Startup “di merda”. Un piatto di pupù contro i prepotenti

Ci sono gli “assaggi di capra” – sei etti per 25 dollari – o le “delizie di pollo”. Ma anche gli spring roll di cavallo, 15 dollari, oppure il “pudding al cioccolato di vacca”, per finire con le più sofisticate “gocce di renna”. Ma no, non si tratta di prodotti commestibili, bensì di escrementi. Che si possono acquistare e spedire come dono, con tanto di gift card personalizzata, a qualcuno che ha commesso un’ingiustizia. L’azienda, che garantisce consegna in 3-5 giorni e un prodotto fresh and smelly, fresco e odoroso – si chiama I poop you, ha sede a San Francisco e consegna in tutti gli Stati Uniti pacchetti contenenti, letteralmente, merda di vari animali. Il sito suggerisce alcuni possibili destinatari: dall’amante alla suocera, dal vicino di casa alla banca che non ti concede il prestito, dal capo alla ex moglie. Perché farlo? Perché consegnare escrementi a volte è il modo migliore per convertire la rabbia in un’azione simbolica (e catartica), specie quando né il dialogo né la protesta hanno funzionato.

L’idea piace, se è vero che ci sono più startup che hanno scelto questo curioso business: Mailpoop.com, che spedisce escrementi di cane, ma anche Shiteexpress.com, che invia in tutto il mondo; e poi, ancora, c’è il più antico PoopSenders, nato nel 2010, il cui slogan è Always Fresh, Always Anonymous. Accetta pure soldi cash e permette di scegliere tra sterco di mucca, schifezza di elefante, cacca di gorilla e un Combo Pack, dal costo di 44,95 dollari, in cui le tre sono mischiate allegramente insieme.

I clienti sembrano essere soddisfatti: c’è chi racconta di aver goduto nel vedere la ragazzina con metà dell’esperienza passata avanti per un flirt col capo mentre apriva la scatola con merda sul desk. E chi ha potuto finalmente far capire al vicino di casa che non raccoglieva gli escrementi del suo cane che il suo barbaro agire non è passato inosservato. Ma spedire cacca a qualcuno è legale? Dipende dagli Stati, ma in generale lo è se resta nell’ambito dello scherzo, e dell’episodio isolato, mentre se fatto ripetutamente può diventare vera e propria intimidazione (e infatti, ad esempio, Ipoopyou.com spiega chiaramente che lo scopo non può essere la provocazione, lo stalking, l’umiliazione, il bullismo). Se non si arriva a questi estremi, l’idea è efficace e non è un caso che un editore per bambini, “Il Castoro”, abbia appena pubblicato un libro – scritto da Flavia Moretti e illustrato da Desideria Guicciardini – che si chiama Servizio Cacche per posta. Il protagonista è Teodoro, un bambino che inizia a mandare cacche di protesta quando scopre che due bulli gli hanno rubato la bici nuova. Teodoro – che ci tiene a distinguersi dagli hater – non vuole soldi e il suo obiettivo è solo quello di vendicare le ingiustizie.

Un’idea non violenta e ironica. Si potrebbe mettere in atto, ad esempio, contro le municipalizzate che non puliscono le strade o politici che trascurano il bene comune e l’ambiente. E la cui faccia di fronte al peculiare dono sarebbe, quella sì, un selfie perfetto.

La Settimana Incom

 

Bocciati

Il paradiso delle signore.

Prendiamo a prestito uno spassosissimo pezzo della Verità per raccontare l’inimmaginabile: “Nel suo prestigiosissimo ridotto dei palchi ha veduto bene di ospitare un’esposizione di lavatrici e frigoriferi di una nota casa coreana, da tempo partner commerciale del teatro lirico più famoso del mondo. Per un giorno, un tempio della musica si è trasformato in una sorta di negozio dell’Unieuro, dotato però di stucchi, colonne con fregi neoclassici e pesanti lampadari di cristallo”. Se vi state domandando dove è avvenuta cotanta mostruosa mostra, eccovi accontentati: alla Scala. Milano non ha paura proprio di niente (nemmeno dei mercanti nel tempio della lirica).

 

La prova del fuoco.

Elisa Isoardi, che vista dal vivo è bella ma proprio bella bella, ha pubblicato una sua foto al mare. Solo che non era in posa e non aveva olio spalmato sul corpo. Apriti cielo, come ti permetti di essere normale? Webeti scatenati: “Quando ti scattano una foto senza filtri e senza photoshop e ti rendi conto che sei una plus size chiatta col culo basso e con i polpacci da cinghiale”. Se domina il modello della perfezione non va bene perché è fascismo del corpo, ma pure la normalità non va bene. La tecnologia fa male.

 

Promossi

Picchio forever.

