Ballottaggi, vince la destra. I grillini però non votano

Anche dopo i ballottaggi nei Comuni maggiori (oltre i 15mila abitanti) si conferma il risultato del primo turno: il centrodestra avanza, il centrosinistra tiene, i 5 Stelle sono imbattibili ai ballottaggi (ma ne hanno conquistato solo uno, Campobasso, dimostrazione che un Movimento nato con l’ambizione di cambiare la società a partire dal locale sia invece in quella dimensione sostanzialmente residuale).

Al di là dei risultati “simbolici” (la Lega che conquista Ferrara e Forlì in Emilia Romagna), questi sono i numeri generali delle amministrative tra primo e secondo turno: su 27 città capoluogo al voto in questa tornata (contando separatamente Forlì-Cesena e Pesaro-Urbino) il centrosinistra ha vinto in 14, il centrodestra in 12, i Cinque Stelle in uno; se invece si guarda ai 221 comuni superiori dopo i ballottaggi di domenica (136 in tutto) il risultato vede il centrosinistra governare 112 municipi, il centrodestra 85, i civici 23 e i grillini sempre uno.

Per capire perché si tratta di una vittoria della Lega e dei suoi alleati vanno tenute da conto due cose: intanto si partiva da 153 sindaci per Pd e soci (-41); 39 per la destra (+46) e due per i 5 Stelle (-1); in secondo luogo – come sottolinea Youtrend – i 221 Comuni al voto sono più “di sinistra” della media nazionale: considerando solo queste città la Lega il 26 maggio era al 31,7%(contro il 34,2), il Pd al 26,1%(contro il 22,7) e il M5S al17%.

La coalizione “raccolta” attorno al Pd ha in sostanza tenuto – specie in Emilia e Toscana – rispetto al tracollo nazionale, ma dovrebbe guardare al trend con preoccupazione. Queste sono infatti le terze amministrative in fila che perde: nel 2017- sempre parlando dei comuni sopra i 15mila abitanti – ne lasciò agli avversari 23 su 86, nel 2018 31 su 57, ora 41 su 153 (95 in due anni).

Ci sono almeno altre due cose da notare in chiave futuro. La prima è com’è andata, per così dire, nelle Regioni: in tutte la destra aumenta i suoi sindaci, ma stravince in Lombardia (19 a 14, dieci in più rispetto a prima), del Veneto (13 a 4, otto in più) e del Piemonte (9 a 8 con ben città conquistate). In Emilia Romagna e Toscana, anche se il saldo è negativo, resta in ampio vantaggio il centrosinistra: 28 comuni superiori contro i 6 del centrodestra nella prima; 30 a 5 nella seconda.

Notizie non tranquillizzanti, ma buone in vista delle Regionali che si terranno in Emilia Romagna a novembre e in Toscana l’anno prossimo: il rischio, però, che la candidata della Lega (dovrebbe essere la sottosegretaria Lucia Borgonzoni) espugni la regione rossa per eccellenza non è affatto scongiurato e nel centrosinistra iniziano a farsi due conti sull’elettorato e, per la precisione, su quello “grillino”, ormai vero ago della bilancia. E anche qui non c’è da stare allegri per Nicola Zingaretti (che vede spostarsi a destra quasi tutto il “suo” Lazio) e, soprattutto, per il governatore uscente Stefano Bonaccini (“sono pronto a sfidare la Lega”, ha detto ieri annunciando di fatto la sua ricandidatura). Gli elettori “residui” dei 5 Stelle, in sostanza, se non c’è un loro candidato preferiscono non votare e si rifugiano in genere nell’astensione nei ballottaggi (al 90% a Prato e Reggio Emilia, quasi al 100% a Cesena secondo l’Istituto Cattaneo); quei pochi che invece vanno alle urne non hanno uno schieramento preferito.

A differenza delle Comunali di un anno fa, insomma, non c’è più la “convergenza legastellata” (sempre il Cattaneo), visto che molti ex elettori grillini hanno già traslocato a destra, ma nemmeno un automatico sostegno al centrosinistra: per capirci, mentre a Campobasso gli elettori di sinistra sono andati a votare in massa il candidato grillino, probabilmente “contro” Salvini, lo stesso non è successo nei molti casi contrari.

Il sostegno a questo o quel candidato, insomma, è residuale e peraltro non predicibile, influenzato per lo più dalle dinamiche locali: se un pezzo maggiore dell’elettorato grillino che ha votato ai ballottaggi a Forlì e Ferrara è andato verso destra, a Cremona, a Reggio Emilia e Foggia s’è invece diretto verso sinistra.

