Ripescati nel Po a poche ore di distanza: il giallo del diplomatico e dello psicologo

Due cadaveri trovati nel Po, a Torino, a distanza di circa dodici ore e a cinque chilometri di distanza. Due giovani, neanche trentenni, entrambi provenienti dalle Bahamas. Amici di lunga data che, lasciata la loro isola per seguire le loro carriere, si erano dati appuntamento nel capoluogo piemontese dove sono morti per cause ancora da accertare e tempi da ricostruire. È la storia di Alraé Ramsey, 29 anni, e Blair Rashad Randy John, 28 anni, che si tinge di giallo anche per la sparizione dei loro bagagli. Il cadavere del primo, un diplomatico con permesso di soggiorno austriaco, è stato trovato nel pomeriggio di martedì. Il corpo si trovava nel Po tra il ponte Balbis e il ponte Isabella, a sud del parco del Valentino. Addosso aveva ancora i suoi vestiti, che non sono stati strappati dalla corrente, e l’orologio. Gli investigatori della Squadra mobile avevano appreso che era in città insieme a un amico suo connazionale (ma con cittadinanza canadese) la cui scomparsa era stata denunciata il 1° giugno. Anche il suo corpo è stato trovato nel fiume, ma cinque chilometri più a nord, vicino alla passerella di piazza Chiaves sul Po, dove è stato recuperato nella prima mattina di ieri. Anche lui aveva addosso i suoi vestiti e una catenella.

Da un primo esame del medico legale “non emergono elementi che facciano ritenere che i due cittadini siano stati vittime di delitti o fatti violenti”, ha dichiarato ieri mattina il questore di Torino Giuseppe De Santis. Sul volto hanno leggeri segni di contusione, compatibili con una caduta in acqua. Secondo il medico legale, i loro corpi sono rimasti in acqua in un periodo di tempo tra le 24 e le 72 ore, ma si aspetta l’esito dell’autopsia e degli esami tossicologici per capire meglio le cause e tempi della loro morte. “Se l’esame non chiarisse i dubbi sulla modalità della morte – ha proseguito il questore –, la squadra mobile esaminerà tracciati telefonici, tabulati, uso carte di credito e bancomat”.

Ramsey era un “giovane brillante, pieno di speranze”, lo ha definito l’ex ministro degli Affari esteri delle Bahamas, Fred Mitchell, con cui il 29enne aveva lavorato in passato. Di recente si era trasferito in Austria per frequentare l’Accademia diplomatica. Il 28enne, invece, aveva un dottorato in Psicologia e abitava in Canada. Secondo quanto spiegato alla polizia dalla sorella, che risiede a Londra e si è precipitata a Torino, John frequentava un corso in Inghilterra. Sarebbe arrivato a Torino per parlare a una conferenza di psicologia. Per questa ragione si erano dati appuntamento in Italia a metà della scorsa settimana. Avevano prenotato una stanza per due notti in un bed and breakfast, ma l’ultima notte non avrebbero fatto rientro nella loro camera dove non sono state trovate le valigie. I familiari hanno avuto un ultimo contatto con i due giovani il 30 maggio, sostengono i media caraibici. Secondo un giornale bahamense, Eyewitness News, Randy John nel weekend avrebbe dovuto essere di nuovo a Londra per poi prendere un volo per Halifax (Canada), un volo mai preso, ragione per cui il primo giugno i familiari ne hanno denunciato la scomparsa.