Pierfrancesco Favino ai Lunatici di RadioDue si racconta e spiega il suo successo con le donne: “Penso che se non avessi avuto un faro addosso forse non se ne sarebbero accorte.
Anche se in realtà non mi è mai andata troppo male con le donne. Sono anche cresciuto in mezzo alle donne. E poi magari incarno qualche cosa, un misto tra il mio aspetto fisico che è decisamente maschile e una sensibilità più ampia. Quando questa cosa traspare può essere anche attraente. Detto questo, se fossi donna io forse non mi piacerei. Tutti noi abbiamo una faccia ma vorremmo averne un’altra”. Però bisogna dire che la sua ha un sacco d’espressioni.

 

W Wertmüller.
L’Academy ha annunciato che tra gli Oscar alla carriera assegnati quest’anno c’è anche la statuetta per la regista e sceneggiatrice italiana Lina Wertmüller. Novant’anni, è stata la prima donna candidata all’Oscar come migliore regista, per il film Pasqualino Settebellezze nella cerimonia del 1977. Si è scatenata un’inutile polemica su chi l’ha sottovalutata (perché non di sinistra) e chi no. Ma un bel chissene? Onore a Lina, ai suoi occhiali bianchi, ai titoli lunghissimi, a Mimi Metallurgico, a Metalmeccanico e parrucchiera. E alla serie tratta dal Giornalino di Giamburrasca, che ci ha regalato tanta intelligente spensieratezza.

 

Nc

Confessione.
Dopo settimane di polemiche, è ora di vuotare il sacco: Mark Caltagirone è nostro padre. Amen.

Il privato è pubblico in casa Pd. Il Grande Fratello di Pezzopane

La prima volta non si scorda mai. E la seconda arriva a ruota: la deputata Pd Stefania Pezzopane è tornata nella casa del Grande Fratello, il 3 giugno. Lo scorso anno per riabbracciare il fidanzato, chiuso nella Casa da settimane, questa volta per recitare un discorso sull’amore, rivolto ai giovani ma autobiografico. Al suo fianco, con la faccia nascosta da nuovi tatuaggi tra cui una bara che per lui porta fortuna, il palestratissimo Simone Coccia Colaiuta.

Che ha 24 anni meno di lei, e passi, che ha fatto lo spogliarellista e passi pure questa, che le ha dato più di qualche motivo di imbarazzo, anche se lei dice mai e poi mai, e pure di gelosia, e chissà se passa.

Fini qui lui. Ma lei, parlamentare dem che viene direttamente dall’ex Pci, eloquio impostato di scuola Frattocchie, pasionaria quanto basta in difesa dell’Aquila distrutta dal terremoto, impegnata in battaglie che gli altri parlamentari della ex Margherita se le sognano, foto ricordo invidiatissima con Barak Obama con sfondo di macerie, lei sembra indifferente agli insulti, alle accuse e agli sberleffi che il popolo del web le riserva ogni santo giorno e anche a tutti i guai che questa storia le procura.

No, il partito non fiata e non ha mai fiatato, e figuriamoci oggi che sono cinque anni di fidanzamento. Cinque anni di paparazzate in spiaggia con perizoma e addominali al vento (per lui), in sella alla bici con gonnella svolazzante (per lei), di pianti e racconti strappalacrime da Barbara D’Urso (in coppia), di figuracce planetarie come quando Simone detto “Simo” disse di essersi piazzato secondo al concorso del più bello d’Italia e poi invece Striscia la notizia gli fece tana (si era solo fregato la fascia per scattarsi una foto con la Stef), cinque anni digeriti come nulla fosse, almeno ufficialmente.

“Questo è un tempo in cui si pensa a dividere. Tu sei grasso, tu sei basso. Non si capisce come sei – ha detto la Stef nella Casa del GF– E invece l’amore non ha confini, non ha colori, l’amore è una cosa bella. È il rancore, l’ostilità che trasforma le persone. È il rancore che vi dovete mettere alle spalle, perché il rancore vi fa brutti. Per raccontare una storia, una storia bella, dobbiamo far vincere l’amore”. Insomma, una frase da Bacio Perugina, che le ha però procurato un sacco di applausi. “Tu sei basso, tu sei grasso”: non conta come sei, dice di sé la parlamentare dem innamorata come una quindicenne. Lui, per tutta risposta ha annunciato che si tatuerà in faccia anche una foto della fidanzata, a suggello-tattoo del loro amore, accanto alla bara portafortuna.

E che sarà quindi mai la comparsata nella Casa del Grande Fratello, questi due non li tiene più nessuno. Il Pd ha altro a cui pensare e trattiene il fiato pensando che il bello (o il peggio) deve ancora venire: la Stef e Simo hanno infatti annunciato (sempre dalla D’Urso) le nozze entro l’anno.

Teniamoci quindi il Gf, trash che più trash non si può. Peggio di Pamela Prati e Mark Caltagirone. Ma quando mai, lapezzopà (come la chiamano all’Aquila) va avanti per la sua strada: se il Grande Fratello è trash non avete mai visto certi talk, ha ribattuto lei.