Notevole, infine, il comportamento ai ballottaggi dell’elettorato di centrodestra: una parte – visto che l’affluenza al 52,1% significa oltre 16 punti persi rispetto al primo turno – si è sicuramente rifugiata nel non voto, ma i passaggi verso il centrosinistra sono sostanzialmente assenti (mentre il contrario è accaduto sempre). Come scrive l’Istituto Cattaneo, però, “quando l’avversario è il M5S le barriere che difendono l’elettorato di centrodestra si allentano: a Campobasso l’11% degli elettori di centrodestra si è diretto verso il candidato pentastellato”.

I veteromelodici

A parte le famiglie Falcone e Borsellino e le altre vittime di mafia, che hanno il sacrosanto diritto di protestare, invitiamo alla calma i politici indignati speciali che stanno linciando Enrico Lucci per aver ospitato due cantanti neomelodici e aver fatto uscire la loro cultura mafiosa al naturale. Nella prima puntata del suo talk Realiti su Rai2, Lucci ha intervistato in diretta Leonardo Zappalà, detto “Scarface”, e Niko Pandetta, in arte “Tritolo”. Il primo, a proposito di Falcone e Borsellino, ha detto che se la sono cercata: “Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita sanno le conseguenze. Come ci piace il dolce, ci deve piacere anche l’amaro”. L’altro, reduce da 10 anni di galera, ha spiegato che le sue canzoni sono dedicate allo zio ergastolano al 41-bis perché ritenuto il boss del clan Cappello a Catania, ha insultato i pentiti e poi ha minacciato un consigliere verde campano critico con lui. Lucci li ha esortati “a studiare la storia” e ora, sopraffatto dalle polemiche, ammette di aver gestito male la diretta: “Non cerco scuse, il risultato è stato pessimo e ci siamo messi tutti in discussione per rettificare, pulire e ritrovare il focus del racconto, che è la gara tra i protagonisti dell’attualità social”.

La Rai ha definito “indegne” le parole dei due e annunciato un’indagine interna. Ma per il presidente della commissione di Vigilanza Alberto Barachini, ex dipendente Mediaset e deputato di FI, la condanna “non è sufficiente: la grave offesa arrecata alla memoria di due esempi luminosi della lotta alla mafia si configura come un evidente omesso controllo da parte della governance del servizio pubblico, a cui chiedo formalmente un controllo più rigoroso dei contenuti e degli ospiti delle trasmissioni”. La miccia innesca il solito falò delle vanità e delle ipocrisie: viva Falcone e Borsellino, abbasso i neomelodici. E, se la questione fosse così semplice, ci uniremmo volentieri al coro degli indignados. Ma è un po’ più complessa. Il programma si occupa dei fenomeni più popolari sui social e purtroppo i neomelodici, perlopiù campani, sono popolarissimi non solo sul web, ma anche nelle piazze del Sud, in particolare della Sicilia. Vengono ingaggiati a peso d’oro ai matrimoni dei clan e alle feste di quartiere, dove dedicano ai boss e ai picciotti detenuti le loro canzoni intrise di cultura mafiosa. Forse che il servizio pubblico deve ignorare questo fenomeno inquietante, ma purtroppo diffusissimo? Grandi registi del Sud gli hanno dedicato film stupendi, grotteschi, neorealisti e per nulla moralistici: Reality di Garrone, Song’e Napule dei Manetti Bros, Belluscone di Maresco.

Chissà quanti fan dei neomelodici li hanno visti e, proprio perché non contenevano prediche ma solo fotografie della realtà, hanno capito qualcosa. Perché mai la Rai non dovrebbe mostrare anche quegli angoli bui di società, che molti fingono di non vedere e molti ignorano del tutto, salvo poi meravigliarsi se le elezioni danno risultati inaspettati? Piaccia o non piaccia, esiste un’Italia che preferisce i mafiosi ai giudici antimafia, detesta i pentiti che “fanno la spia”, scambia l’omertà per coerenza e le menzogne per dignità. Che deve fare il servizio pubblico: nascondere le telecamere sotto la sabbia, o affondarle nella merda che ci circonda per sbatterla in faccia ai benpensanti e ai malpensanti? Se le polemiche su Realiti servissero a gestire meglio situazioni complicate come quella sfuggita di mano a Lucci, sarebbero benvenute. Ma qui ciò che si vuole a reti unificate è altro: la facciata edificante e pulitina delle istituzioni che ogni 23 maggio e 19 luglio corrono a Palermo con la lacrima retrattile a deporre corone di fiori a Capaci e in via D’Amelio, salvo poi trescare con le mafie per tutto il resto dell’anno. Il solito derby ipocrita e oleografico tra Stato e Antistato, giudici buoni (quelli morti) e mafiosi cattivi. Un quadretto che non regge più, con tutto quel che si scopre sulle complicità fra due mondi che si vorrebbero separati e invece sono sempre più sovrapponibili.
In fondo, i due neomelodici han detto quel che disse il sette volte presidente del Consiglio Andreotti di Ambrosoli, ucciso da un killer mafioso mandato da Sindona: “Se l’andava cercando”. Quel che disse il tre volte presidente del Consiglio Silvio B. sull’“eroe Mangano” che non aveva mai parlato di lui e di Dell’Utri. Quel che pensano molti dei parlamentari FI&Pd che due mesi fa han votato contro il reato di voto di scambio politico-mafioso. E molto meno di quel che disse il governatore Pd della Campania, Vincenzo De Luca, sulla necessità di “ammazzare” politici antimafia “infami” come Rosy Bindi, Di Maio, Fico e Di Battista. Sono più gravi le parole dei due neomelodici o la candidatura col Pd a Capaccio-Paestum di Franco Alfieri, re del clientelismo e delle fritture di pesce, indagato per voto di scambio con la camorra, eletto e festeggiato domenica notte da un corteo di cinque ambulanze a sirene spiegate di proprietà di un imprenditore del clan camorristico dei Marandino, condannato in via definitiva per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso? Giovedì Rai2 trasmetterà La Trattativa, il film proibito di Sabina Guzzanti sui politici e i carabinieri che trattarono con Cosa Nostra, moltiplicando le stragi, rafforzando la mafia e genuflettendo lo Stato ai piedi dei corleonesi. Fra costoro c’era Dell’Utri, tuttora detenuto per mafia, che – dice la sentenza di primo grado – anticipava le leggi pro mafia del governo B. al boss Mangano, mentre B. continuava a finanziare Cosa Nostra anche da premier. Il presidente della Vigilanza sdegnato per due neomelodici viene dal gruppo B. Mai saputo nulla dei suoi padroni veteromelodici? Mamma non gli ha ancora detto niente?

