Prato, palline con faccia di Hitler sull’albero di Natale del Comune

Un uomo col volto travisato da cappuccio e mascherina. Avrebbe appeso all’albero di Natale, che si trova davanti al municipio di Montemurlo (Prato), circa 14 palline con effigi naziste e l’immagine di Adolf Hitler con un cuore rosso. È quanto si vede dall’impianto di telecamere di sicurezza del Comune che hanno ripreso la persona, nella notte tra il 26 e 27 dicembre, posizionare le palline. Sul posto è intervenuta la polizia municipale mentre le indagini ieri sono state affidate alla Digos della questura di Prato. Nella serata di ieri gli autori non erano ancora stati individuati.

Olbia, completato il sequestro di 18 ponti

I carabinieri del Noe di Sassari, su richiesta della Procura di Tempio Pausania, hanno completato a Olbia il sequestro di 18 ponti definiti “opere incongrue” a seguito dell’alluvione che il 18 novembre 2013 causò la morte di 13 persone. “Dalle indagini era emerso che il reticolo di drenaggio che attraversa la città era, ed è tuttora, connotato da numerose gravi criticità idrauliche dovute a tratti di larghezza insufficienti”, sottolineano i vertici territoriali dell’Arma. Lo scorso gennaio la Procura aveva affidato al Noe uno studio sulla mancata esecuzione del piano per la messa in sicurezza di Olbia rispetto al rischio idrogeologico. Il 18 novembre, terminati gli accertamenti, è partita l’esecuzione del decreto di sequestro delle 18 opere.

Morandi, nuovo rinvio all’udienza preliminare

Un nuovo stop per l’udienza preliminare del processo sul crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43 vittime). Lo stop lo ha deciso il giudice dell’udienza preliminare Paola Faggioni accogliendo la richiesta di sospendere l’udienza in attesa del pronunciamento della Cassazione, fissato per il 21 gennaio, quandogli Ermellini dovranno decidere sulla eventuale ricusazione della Faggioni. E così l’udienza è stata rinviata al 28 gennaio quando parleranno i pm. Ma questa volta non ci saranno ripercussioni sulla prescrizione visto che gli imputati hanno acconsentito al blocco dei termini. Erano stati i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile a dirsi favorevoli al rinvio dell’udienza purché si sospendessero i termini della prescrizione.

Solinas e la terra venduta al ‘re’ dei trasporti: governatore ridà la caparra solo dopo 7 anni

Che fine hanno fatto le caparre ricevute da Christian Solinas per le sue compravendite immobiliari? Dopo le inchieste del Fatto Quotidiano – che l’estate scorsa svelarono come Solinas avesse ottenuto, in almeno due casi, due caparre da 200.000 euro ciascuna per la cessione di un terreno (2013) e di un rudere (2020), senza che i rispettivi rogiti venissero mai perfezionati – in molti si erano fatti questa domanda. Oggi si chiarisce almeno uno dei misteri: il 22 luglio 2021, il governatore ha restituito 200mila euro agli eredi di Antonello Pinna (deceduto il 19 aprile 2016). Una restituzione giunta con sette anni di ritardo.

Per capire la vicenda, bisogna tornare al 10 maggio 2013, quando l’imprenditore dei trasporti Pinna sottoscrive con l’ex assessore regionale ai Trasporti, Solinas, un preliminare di acquisto di un terreno da 40.350 mq nel comune di Capoterra (Ca). Alla firma, Pinna versa una caparra di 200mila euro e s’impegna a dare i restanti 200mila al rogito, da stipularsi entro il 30 maggio 2014. Ma quel rogito non si farà mai. Così Solinas si tiene caparra e terreno. Nel 2016, Pinna muore e gli succedono gli eredi, la moglie Maria Antonella Pillitu e le figlie Alessia Maria e Ilaria Pinna. Il 22 luglio 2021, Solinas e le Pinna (che al Fatto avevano riferito di non sapere nulla di alcun terreno a Capoterra) firmano una “Risoluzione di Contratto Preliminare di Vendita”, con la quale il governatore gira tre assegni da 66.666,67 euro alle eredi e la vicenda si chiude.