Come darle torto, e senza arrivare ai vecchi comunisti che si staranno rivoltando nella tomba, anche tanti suoi colleghi di partito alzano gli occhi al cielo: lei, così piccola e non proprio bella magari se lo merita pure un fidanzato alto e muscoloso e tanto più giovane. Insomma il privato non è più pubblico in casa Pd, come ai tempi di Togliatti e Nilde Iotti.

La macchina del bene: 60 volontari genovesi, solidarietà a tonnellate

Se volete sentirvi piccoli piccoli, dei signori nessuno, venite qui. Vi si squaglierà ogni alterigia. “Qui” significa un palazzotto eccentrico nel mezzo degli svincoli più ermetici e sfrontati di Genova ovest, Sampierdarena. Si chiama Musica for Peace (“creativi della notte”, sta scritto sopra). Vi si danno regolare appuntamento una sessantina di volontari. Obbligo di ritrovarsi il martedì sera per discutere e progettare, e almeno tre ore di lavoro a settimana, e se non mantieni l’impegno “amici come prima ma lì si chiude”. Perché dentro lo strambo immobile funziona, e deve funzionare al millimetro, qualcosa di simile a una macchina del bene. Vi si è appena chiuso il nono festival dell’associazione, ed è stato un successone. 80mila presenze. Cento artisti, 50 società sportive, 110 tra palestre e scuole di danza, ambasciatori e consoli a gogo.

Per entrare a sentire dibattiti e concerti, a cui ogni artista viene completamente gratis, non si pagano biglietti in euro. Li si paga invece in generi di prima necessità: alimentari, prodotti igienici, medicinali e materiale didattico. “Perché chi viene si senta coinvolto davvero, visto che deve andarsi a procurare qualcosa da donare a poveri, anziani, malati, bambini. E scegliere, pensarci. In questo modo il rapporto di solidarietà si allunga, ti impegna mentalmente, fisicamente”. Una filosofia creativa, che risponde al sorridente rigore con cui tutto qui viene condotto. Valentina Gallo è una delle persone che ci passano la vita, uno stipendio austero, “si sta qui senza orari, fino a che si finisce quel che c’è da fare, non è lavoro da ufficio”, scherza insieme a Michela. Non c’è qui dentro uno solo che non sia contento di dare una mano appena può. Chiara e Fred, Glauco e Lara. O Francesca. Eppure è un andirivieni di pacchi e di persone. Il motto è “Concretezza, trasparenza e comunicazione”. Con messaggio ben chiaro: noi non maneggiamo denaro privato. Nacque tutto con il genio e la barba di Stefano Rebora, direttore artistico di locali in tutta Europa. Valentina, 37 anni, lunghi capelli neri e tanta gratitudine per l’ex sindaca, “la Marta, che ci ha aiutato a nascere”, snocciola con pazienza veloce le attività della Onlus. Il progetto Solidarscuola, 150 istituti e 20mila studenti in tutta Italia, con educazione civica, diritti umani ed educazione ambientale. Oppure il progetto “dalla gente per la gente”, sei tonnellate di aiuti gratuiti consegnate ogni mese, assistenza medica gratuita grazie a una trentina di medici volontari.

E naturalmente il progetto “Che festival”, musica, teatro, sport, cultura, l’adrenalina a mille, epperò 30 tonnellate di materiale raccolto in dieci giorni. E poi “Cooperazione internazionale”, con i prodotti che non vengono spediti ma vengono portati personalmente per assicurarsi che tutto arrivi dove deve; e anche per vedere dal vivo bisogni e urgenze e raccontarli ai donatori. Mete privilegiate: Kurdistan e Palestina. “In particolare Gaza”, precisa Valentina, “perché è difficile trovare altrove una simile somma di drammi e di problemi”. Qui il linguaggio è multiculturale in tutti i sensi. Va dal “fidelizzare gli stakeholders” all’ “impatto sociale importante”. Tutto, del vecchio immobile abbandonato, è stato ripristinato o ricostruito dai volontari. Con materiale usato, legno e mobili, piastrelle e vecchie putrelle, da cui sono nati in geometrie impeccabili i magazzini, il bar, la biblioteca. Il tramonto inonda il campo sportivo polivalente, calcio, basket e pallavolo, mentre la terrazza panoramica dà un tocco da signori a una struttura sobria e castigata. “La nostra attività principale? La sensibilizzazione. Perché se questa non c‘è non si fa nulla di profondo, non si fa nessun cambiamento” (e dentro di me ringrazio Valentina perché non dice “non si va da nessuna parte”…). Sono oltre 500 le famiglie che risultano sensibilizzate direttamente ogni settimana attraverso la raccolta dei beni di prima necessità. Ed è un fenomeno che non conosce età.

