sindaco leghista dopo 74 anni di dominio rosso incontrastato. Alle dieci di mattina è già in piazza, circondato dalle telecamere e dai fan. La prima promessa è concreta, come la sua campagna elettorale: “Mi metterò a dieta, fare lo scalone comunale è faticoso”. Lo stesso scalone dal quale un sostenitore, pochi minuti dopo la proclamazione, ha affisso la bandiera della Lega coprendo lo striscione dedicato a Giulio Regeni. “Una leggerezza, non se ne sono nemmeno accorti, ci sono problemi ben più seri in città” ammonisce un’anziana sostenitrice.

Ferrara è la provincia più debole, dal punto di vista economico, dell’Emilia-Romagna, con un tasso di disoccupazione pari al 9,1%. A pagare il prezzo sono i giovani, che secondo Fabbri hanno votato in massa per lui. Il 56,77% degli elettori lo ha scelto, in particolare nelle frazioni della zona sud dove ha toccato percentuali, come a Marrara, pari al 75%. In tutto 37.504 voti che hanno sancito un cambiamento epocale nella piccola città. Una svolta che poteva essere prevista, e forse, contenuta. “Lo avevano capito ma hanno deciso di ignorarlo fino a quando non è stato troppo tardi, appiattirsi su posizioni nazionali del Pd poco coinvolgenti e inseguire la destra dopo aver negato i problemi sono stati gli errori-macro” – evidenzia Sandro Abruzzese, scrittore che nel libro Casapercasa aveva anticipato il volto di una Ferrara che da tempo stava cambiando – “nessuno in questi anni ha saputo tenere conto delle paure degli abitanti, oggi muore qualcosa di importante e profondo per la patria del socialismo italiano”.

In città sono in molti a ricordarsi di una partita Spal-Udinese dell’agosto 2018. Non tanto per il risultato, quanto per i fischi che accolsero l’allora ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Fischi ripetuti alle urne un anno dopo quando perse nel collegio di Ferrara contro un’avvocata leghista di Comacchio, Maura Tomasi. Segnali ignorati dall’apparato che contro l’avanzata leghista ha schierato Aldo Modonesi, uomo di Franceschini, e amministratore uscente della Giunta. Così come Roberta Fusari, candidata alternativa di sinistra con una lista civica: anche lei assessora della passata amministrazione. Due nomi giudicati poco radicali e coraggiosi per gli elettori che avevano voglia di un cambiamento. “Bisognava ribaltare il tavolo, interpretare meglio i tempi e i bisogni di oggi ma non si è avuto il coraggio” sottolinea Alberto Ronchi, ex assessore regionale e cittadino alla Cultura. “Il grosso rischio adesso è la Regione, se continueranno a ripetere gli stessi errori la Lega può vincere, lo ha dimostrato ampiamente con questo risultato. Il Pd dovrebbe aprire a primarie di coalizione, vere e partecipate, e confrontarsi per una volta con i propri elettori senza inseguire la destra nella peggiore delle maniere possibili” punge Ronchi, che lasciò la giunta di Bologna dopo la decisione del sindaco, Pd, Virginio Merola di sgomberare un centro sociale-culturale.

Anche a Ferrara il tema sicurezza è stato centrale. A tenere banco è il degrado della zona “Gad”, quella che si sviluppa partendo dalla stazione. Strade con negozi abbandonati da tempo o trasformati in centri massaggio, palazzoni abitati da anziani e stranieri. Una convivenza non semplice, resa più complicata dallo spaccio. Nel 2017 è arrivato l’esercito ma non ci sono stati grossi cambiamenti. Qui si muove abitualmente Naomo Lodi, barbiere e neo consigliere, noto per le dirette video su Facebook in cui insegue gli spacciatori chiedendogli i documenti. Lodi è il braccio armato di Fabbri, un leghista duro e puro che non esita a definire i migranti “diversamente bianchi”. Mister preferenze di queste amministrative è proprio lui, noto in città e fuori provincia. Come a Gorino, paesino di 600 abitanti, salito alle cronache nazionali per aver montato le barricate contro l’arrivo di una decina di rifugiati. Sul carro a urlare e aizzare c’era sempre Naomo.

Leghisti, FdI e FI forti anche al Sud, da Potenza a Foggia

La sfida più equilibrata è stata a Potenza: il centrodestra di Mario Guarente è stato tallonato fino a notte fonda dal candidato di Sinistra Possibile Valerio Tramutoli. Ad Ascoli Piceno il nuovo sindaco è il “sovranista” Marco Fioravanti, sostenuto da Lega e Fratelli d’Italia, mentre i berlusconiani preferivano l’ex sindaco “civico” Piero Celani. Il centrosinistra mantiene Cremona ma non riesce a vincere il ballottaggio ad Avellino. Il centrodestra prende Biella.

