Poltrone: cari 5S, valorizzate il merito (e anche voi stessi)

“In Rai M5S e Lega si spartiscono autori e conduttori. Sembra di stare al mercato. Come e peggio di prima. Senza ritegno”.

Riccardo Laganà, consigliere Rai in rappresentanza di 13 mila dipendenti

Ancora più della Rai, dove l’attuale spartizione delle nomine è in totale coerenza con gli usi e costumi più indecenti della politica, colpisce la notizia del geriatra collocato dal governo gialloverde alla presidenza del Conservatorio Scarlatti di Palermo. E non fa affatto ridere che nello scombiccherato curriculum il dottor Mario Barbagallo abbia citato uno zio musicista. Oltre alla “passione per la musica classica” e all’“avere assistito a rappresentazioni musicali in molti dei più importanti teatri del mondo”. È come se l’autore di questa rubrica si facesse forte del suo abbonamento allo stadio per pretendere la presidenza della Roma. Che gli appetiti di Matteo Salvini si rafforzino in rapporto ai successi elettorali non può sorprendere considerata la famelica tradizione della Lega di governo. Stupisce invece la velocità con la quale i grillini hanno accantonato la religione del merito per accomodarsi, come tutti gli altri, al tavolo Rai dove si distribuiscono stipendi e poltrone. Secondo l’inveterato criterio dell’una a me e una a te. Eppure, quando i Cinque Stelle indicarono per il vertice di Viale Mazzini Fabrizio Salini, furono (fummo) in tanti ad apprezzare la scelta. Uomo di prodotto, privo di etichette di partito il nuovo amministratore delegato avrebbe certamente lavorato per migliorare il servizio pubblico radiotelevisivo con scelte improntate a competenza ed esperienza. Così pensavamo e così ha cercato di muoversi Salini fino a quando qualcosa nella catena di comando si è inceppato, probabilmente a causa dell’accresciuta invadenza del presidente sovranista (e salvinista) Marcello Foa. Al punto, come riferiscono le cronache, che la zarina di Rai1, Teresa De Santis, ha potuto stravolgere la struttura di Unomattina (con la cacciata di autori di provata capacità) per collocarvi un tal Poletti, biografo prediletto dell’arrembante Capitano. Con ciò “infischiandosene” (Laganà) della direttiva con cui Salini ha chiesto, correttamente, di privilegiare le risorse interne. Insomma, i buoni propositi sbandierati da Luigi Di Maio giusto un anno fa (“cacciare raccomandati e figli di…”) sembrano evaporare a contatto con l’esercizio quotidiano del potere. Senza contare le conseguenze della disastrosa sconfitta del 26 maggio scorso che potrebbe generare nel Movimento la sindrome del si salvi chi può. Non vogliamo credere alla vulgata secondo cui il M5S, vista la mala parata, sarebbe disposto ad accettare i diktat salviniani pur di conservare gli attuali assetti nel governo e nel Parlamento. Pensiamo, al contrario, che per recuperare almeno una parte del consenso perduto converrebbe ai Cinque Stelle ritornare a quello spirito originario che valorizzava il merito rispetto alle casacche, e che tante speranze aveva suscitato. Soprattutto ora con l’ondata di nomine che stanno per ridisegnare la mappa del nuovo potere pubblico, tra banche, authority, ministeri, apparati. Evitando, se possibile, di nominare l’ex compagno di scuola o il dentista di fiducia all’Accademia dei Lincei.

“Per Mediaset, la D’Urso non sarà mai abbastanza”

C’è, da sempre, un’aura di mistero che avvolge la dirigenza Mediaset. Difficile avere qualche dichiarazione in più di un comunicato, di quelli in cui si rassicura che gli ascolti vanno bene e i conduttori non litigano. Poi c’è Alessandro Salem, palermitano, direttore generale contenuti Mediaset, uno che a detta di tutti gode della piena fiducia di Pier Silvio Berlusconi e pure della fama di quello che ogni tanto allenta il nodo della cravatta e rinuncia a qualche formalità.

Il momento più delicato quest’anno?