“Un giorno trovammo tra gli alimentari la merenda donata da un bambino, ancora nell’involucro di stagnola. Un’altra volta un bimbo di 8 anni ci rimproverò perché tra gli articoli della Costituzione richiamati nei cartelli mancava il numero 8, quello sulla libertà religiosa. ‘La libertà di religione è importante’ ci spiegò”. Piccoli miracoli quotidiani. A centinaia. Capite ora perché dopo 10 minuti qui dentro vi sentite piccoli? Il guaio è che in copertina queste persone non ci finiscono comunque.

Medici contrari all’aborto. Donne straziate e giudicate: “Scansata come un fastidio”

 

Ciao Selvaggia, a settembre ho dovuto eseguire un aborto terapeutico al quarto mese perché il mio bravissimo ginecologo non si era accorto della malattia della mia bambina. Una malattia terribile, che non le avrebbe concesso scampo, se mai fosse arrivata a vedere la luce. Immagina il dolore. A tutto questo dolore si è aggiunto il trattamento che ti riservano in ospedale. Io sono abruzzese e nell’ospedale in cui purtroppo sono stata ricoverata i medici non obiettori erano solo due. Mi hanno rinchiuso in una stanzetta al buio, in ostetricia, dove potevo ascoltare le donne che partorivano i loro bambini sani. Le ostetriche, anche loro obiettrici, ti dicevano che il farmaco abortivo te lo dovevi prendere da sola “perché loro non sono affatto d’accordo”. Lo sguardo è quello del fastidio, del rimprovero. Ti lasciano nel tuo dolore su quel letto e tu su quel letto finisci di fare, ahimè, quello che nessuno vorrebbe fare nella sua vita, perché si tratta di un parto vero e proprio. Poi rimani lì, nel tuo letto sporco, a chiederti perché sia successo proprio a te. Dopo tutto questo orrore, mi hanno lasciata per due giorni e due notti senza mangiare, nell’attesa del raschiamento che pulisce tutto. Nel frattempo, mi hanno cambiato stanza, così da farmi vedere le mamme che allattavano i loro bimbi appena nati, mentre io, la mia, avevo dovuta mandarla da dove era venuta, perché non era fatta per questo mondo. Sono seguiti tre mesi di psicoterapia, perché ovviamente una cosa del genere non la superi con una passeggiata in riva al mare. Adesso mi sento un po’ meglio, sono di nuovo in attesa, terrorizzata a causa di tutto quello che ho passato. Ti ringrazio di nuovo per aver affrontato questa faccenda perché ultimamente si parla di aborto come se dietro a una scelta del genere si nascondessero superficialità o egoismo, tutti si interrogano su quello che accade prima, ma nessuno si chiede come si riduce la vita di quella coppia che purtroppo vive uno strazio del genere. Tutto qui. Grazie per avermi letta. Un abbraccio.

Anna

 

Ciao Anna, la questione degli aborti praticati in ostetricia è comprensibile, purtroppo non si riesce quasi mai ad isolare chi sta vivendo quel momento, a trovare uno spazio in cui non arrivino i vagiti dei neonati. Gli ospedali sono quello che sono. E purtroppo gli ospedali sono luoghi in cui da sempre, la vita e la morte si toccano. Chi dovrebbe fare la differenza è il personale, sempre. Un obiettore resta un medico e il medico deve mantenere la sua umanità, sempre, così come le infermiere e le ostetriche. Lo sguardo di chi assiste un paziente non può essere giudicante. Chi assiste non giudica. Cura.

 

Magistratura, il concorso truccato: “Temi copiati e già scritti, una truffa”

Cara Selvaggia, voglio raccontarti una cosa schifosa. In questi giorni si è svolto il concorso di magistratura e tra migliaia di persone c’era mia sorella. Benché sapesse che sarebbe stato molto difficile, ha tentato col senso di onestà che la distingue. Le scene assurde a cui ha assistito sono state innumerevoli, ma tra gente che vomitava, imprecava, fischiava, applaudiva o urlava, siamo arrivati all’apice. Hanno trovato una persona che aveva nascosto un cellulare in bagno con tutta la traccia eseguita del tema, e un’altra con la traccia già in mano. Inoltre: quante persone avranno imparato a memoria una traccia invece di aver tenuto nascosto in bagno un telefono? Ma soprattutto: chi è il coglione disonesto che dall’interno si è fatto corrompere e ha venduto le tracce? In questi giorni la magistratura non se la passa proprio bene e pensando a quello che è successo oggi direi che non ne sono neppure troppo stupita.

G.

Cara G., la questione davvero inquietante è che questa gente con le tracce nascoste sul cellulare o nella manica della camicia, questa gente che tenta di scavalcare altre persone oneste e magari più preparate, questa gente che commette illeciti, un giorno potrebbe giudicare gli illeciti altrui.