Ma gli interrogativi restano: perché non si perfezionò il rogito? Se la colpa fu degli acquirenti (i Pinna), Solinas avrebbe avuto il diritto a tenere la caparra. Se la colpa è stata del venditore (Solinas), i Pinna avrebbero avuto diritto al doppio dei soldi. Invece la transazione si chiude “per mutuo consenso”, con una perdita per i Pinna di 12.500 euro (calcolando l’inflazione 2013-21). E perché attendere ben sette anni? Inoltre, perché il notaio ha registrato l’atto solo il 27 ottobre 2021, con oltre due mesi di ritardo? Rispondendo al Fatto su quell’affare, Solinas il 20 settembre 2021 scrisse: “il contratto preliminare è stato consensualmente risolto con gli eredi, ai quali ho restituito per intero la caparra”. Si dimenticò però di dire che i soldi li aveva restituiti solo due mesi prima. Più o meno nello stesso periodo nel quale la Procura di Cagliari aveva aperto un fascicolo, modello 45 (senza indagati), sulla villa acquistata da Solinas il 10 marzo 2021 per 1,1 milioni di euro.

Giunta Mastella, indagato assessore: “Abuso d’ufficio”

Mario Pasquariello, assessore ai Lavori pubblici di Benevento nella giunta guidata dal sindaco Clemente Mastella, è indagato per abuso d’ufficio in concorso con altre persone tra cui Piero Ferrari, l’ex Ad di Gesesa spa, la società mista incaricata del servizio idrico integrato nel beneventano, partecipata al 58% dal colosso multiutility romano Acea e al 38% dal comune di Benevento. La circostanza emerge da un invito a comparire notificato a un altro indagato di nuovo filone su Gesesa, colpita a novembre da un maxi sequestro di 78 milioni di euro.

Stavolta nel mirino del procuratore capo Aldo Policastro e del pm Assunta Tillo ci sono le delibere di giunta e di consiglio del 2018 con cui l’amministrazione di Benevento ha affidato direttamente a Gesesa il segmento della depurazione, “nella consapevolezza – secondo la Procura – della mancanza dei requisiti di legge in capo alla predetta società… non essendo una società interamente pubblica”. È indagato anche l’ex capogruppo della Lista Mastella, Giovanni Quarantiello.

P.A., salta il tetto da 240mila euro per gli stipendi

Il tetto di 240 mila euro di stipendio in vigore dal 2014 per i massimi vertici della Pubblica amministrazione potrà essere superato. Lo prevede un emendamento alla manovra, come anticipato dal Sole 24 Ore, che è stato approvato in Senato e che introduce anche per i vertici gli incrementi previsti dai rinnovi contrattuali. La misura vale anche per le aziende partecipate dallo Stato e non quotate. In questo modo coloro che fra i dirigenti hanno visto bloccata da anni la propria retribuzione potranno vedere aumentati gli stipendi della stessa percentuale applicata per contratto al resto del personale del proprio comparto. La misura è destinata ad avere effetti dal 2023.

Il tetto degli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione verrà rivalutato dunque ogni anno, in base agli aggiornamenti Istat sull’andamento dell’inflazione. La legge del 2014 aveva stabilito un limite retributivo annuo “onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali”. L’emendamento approvato dal Senato introduce una “rideterminazione annuale” per chi riceve “retribuzioni o emolumenti” per lavoro subordinato o autonomo “con autorità amministrative indipendenti, enti pubblici economici e pubbliche amministrazioni”, incluso “il personale di diritto pubblico”. La rivalutazione si applicherà dunque anche alle imprese controllate dal Tesoro, come la Rai.