I piccoli sbarchi riaprono i porti in silenzio

La campagna elettorale è finita (almeno, si spera) e allora l’“emergenza” si trasforma in una “situazione sotto controllo”. “La politica dei porti chiusi ha dato i suoi frutti” ha fatto sapere sabato il Viminale, che ha sciorinato i dati degli sbarchi “fantasma”: a fronte delle 5.371 del 2017 e delle 3.668 nel 2018, finora sono state rintracciate a terra “soltanto” 737 persone.

La verità è che, come ogni anno, con il caldo e il mare piatto partono da Tunisia, Libia e Turchia anche gommoni di dimensioni ridotte, barchette e barche a vela che, proprio grazie alle condizioni meteo favorevoli, riescono a entrare in acque italiane senza troppi problemi.

È quello che è accaduto nelle ultime 72 ore. Ieri sono sbarcati a Lampedusa 38 migranti: venti uomini, diciassette donne e una bambina originari di Costa d’Avorio, Guinea e Tunisia. Alcuni di loro erano disidratati per il troppo tempo passato in mare, una donna era in condizioni critiche. Viaggiavano su una piccolissima imbarcazione che è stata intercettata da un gommone della Guardia Costiera che, ovviamente, non ha potuto che prenderli a bordo e portarli a terra. “Il porto di Lampedusa non è mai stato chiuso”, ha fatto sapere il sindaco dell’isola, Totò Martello, che poche ore prima, infatti, ha accolto altre 21 persone.

Sabato 62 migranti sono stati soccorsi in alto mare dalla nave appoggio italiana Asso 25 e trasferiti a Pozzallo. E una barca a vela di quindici metri è stata intercettata al largo di Isola Capo Rizzuto e condotta nel porto di Crotone da due unità navali della Guardia di finanza, una del Roan di Vibo Valentia e una del Gruppo Aeronavale di Taranto. A bordo c’erano 53 persone – tra loro anche dieci minori – tutte di nazionalità pachistana. Sono stati fermati i due presunti scafisti, ucraini, a conferma del fatto che la seconda rotta preferita dai trafficanti di uomini è quella che parte dalle coste turche verso la Calabria con a bordo pachistani.

Venerdì pomeriggio un’imbarcazione a vela con 60 migranti a bordo era stata avvistata da un velivolo del Comando operativo aeronavale di Pomezia mentre si trovava a 35 miglia dalla costa ionica della Calabria. Due motovedette della Finanza in serata hanno intercettato la barca, un monoalbero di 15 metri, a una decina di miglia da Caulonia, nel reggino. I migranti, di nazionalità iraniana, irachena e siriana, erano stipati sottocoperta. Tra loro sei donne e 13 minori.

Il ministro dell’Interno non ne parla più così tanto, anche se resta da vedere cosa accadrà nei prossimi giorni, visto che la nave umanitaria Sea Watch ha ripreso il largo alla volta delle acque libiche. Ma come stanno dimostrando questi ultimi sbarchi, fare la guerra alle Ong non significa affatto fermare l’immigrazione.

