All’inizio facevo fatica
a tenere gli occhi aperti,
colpa del pranzo di Natale, colpa del fatto
che vedo un film ogni tre anni.
Poi è arrivata la notizia che il padre e la madre
erano morti e da quel punto
non ho più chiuso gli occhi. Ho lasciato
la mia digestione al suo destino,
sono entrato nel film: sempre mi chiedo
come si fa a vivere dopo un grande dolore
e spesso penso che forse si può vivere veramente
solo dopo un grande dolore.
Il fuoco del film è qui, poi c’è Napoli
e Maradona e la gioia esatta
delle inquadrature: città e natura, il mare
e il volto della zia, le piastrelle,
il teatro del parlare.
La scena madre di questo film
è quando l’uomo di cinema dice al ragazzo:
non ti disunire, non ti disunire.
E lì ognuno avrà pensato alla sua vita,
un film ce la deve mettere davanti agli occhi
come fa un dolore, un amore, un soffio di vento
che non abbiamo fatto in tempo a scansare.
Chi non si disunisce sa che ha un solo respiro,
una sola strada, un solo dovere. Non è al mondo
per scegliere la vita come si sceglie un maglione
in un negozio. Sta qui
perché la vita è una trave sulla pancia
e continuamente prova a sollevarla.
Il giovane che ha perso i genitori
ancora non lo sa ma sta già lavorando
a fare buon uso del suo dolore,
a capire che il segreto è stare concentrati
intorno a un osso che nessuno
ha mai visto, l’osso intorno a cui cresce la carne
e le parole e ognuno dei nostri sguardi.
Questo film è bello averlo visto
perché dice il sacro
senza mai pronunciarlo, senza mai cercarlo.
Questo film ci dice che abbiamo solo la vita
per distrarci dal dolore della vita.