Spengono tv in cella a mezzanotte, rivolta nel carcere

Pochi minuti dopo la mezzanotte di ieri, i detenuti ristretti nella terza sezione detentiva nr. 53, nella seconda sezione detentiva nr. 52 e nella prima sezione detentiva nr. 47, per un totale di 152 detenuti del carcere di Sanremo (Im), hanno dato vita a una violenta protesta, dopo che il personale di polizia penitenziaria, come da disposizioni della Direzione generale dei detenuti del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), ha spento la televisione. Suppellettili sbattuti, pentolame contro le inferriate dei cancelli, bombolette di gas e carta incendiata lanciate nei corridoi. Sono intervenuti direttore e comandante che hanno avuto un colloquio con i rappresentanti della popolazione detenuta e il direttore ha deciso di non dare più luogo alle disposizioni del dipartimento. A renderlo noto è l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci che denuncia “il crescente strapotere che i detenuti esercitano all’interno delle carceri” e “alcune disposizioni, all’apparenza restrittive, emanate nel clima di tensione in questo momento esistente che hanno come unico effetto di accrescere la criticità esistente”.

Azouz è tornato. E concede le interviste (a pagamento)

Azouz Marzouk è tornato in Italia dopo dieci anni dalla sua espulsione e la sua presenza, in un solo giorno di permanenza sul suolo italiano, si è già fatta sentire. Prima ha avvisato un paio di giornalisti del suo arrivo così da rilasciare la sua prima intervista a Studio Aperto in cui annuncia trionfalmente di sapere chi sono i veri assassini della strage di Erba e di conoscere pure il movente. Così, per creare suspense. Poi ha dichiarato afflitto al Giorno: “Finché sarò vivo lotterò perché ci sia giustizia per quelle quattro anime che sono morte”. Commovente. Nel frattempo è apparso pure il suo nuovo avvocato veronese, Simone Giuseppe Bergamini, che ha spiegato sempre ai giornali quanto l’espulsione del suo assistito sia stata anomala. Ma non è finita qui. Ieri, sulla bacheca Facebook del programma Sono innocente, qualcuno si è accorto dell’annuncio datato 27 maggio di tal Giovanni Deidda.

Lo stesso annuncio è stato inviato via email alle redazioni di vari giornali sempre dal Deidda: “Azouz Marzouk torna in Italia. Non risponderà più a chiamate dei media. Potete rivolgervi a me se interessati, per concertare i termini economici per rilascio di esclusive o interviste basate sulle dichiarazioni che farà in Tribunale al fine di far scarcerare Rosa e Olindo ingiustamente condannati. Il legale incaricato che andrà a breve a Tunisi per riportarlo in Italia – Simone Bergamini del foro di Verona – parimenti vi inviterà a contattare solo me per la gestione dell’agenda. Saluti. Ombretta Panizzari”. Seguiva numero di cellulare. Telefono a questa Ombretta, le chiedo se conduca le trattative economiche per conto di Azouz. “Guardi, io sono amica di un amico dell’avvocato Bergamini, il signor Deidda, che mi ha buttata in trincea per gestire questa cosa. Sento le proposte economiche, faccio da passacarte, Azouz tiene famiglia!”. Le faccio notare che la precedente è stata trucidata, chiedo se non sia anomalo chiedere soldi per ottenere giustizia per la morte dei propri cari. “Stupisce che la verità abbia un prezzo, lo so, ma visto che hanno cominciato a fare offerte!”. A quel punto afferma di essere in compagnia di questo Giovanni Deidda. “Glielo passo che lui è più rampante”, mi dice. “Io sono amico personale dell’avvocato Bergamini, il quale mi ha detto di non voler entrare in questo mercanteggiare. Mi ha spiegato che lui vuole la scarcerazione di Rosa e Olindo, Azouz vuole i soldi, quindi ci siamo seduti intorno al tavolo e mi ha detto ‘come ne esco?’ e io ‘secondo me ne esci se c’è una terza persona che prova a mediare gli interessi di Azouz, che sono quelli di lucro”. Replico che l’interesse di Azouz dovrebbe essere la verità. “Lui vuole monetizzare, non mi faccio domande. Mi hanno chiamato mille redazioni, Quarto grado, Tg5 e fanno discorsi del tipo “Quanto volete? Sì, ma se io pago poi quell’altro viene a sapere che ho pagato!”. Le Iene hanno chiamato direttamente ad Azouz, hanno detto siamo amici, siamo venuti a Tunisi, mettiamoci d’accordo tra di noi…”, è tutto un cinema!”. A quel punto Deidda mi chiede se io sia la giornalista che tempo fa, sul Fatto, aveva scritto che la moglie di Bossetti era stata pagata 30 mila euro per andare in tv. Confermo e chiedo il perché me lo domandi. “Ho cercato su google se c’era ‘un borsino’ delle ospitate tv, è venuto fuori il tuo articolo, non sapevo se quello che chiedeva Azouz avesse un senso, il tuo articolo in effetti suggeriva di sì”. Domando se chiede 30.000 euro anche Azouz. “Di più. Quarto grado propone due ospitate, ho parlato con la Maltagliati, vediamo…”. Mi sembra tutto surreale. Telefono ad Azouz, gli domando perché si affidi a questo Deidda per le trattative. “Ho chiamato il mio avvocato, dice che poi mi spiegherà”. “In che senso?”. “Lo conosce lui”. “Ma chiedi soldi o no per andare in tv?”. “Non nego e non affermo”. “Saprai se vuoi essere pagato.”. “Non so nulla, non so rispondere, fa tutto l’avvocato”. “Sei tu che decidi se vuoi soldi o no. Li vuoi?”. “Non so risponderti”. Insomma, tutto per amor di verità. Che mestizia.