“Via gli autosospesi dal Csm o i partiti si prendono i pm”

Lo scandalo politico-giudiziario, che ha portato alle dimissioni di un componente togato del Consiglio superiore della magistratura e all’autosospensione di altri quattro togati, squassa pure l’Anm. Sta per cadere Pasquale Grasso, presidente del sindacato delle toghe e che ieri ha lasciato Magistratura Indipendente (Mi), la corrente conservatrice cui appartengono tre dei quattro togati autosospesi e tutti intenzionati a non dimettersi, come vorrebbero invece il Quirinale e l’Anm. I tre di Mi si fanno forti del sostegno della loro corrente.

Area, la corrente progressista, Autonomia e Indipendenza (AeI, fondata da Piercamillo Davigo) e Unicost (centrista) hanno non solo chiesto un “parlamentino” straordinario per mettere fuori Mi, che ha tradito quanto deciso all’unanimità dall’Anm, ma hanno pure espresso una forte preoccupazione: il rischio che le mancate dimissioni dei consiglieri autosospesi siano come una palla da prendere al balzo per uno schieramento politico trasversale che mira a varare una legge anti toghe, facilitato dal crollo di immagine della magistratura.

D’altronde, ieri Matteo Renzi si è rifatto vivo proprio per chiedere una riforma del Csm: “Cambiamo la legge. Basta con questo dialogo tra politici e magistratura. Le nomine che ha fatto il Csm sono anche giuste, ma lo ha fatto con un metodo che non mi piace”. Renzi ha tenuto la sua lezioncina di etica alla festa di Repubblica a Bologna, durante la quale ha difeso il suo fedelisimo Luca Lotti, che discuteva – da imputato a Roma per il caso Consip – della nomina del procuratore della Capitale, con almeno quattro consiglieri del Csm. “Questo metodo non l’ha inventato Lotti, c’è sempre stato. Se mettessero un trojan nel telefono di ogni membro del Csm registrerebbe discussioni simili”. Lotti aveva già incassato la difesa di Nicola Zingaretti: “Mi ha assicurato che non ha commesso alcun atto di illegalità. I giudici indaghino, da noi avranno solo supporto”. Come se fosse una questione penale, e non morale e di opportunità politica.

L’ex ministro è il motivo principale dell’autosospensione di 4 togati del Csm. Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre di Mi e Pierluigi Morlini, di Unicost, fino a pochi giorni fa presidente della Quinta commissione, quella che propone le nomine. Erano all’incontro con Lotti: il pm indagato a Perugia per corruzione, Luca Palamara; Cosimo Ferri mentore, fino ad oggi, di Mi e deputato renziano del Pd; Luigi Spina, di Unicost, costretto alle dimissioni perché indagato.

Nel comunicato di Area, AeI e Unicost si chiede la “convocazione urgente” di una riunione per il rinnovo della giunta.Tradotto: fuori Mi, rientra AeI uscita, si disse, per il silenzio dell’Anm sul sistema malato delle nomine al Csm.

I firmatari temono gravi conseguenze per la scelta di Mi di autodifesa: “Crea un incidente istituzionale senza precedenti e potrebbe condurre all’adozione di riforme del Csm dal carattere ‘emergenziale’ e con il rischio di alterarne il delicato assetto voluto dalla Costituzione a garanzia dell’autonomia della magistratura senza risolvere i problemi posti dalle gravi recenti vicende”. Il primo pensiero va al ddl di iniziativa delle Camere Penali sulla separazione delle carriere, in Commissione affari costituzionali della Camera, che vede d’accordo FI, una parte del Pd e la Lega (Salvini firmò a favore).

Ma al momento nessuno dei 4 consiglieri autosospesi pensa a dimettersi. Il Csm non può prendere provvedimenti perché non sono né indagati; né, per ora, sotto procedimento disciplinare. Se si dimettessero, cambierebbe l’anima del Consiglio: al posto di Cartoni, Criscuoli e Morlini subentrerebbero Giuseppe Marra e Ilaria Pepe di AeI e Bruno Giangiacomo di Area. Dunque, Mi scenderebbe da 5 a 2 consiglieri; AeI, che è nata dalla scissione anti-Ferri, passerebbe da 2 a 4; Area da 4 a 5. Unicost è già scesa da 5 a 4 per le dimissioni di Spina, tornato a fare il pm. Alle elezioni di luglio non c’erano altri candidati in quota pm, per sostituirlo ci saranno elezioni suppletive, così come se dovesse dimettersi Lepre.

Conte vede i 2 vice: “Con l’Europa tratto io”

“Non tratteremo il tema dei mini-Bot a livello di governo”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria dal G20 di Fukuoka torna a bocciare i Buoni del Tesoro di piccolo taglio proposti dalla Lega per saldare i debiti della pubblica amministrazione – e bollati da Alessandro Di Battista come “una proposta intelligente” – dopo la guerra dichiarata da Matteo Salvini e Luigi Di Maio al loro “nemico” Tria (“Se non vuole i mini-Bot, trovi una soluzione per pagare i debiti”) che, di fatto, ha colpito anche il premier Conte che aveva già evidenziato sul Fatto “diverse criticità” sui mini-Bot. Una rinnovata intesa quella dei vicepremier che porta ulteriori malumori a Palazzo Chigi rendendo più tesi i rapporti alla vigilia del vertice che ci sarà questa sera o al massimo martedì mattina.