 

Bradley e Irina: la perfezione stonata e la rivincita (falsa) delle ‘bruttine’

Bradley Cooper e Irina si sono lasciati. So bene che è gossip da parrucchiere, ma è inutile nascondersi: noi bruttine speriamo che lui l’abbia lasciata per Lady Gaga e che la super top model Irina si trovi per una volta dalla parte delle perdenti. Sarebbe la rivincita delle bruttine, di quelle come me, abbandonate per donne più giovani, piacenti e sexy. È un pensiero cattivo ma credimi, c’era un perfezione stonata nella coppia Bradley/Irina: la prova che per noi bruttarelle fosse impossibile essere considerate da uomini esteticamente clamorosi come Bradley. Quando due bellissimi si ‘accoppiano’, le bruttine pensano sempre: mandano avanti la loro razza, belli in un mondo di belli, si mescolano tra loro per avvantaggiare la specie. Sarò eccessiva e naturalmente scherzo un po’, ma tutte le mattine apro il giornale e spero di trovare il bacio tra Bradley e Gaga. Sapere che ha vinto una di noi mi regalerebbe il sorriso.

Ludovica

Cara Ludovica, io non vorrei sgonfiare la tua idea di riscatto, ma Lady Gaga una di noi un corno. Non conosco i dettagli della tua vita, ma nel caso, Bradley avrebbe lasciato una top model internazionale per una cantante milionaria. Non proprio per la segretaria racchia del suo commercialista. Così, per amor di verità.

 

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La rivoluzione razzista di Trump. “Aiutare i deboli era onorevole”

Giunge in questi giorni nelle librerie americane, e in quelle italiane (come Feltrinelli, che hanno quasi subito nuovi libri inglesi e americani) un libro che provocherà sorpresa e dibattito anche nello spazio politico e culturale che un tempo chiamavamo Occidente. Il libro di cui sto parlando è Hope and History (“La speranza e la storia”) editore Cornell University Press. L’autore è William vanden Heuvel, che era l’uomo più vicino a Robert Kennedy quando il giovane fratello del presidente era il ministro della Giustizia. Erano gli anni del movimento per i diritti civili di Martin Luther King, gli anni in cui Robert Kennedy fronteggiava il potente razzismo americano prima ancora che i media e la maggior parte degli americani si rendessero conto che un Paese razzista, per quanto grande e potente, non ha futuro. William vanden Heuvel era l’uomo sulle barricate, mandato da Kennedy a dire ai governatori razzisti: “Siete fuori dalla Costituzione americana” e “siete fuori dalla legge”. Fino alla minaccia di mandare l’esercito a proteggere i neri nelle Scuole e nelle università. Vanden Heuvel era il messaggero del Kennedy sul fronte del razzismo, la sua casa di New York era il luogo in cui si raccoglievano i fondi per la rivoluzione dei diritti civili, la sua attività di avvocato era impegnata nella difesa di quei diritti.

La copertina del libro mostra due giovani che vengono avanti in una strada di Washington, intenti a scambiarsi domande e a cercare risposte. Sono l’autore del libro e Robert Kennedy, probabilmente negli anni di Selma, della polizia locale, guidata dai governatori razzisti, che usavano i cani e i poliziotti a cavallo contro i dimostranti, delle marce ostinate e non violente dei neri, l’inspiegato miracolo di Martin Luther King.

Ma i capitoli del libro dell’ex assistente di Bob Kennedy, che in seguito è stato ambasciatore (per il presidente Carter) alle Nazioni Unite, e poi garante dei detenuti dello Stato di New York, sono un doloroso promemoria per i lettori americani del grande rovesciamento di valori avvenuto negli USA dal tempo del libro al tempo di Trump. Nella prima parte, Heroes and Mentor (eroi e guide) vanden Heuvel cita i maestri di un’epoca, a cominciare dal presidente Roosevelt I (a cui adesso, a quasi 90 anni vanden Heuvel ha dedicato un grande parco di New York). La seconda parte è The revolution for Justice ed è un elenco di leader che hanno lottato per la riforma della giustizia in America. Una terza bellissima parte è intitolata Prisons and Prisoners, prigionieri e prigioni, ed è forse uno dei saggi, storici, sociologici, politici, più importanti della vita pubblica americana, con il coraggio di rivelare la vera condizione della detenzione in America.

La frase “lasciar marcire in prigione” così cara a un popolare leader italiano in un Paese senza polizia, è anche la parola d’ordine degli sceriffi di Trump: arrestare e dimenticare. William vanden Heuvel (spero presto tradotto in Italia) parla d’America per parlare del mondo. Ricorda con coraggio e malinconia il tempo in cui era onorevole battersi in difesa di coloro che sono esclusi dal grande benessere.