Sospeso un medico: “Istiga alla corruzione sui malati di cancro”

Avrebbe tentato di corrompere un collega della Asl perché indirizzasse pazienti oncologici in una struttura privata per effettuare trattamenti sanitari molto remunerativi: per questa ragione un medico della clinica privata convenzionata Salus di Brindisi è stato sottoposto alla misura interdittiva del divieto di esercitare per nove mesi la professione. È Luigi Mariano, di Lecce, colpito da provvedimento del gip Tea Verderosa su richiesta del pm Pierpaolo Montinaro e sulla base delle indagini compiute dai carabinieri del Nas di Taranto. A denunciare i fatti è stato il direttore generale della Asl, Giuseppe Pasqualone. Il reato ipotizzato è l’istigazione alla corruzione. Secondo quanto emerso dalle indagini, Mariano avrebbe contattato il direttore dell’Unità operativa di Medicina dell’ospedale di Ostuni chiedendo di indirizzare alla casa di cura Salus, estranea alle indagini, pazienti affetti da neoplasie epatiche, per effettuare trattamenti di chemio-embolizzazione, malgrado la Asl di Brindisi sia attrezzata per tale tipo di interventi. In cambio avrebbe promesso al professionista il conferimento di una consulenza scientifica retribuita. Dall’aumento dei ricoveri avrebbe guadagnato anche il medico.

E la giudice chiese: “Non portatemi lo stalker in ufficio”

Una relazione durata diversi anni e finita male, con una denuncia per violenze e stalking. Lei, una donna sulla cinquantina, è giudice al Consiglio di Stato; lui ha dieci anni di più e presiede un tribunale amministrativo del Nord Italia. I due adesso sono distanti, però tra pochi giorni potrebbero trovarsi a lavorare insieme negli stessi uffici di Palazzo Spada.

Il magistrato ha fatto domanda per trasferirsi a Roma, proprio al Consiglio di Stato. Il 24 maggio, dopo la delibera della apposita commissione, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (Cpga) ha accettato la richiesta. Il giorno prima della riunione decisiva la magistrata ha consegnato venti buste sigillate al presidente e a tutti i componenti del Consiglio. Pur “con grande difficoltà”, spiega la magistrata nella sua lettera, ha deciso “di rendere nota la vicenda personale”, affinché “prima di procedere a ogni determinazione in ordine alla nomina” del giudice, i componenti del Cpga potessero “leggere i fatti con attenzione” e valutare con cautela.