Il primo dopo le Europee e alla luce dei ballottaggi, durante il quale il premier Conte chiederà “mandato pieno a trattare con la Ue per scongiurare la procedura d’infrazione, come già a dicembre”. E cercherà di diradare la cortina di irritazione che avverte attorno a sè. Il sospetto diffuso da Salvini – che avrebbe contagiato anche Di Maio – è che Conte sia troppo sensibile alla linea europeista e non voglia entrare in conflitto con il Quirinale, concedendo troppo all’Ue sullo sforamento dal deficit per non incorrere nella procedura di infrazione. Mentre Lega e M5S vogliono occupare la scena con flat tax, Tav, autonomia e sicurezza, salario minimo e aiuti alle famiglie.

Misure non certo in linea con le richieste di Bruxelles sui conti italiani anche se Tria rassicura: “Troveremo una soluzione perché il governo rispetta le regole di bilancio”. E sul deficit, aggiunge, “andremo intorno al 2,2-2,1%”, senza manovra correttiva usando i risparmi di Reddito di cittadinanza e Quota 100. Ma l’offensiva di Salvini e Di Maio serve anche per fare pressione sull’altra partita governativa: le nomine europee.

I due vicepremier vogliono come commissario italiano una figura politica. Che non si rispecchia, però, nel nome che circola in queste ore: il ministro degli Affari esteri e cooperazione internazionale Enzo Moavero. Un europeista di lungo corso e “gran ricucitore” che, a Mezz’ora in più (Rai3), senza dirlo esplicitamente, ha fatto intendere di essere ben disposto al nuovo incarico. Ma di tempo non ce n’è molto. Giovedì ci sarà il Consiglio dei ministri in cui Conte chiederà un impegno preciso ai due alleati per governare, altrimenti si dimetterà come detto pubblicamente lunedì scorso. I due leader dovranno trovare una quadra sul rimpasto, anche se pubblicamente non ne parla nessuno. I 5Stelle puntano ad affidare l’Economia a un leghista, per esempio Giancarlo Giorgetti, al posto dell’odiato Tria, e a mettere sul piatto qualche altro ministero “tecnico” (oltre ai Rapporti con l’Ue lasciato vacante da Savona, già in quota Lega), per non sacrificare troppo sul piano dei contenuti. Salvini non ha ancora scoperto le sue carte, anche se tra i ministeri nel mirino dei leghisti ci sono la Sanità e i Trasporti.

La Lega espugna Ferrara. Il Pd riconquista Livorno

Forse non è corretto attribuire un significato nazionale a questi ballottaggi, ma alcuni risultati hanno un valore simbolico: la destra per la prima volta nella storia elegge un sindaco a Ferrara e Forlì, due bastioni dell’Emilia Romagna rossa. Due municipi che non avevano mai conosciuto una giunta che non fosse del Pci e dei suoi eredi, giù fino al Partito democratico (solo Forlì era stata guidata dai repubblicani negli anni 50 e 60). Non a caso il primo commento politico – con lo sfoglio iniziato da poco più di un’ora – è quello di Matteo Salvini. La sua analisi del voto è semplice: “Straordinarie vittorie della Lega ai ballottaggi, abbiamo eletto sindaci dove governava la sinistra da settant’anni”.

Ora al Comune di Ferrara sventola bandiera leghista, il nuovo sindaco si chiama Alan Fabbri, ingegnere 41enne, salviniano ortodosso e amico ventennale del “capitano”, amante della musica rock dalla folta chioma nera: lo chiamano “il Guazzaloca col codino”, ricordando quel sindaco che permise a Forza Italia di sottrarre per la prima volta Bologna alla sinistra. All’epoca pareva una bestemmia storica, oggi le Regioni rosse praticamente non ci sono più.

Il centrodestra si prende anche Forlì, come detto, con un candidato più moderato e “civico”, Gian Luca Zattini. E poi mette le mani su un altra bandiera rossa (amaranto) in Toscana, la Piombino delle acciaierie e del porto industriale, città operaia per eccellenza. La conquista un candidato postmissino, Francesco Ferrari di Fratelli d’Italia: un uomo della Meloni in una città ex comunista.

A pochi chilometri di distanza, invece, Livorno torna al centrosinistra: dopo la breve parentesi di Filippo Nogarin e dei Cinque Stelle, il giornalista Luca Salvetti restituisce la città al Pd.

