E con questa fanno sei su sette: sono le riunioni del Consiglio d’Europa saltate dal ministro degli Interni italiano, Matteo Salvini. Anche ieri il capo della Lega era impegnato – in teoria – a partecipare all’incontro con gli omologhi colleghi degli altri 27 Stati membri; anche ieri, come in cinque precedenti occasioni, il “capitano” ha disertato.
Non si puo dire, d’altra parte, che la sua agenda personale non fosse piena: ore 11, mini conferenza stampa in prefettura a Firenze; ore 14 comizio in piazza a Romano di Lombardia (Bergamo); ore 16 incontro pubblico a Novate Milanese (Milano); ore 19 comizio in piazza a Paderno Dugnano; ore 21 comizio in piazza a Biella. L’unica finestra libera nell’intensa giornata di campagna elettorale salviniana è stata riempita con un’ospitata televisiva nella trasmissione di Barbara D’Urso, Pomeriggio Cinque.
Il Consiglio d’Europa è l’organo dell’Unione che riunisce i ministri dei governi di ciascun Paese competenti per la materia in discussione. Tra giovedì e ieri i ministri dell’Interno degli Stati comunitari si sono incontrati in Lussemburgo e hanno trovato un accordo “parziale” sulla direttiva rimpatri: una serie di misure che avrebbero come obiettivo l’accelerazione e l’aumento dei tassi di rimpatrio, oltreché il contrasto alle fughe e ai movimenti secondari dei migranti (tra un Paese dell’Ue e l’altro).
I rimpatri sono uno degli argomenti più delicati delle politiche salviniane sull’immigrazione: la scarsa efficienza delle procedure di rimpatrio e le statistiche deludenti su questo aspetto sono uno dei pochi punti davvero deboli nel bilancio del primo anno del leghista al Viminale. Eppure Salvini in Lussemburgo non c’è andato: a fare le sue veci c’era il sottosegretario Nicola Molteni.
Il vicepremier era come sempre in giro per comizi: domani si vota per i ballottaggi delle elezioni comunali. Almeno a giudicare dalla sua agenda, Salvini è animale da campagna elettorale a tempo pieno e ministro solo nei ritagli. Negli ultimi cinque giorni – tra lunedì 3 giugno e venerdì 7 – è passato da Roma solo giovedì pomeriggio per l’incontro chiarificatore con Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. Per il resto ha percorso centinaia di chilometri, visitato sette regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria) per la bellezza di 23 eventi elettorali. Interrotti quasi esclusivamente per interviste televisive e radiofoniche.
L’argomento è ormai noto. Il capo della Lega ha l’allergia per gli uffici e il lavoro tecnico: le giornate trascorse da Salvini al Viminale sono un’eccezione, si contano quasi sulle dita delle mani; il suo seggio al Senato è rimasto deserto nel 97,89% delle votazioni; le sue assenze alle riunioni del Consiglio d’Europa con quella di ieri sono diventate 6 su 7. “È un argomento polemico che non funziona – risponde lui quando interpellato sul tema – e agli italiani non interessa. Per mandare avanti un ministero non bisogna essere fisicamente presenti. Io lavoro anche al telefono e pure quando mi sposto in macchina”.
Anche ieri, intanto, mentre i colleghi europei decidevano sui migranti, Salvini continuava ad arringare contro l’Unione. Non la frequenta, ma promette una rivoluzione: “Con i voti dati alla Lega abbiamo più forza per cambiare le regole europee che fanno male all’Italia”.