Anche dopo i ballottaggi nei Comuni maggiori (oltre i 15mila abitanti) si conferma il risultato del primo turno: il centrodestra avanza, il centrosinistra tiene, i 5 Stelle sono imbattibili ai ballottaggi (ma ne hanno conquistato solo uno, Campobasso, dimostrazione che un Movimento nato con l’ambizione di cambiare la società a partire dal locale sia invece in quella dimensione sostanzialmente residuale).
Al di là dei risultati “simbolici” (la Lega che conquista Ferrara e Forlì in Emilia Romagna), questi sono i numeri generali delle amministrative tra primo e secondo turno: su 27 città capoluogo al voto in questa tornata (contando separatamente Forlì-Cesena e Pesaro-Urbino) il centrosinistra ha vinto in 14, il centrodestra in 12, i Cinque Stelle in uno; se invece si guarda ai 221 comuni superiori dopo i ballottaggi di domenica (136 in tutto) il risultato vede il centrosinistra governare 112 municipi, il centrodestra 85, i civici 23 e i grillini sempre uno.
Per capire perché si tratta di una vittoria della Lega e dei suoi alleati vanno tenute da conto due cose: intanto si partiva da 153 sindaci per Pd e soci (-41); 39 per la destra (+46) e due per i 5 Stelle (-1); in secondo luogo – come sottolinea Youtrend – i 221 Comuni al voto sono più “di sinistra” della media nazionale: considerando solo queste città la Lega il 26 maggio era al 31,7%(contro il 34,2), il Pd al 26,1%(contro il 22,7) e il M5S al17%.
La coalizione “raccolta” attorno al Pd ha in sostanza tenuto – specie in Emilia e Toscana – rispetto al tracollo nazionale, ma dovrebbe guardare al trend con preoccupazione. Queste sono infatti le terze amministrative in fila che perde: nel 2017- sempre parlando dei comuni sopra i 15mila abitanti – ne lasciò agli avversari 23 su 86, nel 2018 31 su 57, ora 41 su 153 (95 in due anni).
Ci sono almeno altre due cose da notare in chiave futuro. La prima è com’è andata, per così dire, nelle Regioni: in tutte la destra aumenta i suoi sindaci, ma stravince in Lombardia (19 a 14, dieci in più rispetto a prima), del Veneto (13 a 4, otto in più) e del Piemonte (9 a 8 con ben città conquistate). In Emilia Romagna e Toscana, anche se il saldo è negativo, resta in ampio vantaggio il centrosinistra: 28 comuni superiori contro i 6 del centrodestra nella prima; 30 a 5 nella seconda.
Notizie non tranquillizzanti, ma buone in vista delle Regionali che si terranno in Emilia Romagna a novembre e in Toscana l’anno prossimo: il rischio, però, che la candidata della Lega (dovrebbe essere la sottosegretaria Lucia Borgonzoni) espugni la regione rossa per eccellenza non è affatto scongiurato e nel centrosinistra iniziano a farsi due conti sull’elettorato e, per la precisione, su quello “grillino”, ormai vero ago della bilancia. E anche qui non c’è da stare allegri per Nicola Zingaretti (che vede spostarsi a destra quasi tutto il “suo” Lazio) e, soprattutto, per il governatore uscente Stefano Bonaccini (“sono pronto a sfidare la Lega”, ha detto ieri annunciando di fatto la sua ricandidatura). Gli elettori “residui” dei 5 Stelle, in sostanza, se non c’è un loro candidato preferiscono non votare e si rifugiano in genere nell’astensione nei ballottaggi (al 90% a Prato e Reggio Emilia, quasi al 100% a Cesena secondo l’Istituto Cattaneo); quei pochi che invece vanno alle urne non hanno uno schieramento preferito.
A differenza delle Comunali di un anno fa, insomma, non c’è più la “convergenza legastellata” (sempre il Cattaneo), visto che molti ex elettori grillini hanno già traslocato a destra, ma nemmeno un automatico sostegno al centrosinistra: per capirci, mentre a Campobasso gli elettori di sinistra sono andati a votare in massa il candidato grillino, probabilmente “contro” Salvini, lo stesso non è successo nei molti casi contrari.
Il sostegno a questo o quel candidato, insomma, è residuale e peraltro non predicibile, influenzato per lo più dalle dinamiche locali: se un pezzo maggiore dell’elettorato grillino che ha votato ai ballottaggi a Forlì e Ferrara è andato verso destra, a Cremona, a Reggio Emilia e Foggia s’è invece diretto verso sinistra.
Notevole, infine, il comportamento ai ballottaggi dell’elettorato di centrodestra: una parte – visto che l’affluenza al 52,1% significa oltre 16 punti persi rispetto al primo turno – si è sicuramente rifugiata nel non voto, ma i passaggi verso il centrosinistra sono sostanzialmente assenti (mentre il contrario è accaduto sempre). Come scrive l’Istituto Cattaneo, però, “quando l’avversario è il M5S le barriere che difendono l’elettorato di centrodestra si allentano: a Campobasso l’11% degli elettori di centrodestra si è diretto verso il candidato pentastellato”.