L’Inter si affida a Full Metal Conte: “Agghiacciande”

Cinquant’anni il prossimo 31 luglio, Antonio Conte ha sempre trattato la simpatia come Cassano la grammatica: fregandosene. Prendendolo come sostituto di Spalletti, l’Inter è divenuta de facto l’anti-Juve per lo scudetto. Un “balzo in avanti” che, tra gli allenatori italiani, può garantire – in via teorica – solo lui.

Molto più di Maurizio Sarri, forse un giorno alla Juve, più bello di lui come gioco ma anche molto più umorale. Lui e il neo-vincitore dell’Europa League sono i tecnici più desiderati d’Italia e condividono, per quelle stranezze del destino che albergano nella storia ora nobile e ora no del calcio, una retrocessione in coabitazione: Arezzo, stagione post-Calciopoli 2006/7. Prima Conte, poi Sarri, poi ancora Conte. Esoneri, calvari e la Juventus (sì, al tempo era in B) che all’ultima giornata era già promossa e schierò per questo come titolari terze linee e relax: infatti perse in casa 2-3 con lo Spezia. E l’Arezzo andò giù per un punto. Conte sparò ad alzo zero: “Contro di noi la Juventus sembrava in finale di Champions League… Si parla di calcio pulito, poi succedono queste cose. Nel calcio sono tutti bravi a parlare, sembrava che i cattivi fossero fuori. E allora evviva il calcio pulito…”. Ovviamente di lì a poco sarebbe andato ad allenare proprio la Juve, con quella totale assenza di coerenza che nel calcio è normale.

Orgoglioso come pochi, dopo la retrocessione Conte chiese al presidente dell’Arezzo Piero Mancini di restare altri due anni. Pagato meno di quanto lo sarebbe stato altrove. Mancini, con fiuto raro per l’harakiri, rifiutò e prese tal De Paola Luciano. Strazianti i risultati. Il Conte allenatore avrebbe poi vinto tutto e di più, col suo bel crine canadese, la sua propensione all’autoelogio e quelle sue doti innegabili di tattico motivatore. Tutte cose, nell’estate del 2006, non così prevedibili.

Ha scritto in questi giorni il sito L’ultimo uomo: “Il trapianto di capelli in Canada arriverà soltanto l’anno dopo: il cranio di Antonio è ancora virilmente rasato e si imperla di sudore mentre è chino sui libri del Supercorso di Coverciano (…) Con sua grande sorpresa, ha scoperto che un sacco di gente lo credeva malato terminale: ‘Andavo a Roma, salivo su un taxi e si ripeteva sempre la stessa scena: a dottò, ma lei non stava per morire? Mi avevano attribuito le malattie più terribili, il cancro, la distrofia muscolare. Raccontavano di avermi visto paralizzato in aeroporto, su una sedia a rotelle. Ho cercato di scoprire come sia nata la cosa, niente da fare’”.

Ora che è andato all’Inter, i talebani nerazzurri gli giurano eterno odio (pronti ovviamente a far cortei quando lui gli farà vincere tutto). In Rete si dice che, per prima cosa, Conte abbia affermato che il famoso rigore di Iuliano su Ronaldo era solare: giusto per ambientarsi appieno alla Pinetina. In realtà, come prima mossa, “Full Metal Conte” ha casomai dato una stretta a vizi e social: tutti gesti normali alla Juve, ma quasi eretici ad Appiano Gentile. Chi lo odia gli augura un fallimento nerazzurro come accadde all’altro eterno bianconero Lippi. Chi non ha i paraocchi non può non pensare che, se c’è un allenatore che può far rivincere l’Inter, è proprio Antonio da Lecce. Quello più incazzoso di Crozza quando lo imita. Quello per cui è tutto “agghiacciande” quando non vince. Quello che, dei congiuntivi come delle critiche, se n’è sempre fregato allegramente. Anzi “allegramente” proprio no, perché l’ultima volta che l’hanno visto ridere (sul serio) in pubblico c’era ancora Tambroni.