L’operazione legata ad Adrian, con Adriano Celentano.

È stato difficile gestirlo?

Non è stata solo una difficoltà di gestione, ma anche di aspettative. Pensavamo che il progetto potesse avere un riscontro superiore, invece per molti motivi che poi abbiamo analizzato con Celentano e col suo team di autori, non ci sono stati i risultati che ci aspettavamo.


Adrian tornerà su Canale 5?

La considero naturalmente una partita ancora aperta: non dimentichiamo che stiamo parlando di Adriano Celentano. Lavoriamo perché il secondo tempo del match sia brillante e vincente: certo che abbiamo intenzione di tornare in onda.

A settembre?

La data non è precisa ma più o meno sarà quel periodo.

Uno dei fuoriclasse di Mediaset è Paolo Bonolis. Non è sprecato per Ciao Darwin?

È vero che lui è fuoriclasse e che potrebbe condurre qualsiasi cosa, ma sarei più generoso nei confronti di Ciao Darwin, perché è un programma che mescola sapori molto diversi. E in una tv generalista che fa intrattenimento pop, ha ancora oggi un grosso riscontro.

Gli ascolti vanno bene, ma mi chiedo se Bonolis non sia sottovalutato o se non si sottovaluti lui.

Affatto. Con Bonolis la rete non ha un rapporto statico, lui ha molta voglia di fare e noi stessi siamo i primi a volergli far fare le cose migliori, ma il pubblico ama vederlo alle prese con Ciao Darwin e non ci sono molti altri conduttori che potrebbero condurlo. Darwin è Bonolis, perché dovremmo toglierlo al suo pubblico?

Canale 5 in questa stagione è dursocentrico e Barbara D’Urso ha ascolti buoni, anche se non stellari. Non c’è il rischio di un’eccessiva identificazione della rete con Barbara D’Urso?

Stiamo cercando di fare una tv che offra una linea editoriale ad ampio spettro. Ora c’è una presenza importante della D’Urso, peraltro con un buon riscontro di pubblico, ma ci sono anche tanti altri generi di programmi. C’è un talent come Amici che fa vincere un cantante lirico, c’è un unicum come Striscia la Notizia e, nella fiction, c’è volontà di sperimentazione con linguaggi nuovi. Insomma, Canale 5 per definizione deve essere un mix di cose diverse.

Per la prima volta un conduttore ha quattro programmi su una rete.

Due dei quattro sono in daytime, i due in prime time ora coincidono, ma per un arco temporale limitato. Non pensiamo che questa presenza importante sia eccessiva, anzi.

I contenuti sono discutibili.

I contenuti sono organici a quel genere di programmi. Il problema semmai è non andare oltre certi limiti “editoriali” e tutti noi, a partire da chi conduce, siamo molto attenti perché abbiamo una forte responsabilità nei confronti di chi ci guarda. Poi certo, con tante ore di produzioni su tante reti qualche inciampo può capitare. La cosa importante è correggere immediatamente.

Il sabato sera di Canale 5 è della De Filippi. Lei ha chiesto una diversa collocazione per Amici, siete mai stati tentati di accontentarla?

Certo e siamo ancora tentati. Amici è un programma formidabile per i suoi contenuti e ogni anno facciamo varie valutazioni che condividiamo con la Fascino.

Quindi non è detto che nel 2020 vada di sabato.

Non è detto.

La Domenica pomeriggio di Canale 5 cambierà?

Dovrebbe rimanere così.

Striscia la notizia e Le iene sono considerate roccaforti autonome in Mediaset. Perché portano ascolti o perché Parenti e Ricci portano rancore se togli loro autonomia?

L’indipendenza editoriale dipende dalla capacità di generare ascolti e di produrre contenuti potenti. Tutti e due hanno questa capacità, sarebbe autolesionista frenare questa spinta.

Ricci e Parenti hanno caratteri niente male.

Tutti quelli che lavorano a quel livello di professionalità hanno carattere particolare. La sfida è riuscire a interloquire con questi caratteri, fatto sta che i loro programmi resistono in splendida salute all’usura del tempo.