Cosenza, il centro si sbriciola ma la ricetta sono le ruspe

Tornare a Cosenza è sempre bellissimo, e insieme straziante. La città vecchia, che culmina nella splendida cattedrale, è ancora in gran parte disabitata. Con le assi incrociate e inchiodate sulle porte, come in una città bombardata o decimata da una pestilenza. E il corpo urbano monumentale si sbriciola: crollo dopo crollo. Qualche mese fa si è staccato l’ennesimo balcone, per fortuna senza uccidere nessuno.

Quasi una risposta alla visita del ministro per i Beni Culturali, che a gennaio era stato a visitare il centro e a incontrare i cittadini, guidato dal presidente dell’antimafia Nicola Morra, che a Cosenza è di casa, e dalla senatrice e archeologa calabrese Margherita Corrado.

La città storica, in posizione naturale ineguagliabile – come appesa tra il Busento, i colli il Castello fridericiano – versa sempre tra la vita e la morte, e nulla sembra capace di destarla dall’agonia. Per amara ironia, il ciclone giudiziario che potrebbe liberare la città dal suo sindaco-padrone Mario Occhiuto investe anche il fantomatico, e vagamente jettatorio, Museo di Alarico, questa scatola piena di vento che da anni funziona da arma di distrazione di massa: veicolando il dibattito e le energie lontanissimo dal centro del problema, che è invece il nesso tra le pietre storiche e il popolo che non c’è.

Occhiuto, da parte sua, una strategia ce l’avrebbe, visto che nel 2017 ha speso la bellezza di 384.768,87 euro per il centro: peccato che ad esser finanziati non fossero restauri, ma demolizioni. Già, le ruspe si sono portate via vari palazzi di isolati settecenteschi nell’indifferenza pressoché generale (se si esclude la voce dell’archeologo Battista Sangineto, che da anni si batte come un leone per la città e la sua storia): un modo spiccio per mettere ‘in sicurezza’ il centro, e magari far posto a nuove costruzioni.

E ora che sono arrivati i soldi veri – 90 milioni di euro di fondi Cipe – il punto è come spenderli: con quali priorità, con quale credibilità. Con quale progetto di città.

Perché l’apertura di alcuni coraggiosi negozi, i caffè sul Corso Telesio con la loro musica alta fino a notte (ascoltarli è un’ esperienza estraniante, che ricorda così tanto l’Aquila: quasi che le vibrazioni delle casse avessero il potere di scacciare i fantasmi della solitudine e dell’abbandono), l’apertura in pieno centro della sede della Fondazione del Premio Sila sono tutti piccoli segnali di futuro. Ma è chiaro che non basteranno, e non basterà nemmeno restaurare gli edifici pubblici: la sfida è ricostruire il tessuto abitativo, e riportarci i cittadini.

Cosenza come l’Aquila, o come Venezia: città colpite da catastrofi diverse, ma che potrebbero essere salvate nello stesso modo, cioè con uno straccio di visione. Con la consapevolezza che sono la presenza di servizi e la garanzia di una seppur minima vivibilità quotidiana a creare le condizioni per un ripopolamento.

Come sempre, esiste un gruppo di cittadini consapevoli, che avrebbe ben chiare le strategie e le priorità: associazioni come ‘Prima che tutto crolli’ (mai nome fu più azzeccato), Civica Amica (che si batte da anni perché la Biblioteca Civica possa tornare a vivere e a svolgere il suo ruolo di traino culturale della città) e il Comitato Piazza Piccola.

Ma alle iniziative dal basso nelle quali i cittadini chiedono di decidere il futuro insieme agli amministratori, questi ultimi sistematicamente non si presentano. Tanto da far perfino pensare che forse è meglio che quei 90 milioni rimangano a Roma: perché in una città che è riuscita a buttare 20 milioni in un lunare ponte di Calatrava che collega il niente al nulla (mentre altri 40 milioni serviranno alle opere di urbanizzazione), solo san Francesco di Paola in persona potrebbe immaginare tutti i modi in cui quel denaro finirebbe con l’essere sprecato, rubato, giocato contro il futuro. Ma basterebbe poco: basterebbe prendere questa lucidissima analisi del Comitato Piazza Piccola per avere già tutte le linee di spesa di quei benedetti 90 milioni: “Ravvisiamo anche la mancanza di politiche economiche e sociali ad ampio raggio, capaci di ridare dignità ed emancipazione a tutti quei residenti che vivono in condizioni precarie e tese a rendere il territorio un’occasione di sviluppo nel rispetto della sua storia. Per contrastare questa situazione il comitato si è adoperato nella costruzione di una rete fra diverse realtà sociali agendo su diversi aspetti: ne sono conseguenza un lavoro d’inchiesta realizzato in maniera autonoma dalla associazione “Pangea” che ha dato vita ad una mappatura di tutti i fabbricati del centro storico che presentano fragilità strutturali redigendo delle schede tecniche sullo stato attuale dei fabbricati classificandoli in base al grado di rischio restituendo così una visione complessiva dello stato di salute del centro storico; la creazione di un ambulatorio medico e di ascolto psicologico capace di sopperire di una sanità pubblica sempre più allo sfascio; il coordinamento sinergico fra diverse realtà che operano e garantiscono l’accompagnamento scolastico, l’interazione famiglie-scuole, doposcuola e attività ricreative e ludiche per bambini e adolescenti; apertura di sportelli di sostegno sociale, sostegno al lavoro, e di supporto alle famiglie riguardo le questioni carcerarie; organizzazione di eventi di carattere culturale e artistico coinvolgendo il quartiere”.