Magistratura corrotta, nazione infetta

Delle sorde, sordide, lotte intestine che si sono scatenate fra le varie correnti del Csm e i magistrati a esse legati per accaparrarsi il posto di Procuratore capo di Roma lasciato libero un mese fa da Giuseppe Pignatone, che hanno a loro volta scoperchiato, come in una matrioska, altri fondi e sottofondi dello stesso genere per assicurarsi posizioni apicali nell’ordine giudiziario, col corollario di altissimi magistrati sospettati di essere disposti a vendersi per un anello da regalare alla moglie, per sbafare una vacanza in qualche località prestigiosa, e di frequentazioni equivoche, in questo caso non più sospettate ma documentate, con uomini politici, faccendieri, imprenditori indagati per gravi reati, insomma di questo guazzabuglio sinistro e quasi inestricabile abbiamo capito una sola cosa, quella scritta (Fatto, 31.5) da Gian Carlo Caselli, ex Procuratore della Repubblica di Torino fra i tanti incarichi che ha avuto, cioè che “l’impatto vero e tremendo” di questa storia grava “sull’indipendenza della Magistratura”.

Noi, che non siamo magistrati né ex magistrati, e siamo quindi liberi da ogni riguardo di colleganza, diremo qualcosa di più: dalle notizie emerse in questi giorni, anche se fossero confermate solo in parte, si ricava che la Magistratura italiana, come ogni altro corpo del nostro Stato, è corrotta, con tutta probabilità anche penalmente, di sicuro moralmente. “Pecore nere” ci possono essere ovunque, questo è ovvio, ma qui il dissesto morale, e forse anche penale, appare di sistema. E se anche si trattasse solo di sospetti bastano per incrinare la fiducia dei cittadini nella credibilità della Magistratura. E con una Magistratura ritenuta, a torto o a ragione, più a ragione, temiamo, che a torto, poco credibile, si minano alle radici le fondamenta stesse dello Stato e della democrazia. In uno Stato di diritto la Magistratura è il massimo organo di garanzia di una corretta convivenza fra i cittadini, non lo è, benché sia capo del Csm, il presidente della Repubblica che in quest’ambito ha di fatto solo un potere di moral suasion che in un Paese come il nostro dove l’immoralità e la corruzione, nelle Istituzioni e non, sono dilaganti, lascia il tempo che trova. Se settori della Magistratura e singoli magistrati non agiscono per la difesa di quella legalità di cui dovrebbero essere gli integerrimi custodi, ma per fini propri diversi da quelli di giustizia, allora casca l’asino. Si rompe cioè il contratto sociale che dovrebbe tenerci insieme. Diventa anche patetico il disperato grido dei Cinque Stelle “legalità, legalità” se a violarla sono proprio quelli che dovrebbero assicurarla. E si rischia di dar ragione al mantra di Silvio Berlusconi che, coadiuvato dalla potenza di fuoco dei suoi media, ha sempre sostenuto, e tuttora sostiene, di essere stato e di essere vittima di una “magistratura politicizzata”. E allora avremo davvero toccato il fondo.

Contro le correnti c’è solo la rotazione

La Costituzione delinea un modello di magistrato soggetto soltanto alla legge e con pari dignità delle funzioni. Anche l’Autogoverno riflette questi principi: non un potere concentrato nel Csm, bensì un’esperienza che mette al centro la tutela dell’indipendenza del singolo giudice. Di tutt’altro segno il modello che scaturisce dal Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria, affannosamente proteso alla ricerca del magistrato “migliore” poiché dotato della misteriosa “attitudine direttiva”. Un’idea tanto incongrua quanto fuorviante: perché i magistrati sono tra loro indipendenti; e perché i più elementari principi della scienza aziendalistica ci dicono che il manager è tale solo se dotato di budget autonomo, di leva di spesa, di uno staff a cui affidare il raggiungimento degli obbiettivi perseguiti. Non una sola di queste prerogative è riconosciuta ai “dirigenti giudiziari” le cui competenze organizzative sono vieppiù erose dalle attribuzioni dei dirigenti amministrativi. La risultante di sistema è chiara: grazie alla retorica del “migliore” le correnti rappresentate al Csm sono poste in grado di genuflettere l’intera magistratura. “Sei della mia corrente? Avrai fermo appoggio contro il candidato dell’altra corrente, a prescindere dalla professionalità”. “Ci sono più posti a disposizione? Ce li spartiamo equamente, secondo il Manuale Cencelli”. Sempre più frequenti sono gli annullamenti del Giudice Amministrativo, vero Giudice a Berlino chiamato ad arginare lo strapotere descritto, recentemente costretto a definire il Csm “parte sleale” del processo.