Silvia Toffanin uscirà mai dal recinto di Verissimo?

Ci stiamo pensando. Silvia ha dimostrato di avere grande talento e la rete punta molto su di lei. È chiaro che non si può rinunciare a Verissimo perché come per Bonolis e Ciao Darwin c’è un forte processo di identificazione tra lei e programma, non sarebbe facile un passaggio di testimone.

Finita l’era di “L’onore e il rispetto” e simili, le fiction Mediaset ora hanno un corso più autorevole, penso a quella con Sabrina Ferilli sugli errori giudiziari.

Abbiamo fatto una scelta che pareva bizzarra, nominare come capo della fiction non un manager tv ma uno sceneggiatore, Daniele Cesarano. Dopo anni di crisi della fiction con una riduzione del numero di serate prodotte, ci siamo detti “cambiamo strada”, aumentiamo gli investimenti, rimettiamo al centro il racconto, il linguaggio e i personaggi.

Il tema di questa stagione tv è quello dei conduttori ospiti in reti concorrenti. Quanto tempo portano via queste trattative?

Dietro queste decisioni ci sono molti ragionamenti, e quello che poi succede non dipende solo da noi ma anche dall’altra parte, la Rai. Portano via un po’ di tempo ma ne portano via di più le azioni diplomatiche interne, quelle con conduttori della stessa squadra.

La De Filippi per la finale di Amici però ha schierato 4 conduttrici della stessa squadra, non era mai successo. Toffanin, Marcuzzi, Blasi, Hunziker. Un’idea sua?

Completamente sua.

È stato difficile farsi dire sì da tutte e quattro?

Ah, ci ha pensato Maria.

Voi avete detto: fai tu?

Visto che è stato un omaggio alla parte femminile di Mediaset ci è parsa un’ottima idea.

Su Italia Oggi sono usciti i compensi milionari dei conduttori Mediaset. Sono veri?

Completamente infondati.

In che senso?

Che sono eccessivi.

Sky e Mediaset fanno programmi simili, penso ad Amici e X Factor, a Tú sí que vales e Italia’s got talent. La sensazione però è che Sky riesca a dare a questi show un posizionamento più alto.

Penso che Sky ritenga l’intrattenimento non una componente strutturale ma uno strumento promozionale ed episodico. Per noi è invece la struttura portante della nostra offerta con un grandissimo volume produttivo, non promozione o vetrina.

Pier Silvio Berlusconi dice che la tv generalista non morirà mai. Come si fa a tenerla in vita?

Producendo contenuti originali con i migliori talenti italiani.

Considerato quanti punti di share sta regalando ad alcuni vostri programmi, state pensando di mettere sotto contratto Mark Caltagirone?

Lo stiamo cercando e le assicuro che dopo averlo trovato gli faremo un contratto blindato di almeno quattro anni. Lo faremo pure sposare.

Trivelle, Petroceltic rinuncia a tre permessi in Adriatico

Buone notizie per i militanti anti trivelle: lo scorso 3 maggio la Petroceltic, una grande compagnia petrolifera irlandese con importanti investimenti petroliferi in Italia, ha comunicato al ministero dello Sviluppo economico la rinuncia a tre permessi di ricerca che da soli occupavano buona parte del Mare Adriatico, e in particolare una grande area tra Abruzzo e Molise.

A dare la notizia, nei giorni scorsi, i movimenti e i comitati locali. “Al di là dei motivi economici della rinuncia (difficoltà monetarie e scarsa competitività dei prezzi del greggio), è innegabile che la continua azione di informazione e sensibilizzazione dei comitati locali ha contribuito a creare coscienza ed opposizione tra i cittadini – si legge in una nota dei comitati locali, come Trivelle Zero Molise e i Discoli del Sinarca, che fanno parte del Coordinamento Nazionale No Hub del Gas –, rallentando l’iter di concessione dei permessi e consentendo la crescita di quella coscienza sociale ambientale, ormai globale, che il movimento Fridays For Future sta facendo esplodere tra le giovani generazioni”.