Il bilancio complessivo del partito di Nicola Zingaretti non è drammatico: i dem mantengono Cesena, Reggio Emilia, Prato, Cremona e Verbania (con la vittoria del neo-sindaco Enzo Lattuca e le conferme di Luca Vecchi, Matteo Biffoni, Gianluca Galimberti e Silvia Marchionini). Il centrosinistra conquista Rovigo per una manciata di voti, mentre il centrodestra si prende Biella e si tiene Foggia e Ascoli Piceno.

Il Movimento Cinque Stelle, sconfitto praticamente ovunque al primo turno, al ballottaggio correva solo a Campobasso. E lì ha avuto la meglio: il nuovo sindaco del capoluogo molisano è il grillino Roberto Gravina, che ha dominato sulla candidata di centrodestra Maria Domenica D’Alessandro. Lo sfoglio è ancora in corso, ma Gravina dovrebbe avvicinarsi al 70%: su di lui evidentemente sono confluiti i voti del Pd. Si parlava di un “patto di desistenza” in Molise tra dem e Cinque Stelle. Ma a Termoli – l’altro Comune interessato – il soccorso grillino non è arrivato: il candidato del centrosinistra Angelo Sbrocca nello sfoglio è in netto ritardo rispetto al forzista Francesco Roberti.

L’unico capoluogo in cui la contesa è quasi aperta (nel momento in cui questo giornale va in stampa) è Potenza: dovrebbe vincere il centrodestra di Mario Guarente, ma il “civatiano” Valerio Tramutoli – che al primo turno aveva sconfitto anche il Pd – è vicino e potrà rivendicare (se non altro) di aver sfiorato l’ impresa. In pratica nei capoluoghi le due coalizioni fanno pari e patta: in attesa di Potenza il risultato parziale è 7 a 7.

Nel complesso però il centrodestra ha recuperato terreno: alla vigilia dei ballottaggi – ha calcolato YouTrend – la situazione nei Comuni con più di 15 mila abitanti era di 149 sindaci di centrosinistra e 39 centrodestra. Se confermati i risultati parziali avremo invece 100 sindaci di centrosinistra e 83 centrodestra.

La vera sconfitta è ancora una volta l’affluenza: si passa dal 68,2% del primo turno al 52,1% di ieri.

Ma mi faccia il piacere

Matteo Vasa Vasa. “Un bacione a Saviano. Stiamo lavorando a una revisione dei criteri per l’assegnazione delle scorte” (Matteo Salvini, Lega, vicepremier e ministro dell’Interno, Facebook, 30.5). Minchia, che bedda casa, che bel negozziu, che bbedda mugghiera, che beddi picciutteddri: tutti infiammabbili!

Mi sono frainteso. “Matteo Renzi non ha mai parlato di pop-corn in riferimento alla nascita del governo dei sovranisti” (ufficio stampa di Matteo Renzi, senatore Pd, 10.5.2018). “La tattica del pop-corn dà una nuova chance al Pd e dimostra l’inconsistenza del M5S” (Renzi, Repubblica, 28.5). Ormai è così malridotto da vantarsi di aver detto cose che aveva sempre smentito.

Moderati. “Un nuovo partito di centro vale più del 10%. Renzi? È in grado di parlare ai moderati” (Pier Ferdinando Casini, Il Messaggero, 4.6). Il guaio è che, appena ci parla, i moderati diventano subito incazzati.

Bisogni impellenti. “Il prossimo governo avrà bisogno di Forza Italia” (Livio Caputo, il Giornale, 8.6). Per farsi quattro risate.

Ritorno a casa.“Mediaset lancia la sfida pan-europea. Holding legale ad Amsterdam” (il Giornale, 8.6). Quella illegale resta ad Arcore.

Senti chi parla. “I giudici devono essere terzi e imparziali” (Giuseppe Patroni Griffi, presidente del Consiglio di Stato, Corriere della sera, 8.6). Dev’essere un omonimo del Giuseppe Patroni Griffi ministro del governo Monti e sottosegretario del governo Letta.

Fusanate. “Grillini e leghisti, lo strano silenzio sulla spartizione. Su Roma Davigo ha votato per il candidato di Palamara” (Claudia Fusani, La Stampa, 6.6). No, Davigo ha votato per Marcello Viola di MI, mentre la corrente di Palamara, Unicost, ha votato per Giuseppe Creazzo (Unicost). E forse i grillini e i leghisti tacciono sulla spartizione perché l’han fatta Lotti e Ferri, deputati del Pd. Non è difficile, ce la si può fare.

Meno male che Silvio c’è. “C’è tanta enfasi attorno a Salvini, ma Berlusconi ha raggiunto il 37-38 per cento ed è stato un grandissimo leader!” (Nicola Zingaretti, segretario Pd, 5.6). “È arrivato il momento che in Forza Italia scorra il sangue! Basta supercazzole!” (Laura Ravetto, deputata FI, Libero, 30.5). Ormai B. non piace più ai suoi. Ma gli resta sempre il Pd.