Bollette, stangata da 1.200 euro a famiglia

La stangata sui prezzi dell’energia, complici il rincaro del gas naturale per l’aumento della domanda nella ripresa post-pandemia e l’utilizzo delle esportazioni di metano come arma strategica da parte della Russia, sta per abbattersi di nuovo sulle famiglie e le imprese italiane con il rischio di una paralisi di intere filiere produttive. A gran voce le associazioni dell’industria e praticamente tutti i partiti chiedono al governo di rafforzare le misure di contrasto, che vedono lo stanziamento di 3,8 miliardi per far fronte al rincaro delle bollette nel primo trimestre del prossimo anno. Stando a quanto filtra, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani potrebbe parlarne già oggi con il premier Mario Draghi in un summit informale a Palazzo Chigi.

In attesa dei dati ufficiali che l’Autorità per l’energia il gas e l’ambiente dovrebbe comunicare domani, Nomisma Energia prevede rincari nell’ordine dei 700-1.200 euro l’anno in più a famiglia. Al netto degli interventi del governo, il think tank bolognese prevede un aumento del 61% per il gas e del 45% per l’elettricità, mentre con gli interventi governativi per ora annunciati e la ripetizione di quelli già erogati (5 miliardi) l’aumento sarà del 40% per il gas e del 28% per l’elettricità, con una spesa di 770 euro in più a famiglia. Comunque troppo.

Il caro energia impatterà anche sull’inflazione, sull’industria e sui servizi. Il 21 dicembre i prezzi dell’elettricità registrati ad Amsterdam hanno segnato il record storico di 180,267 euro per megawattora (MWh): il decuplo rispetto a un anno fa, il doppio da inizio mese. Secondo il Gestore del mercato elettrico, nella settimana dal 20 al 26 dicembre il prezzo medio di acquisto dell’elettricità è cresciuto del 5,1% rispetto alla precedente. I rialzi hanno spinto molti Paesi a usare le proprie riserve nel tentativo di calmierare i prezzi. A metà settembre Ubs stimava che gli stoccaggi in Europa fossero al 71% contro l’86% che in media si registra in quel periodo. Al confronto, negli Stati Uniti il prezzo del gas è 6-7 volte inferiore.

Intanto i prezzi restano elevatissimi, nonostante i recenti ribassi per quello future del gas, e molti analisti ritengono insufficienti le cifre già messe in campo e programmate dal governo. La manifattura italiana fronteggia il drammatico rincaro, principalmente sui settori ad alta intensità energetica: acciaio, carta, cemento, ceramica, chimica, vetro e calce sono a rischio stop proprio mentre gli ordini sono ai massimi degli ultimi anni, ben oltre i livelli pre-pandemia. Così è a rischio la sopravvivenza di molte imprese, la ripresa stessa e l’occupazione. Questo il grido d’allarme delle industrie energivore lanciato in una conferenza stampa alla Fonderia di Torbole, in provincia di Brescia. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è tornato a chiedere misure di sostegno e di rivedere la strategia nazionale sull’energia per “ripensare al nucleare pulito, come proposto” dal ministro Cingolani “visto che la Francia e altri 13 Paesi Ue hanno centrali atomiche”.

Tutta la politica così va in pressing: la Lega ha annunciato la presentazione delle sue proposte, il responsabile economico del Pd Aurelio Misiani chiede che il governo aumenti le risorse programmate, stessa richiesta dal coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani che chiede di tagliare tasse e accise alle imprese “finché i prezzi non saranno tornati alla normalità”.

Il finanziamento pubblico ai giornali è raddoppiato

La stampa italiana negli ultimi due anni è stata ampiamente tutelata da fondi pubblici. Come descrive il rapporto del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria – “Il sostegno all’editoria nei principali Paesi d’Europa” – i finanziamenti pubblici sono passati da 175,6 milioni a 386,6, con un incremento del 120%.

Si tratta di una tendenza comune ad altri Paesi europei, scaturita dall’emergenza Covid che non ha frenato la caduta delle copie in edicola.