Indebitarsi per l’università: cento milioni per i prestiti

Cento milioni di euro per finanziare i prestiti d’onore universitari: in questi giorni il ministero dell’Istruzione sta impostando il lavoro con i possibili intermediari finanziari che potrebbero rilasciarli, provocando la reazione dei comitati studenteschi, Link in testa: “Inaccettabile che per risolvere i problemi strutturali del sistema del diritto allo studio del nostro Paese si utilizzi uno strumento che porta gli studenti a indebitarsi per tutta la vita” hanno detto. Si tratta di soldi che arrivano dal PON Ricerca e competitività 2014-2020: la prima tornata da certificare a breve sarà di 38 milioni. E si dovrà fare in fretta, altrimenti il rischio è che vadano perduti. Sono fondi vincolati (dall’Asse I del Programma R&I 2014-2020 “Investimenti in capitale umano”) a un progetto ereditato dal ministero di Valeria Fedeli per finanziare i prestiti d’onore agevolati a 10 mila matricole di otto regioni del Sud. Nei mesi scorsi il ministero aveva avviato una consultazione online in forma di sondaggio per capire se agli studenti potesse interessare un prestito per le spese di frequenza e iscrizione all’università a condizioni agevolate e senza garanzie patrimoniali. La risposta era stata positiva per il 70% del campione. Negli uffici del sottosegretario dei Cinque Stelle con delega all’università, Lorenzo Fioramonti, l’idea di finanziare i prestiti non era proprio la benvenuta. A un certo punto hanno però dovuto decidere: non fare nulla avrebbe significato perdere i fondi europei. Da qui il rilancio della misura ma imponendo una serie di clausole di salvaguardia (dal tasso zero alla non restituzione in caso di condizioni economico-sociale disagiate). Bisognerà, però ora vedere se l’Autorità di Gestione riesca a trovare i giusti intermediari.

Secondo una indagine ex ante commissionata alla Banca Europea per gli investimenti, la domanda di finanziamenti da parte degli studenti non accolta dal mercato è quantificabile in almeno 225 milioni di euro nel periodo 2019-2023 secondo lo scenario più conservativo. A cui si possono accostare i numeri diffusi ad agosto da Facile.it e Prestiti.it: nei primi sette mesi del 2018 sarebbe stata di 87 milioni di euro la cifra in prestiti personali per sostenere le spese di studio, formazione e università su un campione di 75 mila domande sui due portali. Chi si è rivolto ad una società di credito ha cercato di ottenere, in media, 7.664 euro, da restituire in circa quattro anni e mezzo.

“Tutto questo – dicono invece da Link – mentre ci sono circa 10 mila borse di studio in meno che si sommano ai tantissimi idonei non beneficiari. Bisognerebbe rispondere con un investimento strutturale di fondi nel sistema del diritto allo studio, per raggiungere la copertura totale delle borse, degli alloggi, fare in modo che le tasse universitarie non rappresentino una barriera all’accesso, e non proporre agli studenti e alle studentesse di indebitarsi a vita”.

Questa sinistra ha perso il popolo perché non pensa più al lavoro

Gentile direttore, la ringrazio, e in particolare ringrazio la collega Silvia Truzzi, per l’attenzione riservata ai temi sollevati nella mia intervista a Repubblica. In effetti l’esigenza di ricostruire un rapporto con i ceti popolari e innanzitutto con il mondo del lavoro appare assolutamente prioritaria sulla via della ricostruzione del centrosinistra.

Sono rimasto colpito e dispiaciuto per l’assenza di reazioni nel campo politico cui si rivolge il mio preoccupato appello, salvo qualche sgraziata sortita priva di rispetto e di intelligenza a dimostrazione che il centrosinistra è, malgrado gli apprezzabili sforzi di Nicola Zingaretti, ancora infestato dai residui di un ceto politico che sembra non aver imparato nulla dalla lezione di questi anni, neppure sul piano dello stile. Vorrei però tornare su un punto sollevato per inciso da Silvia Truzzi, si tratta del riferimento alla volontà di “sospendere l’articolo 18” che sarebbe stata manifestata dal mio governo. Non ho alcun intento polemico, tantomeno di natura personale, anche perché la collega si è limitata a riprendere una ricostruzione leggendaria che ha avuto corso e continua ad averne. Ma questa ricostruzione non è vera.