Come dire che salvare la città vuol dire salvare la democrazia: ed è proprio per questo che a Cosenza si gioca il futuro di tutti.

Roma, racket in corsia: ambulanze illegali

Il racket delle ambulanze abusive a Roma, scoperto dai carabinieri la scorsa settimana, somiglia molto ai taxi illegali. Ricorda anche l’illecito giro lucroso delle pompe funebri che ha già coinvolto ospedali della Capitale e di altre città italiane. La malavita intercetta il bisogno e lì si insinua.

Queste ambulanze in nero (3 sono state sequestrate) vecchie e non a norma, venivano chiamate per il trasporto secondario, ovvero verso il domicilio o clinica privata dopo le dimissioni. Un servizio molto richiesto (se la persona è anziana, con disabilità o allettata) che non è a carico del pubblico. Cui spetta invece il trasporto di emergenza (il 118 per intenderci) oppure il trasferimento dall’ospedale verso un’altra struttura sanitaria per completare diagnosi e cura. Per evitare la truffa: diffidare da chi si avvicina in corsia con un biglietto da visita, e chiedere all’urp della propria Asl l’elenco delle ditte private accreditate dalla Regione per il trasporto privato con ambulanza. Se poi la barella si muove avanti e indietro, il mezzo è irregolare.

Risparmio, rendimento e rischio non sempre vanno a braccetto

“I Btp italiani sono più rischiosi di quelli greci”, ha recentemente sbattuto in prima pagina il Sole 24 Ore. Il motivo? I titoli quinquennali del Tesoro rendevano leggermente più di quelli ateniesi, il che significherebbe maggiori probabilità di fallimento per l’Italia rispetto alla Grecia. Il Fatto Quotidiano ha subito contestato tale conclusione affrettata.

Ma il discorso merita di essere ampliato, per smontare uno dei tanti falsi teoremi dell’educazione finanziaria. Cioè che rendimento e rischio vadano sempre a braccetto. In realtà molte sono le eccezioni alla tesi che i titoli che rendono poco siano sempre i meno rischiosi (e viceversa). Una regoletta troppo semplicistica per la complessità della realtà finanziaria.

Prendiamo la famigerata iniziativa “Patti Chiari” delle banche italiane. Fra i titoli definiti a basso rischio e basso rendimento c’erano le obbligazioni delle tre banche islandesi, poi fallite, e soprattutto le Lehman Brothers. Che rendessero poco era vero, alla faccia però del basso rischio!

Analogo discorso per obbligazioni subordinate di Banca Etruria, Banca Marche ecc. È falsa la versione avvalorata da esponenti del Pd, per coprire la loro pessima gestione delle crisi bancarie. Cioè che erano tutti titoli straconvenienti scelti da speculatori. Falso, alcuni erano stati rifilati agli sportelli a tassi vicini a quelli dei titoli di Stato, ma con rischi ben maggiori. Tanto che furono azzerati, ingloriosa fine che non toccò invece a nessun Btp e Cct.

Non è, però, neppure vero che un’alta redditività da sola implichi sempre un maggiore rischio. In mano a risparmiatori italiani vi sono ancora buoni fruttiferi postali sottoscritti nel 1996. Alcuni di essi rendono l’11,5% annuo fino al 2026, mentre altri fruttano solo lo 0,5%. Forse che i secondi sono più sicuri dei primi? No, da nessun punto di vista.

Tornando ai Btp, in effetti per un risparmiatore italiano essi sono sostanzialmente meno rischiosi di quelli greci o di altri paesi in condizioni analoghe. Cioè con una finanza pubblica non proprio a prova di bomba. Sono meno rischiosi indipendentemente dal livello di redditività, in quanto per essi è scontata una qualche salvaguardia fino a una certa cifra, almeno per i piccoli risparmiatori, nella malaugurata eventualità di un default dell’Italia.

Vedi gli indennizzi ora per le banche “fallite” e prima per l’Alitalia. Coi titoli greci un italiano non può aspettarsi nessuna tutela simile, che Atene negò addirittura ai propri stessi cittadini.