I “sostegni diretti”, il tradizionale finanziamento pubblico ai giornali, sono rimasti su circa 88 milioni. Di cui 71 diretti a quotidiani e periodici diffusi in Italia, mentre il resto si divide tra minoranze linguistiche, giornali diffusi all’estero, contributi a giornali per non vedenti o ipovedenti e anche per associazioni di consumatori. In questa categoria si trovano i finanziamenti improbabili a quotidiani come Il Foglio (933 mila euro l’anno, dati del 2020), Libero (2,7 milioni), giornali semi-clandestini come l’Opinione (481 mila euro) o il Secolo d’Italia (467 mila euro), organi della stampa cattolica come l’Avvenire (2,5 milioni l’anno) o Famiglia Cristiana (3 milioni) fino a vere cooperative come il manifesto (1,5 milioni).

Esistono poi i “sostegni indiretti” che dai 91 milioni del 2019 scendono ai 64,5 del 2021, ma per effetto della riformulazione delle voci a seguito dei contributi Covid. In questa sezione la parte preponderante continua a essere mantenuta dalle “Tariffe postali agevolate” che nel 2021 ammontano a oltre 51 milioni. Si tratta degli sconti applicati alle spedizioni delle aziende editoriali. A questa voce, dal 2020, si è aggiunto il sostegno alle scuole per l’acquisto degli abbonamenti, circa 14 milioni leggermente ridotti nel 2021 e frutto dell’attività di pressione dell’Osservatorio Giovani-Editori diretto da Andrea Ceccherini e costruito con il sostegno dei grandi gruppi, da Rcs a Sole 24 Ore fino al gruppo Riffeser Monti.

Il salto di qualità avviene però con l’emergenza Covid che introduce nel sistema dei sostegni indiretti un flusso di 143 milioni supplementari nel 2020 che salgono a 232,9 nel 2021. Le voci più significative sono costituite dal “Credito di imposta per la distribuzione” delle testate (60 milioni) dal “Credito di imposta sugli investimenti pubblicitari” fatti nei quotidiani e periodici (90 milioni), il “Credito di imposta per l’acquisto della carta” (30 milioni) e un più piccolo e poco adeguato “Credito di imposta alle edicole” (solo 15 milioni per il ganglio fondamentale della diffusione). Particolarmente favorevole per i grandi editori è poi la “Forfettizzazione delle rese al 95%” per cui l’Iva agevolata del 4% si applica solo al 5% delle copie.

Le misure emergenziali sono legate al Covid, ma è probabile che saranno stabilizzate. Lo si è visto nel modo in cui il Dipartimento, e alcuni quotidiani, hanno mostrato il paragone con gli altri Paesi oggetto dello studio (Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Svezia e Italia) per evidenziare la scarsità di risorse in Italia: lo 0,014% in rapporto al Pil in Italia contro lo 0,017 in Francia, lo 0,021 in Norvegia o lo 0,041 in Danimarca. Differenze minime in un paragone tra Paesi troppo diversi (memorabile la distinzione tra i modelli “mediterraneo”, “corporativo”, “liberale” proposta dallo studio di Paolo Mancini e Dan Hillin).

Anche perché da questi dati manca la valutazione di due voci rilevanti. Il 4% di Iva agevolata per l’editoria, che significa un bonus del 18% (rispetto all’aliquota massima del 22%) sul fatturato. Per i tre primi gruppi (Cairo, Gedi e Mondadori) che nel 2020 hanno realizzato 2 miliardi di fatturato, si tratta di un risparmio di 360 milioni. E i prepensionamenti. La voce è misteriosa, ma nel rapporto del Dipartimento si legge che tra il 2014 e il 2027 le varie misure di rifinanziamento del “Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria” hanno comportato uno stanziamento pubblico complessivo di 1 miliardo e 813 milioni: sui 14 anni presi in considerazione si tratta di 130 milioni all’anno. Il finanziamento pubblico all’editoria è quindi molto più alto di quanto dichiarato. Il guaio è che la qualità della nostra informazione non ne ha risentito in alcun modo.