All’interno del plico c’è la denuncia presentata il 13 ottobre 2018 alla Questura di Viterbo, dove la giudice spiega di essere stata “trasportata con ambulanza” in ospedale, a seguito dell’aggressione subita dall’ex compagno ora candidato al Consiglio di Stato. L’uomo si sarebbe intrufolato di nascosto nel suo appartamento, l’avrebbe prima aggredita verbalmente e poi fisicamente. In seguito si sarebbe allontanato dalla casa, ripreso dalle telecamere, anticipando l’arrivo dei carabinieri, contattati dal collaboratore domestico della donna. Era stato lui, nel precedente mese di agosto, a interrompere il rapporto, poi però ci ha ripensato.

La magistrata in quell’occasione riporta un “trauma contusivo” nella zona dello “zigomo, sterno e cervicale”. Viene assistita secondo il protocollo del “percorso rosa”, dedicato alle donne che subiscono violenza e giudicata “guaribile in 10 giorni”. La “vicenda è attualmente al vaglio della Procura di Viterbo”, scrive la giudice ai colleghi. Il procedimento nel frattempo è stato trasferito a Roma per competenza territoriale.

Oltre alle presunte “lesioni”, il giudice alla fine di settembre avrebbe fatto anche “appostamenti, pedinamenti e altro”. La donna racconta di altre due aggressioni, che però non aveva denunciato perché all’epoca le riteneva “episodi isolati” e non desiderava “danneggiare” il compagno e collega. Sarebbero entrambi avvenuti nel 2014, il primo a gennaio e il secondo ad aprile. L’uomo l’avrebbe colpita al volto con uno schiaffo e poi alle costole. Anche in questo caso sono allegati i referti medici.

Ai carabinieri, lo scorso ottobre, la magistrata racconta che già durante i due anni di convivenza l’ex compagno avrebbe mostrato un “carattere violento”, tale da “distruggere e danneggiare” le sue cose e da rivolgerle frasi ingiuriose e offensive. Spiega di essere stata oggetto di stalking, con appostamenti sotto casa. “Mi ha minacciato di denigrarmi nell’ambiente lavorativo”, si legge nella denuncia. Il magistrato si sarebbe presentato una volta a Palazzo Spada, attendendola “per strada” per poterla incontrare, e in un’altra occasione le avrebbe “inviato delle foto” via cellulare, per farle sapere che si trovava “nei pressi della sua abitazione”. Non mancano decine di mail e di messaggi per chiederle con insistenza di tornare insieme.

La donna denuncia oggi di sentirsi “seriamente preoccupata” per la sua “incolumità”, perché “il comportamento persecutorio e violento” dell’ex compagno “è aumentato nel tempo”. Spiega di aver fatto richiesta, nell’aprile 2019, al segretario generale per la sospensione del porto d’armi di cui è titolare l’ex compagno.

Nonostante la lettera e la denuncia, il Consiglio di presidenza ha votato a favore del magistrato che ora, per prendere servizio a Palazzo Spada, attende solo la firma del decreto da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Al momento della votazione il Consiglio non avrebbe potuto sospendere la decisione perché risultava solo una denuncia e non un provvedimento cautelare a carico del magistrato”, spiegano da Palazzo Spada, sottolineando che i requisiti di anzianità c’erano e quindi non era possibile deliberare altrimenti.

L’interessato, contattato dal Fatto, risponde: “Non so niente della denuncia, né della lettera al Cpga”. Sulle presunte violenze denunciate dalla sua ex preferisce non esprimersi: “Sono vicende personali di cui non intendo parlare”.

Omessa bonifica dei terreni Expo, chiesta archiviazione

La Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione di un fascicolo che era stato aperto con l’ipotesi di reato di omessa bonifica, a carico di ignoti, dopo una serie di accertamenti sull’inquinamento delle falde acquifere nell’area dove si è tenuta l’Esposizione Universale del 2015 e, in particolare, sulle certificazioni di bonifica che vennero rilasciate dall’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale.

