Oggi vanno a cena insieme per decidere le nomine dei vertici delle Procure e per controllare tutto il Csm, Luca Palamara e Cosimo Ferri. Ma andando indietro negli anni, c’è un momento che può essere considerato l’origine delle vicende di questi giorni: ovvero il decreto legge del 24 giugno 2014, numero 90, quello in cui il governo Renzi abbassò l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni, come ha denunciato l’ex procuratore nazionale antimafia oggi eurodeputato dem, Franco Roberti, qualche giorno fa, sottolineando sia la volontà dell’allora premier di decapitare gli uffici giudiziari, sia di influenzare il Csm.
Con quella legge (che poi negli anni fu parzialmente ritoccata) si mettevano rapidamente in pensione centinaia di alti magistrati. Tra le ricadute anche quella che costringeva il Csm a lavorare sulle nuove nomine in maniera rapida e confusa.
Sottosegretario alla Giustizia in quegli anni era lo stesso Ferri. Che ebbe un ruolo in tutte le evoluzioni di quel decreto, anche nel decidere le successive proroghe, che favorivano alcuni e lasciavano fuori altri. Questo mentre il Guardasigilli, Andrea Orlando, cercò dall’inizio di introdurre il principio della gradualizzazione del pensionamento, come era già stato fatto per i professori universitari. Senza successo: Renzi era all’apice del suo potere e in quegli anni la “Rottamazione” pareva un must (la norma per far andare in pensione i magistrati a 75 anni era stata voluta da Berlusconi, per orientare gli assetti della Corte di Cassazione).
Grazie a quel decreto, negli ultimi cinque anni, sono andati in pensione, tra gli altri, Marcello Maddalena (procuratore generale di Torino), Livia Pomodoro (presidente del Tribunale di Milano) e Edmondo Bruti Liberati (procuratore di Milano), Giuseppe Pignatone (procuratore di Roma), Guido Lo Forte (procuratore di Messina), Sergio Lari (procuratore generale di Caltanissetta).
Quel provvedimento ha avuto una storia lunga e travagliata: la prima proroga, l’anno successivo, riguardava i magistrati che non avevano compiuto i 72 anni entro il 31 dicembre 2015. L’anno dopo, nell’agosto del 2016, si decise una proroga a 72 anni fino alla fine del 2017 che valeva non per tutti, ma solo per i vertici di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato. Tanto che l’Anm parlò di intervento con profili di incostituzionalità. Si trattava di quella che fu definita la “Salva Canzio” con l’idea che si trattasse di una norma ad personam per l’allora primo presidente della Cassazione. In origine la proroga avrebbe dovuto riguardare solo stesso Canzio e Pasquale Ciccolo, il procuratore generale presso la Suprema Corte. Entrambi anche membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura, anzi nel Comitato di presidenza, che al governo in carica dovevano la loro permanenza in servizio.
C’è poi una vicenda che risale al febbraio 2017 e riguarda il procuratore di Napoli andato in pensione di lì a poco, Giovanni Colangelo, il capo di Henry John Woodcock che indagava sullo scandalo Consip. Il senatore Pd Vincenzo Cuomo aveva presentato un emendamento (poi sottoscritto da Vito Crimi) al Milleproroghe in cui si prolungavano le carriere “fino alla copertura dell’organico della Magistratura e non oltre il compimento del settantaduesimo anno di età per tutti i magistrati”. Avrebbe interessato lo stesso Colangelo. Ma l’emendamento fu bocciato anche dallo stesso Pd. Al centro delle manovre di oggi c’è la Procura di Roma, che ha chiesto di processare Luca Lotti. Sempre per il caso Consip.