Cingolani vuole andarsene. Ma al ministero resta il caos

L’uomo, lo si è visto in questi mesi, è eccentrico e ci ha abituato alle sparate più varie. Ma l’ultima merita di essere registrata. L’avventura politica di Roberto Cingolani volge al termine. Questo almeno è quello che il fisico-manager (in aspettativa) di Leonardo – oggi ministro della Transizione ecologica – ha spiegato al giornale di settore, Staffetta Quotidiana. “Abbiamo centrato gli obiettivi posti da Draghi nel 2021 – ha detto in un’intervista che lo incorona “uomo dell’anno” – Ora c’è un problema di implementazione. E questa fase non ha bisogno di uno col mio profilo”. Secondo Cingolani, i compiti assegnati erano tre: scrivere la parte del Pnrr che gli competeva; riorganizzare il neonato ministero e predisporre le Semplificazioni normative (le norme “Sblocca cantieri”). Tutti e tre sarebbero stati centrati, dice il ministro scienziato: “Si poteva essere più veloci, ma come risultato non è male”. A chi ha potuto parlarci, Cingolani ha provato poi a ridimensionare l’uscita, ma nessuna smentita.

Al netto delle sparate, nei Palazzi romani è convinzione diffusa che la sua avventura sia al termine, che Draghi resti a Palazzo Chigi o salga al Colle. Pesa l’equivoco di fondo di un tecnico indicato da Beppe Grillo ma espressione di un partito, i 5Stelle, di cui ha fatto a pezzi la linea ambientalista. Pesa anche il caos che regna al ministero. “È l’unico che è messo peggio di quando siamo partiti”, si dolgono a Palazzo Chigi. Il ministro non è riuscito a dare ordine alla macchina amministrativa, già di suo caotica, e che mal sopporta il suo stile. Nemmeno la super commissione Via che deve vagliare i progetti del Pnrr è partita. Ultimamente si è però fatto notare soprattutto per l’attivismo nell’impostare (o lasciare) un dicastero a sua misura, cioè a misura di impresa: ha indicato per coordinare i 70 miliardi del Pnrr Paolo D’Aprile, consulente McKinsey, che peraltro ha scritto la parte di piano riservata al Mite; ha concordato il nome del diplomatico Alessandro Modiano come Inviato speciale per il clima, ridimensionandone il ruolo; ha nominato nel cda di Ispra (l’Istituto per la protezione ambientale) una manager di Telespazio, controllata della “sua” Leonardo e si appresta a guidare la scelta dei nuovi direttori generali. Si vedrà se Cingolani è davvero arrivato a fine corsa, di certo a frenare il rientro in Leonardo c’è l’anno di stop imposto dalla legge Severino. A ogni modo, al netto delle sparate contro gli ambientalisti e a favore del nucleare, lo scienziato-ministro ha inciso soprattutto nella redazione del Pnrr che – come il Fatto ha raccontato in questi mesi – nella sua parte “green” più che una transizione ecologica disegna una transizione industriale a misura di grandi imprese (pubbliche), specie Eni, di cui ha ripreso i progetti e concesso procedure autorizzative super veloci (fast track): gasdotti; riconversione delle raffinerie; stoccaggio di CO2 ; mega-impianti per rinnovabili etc. Questa è l’orchestra normativa e suonerà anche senza il direttore che l’ha messa in piedi.

Mail Box

 

Le aliquote Irpef sono una ingiustizia

Io e mia moglie siamo entrambi pensionati. La mia pensione ha un importo di circa il doppio di quella di mia moglie: così abbiamo verificato dal sito dell’Inps l’importo degli assegni per gennaio 2022. Lei ha un “aumento” di 4 euro, mentre io di 25. Presidente del Consiglio, mi spiega perché sostiene che la riforma aiuta di più chi ha un reddito basso? È una vergogna.

