E ora sta a Sergio Mattarella battere un colpo dopo lo scandalo che ha travolto il Csm. E non solo perché Matteo Salvini ieri lo ha incalzato senza farne mistero: “Il presidente della Repubblica dirà o farà qualcosa, visto che è supremo garante del Csm: la situazione è preoccupante”, ha detto il leader del Carroccio in pressing sul Colle nel momento in cui a Palazzo dei Marescialli si cammina sulle uova, oltre che su un crinale molto pericoloso.
Perché il disvelamento degli incontri fuori dalle sedi istituzionali di quattro togati del Consiglio con Luca Lotti e Cosimo Ferri del Pd e Luca Palamara, indagato per corruzione nell’ambito della stessa inchiesta che è costata le dimissioni ad un altro magistrato eletto nell’organo, hanno fatto salire il Guardasigilli Bonafede, salito al Colle dal presidente della Repubblica.
Per la verità questo inatteso rimescolamento di carte a qualcuno non dispiace affatto. Francesco Lo Voi, ad esempio, che coram populo era largamente accreditato come il successore naturale di Pignatone e che, invece, si era visto scavalcare da Marcello Viola ed ora torna a sperare. Anche perché è abituato ai colpi di scena e ai ribaltoni: tutti finora a suo favore. Nel 2014 la commissione incarichi direttivi del Csm a guida Michele Vietti, ormai in scadenza, si era già pronunciata lasciandogli poche speranze di ottenere l’incarico di procuratore a Palermo. Ma poi Giorgio Napolitano aveva invitato Palazzo dei Marescialli a rinviare, in modo che fosse il nuovo plenum a decidere. E nella consiliatura 2014-2018, evidentemente, gli equilibri erano mutati all’interno del nuovo Csm, che infatti scelse proprio Lo Voi, con buona pace delle ambizioni dei candidati che, solo pochi mesi prima, erano stati valutati più meritevoli per il posto: Guido Lo Forte e pure Sergio Lari avevano poi fatto ricorso, ritenendo il loro profilo di capi procura incomparabili rispetto a Lo Voi che proveniva da un incarico fuori ruolo a Eurojust e non aveva mai diretto un ufficio giudiziario. E al Tar avevano pure vinto.
Ma poi il Consiglio di Stato aveva ribaltato la decisione, confermando Lo Voi a Palermo con una sentenza del collegio presieduto da Riccardo Virgilio e di cui era stato estensore Nicola Russo, magistrati entrambi finiti poi nei guai nell’inchiesta di Roma per una presunta compravendita di provvedimenti giudiziari con la regia di Pietro Amara.
Prima che si pronunciasse il Consiglio di Stato, il Tar invece aveva ritenuto che qualche motivo di irragionevolezza vi fosse stata da parte del plenum incaricato da Napolitano di scegliere il nuovo procuratore. E Lo Voi aveva certo goduto di sponsor d’eccezione: a essere incaricata del ruolo di relatrice di quella pratica delicatissima, Maria Elisabetta Alberti Casellati, allora consigliera laica e oggi presidente del Senato. Che per un intero pomeriggio si era sgolata contro quanti si ostinavano a sostenere che il magistrato fosse meno titolato per l’incarico rispetto ai due suoi concorrenti. Volarono pure parole grosse quel 17 dicembre. E alla fine, quando Lo Voi venne nominato procuratore a maggioranza, il vicepresidente Giovanni Legnini si dovette incaricare di porre un freno alle polemiche negando qualunque interferenza di Napolitano.
Non prima che, nel pieno del dibattito che aveva preceduto il voto, l’aria si facesse irrespirabile: specie quando Ercole Aprile di Area tirò fuori la citazione del Berretto a sonagli di Pirandello. Quel “pupo io, pupo lei, pupi tutti” fu un cazzotto nello stomaco. Perché quel rinvio chiesto e ottenuto dal Capo dello Stato aveva fatto deflagrare i sospetti che si volesse a Palermo un procuratore in grado di raffreddare il protagonismo dei magistrati impegnati nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Sospetti, ora come allora, manco a dirlo velenosissimi