Mi consentirà di citare ciò che io dissi nella famosa discussione con Cofferati che si svolse al Congresso del Pds dell’Eur: “Io sono convinto che l’articolo 18 vada difeso. Non siamo divisi su questo punto. Questa polemica finisce per oscurare il vero problema. L’articolo 18 protegge una minoranza dei lavoratori italiani. La totalità dei giovani ne è esclusa così come i parasubordinati e il grande mondo dei dipendenti delle aziende al di sotto dei 15 lavoratori”. E aggiungevo concludendo: “Sarebbe un errore farsi chiudere sulla difensiva dai falsi modernizzatori. È la sinistra che deve lavorare a ridefinire i diritti del lavoro alla luce delle grandi trasformazioni in atto”.

È in questa ottica che il governo propose una serie di misure volte a incoraggiare la crescita dimensionale delle imprese. Tra queste, l’idea di continuare per un periodo transitorio ad applicare alle imprese che superano i 15 dipendenti la normativa precedente. In tale senso certamente era prevista la non automatica applicazione delle tutele ai nuovi beneficiari. Ma con l’obiettivo evidente di accrescere, sia pure gradualmente, in modo significativo la platea dei lavoratori protetti. Si può condividere o meno questa impostazione e, all’epoca, Cofferati non la condivise ritenendo che si dovesse mantenere la rigidità della normativa esistente; tuttavia nessuno può disconoscere che quella discussione fu, tutta interna alla sinistra, sul modo migliore di difendere i lavoratori. “Una discussione in famiglia”, l’ha definita uno studioso attento come Piero Ignazi, nella quale non vi furono mai nell’ambito del centrosinistra accenti antisindacali o antioperai.

La realtà è che nel corso di questi lunghi anni non siamo riusciti a costruire un nuovo patto sociale capace di tenere insieme crescita economica, diritti del lavoro e welfare, malgrado i tentativi compiuti in questa direzione (penso alle politiche contro la precarietà fatte dal centrosinistra quando tornammo al governo nel 2006). Si è assistito a una progressiva erosione del rapporto tra il centrosinistra e il mondo frammentato del lavoro subordinato, in particolare dei lavoratori precari e meno protetti. Questo logoramento ha assunto la forma di un collasso e di una “rottura sentimentale” quando hanno preso il sopravvento “i falsi modernizzatori”.

Da qui bisogna con pazienza ripartire se si vuole ricostruire una prospettiva politica e non semplicemente aspettare che i populisti di vario colore portino il paese alla rovina. Per questo mi pare abbastanza ozioso e anche culturalmente datato un dibattito sulle alleanze politiche al centro o a sinistra con la ripetizione di uno slogan “dobbiamo conquistare i moderati” che ebbe un senso alcuni decenni fa ma che appare oggi persino surreale.

Non si esce dal populismo senza riconquistare la fiducia del popolo. E per la sinistra, anche per rendere meno ambiguo questo concetto di popolo, il punto di partenza non può che essere il lavoro. In fondo la forza dei grandi partiti fu proprio quella di garantire una connessione tra élite e masse popolari o per usare un’espressione gramsciana tra “intellettuali e semplici”. Se lo scenario rimane quello di uno scontro tra il popolo e la “casta dei privilegiati” non c’è spazio per la sinistra e più ci si allea con i moderati più si diventa bersaglio del populismo e del qualunquismo.