Luigi Gallo

 

Il governo alimenta insicurezza e paura

Nei momenti difficili ho sempre tentato di mantenere la necessaria lucidità e magari non ci sono sempre riuscito, sicuramente però non mi sono mai adagiato vedendo chi stava come me o addirittura peggio. Per questo motivo il caos che stiamo vivendo in Italia in questi ultimi giorni grazie al Governo dei Migliori mi crea non pochi disagi, e non mi consola vedere come stanno gli altri Paesi. I media si rincorrono lanciando i vari proclami su durata del Green pass, efficacia dei tamponi in farmacia, a casa o nell’hub vaccinale, su divieti in vigore e delle prossime settimane. Mai un cenno ai governi precedenti che questa pandemia l’hanno gestita dall’inizio a mani nude. Mai una informazione seria e costante, come ad esempio sull’incidenza dei vari fenomeni tra vaccinati e non vaccinati. Mai nessuno che abbia pensato alla eventuale applicazione della percentuale, tra contagiati e tamponi effettuati, sulla intera popolazione (come se teoricamente facessimo tutti il tampone lo stesso giorno): con gli opportuni correttivi e aggiustamenti, il dato che ne scaturirebbe darebbe un’idea dei probabili contagi quotidiani e forse indurrebbe tutti a una maggiore prudenza. Il mio sentimento di completa incertezza e insicurezza è stato rappresentato perfettamente dall’articolo di ieri di Cinzia Monteverdi. La cosa mi ha meravigliato perché sinora questa totale e completa coincidenza di idee l’avevo trovata solo con Marco Travaglio. Rappresentiamo, noi lettori e voi del Fatto, una esigua minoranza nel Paese, peccato.

Roldano Spampinati

 

Una marcia pacifica contro il Caimano

Considerando le dichiarazioni, le slinguazzate e gli inginocchiamenti pro-Berlusconi, credo che ormai la raccolta firme non sia più sufficiente. Occorre dare un segnale più forte ai nostri dipendenti di Camera e Senato. Propongo una marcia pacifica dei 200mila che hanno firmato la vostra petizione sotto quei “palazzi”, per far capire cosa pensano i veri “patrioti” del loro candidato. P.s. Per B. al Quirinale, dopo Draghi a Palazzo Chigi, dovremmo ringraziare di nuovo Mattarella (quel sant’uomo).

Ferdinando Corvino

 

Il ministro Cingolani e il nucleare “verde”

La tassonomia “bla bla bla” che dà patenti su quelli che sarebbero considerati investimenti verdi, decidendo ciò che è green e cosa no sostituendo alla scienza le decisioni politiche, si appresta a dire sì al nucleare portatile e al gas (al più di origine fossile). Buone notizie per il ministro CingolEni che a ogni intervento mette sempre più in evidenza l’assenza, nel governo, di un Ministro per l’Ambiente. Intanto il nucleare green si prepara a rovesciare nell’Oceano Pacifico le acque contaminate di Fukushima i cui effetti devastanti sono imprevedibili. Nell’indifferenza globale… Alla faccia della transizione ecologica continueremo dunque, imperterriti, nell’incapacità di contrastare la crisi climatica con le decisioni drastiche necessarie a raggiungere l’obiettivo: Cingolando un po’ qua e un po’ là.

Melquiades

 

Il Covid è anche in chiesa ma non c’è alcun “pass”

Non mi pare che siano state adottate misure restrittive nei confronti delle chiese, frequentate per lo più da persone anziane e quindi più a rischio. Niente Green pass, né ordinario né rafforzato. Eppure durante la comunione i fedeli si tolgono la mascherina esponendosi così ai contagi. Una pacchia per la variante Omicron.

Maurizio Burattini

 

Papa Francesco predica a vuoto contro il denaro

Vado per ordine. Sul portone della chiesa di un Comune emiliano, il parroco espone il tariffario dei sacramenti. Poi la difesa dal pulpito dei no-vax. Qualche giorno fa, invece, la filippica contro il ministro Di Maio da parte di un sacerdote di Paola, in provincia di Cosenza. E, sempre dal pulpito, l’invito del parroco della vicina Pianette di Roggiano a dare l’obolo per pagare il mutuo servito per costruire la chiesa. Ma la pecunia olet solo per i cittadini e diventa profumata per le opere non condivise? E Papa Francesco predica a vuoto contro il vile denaro, non moneta di scambio per i gratuiti sacramenti? Siamo a un neo-modernismo di comodo.

Alberto Volpe