Le grandi scoperte. “La Repubblica delle Idee, fra gli ospiti Fabio Fazio: ‘La Rai è terreno di scontro della politica’” (Repubblica, prima pagina, 8.6). Ma va? Ma siamo proprio sicuri?

Prima e dopo la cura. “Notte serena Amici, oggi non c’è un cazzo da festeggiare” (Matteo Salvini, europarlamentare Lega Nord, Twitter, 2.6.2013). “Non capisco cosa ci sia da festeggiare… il 2 giugno c’è poco da fare parate e sventolii. Io eviterei un giorno di festa, risparmierei i quattrini, è una presa in giro, ipocrisia. È una festa della Repubblica invasa e disoccupata, sarebbe da abolire” (Salvini, europarlamentare e leader Lega Nord, La Zanzara, Radio24, 31.5.2016). “#Buonadomenica e buona #FestadellaRepubblica, Amici. Orgoglioso di poter esercitare il mio ruolo di governo sempre a difesa dell’Italia! #2giugno” (Matteo Salvini, leader della Lega, vicepremier e ministro dell’Interno, Twitter, 2.6.2019). A Salvi’, facce Tarzan!

Poveretto, come s’offre. “Non possiamo più permetterci un esecutivo in mano ai grillini” (Marcello Veneziani, La Verità, 4.6). Manco uno strapuntino m’hanno dato.

Che pretese. “Salario minimo, stangata da 15 miliardi. Allarme Confesercenti: ‘Per le imprese costi esorbitanti, a rischio gli equilibri dei contratti’” (La Stampa, 4.6). Non c’è limite alla sfrontatezza: ora manca soltanto che questi lavoratori pretendano pure uno stipendio.

Il titolo della settimana/1. “Paperino, il veterano degli anticomunisti. L’eroe borghese compie 85 anni. È l’emblema della sfiga. Nonostante abbia problemi di soldi ed è (sic, ndr) inseguito dai creditori, ha un’anima popolare di centrodestra” (Libero, 8.6). Gulp! Gasp! Squaraquack!

Il titolo della settimana/2. “Italia game over. Governo al capolinea. Parlamento bloccato. Economia nel mirino della Ue. Magistratura corrotta e pilotata dalla politica. È la tempesta perfetta. E sul Paese cala il buio” (copertina tutta nera de l’Espresso, 9.6). Ricordati che devi morire. Mo’ me lo segno.

Quando in tv la guerra era un lampo

E guerra fu. Le notizie rimbalzano insieme ai luccichii verdastri in questa triste notte mediorientale, strisce luminose come comete annunciano in diretta la guerra. Nonostante l’atteggiamento cauto dei commentatori che raccontano “… la guerra giusta, la missione di pace e l’esportazione della democrazia”, abbondano i commenti e io cambio canale. Poi rimetto Rete 4. Poi ricambio canale. Tic tac, tic tac. Spingere il pulsante del telecomando mi sa di videogioco, di missile! Mi limito a guardare la guerra sullo schermo, ma la verità è che sono bombe che cadono dal vivo e io non riesco seriamente a rendermene conto. Se per i telegiornali fino a ieri ci fermavamo al tasto numero tre, da stasera si arriva fino a quattro. La Fininvest inaugura con la guerra il suo primo telegiornale, in realtà sono due guerre, quella delle armi e quella dell’informazione con il primato della Cnn. Tic tac, tic tac. Il pensiero che la stessa informazione diventi un’arma un po’ mi raggela, ma sembra essenziale per combattere il nemico. Così dicono. Emilio Fede, andato via dalla Rai, è in preda a una eccitazione crescente e commenta con fare professionale e acuto, lui è il traghettatore degli ascolti dalla Rai alla Fininvest. Ha anche una faccia un po’ di bronzo per via della tintarella fuori stagione. Ci sono cresciuta coi telegiornali condotti da Emilio Fede, negli studi di via Teulada. Ma lì, a Cologno, nel nuovo set sbrilluccicante di lampi, mi sembra che abbia trovato una collocazione più sciolta e autentica. Come se cantasse: “In Fede, questo sono io… sempre libero deggìo…”. Certo è che suona strano questo entusiasmo, in fondo stiamo parlando di guerra. Ma la guerra, spesso, scatena l’adrenalina dei soldati, ma eccita anche gli animi di quelli senza divisa in un’esplosione mediatica. Tic tac, tic tac.