In tremila al corteo contro i “mostri” dentro la Laguna

“Fuori le navi dalla laguna”: è questo lo striscione che sintetizza l’avvio della grande manifestazione di ieri a Venezia contro le Grandi Navi e il loro passaggio davanti a San Marco. Si tratta della protesta alla quale partecipano circa tremila persone contro i “grattacieli d’acqua” attuata dopo l’incidente di domenica scorsa, quando la Msc Opera ha perso il controllo ed è andata a collidere con un battello e la riva di San Basilio. Il corteo, coordinato dal comitato “No Grandi Navi”, vede raccolto un numero eterogeneo di associazioni e politici. Sono oltre una trentina quelli che hanno chiesto di aderire alla manifestazione, accompagnata da musica rock a tutto volume e bandiere della Serenissima listata a lutto. Molti striscioni riportano la frase “No alle Navi e Sì al rispetto della Laguna”. Intanto, sempre ieri, in seguito all’incidente di domenica scorsa, sono state dirottate da Venezia a Trieste due navi, la Costa Luminosa e la Msc Musica, lunghe 300 metri per 92 mila tonnellate, per complessivi novemilacinquecento turisti.

Grandi Navi, la politica indifferente

Domenica scorsa la MSC Opera si è schiantata a San Basilio a pochi metri dalle aule frequentate da migliaia di studenti: abituata a convivere con il traffico crocieristico, l’Università – tranne singoli docenti – non si è mai esposta contro il passaggio delle Grandi Navi in Laguna. Eppure l’ultimo urto non è stata una novità. Incidenti di varia natura si sono succeduti copiosi, fino all’avaria che colpì la Marella Discovery un anno fa dinanzi alle Zattere; nel solo 2012 si contarono diversi casi di grandi navi partite per qualche minuto alla deriva: l’8 settembre la stessa Msc Opera si fermò anch’essa a poca distanza dalle Zattere dopo una goffa manovra nel Canale della Giudecca. Il 12 maggio 2004 la tedesca Mona Lisa si incagliò nella nebbia dinanzi a Palazzo Ducale: il soprintendente Giorgio Rossini chiese allora di porre un termine al passaggio dei mastodonti del mare, ma per tutta risposta fu minacciato di rimozione da esponenti politici del centrodestra per “procurato allarme”. Più comodo pensarla come la nuova soprintendente Renata Codello (ora premiata con la Direzione della Fondazione Cini), la quale sosteneva nelle interviste che le Grandi Navi sono sicure (“mai successo niente”), pulite (“nessun dato significativo sull’inquinamento né sul moto ondoso”), una risorsa per la città.

Si argomenta che i sindaci non hanno competenza sulla materia: hanno però avuto la competenza di affidare a Costa Crociere un servizio di hostess in Piazza San Marco, di inviare i celerini a menare i manifestanti che in acqua dimostravano contro le Grandi Navi, e non sembra abbiano mai ingaggiato scontri con l’Autorità Portuale che per anni giudicava le proteste dei Comitati “folklore ambientalista”.

Le autorità centrali hanno fatto di peggio: l’ex ministro ed ex sindaco Paolo Costa che ha sempre difeso, anche da presidente del Porto, i ricavi economici del mantenere le navi in Laguna; un decreto in sé risolutivo (Clini-Passera, del 2012), che conteneva in sé il germe della propria stessa inefficacia; un ministro Pd, Delrio, che ha esitato tra quattro diverse soluzioni (all’origine anche il famigerato canale Contorta-Sant’Angelo, poi bocciato dalla Via nel 2016); un ministro Cinque Stelle, Toninelli, che mesi fa si è dichiarato favorevole alla soluzione di Marghera salvo poi rimangiarsi la dichiarazione poche ore dopo; il solo ministro Bonisoli ha avuto le idee chiare, proponendo il vincolo sulla Laguna.

L’idea di dirottare le Grandi Navi a Marghera (idea che il 20 maggio l’Unesco ha detto di guardare con favore, ma che quattro anni fa giudicava perniciosa per l’equilibrio lagunare), presenta molti inconvenienti, ad onta di ciò che dicono il sindaco Brugnaro, il governatore Zaia e Massimo Cacciari (sul tema è più credibile il nipote Tommaso, che da anni lotta contro lo scempio): l’approfondimento e ampliamento del canale dei Petroli (con conseguente irrigidimento dei suoi argini, e ulteriore trasformazione della Laguna in un braccio di mare); la pericolosa coesistenza di grandi navi e petroliere nello stesso canale; l’interferenza delle navi passeggeri con l’area industriale-portuale non bonificata e in parte dichiarata “a rischio Seveso”; dulcis in fundo, lo scavo del Vittorio Emanuele, che dovrebbe raddoppiare di profondità e di ampiezza, essere arginato, e prevedere un nuovo ampio bacino di evoluzione per le manovre delle navi, finendo per creare per i giganti del mare un percorso di 24 km in piena laguna: non a caso l’insieme di questo progetto (ora rivisto in una forma che non è dato conoscere) non superò la Via del 2015.