I pareri

 

Alessandra Ghisleri

Al secondo turno Matteo come Marine Le Pen: tutti contro di lui

La legge elettorale delle Amministrative impone uno schema bipolare ai ballottaggi. Significa che al secondo turno si è tutti contro uno, ovvero contro il candidato individuato come il principale avversario. In questo caso sia il Movimento 5 Stelle sia il Partito democratico si sono schierati contro Salvini, ma è la stessa dinamica che per esempio c’è stata in Francia alle ultime presidenziali: Marine Le Pen era favorita al primo turno, poi tutti hanno scelto Macron per contrastare l’ascesa dell’estrema destra. Per questo non credo che il ballottaggio fornisca particolari indicazioni per le segreterie nazionali e i vertici di Democratici e 5stelle, anche se casi come quello di Livorno o di Campobasso hanno mostrato una convergenza di voti tra sinistra e 5Stelle. Piuttosto, questo turno ribadisce la centralità del localismo di cui spesso la politica si dimentica: a vincere nei territori sono le persone, si affermano i candidati di cui ci si fida.

 

Marco Valbruzzi
Tantissimi 5S hanno preferito contrastare la Lega che cresce

Il modello di comportamento principale degli elettori del Movimento 5 Stelle in questo ballottaggio è l’astensione: se non posso votare uno dei miei sto a casa. Tra chi è andato a votare lo stesso, però, allora è c’è stata una convergenza verso il centrosinistra, soprattutto in gran parte delle roccaforti rosse in Toscana. Il dato è comunque importante: fino a qualche anno fa, proprio negli ex fortini del Pd, gli elettori del Movimento avevano scelto di punire i dem e di favorire il centrodestra. Questo perché il Pd era percepito come establishment e la priorità era ribaltare decenni di potere locale. Oggi la situazione è diversa e il dubbio era se combattere questo establishment oppure contrastare una Lega che sta crescendo troppo. In molti sono stati a casa, ma molti altri hanno scelto di votare contro la Lega. A dimostrazione del fatto che l’alleanza di governo è un puro contratto che non impone affinità né ha presa “sentimentale” nei confronti degli elettori.

 

Antonio Noto
I candidati del centrosinistra avevano un profilo a 5 Stelle

In questi mesi prima dei voti amministrativi abbiamo fatto molti sondaggi su come avrebbero votato gli elettori del Movimento 5 Stelle in caso di ballottaggio tra centrodestra e centrosinistra. È bene tener presente che i risultati sono viziati dalle liste civiche, che spesso vengono utilizzate per mascherare candidati di destra, sinistra e centro dietro a nomi generici, ma comunque è emerso che gli elettori dei 5 Stelle non hanno a priori una preferenza comune. Molto spesso prevale la scelta in base al candidato e mi sembra che in questa sessione il Partito democratico avesse scelto candidati sindaci molto più simili ai classici profili grillini: c’erano tante donne, volti giovani e spesso alle prime esperienze. Forse è stata una decisione presa proprio per riportare a casa qualche voto perso negli anni, fatto sta che può avere influito nella scelta dei 5 Stelle, che dall’altra parte avevano invece figure molto più simili a Salvini, penalizzate nonostante l’alleanza di governo.

 

Chiara Saraceno
Calma, è una tendenza locale favorita dalle legge elettorale

L’impressione che gli elettori del Movimento abbiano scelto il centrosinistra ai ballottaggi viene fuori soprattutto da Livorno, ma le ultime elezioni europee avevano dimostrato come invece ci fossero diverse anime dei 5 Stelle, per cui i delusi potevano finire nell’astensione o anche alla Lega. Fossi nel Pd non griderei al grande recupero di chi è tornato a casa: mi sembra una tendenza più locale che nazionale. La legge elettorale dei Comuni, poi, è particolare: al primo turno è sempre più difficile vincere perché ci sono almeno tre forze con percentuali importanti. E al ballottaggio poi qualcuno si deve schierare. Ricordo il caso di Chiara Appendino a Torino: al primo turno era davanti il Pd Piero Fassino, poi allora molti elettori anche leghisti o comunque di centrodestra preferirono votare il M5S al ballottaggio pur di non confermare il centrosinistra al governo della Regione. Ma non era certo un segnale nazionale nei confronti dei 5 Stelle, che erano nemici giurati di Matteo Salvini e di Forza Italia.

 

Piero Ignazi
Adesso i dem non devono ripetere l’errore di un anno fa

Èancora troppo presto per dire se davvero gli elettori dei 5Stelle si siano schierati più a sinistra che a destra nei ballottaggi, ma se i dati confermassero questa impressione sarebbe una notizia fondamentale per la politica nazionale e avrebbe ovvie implicazioni per le segreterie. Soprattutto per il Partito democratico, che deve capire come muoversi nei confronti dei 5 Stelle. Un voto del genere sarebbe un segnale di vicinanza da cogliere, o per lo meno un sintomo di allontanamento dei 5 Stelle dell’alleato di governo, episodio da cui può iniziare un percorso. Certo, sarebbe comunque difficile immaginarsi in tempi brevi un’apertura pubblica tra Pd e Movimento, perché sono mosse che sarebbero rimandate a dopo eventuali nuove elezioni e presupporrebbero una nuovo assetto anche nei vertici dei 5 Stelle. Ma gli errori del passato non devono essere ripetuti, anche se Matteo Renzi forse ora è felice mentre si mangia i suoi popcorn.