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

La prima Bibbia fu stampata su carta di canapa

Da qualche giorno sul web circola una notizia assai rinfrancante rispetto alla valanga di news di reati da cui siano ogni giorno travolti: Fabriano produrrà carta tratta dalla canapa o cannabis. Nello storico centro di produzione (sin dal 1264) della carta, subentrata all’uso del papiro e della pergamena materiali scrittori dell’antichità classica, vedrà dunque la luce un impianto sperimentale per la fabbricazione della carta fatta a mano attraverso la cellulosa di canapa. Vale la pena di ricordare che l’uso della carta di cannabis risale a 2000 anni fa e che di fibre di cannabis fu la Bibbia di Gutemberg, cioè il primo libro moderno a stampa con caratteri mobili. “Poi, analizzati i costi e le problematiche di smaltimento, oltre a tutto ciò che concerne la produzione di cellulosa, si penserà a fare un impianto più grande”, così dice Sandro Tiberi, l’ultimo grande maestro cartaio della grande tradizione italiana. Dalla cannabis, dunque, si ricaverà una carta più resistente per stampare, per scrivere, ecc. Ora, un timore va crescendo, legato al clima da caccia alle streghe appunto intorno alla cannabis e alla commercializzazione dei suoi derivati. Non è che dal Ministero degli interni partano direttive di ispezioni, controlli e magari qualche ‘interpretazione estensiva’ dell’ultimo pronunciamento della Corte di Cassazione in materia di cannabis? Qualcuno rassicuri il capo della Lega e i suoi colonnelli; si ricordi loro che la cultura è l’unica ‘droga’ che non produce assuefazione né rischi di overdose: non solo giornalmente se ne possono assumere dosi massicce, ma ‘vaccina’ contro il dilagare di luoghi comuni e bufale.

Facce di casta

 

Bocciati

La mossa del cavallo.

Mentre Matteo Salvini comincia ad avvicinarsi a grosse falcate verso la televisione di Stato, a fotografare quella che era e continua ad essere la Rai ci pensa Michele Anzaldi, zelante segretario della commissione di vigilanza Rai, che negli anni del sogno rottamatore non ha perso occasione, tra esposti e comunicati stampa, per polemizzare con chiunque si frapponesse tra la tv pubblica e l’ex segretario del partito democratico. “Il sogno di Salvini? Prendere il posto di Renzi per prendersi tutta la Rai. La profezia in un’intervista del 2016 a Roberto Poletti, il suo biografo nominato oggi conduttore di Uno Mattina proprio grazie alla Rai di Salvini. Ecco il video”: ha twittato Anzaldi, pensando di puntare il dito solo contro il segretario leghista. Il deputato dem, però, non si è reso conto che l’auspicio salviniano altro non è che la conferma di una televisione che tanto è destinata ad essere occupata oggi quanto fu occupata allora. Perché non c’è premier, o aspirante tale, che riesca a resistere alla tentazione di montare in groppa al cavallo di Viale Mazzini.

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Promossi

La buona sanità.

“Un turista americano si è sentito male e si è accasciato con la mano al petto. Il 118 è arrivato in pochi minuti, lo hanno stabilizzato e portato via. Non hanno chiesto se avesse l’american express o soldi, come accadde a me là. È uno dei tanti motivi per cui preferisco l’Italia”: in questo tweet di Guido Crosetto è riassunta una delle maggiori ricchezze di questo Stivale tanto bistrattato e mal considerato dai suoi stessi cittadini: il welfare italiano. Perché al netto di alcune inefficienze e di qualche caso di malasanità, abbiamo uno Stato che quando un cittadino sta male si prende cura di lui, senza subordinare l’aiuto alla presenza di un’assicurazione sanitaria. Sono pensieri come questo che rendono, non dico entusiasmante, ma senz’altro meno indisponente, il pensiero di pagare le tasse.

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Sotto il rumore niente.

Bisogna parlar di tutto, bisogna gridare allo scandalo, va fatto in fretta, perché tutti urlano e allora bisogna urlare più forte degli altri che sennò si rischia di perdere un giro. E così anche i giornali hanno ceduto alla tentazione di accusare l’Olanda di aver concesso l’eutanasia a Noa, diciassettenne dai forti disturbi psichici, senza verificare la notizia. Ma un tema scabroso e controverso come il diritto all’autodeterminazione della propria morte, soprattutto in un Paese che non riesce ad uscire dal vuoto normativo sul tema, era troppo ghiotto per darsi il tempo di approfondire. Il primo a frenare il bailamme mediatico, riportando le cose alla realtà, è stato Marco Cappato, che di questioni come questa se ne occupa davvero: “L’Olanda ha autorizzato #eutanasia su una 17enne? FALSO!!! I media italiani non hanno verificato. L’Olanda aveva RIFIUTATO l’eutanasia a #Noa. Lei ha smesso di bere e mangiare e si è lasciata morire a casa, coi familiari consenzienti. Si attendono smentita e SCUSE”. Ancora grazie a Marco Cappato d’impedire che questi temi in Italia restino lettera morta, eccetto qualche urlo allo scandalo.

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