L’indagine, affidata ai pm Giovanni Polizzi e Paolo Filippini, era nata a seguito di un esposto della consigliera lombarda del M5S Silvana Carcano. Gli inquirenti hanno svolto accertamenti in questi mesi sull’inquinamento delle falde acquifere, dovuto probabilmente agli sversamenti nel terreno di una vicina azienda chimica, la “ex Weiss” con sede a Baranzate (Milano).

Le indagini, tuttavia, si sono concentrate, in particolare, sulle certificazioni di avvenuta bonifica che vennero rilasciate prima dell’Expo, senza individuare, a ogni modo, responsabilità penali e i pm hanno quindi chiesto l’archiviazione del fascicolo.

Lotito amico di tutti, anche dei magistrati

Il magistrato Luca Palamara, i consiglieri del Csm, il tessitore di trame renziane Luca Lotti, l’ex giudice e parlamentare Pd Cosimo Maria Ferri. E in incontri di questo tipo pure Claudio Lotito. Cosa ci faceva il presidente della Lazio nei pressi di riunioni carbonare tra magistrati interessati al futuro della Procura di Roma? Strani giri di potere, magari regali di biglietti per lo stadio come quello con cui il giudice Luigi Spina (indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto a Perugia, costretto a dimettersi dal Csm) sarebbe entrato all’Olimpico per la finale di Coppa Italia, vinta dalla Lazio il 15 maggio scorso. Di sicuro, anche se i togati smentiscono di averlo incontrato (e di aver chiesto ingressi omaggio), Lotito ha amicizie influenti. Parla di tutto e di tutto si interessa.

A coinvolgerlo, secondo le indagini di Perugia riferite dai giornali, sarebbe stato Palamara, peraltro romanista. Il pm romano indagato per corruzione non è l’unica vecchia conoscenza di Lotito in quell’ambiente. Il patron della Lazio conosce senz’altro Ferri, oggi onorevole dem ma già leader di Magistratura indipendente (conservatori) e in passato membro della commissione vertenze economiche della Federcalcio. I due sono finiti insieme nelle carte di Calciopoli e dovevano essere vicini se – come si legge in un’informativa dei carabinieri – l’ex presidente Figc Mazzini si rivolgeva a Ferri per parlare con Lotito “per la questione del maggiore interesse, ovvero quella del favore arbitrale”. Acqua passata (Ferri non fu giudicato dalla giustizia sportiva: si dimise poco dopo il deferimento; Lotito se la cavò con una piccola squalifica), i rapporti magari no.

Sembra di vederlo, in quelle stanze d’albergo romane. Inesauribile fino a notte fonda, straripante, circondato dalla scorta. Ne ha fatta di strada da quando “giovane e di bella presenza” – come scriveva il Messaggero di allora – veniva arrestato con la pistola nella fondina e il telefonino al seguito per un’inchiesta sugli appalti delle pulizie alla Regione Lazio: finì assolto. Quasi trent’anni dopo la pistola è sparita, i telefonini si sono moltiplicati: almeno tre o quattro, sempre accesi, rigorosamente Anni 90 per uno strano gusto vintage e a prova di trojan. Dopo Andrea Agnelli è il secondo presidente più vincente del calcio italiano degli ultimi dieci anni, con la sua Lazio raccattata dalla macerie anche grazie a una maxi-rateizzazione del debito fiscale.