Il libro bianco Venezia, la laguna, il porto e il gigantismo navale

a cura di Gianni Fabbri (Moretti e Vitali 2015) è ancora attuale nel delineare problemi e possibili soluzioni: l’unica contemplabile è quella di allontanare le Grandi Navi dalla Laguna, che sia facendole approdare in un porto (facilmente realizzabile e reversibile) alla bocca di Lido, oppure direttamente in un porto più attrezzato come quello di Trieste.

Il preside suicida e i sindacati: “Colpa loro”. “No, troppo facile”

Morire per la scuola, morire a Venezia. Diventare la vittima del tentativo impossibile di governare relazioni sindacali, orari e tagli delle classi, richieste degli studenti e rapporti conflittuali con i genitori. È accaduto al Lido, una dozzina di giorni fa. Il professor Vittore Pecchini, preside di sette istituti sparsi per la città, tra cui lo storico “Marco Polo”, si è ucciso nella sua roulotte, ingerendo una dose letale di farmaci. Ha chiesto aiuto alla compagna, ma i soccorsi sono arrivati troppo tardi. Pecchini aveva 57 anni, era un uomo di mare, aveva girato il mondo, aveva fatto lo skipper in Australia.

Un capitano coraggioso che ha affrontato tempeste ben più grandi. Ma le sigle sindacali avevano proclamato uno sciopero. I genitori erano in rivolta. Perfino un ordine del giorno in consiglio comunale si era espresso a tutela dell’integrità del numero di classi nel liceo. Non ha retto e ha fatto naufragio sull’isola di Morte a Venezia.

“Ci vuole spiegare…”. La sola domanda è un sasso nel silenzio della scuola, un peso sulle coscienze. Non parla il vicepreside, e neppure gli insegnanti. “Abbiamo deciso di non dire nulla, molte cose sono state travisate” dice Davide Voltolina, uno dei tre rappresentanti Rsu. “Restiamo in silenzio, bisogna tutelare i ragazzi, le famiglie, l’istituto” aggiunge Fabio Barina, di Gilda.

Eppure il suicidio di un preside, tre giorni prima dello sciopero contro di lui, è un fatto sconvolgente, anche per il mondo della scuola non propriamente in bonaccia.

“Negli uffici scolastici ci sono troppi Ponzio Pilato che non vedono ciò che accade nelle realtà italiane contro quei poveri cristi dei presidi. Diciamo basta, Pecchini merita giustizia!”. Attilio Fratta, presidente nazionale di Dirigentiscuola, sigla che raccoglie parte dei 6.500 dirigenti in servizio, non usa il condizionale nella lettera inviata al ministero. “Non può escludersi che nel suicidio abbiano concorso un insostenibile sovraccarico di lavoro e responsabilità per troppe reggenze. Ma è tutt’altro che irragionevole supporre che la causa scatenante sia stato il martellante, concentrico attacco alla persona – una demonizzazione – delle sigle sindacali di comparto”. Un vero atto d’accusa. “Dopo aver aizzato docenti, studenti, genitori, hanno chiesto – anzi, imposto – all’Ufficio scolastico regionale la rimozione dello sventurato collega”. Fratta dipinge una situazione generale. “A Padova un’altra dirigente ha subito un procedimento disciplinare per imprecisioni nella denuncia di un bidello per pedofilia e per questo ha avuto un collasso poche ore fa. In Piemonte una preside fu sospesa perché sgradita alle sigle sindacali. L’amministrazione non protegge i suoi uomini da lettere anonime e accuse infondate, manda gli ispettori”.

