Marielle Franco, attivista per i diritti umani e LGBT, è stata uccisa in un agguato a Rio de Janeiro il 14 marzo 2018 insieme all’autista che la riportava a casa. A lungo aveva denunciato le violenze commesse dalla polizia brasiliana, tema di cui si era occupata anche come consigliera comunale della città carioca, ruolo che ricopriva dal 2016. La compagna Monica Benicio, è stata a Roma per un incontro organizzato da Amnesty International.
A marzo sono stati arrestati gli esecutori materiali dell’omicidio, ma non ancora i mandanti. A che punto sono le indagini?
Le informazioni che ho al momento non sono differenti da quelle che si ricavano anche dai media. Inizialmente e per un certo arco di tempo, un singolo responsabile della polizia civile è stato al comando dell’inchiesta. Sotto la sua gestione, l’indagine ha individuato i due esecutori materiali; sia la persona che ha sparato a Marielle sia chi guidava l’auto dalla quale i colpi sono partiti. Devo però sottolineare che il ritmo delle indagini è troppo lento: in un anno ci sono stati solo due arresti. Inoltre, ora che il responsabile dell’indagine è cambiato, la mia preoccupazione aumenta.
Chi ha interesse a coprire la verità su questo delitto?
Non siamo più alle ipotesi, ma alle certezze. Abbiamo ormai l’evidenza della distruzione delle prove materiali, delle testimonianze false rese in tanti mesi di indagini. Tutto questo dimostra la volontà di insabbiare. Spetta allo Stato il compito di fare piena luce sul crimine commesso. E poiché si tratta palesemente di un delitto politico, la responsabilità dello Stato brasiliano è non solo nei confronti dei suoi cittadini, ma di fronte al mondo intero.
È preoccupata?
Mi spaventa chi avanza la tesi infamante che un’attivista come lei possa essere stata uccisa in nome di “divergenze politiche”. È semplicemente un insulto.
A chi faceva paura Marielle Franco?
Era una minaccia per i razzisti, gli xenofobi, i nemici dei diritti LGBT. In poche parole: Bolsonaro e la sua politica vecchia e contraddittoria.
Quell’omicidio non resta purtroppo un caso isolato. Qual è l’estensione della violenza politica in Brasile?
Incalcolabile. Il Brasile è il paese più pericoloso al mondo per gli attivisti politici. È il quinto in classifica per i femminicidi e tra i più pericolosi per la comunità LGBT. Oltretutto, l’attuale presidente non fa che incitare all’odio.
E le responsabilità dei gruppi paramilitari?
Si tratta di uno dei pericoli principali per il Brasile. Il problema è che la milizia oggi non si limita a occupare il territorio, ma è al cuore dello Stato. Le relazioni tra alcune milizia e la famiglia Bolsonaro sono note. Non ho dubbi che i paramilitari abbiano preso parte all’omicidio politico di Marielle.
Dalle sue parole appare evidente il rischio che il Brasile possa ritornare agli anni bui della dittatura. Ma chi può rappresentare oggi nella società brasiliana l’opposizione a Jair Bolsonaro?
Il primo oppositore è qualunque brasiliano comprenda la democrazia e lotti per un paese più giusto ed egualitario. C’è grande fermento dei movimenti LGBT indigeni e neri. Questi cittadini, da soli e insieme, sono la negazione delle politiche portate avanti dal presidente.