Una ne fa e cento ne pensa, ha sempre qualcuno a cui rivolgersi e magari un biglietto da regalare. Tanti uomini di legge, non solo per la sua passione per il latino. In Federcalcio (dove continua a brigare, tra elezioni e sentenze) i suoi buoni rapporti con i giudici sportivi sono noti, tanto che la Figc vorrebbe azzerare il sistema perché “serve aria nuova”. Magari ha solo fatto il salto dai giudici sportivi a quelli ordinari. Dall’altro lato della barricata, uno stuolo di avvocati. Anche famosi. Anche condannati, come Cesare Previti, laziale doc, che anni fa si permetteva di sgridarlo perché il figlio giocava poco nelle giovanili. E poi i rapporti con Forza Italia, l’ex ministro Claudio Scajola e Adriano Galliani, l’ex assessore regionale (con qualche precedente) Giulio Gargano oggi tuttofare di Lotito, i tentativi (l’ultimo sfumato di un nulla alle Politiche) di farsi eleggere dal centrodestra in Parlamento, dove comunque si aggira per seguire i provvedimenti che gli stanno a cuore. Quando non riesce a entrare nella stanza dei bottoni, sfonda la porta. Coinvolto in mille scandali, ne esce sempre pulito. L’inchiesta su Infront e i diritti tv, le accuse di evasione fiscale, persino la “Multopoli” romana. “Un equivoco”, giura. Lotito è ovunque.

L’Anm: “Si dimettano tutti”. Così può cambiare il Csm

La promessa di una nuova autoriforma del Csm, dopo quella varata appena tre anni fa, non attenua la bufera su Palazzo dei Marescialli. Almeno pare non bastare all’Associazione nazionale magistrati che chiede che si trasformino “immediatamente” in dimissioni, le autosospensioni dei quattro membri togati dell’organo di autogoverno – Gianluigi Morlini di Unicost, Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli di Magistratura Indipendente – che hanno partecipato ad alcuni incontri aventi ad oggetto anche la futura nomina dei procuratori di Roma e Perugia. Incontri con Cosimo Ferri oggi deputato del Pd, ma magistrato in aspettativa e dominus della corrente di Mi, Luca Lotti pure lui parlamentare del Pd e imputato a Roma per il Caso Consip e Luca Palamara esponente di spicco di Unicost e aspirante procuratore aggiunto di Roma. Che è indagato a Perugia insieme a Luigi Spina che per questo si è già dimesso dal Consiglio superiore della magistratura dove era stato eletto sempre per Unicost.

Di passi indietro gli altri quattro togati non intendono invece farne, nonostante la durezza dei toni dell’Anm che al di là dei profili di rilevanza penale e disciplinare che saranno eventualmente accertati, ritiene già evidenti “gravissime violazioni di natura etica e deontologica”. E che si sia già determinato un “incalcolabile danno all’Istituzione e ai singoli magistrati che si ispirano, nel loro operare quotidiano, a rigorosi principi di correttezza”. Tal che servono dimissioni immediate dall’incarico al Csm “per il quale, evidentemente, non appaiono degni”. Parole pesantissime che per gli interessati, che invece rivendicano la correttezza dei loro comportamenti, suonano come più o meno un processo sommario. Peggio della gogna mediatica da cui intendono difendersi con le unghie e con i denti ma senza lasciare Palazzo dei Marescialli. Del resto la mozione approvata ieri dal parlamentino dell’Anm serve soprattutto a tenere unita la giunta del cosiddetto sindacato delle toghe presieduta attualmente da Pasquale Grasso che più d’uno aveva criticato per le sue dichiarazioni iniziali sulla vicenda, reputate troppo morbide e per questo sospettato di voler fare scudo ai consiglieri della sua corrente.

Nell’ipotesi che i consiglieri coinvolti dovessero mollare, gli equilibri al Csm muterebbero profondamente. Mi perderebbe 3 eletti su 5. Unicost, l’altra corrente che spadroneggia in plenum, rischia di perdere un altro seggio dopo quello di Spina. Se ne avvantaggerebbero Autonomia e Indipendenza e Area.