Assegni familiari, si cambia. A breve la richiesta fai-da-te

Il primo luglio è una di quelle date da segnare sul calendario e da cerchiare in rosso per svariati motivi che chiamano in causa mezza Italia. Tra le tante novità che scatteranno tra tre settimane ci sono l’entrata a regime della fatturazione elettronica per 3,2 milioni di contribuenti; oltre 1,2 milioni di persone che hanno fatto richiesta per la rottamazione ter riceveranno il responso del Fisco con l’accoglimento o il rifiuto della domanda; ci sarà l’addio allo scontrino cartaceo per oltre 260mila esercenti con ricavi superiori a 400mila euro. E, soprattutto, per le famiglie debutta l’obbligo di presentazione telematica della domanda per gli assegni familiari (Anf). In altre parole, se da sempre è stato il datore di lavoro a occuparsene, facendo compilare un modulo al dipendente, dal primo luglio la domanda di erogazione dell’assegno per il nucleo familiare va trasmesso direttamente all’Inps che effettuerà i necessari controlli e, sulla base delle nuove tabelle aggiornate per il 2019, erogherà gli assegni per il secondo semestre dell’anno e per il primo del 2020 (le richieste valgono infatti dal 1 luglio 2019 al 30 giugno 2020), calcolati sulla base dei redditi 2018.

La decisione, annunciata dall’Inps con una circolare a fine a marzo, è passata finora piuttosto in sordina ma coinvolgerà nelle prossime settimane tutti i circa 2,8 milioni di dipendenti che attualmente percepiscono questa forma di sostegno al reddito, per un importo totale che supera i 3 miliardi l’anno.

La nuova regola, già attiva dallo scorso primo aprile solo per i nuovi richiedenti, cioè coloro che hanno iniziato un lavoro dipendente e si sono trovati a dover richiedere l’assegno familiare, dal primo luglio varrà quindi per tutti i dipendenti che, solo dopo aver compilato il 730 o l’Unico, potranno autocertificare il proprio reddito familiare tenendo conto anche di tutti i cambiamenti avvenuti nella composizione del nucleo familiare e le eventuali novità intervenute nella composizione, come ad esempio il fatto che sia nato un figlio o che un altro abbia compiuto i 18 anni.

È questo il passaggio che finora avveniva in azienda e che ora, invece, richiede l’interessamento del lavoratore che deve servirsi solo della procedura telematica che può avvenire fai-da-te o tramite patronati e commercialisti. Nel caso si decidesse di presentare la domanda degli assegni familiari da soli bisogna munirsi delle credenziali dell’Inps (il Pin dispositivo o lo Spid) e accedere al sito, dove c’è una sezione dedicata. La nuova procedura non interessa, invece, gli operai agricoli a tempo indeterminato, che continueranno ad utilizzare la consueta domanda cartacea. Il lavoratore dovrà poi comunicare l’esito positivo della richiesta al datore, il quale avrà accesso ai dati necessari per il pagamento degli Anf.

Tecnicamente, per avere diritto all’assegno il reddito dev’essere composto per almeno il 70% da redditi da lavoro dipendente o ad esso assimilabili e compreso nei limiti indicati annualmente dall’Inps. Fanno parte del reddito complessivo le somme soggette ad Irpef, oltre a quelle esenti o soggette a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o imposta sostitutiva se superiori a 1.032 euro annui.

Sono tre le motivazioni che hanno spinto l’Inps a questo importante cambiamento: le prime due sono a tutela del lavoratore, mentre la terza nasce dai casi di abuso o uso scorretto dello strumento. L’Anf, infatti, come ricorda l’istituto nella sua circolare, è una prestazione che spetta per legge al dipendente anche se erogata insieme allo stipendio dal datore di lavoro, indipendentemente quindi da eventuali errori o omissioni di quest’ultimo. Con la nuova procedura l’Inps potrà determinare gli importi teorici mentre l’azienda, prima di inserirli in busta paga, si limiterà a parametrarli al contratto applicato e all’effettivo orario di lavoro, riservandosi poi di recuperare le somme dall’Inps. Su questo versante, quindi, i lavoratori saranno maggiormente tutelati. E anche le esigenze di salvaguardia della privacy su dati sensibili potranno avere una salvaguardia più efficace.

Allo stesso tempo, però l’Inps, ricevendo direttamente le domande dei lavoratori, avrà la possibilità di controllarne in modo più facile la veridicità, attraverso l’incrocio con i dati già in proprio possesso ed anche con quelli di Comuni e Agenzia delle Entrate.

Una procedura che facilita anche la trasparenza, dal momento che l’esito della domanda e gli importi massimi spettanti saranno visibili sul sito dell’Inps nella specifica sezione “Consultazione domanda”. Solo in caso di rigetto della domanda sarà inviato un provvedimento formale. Questo tutto in linea teorica. Di pratico ci sono già le posizioni di preoccupazione espresse dai patronati e dai commercialisti che temono una possibile confusione che potrà far erogare in ritardo gli assegni per il mese di luglio.