 

Nadia Urbinati
Il segnale c’è, bisogna capire se a Roma lo seguiranno

Ogni valutazione dipende dal territorio in cui si è votato, perché, per esempio, le buone vittorie del centrosinistra in Toscana fanno da contraltare ad alcune sconfitte pesanti come quella di Ferrara. Dunque si può dire che in qualche caso ci sia stata una potenziale indicazione degli elettori del M5S, che hanno preferito il centrosinistra alla Lega, ma il voto locale è comunque molto meno ideologico rispetto a quello nazionale. A ogni modo il segnale c’è, bisogna vedere se i vertici nazionali di Pd e 5Stelle vogliono seguire questa direzione oppure no. Va però notato come molte città in cui si è votato fossero storicamente di sinistra, per cui c’era stato un precedente spostamento dal Pd verso i 5S che ora in parte potrebbe esser rientrato per la delusione nei confronti dei grillini. Se infatti guardiamo a Sud, dove invece la tradizione non è di sinistra, sono meno i casi di possibile avvicinamento tra queste due forze politiche.

Pd, effetto Campobasso: si studia la “desistenza”

Dentro il Pd, dopo i ballottaggi, i riflettori sono tutti puntati sui risultati di Campobasso. Perché è lì che i 5Stelle hanno conquistato la città con il loro candidato, Roberto Gravina. Che ha conquistato il 69% dei voti, anche grazie agli elettori di centrosinistra.

Ed è da qui che partono i ragionamenti in casa Dem. Il punto sono sempre i rapporti con i Cinque Stelle: un’alleanza organica prima delle Politiche è impensabile e impossibile (non ci sarebbero neanche i numeri). Nicola Zingaretti, però, sono mesi che va ripetendo di essere alla ricerca dei voti dei Cinque Stelle. E nella prossima legislatura il tema si porrà: l’unico modo che ha il Pd per contare ancora è quello di fare asse con il Movimento (o almeno con la parte che non deciderà di spostarsi verso il centrodestra). Ma adesso si pone un’altra questione: come fare a unire le forze (dunque i voti) di Pd e Cinque Stelle? E allora, dalle parti del Nazareno, è tutto un discutere di patti di desistenza, soprattutto in caso di voto a settembre. Di che si tratta? Dell’accordo con il quale una lista rinuncia a presentarsi in uno o più collegi elettorali allo scopo di far convergere il proprio elettorato su un’altra lista concorrente in quel collegio. In ambienti vicini al segretario si discute delle formule anche se ufficialmente Zingaretti nega che l’opzione sia sul tavolo.

Il primo esempio che si fa è quello che dovrebbe ricalcare il comportamento di Rifondazione nel 1996 nei confronti dell’Ulivo di Romano Prodi: il partito di Bertinotti evitava di presentarsi nella maggior parte dei collegi uninominali, invitando i suoi elettori a votare per i candidati dell’Ulivo, in cambio della reciproca disponibilità della coalizione nei collegi residui.

In questo modo l’Ulivo vinse le elezioni e Rifondazione (che ottenne l’8,6% dei consensi al proporzionale alla Camera, eleggendo 35 deputati e 10 senatori) fu determinante per assicurare al governo Prodi la maggioranza alla Camera. La soluzione, in realtà, è di ardua applicazione: perché significherebbe un patto politico organico, mentre sia Zingaretti sia Paolo Gentiloni pensano che la prossima campagna elettorale debba essere fatta anche contro il Movimento. L’altra opzione sarebbe quella di una desistenza sotterranea, un po’ come hanno fatto Forza Italia e Pd alle Politiche del 2018: ovvero studiando il modo nei collegi di evitare scontri frontali tra big e utilizzare una precisione “matematica” nell’opporre a un candidato renziano che doveva essere eletto uno debole berlusconiano e viceversa. Anche su questo ci sono delle perplessità, dettate soprattutto dal fatto che in molti casi i flussi elettorali hanno evidenziato che il candidato influenza l’elettore fino a un certo punto.

Però, a studiare un modo per renderlo se non efficace, quantomeno possibile, è il senatore di LeU, Federico Fornaro. “Ci vorrebbe una piccola modifica alla legge elettorale. Adesso esiste un’unica scheda, per il maggioritario e per il proporzionale”. Questo significa che un elettore ha a disposizione un unico voto per scegliere tutti i parlamentari. Invece, spiega Fornaro, “bisognerebbe prevederne due, attraverso una doppia scheda, rispettivamente per il proporzionale e per il maggioritario, com’era per il Mattarellum. Questo renderebbe l’anti-destra più forte, evitando la dispersione dei voti”. Ma il punto è: è possibile trovare i voti in Parlamento per tale modifica? Difficile. Zingaretti con chi ci ha parlato ragiona così: “Il dato politico che esce da questi ballottaggi è che il voto dei Cinque Stelle e quello della Lega non si somma più in automatico. Ora quando andiamo ai ballottaggi con la Lega i voti degli elettori grillini non è detto che vadano al Carroccio”.