Ma la valanga sul Csm ha pure risvolti politici dagli esisti non scontati perché il coinvolgimento dei due deputati dem vicinissimi a Matteo Renzi fa dire per esempio al maggiorente di Fratelli d’Italia Donzelli che il guardasigilli Bonafede dovrebbe inviare gli ispettori a Roma ma pure a Firenze, dove alcune inchieste sarebbero finite misteriosamente su un binario morto. Infine c’è il destino della Procura di Roma per il quale era favorito fino a pochi giorni fa Marcello Viola su cui si puntava a chiudere in fretta. E del resto a inizio aprile, Mattarella aveva irritualmente convocato il Csm al Quirinale per sollecitare una soluzione rapida. Ora le carte sono rimescolate e ci vorrà tempo. E non è detto che al fotofinish non la spunti Francesco Lo Voi. Un magistrato che come Viola e l’altro candidato in campo, Giuseppe Creazzo, è di valore indiscusso. Ma gli sorride pure la sorte: era partito svantaggiato pure quando aveva concorso per la Procura di Palermo dato che Guido Lo Forte aveva raggranellato più consensi in commissione. Ma l’allora presidente Giorgio Napolitano aveva ordinato al Csm di occuparsi prima di altre nomine: la consiliatura era finita e la successiva, con maggioranze diverse, aveva incoronato Lo Voi. Quando si dice la fortuna.

L’ex sindaco Marino non diffamò Raggi e gli altri cinquestelle

“Il Tribunale di Roma mi ha assolto in relazione a un’altra denuncia del Movimento 5 Stelle”. Lo ha annunciato l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, sul proprio profilo Facebook. “Il 20 aprile 2015 – ricostruisce Marino – Marcello De Vito, Virginia Raggi, Enrico Stefàno, Daniele Frongia, Roberta Lombardi e Gianluca Perilli mi denunciarono alla Procura di Roma affermando che li avevo diffamati. Il sostituto procuratore Ielo, l’8 Maggio 2015, chiese l’archiviazione con questa motivazione: ‘non avendo il Marino utilizzato espressioni gratuitamente denigratorie della dignità e della reputazione altrui’. Tuttavia, il giudice per l’udienza preliminare decise di rinviarmi a giudizio e così iniziò il processo che si è concluso oggi, dopo 4 anni, con la mia assoluzione. Ancora una volta – conclude l’ex sindaco – mi ritrovo con gli stessi sentimenti: soddisfatto ma non allegro. Quante ore perdute in questi anni nel prepararsi per il Tribunale, quante energie investite da un maestro del diritto come il professor Enzo Musco e dalla sua ottima allieva, l’avvocato Alessandra Martuscelli, quante ansie per i miei familiari e per le persone che mi vogliono bene”.

Caso Marra, i pm ricorrono in appello contro la sindaca

La Procura di Roma ha depositato il ricorso in appello contro la sentenza con cui il 10 novembre scorso il giudice monocratico ha assolto la sindaca Virginia Raggi dall’accusa di falso in relazione alla nomina di Renato Marra, fratello dell’allora capo del personale, a capo della Direzione turismo del Campidoglio. Come rivelato dal sito de l’Espresso “i magistrati che la hanno mandato alla sbarra per falso in atto pubblico, Paolo Ielo e Francesco Dall’Olio, hanno infatti depositato il ricorso per l’appello”. Il ricorso arriva a poco meno di un mese dalle motivazioni della sentenza in cui il giudice Roberto Ranazzi afferma che la sindaca “è stata vittima di un raggiro ordito dai fratelli Marra in suo danno”. Nel motivare la sentenza di assoluzione con la formula “perché il fatto non costituisce reato” il giudice afferma che “sotto l’aspetto formale la nomina di Renato Marra non offre alcuna deviazione dalla procedura di interpello”. La sua candidatura “era stata pianificata dai due fratelli Marra molti mesi prima, già dalla prima metà di luglio 2016, quale alternativa al diniego della sindaca per la nomina di Renato Marra come il capo o vicecapo della polizia locale di Roma capitale”.