La replica, a Venezia, di Marino Maretto di Cisl Scuola. “Ma quelli vogliono fare i dirigenti come sceriffi? È triste, si fa presto ad addossare a noi la colpa. Un confronto sindacale per quanto duro non può portare alla morte di una persona. Ma in una democrazia la contrattazione è un diritto”. E siccome l’Ufficio scolastico territoriale continua a voler accorpare le classi al “Marco Polo”, i genitori hanno dichiarato ai giornali locali: “Gli studenti sono persone e non cassette della frutta da spostare”.

Ma sul contenzioso con i dipendenti, Barina di Gilda, rivela: “Contro di lui non c’era nulla di personale. Il giorno prima che morisse, durante la trattativa una soluzione era già prospettata. E forse a giorni la firmeremo”. Una magra consolazione per il preside che amava navigare nel vento e adesso riposa in laguna.

Miseria a Ragusa, fa prostituire la figlia per un tozzo di pane

Una madreportava la figlia di 13 anni dall’anziano dove faceva la cameriera. In cambio di generi di prima necessità o anche per fare una doccia lasciava che l’uomo abusasse della bambina. La madre della ragazzina è stata arrestata, con lei almeno altre quattro persone che hanno approfittato della bambina. È accaduto nella campagna di Acate a Ragusa dove ci sono grandi appezzamenti di terreno coltivati a serre. La madre e la figlia vivevano in una situazione di povertà assoluta, dormivano dove capitava e ottenevano, spesso, vitto e alloggio in cambio dei favori sessuali della tredicenne ai braccianti che lavoravano nella zona. Le indagini sono cominciate lo scorso marzo durante controlli di contrasto al caporalato. Gli agenti della mobile di Ragusa hanno notato una ragazzina che aveva atteggiamenti apparentemente troppo “vissuti” e, a poco a poco, hanno scoperto quello che, nella zona, quasi tutti sapevano. La tredicenne si prostituiva col consenso e la copertura della madre. Gli incontri avvenivano nelle stesse serre dove i braccianti lavoravano. La stessa ragazzina, ogni tanto, lavorava nelle serre.

Cornicione si stacca e uccide un negoziante in pieno centro

Un commerciante, Rosario Padolino, di 66 anni, è morto dopo essere stato colpito da un pezzo di cornicione che si è staccato ieri da un palazzo in via Duomo, nel centro di Napoli. Le pietre hanno sfondato le reti di protezione posizionate per un programmato intervento di messa in sicurezza. L’uomo, proprietario di un negozio che dà sulla strada, è stato trasportato al pronto soccorso del Cto in via Colli Aminei, dove è deceduto. Il cornicione si è staccato da un balcone al quinto piano del palazzo. Padolino si trovava all’esterno del suo negozio quando è stato colpito.

“Gli tenevo il braccio, che era fratturato, e gli faceva male, ma lui mi rispondeva e non pensavo che potesse morire”, racconta Luca Rosolio, giovane titolare di una merceria a 50 metri dal luogo del crollo. “Aveva una ferita in testa, ma non era profonda e aveva anche smesso di sanguinare prima che arrivasse l’ambulanza. Era cosciente – racconta Maurizio Palma, altro commerciante – ma ad un certo punto mi ha detto: ‘Stavo dormendo bene, perché mi hai svegliato’ e ho capito che non era più lucido. Poi mi hanno chiamato dall’ospedale per dirmi che era morto”. È disperata la moglie Grazia Ragozzino: “L’amore se ne è andato in cielo e non mi ha salutato. Non ci credo”, scrive su Facebook.

La Procura ha disposto il sequestro probatorio delle facciate dei due palazzi e dei cornicioni crollati, il caso è seguito personalmente dal procuratore Giovanni Melillo. “Occorre immediatamente un censimento dei cornicioni killer, buche e strade pericolose almeno per segnalare i pericoli e per evitare altri morti visto che istituzioni e privati non sono capaci di garantire la sicurezza” afferma l’avvocato Angelo Pisani, legale della famiglia di Salvatore Giordano, il 14enne deceduto cinque anni fa a causa della caduta di calcinacci dalla facciata della Galleria Umberto a Napoli.