Altro effetto perverso dell’ideologia migliorista è l’invito a mettersi in mostra per meritare inconsistenti “medagliette” extracurricolari distribuite ad arte dal sistema correntizio e buone solo a distrarre i giudici dai propri doveri (il lavoro è tempo sottratto alla carriera…).

Il sistema funziona benissimo nel favorire il paradosso di un “autogoverno oligarchico” che esclude sulla carta circa il 90% dei magistrati da ogni esperienza direttiva. Quasi mai il dirigente scaduto ritornerà a fare il giudice o il sostituto procuratore ecc. Egli difatti userà il vecchio incarico da trampolino verso altro e superiore, facendo leva sulla fantasiosa stratificazione dei “meriti” via via acquisiti.

Solo la rotazione infliggerebbe un colpo mortale all’“ufficio di collocamento” correntizio, restituendo a ogni singolo magistrato indipendenza e pari dignità. Nulla osta a che ogni magistrato dotato di congrua anzianità (10-15 anni) possa essere chiamato – a turno – a contribuire all’organizzazione del suo Ufficio per un limitato periodo di tempo (due o tre anni): quanto detto rende inconsistente l’idea che il dirigente “scelto” dal Csm sia di per sé più capace di quello turnariamente designato fra i presenti in Ufficio. Napoleone Bonaparte, negli ordinamenti delle Repubbliche Cisalpine, aveva previsto la rotazione annuale di tutti i giudici nell’incarico di presidente del Tribunale di Milano e degli altri Tribunali Giacobini per assicurare “l’effettiva parità de li Signori Giudici”. Nella medesima direzione, il recente disegno di riforma della giustizia tributaria per la figura semidirettiva dei “Vicepresidenti di Sezione” stabilisce la rotazione annuale, in ordine di anzianità, tra i magistrati della sezione con almeno 6 mesi di servizio. La principale obiezione alla rotazione è il rischio di inadeguatezza del magistrato chiamato ad assolvere turnariamente alla funzione direttiva. Ma il problema vero non è evitare che un incapace danneggi i colleghi, bensì che danneggi i cittadini. La leva dell’autoformazione, supportata da quella disciplinare e dalla responsabilità civile, deve ridurre a monte il rischio, a prescindere da ogni opzione sulla rotazione. Ogni magistrato sarà chiamato a una partecipazione costante e dinamica alla vita dell’Ufficio e alle attività del Dirigente del momento, anche per giungere preparato al suo turno.

Altra obiezione: non tutti magistrati hanno attitudini direttive, pur quando professionalmente capaci. Ma un buon giudice, per essere tale, deve necessariamente coordinarsi con i colleghi, con le cancellerie e con il foro; saper predisporre un adeguato programma di gestione del ruolo; assicurare speditezza alla fase decisoria. È mai possibile, così, che un magistrato possa essere bravo “in diritto”, ma incapace nella pratica? No. Perché la sua inadeguatezza organizzativa non potrà non avere eco nella qualità della sua giurisdizione. In altre parole, quel magistrato sarà inadeguato alle funzioni direttive proprio perchè inadeguato “anche” nell’amministrazione quotidiana degli affari.

Le ragioni della rotazione sono chiare: dare concretezza ai principi costituzionali di autogoverno e pari dignità delle funzioni giurisdizionali; sottrarre definitivamente il Csm alla presa asfissiante della correntocrazia, affrancandolo da quel “nominificio” che delle correnti stesse costituisce la principale ragion d’essere. Napoleone l’aveva intuito e codificato: noi siamo in ritardo di due secoli.

* Magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Venezia

Mai box

 

L’eterogeneo elettorato di destra fortifica Salvini

Buongiorno Marco, contrariamente a lei, temo che Salvini resterà a lungo leader indiscusso della scena politica italiana. Ciò che lo differenzia dal cazzaro che lo ha preceduto, è dato dal suo elettorato. Il popolo di “sinistra” non ha perdonato a Renzi certe frequentazioni, condite da scandali vari.

Gli elettori di Salvini sono di tre tipi, tutti zoccoli duri: 1) i leghisti nord, cioè quelli di sempre; 2) i razzisti uniti di tutta Italia, cioè menti guaste e semplici, che avrà sempre grande facilità a portarsi dietro; 3) gli orfani di Berlusconi, cioè il cittadino medio/reazionario, che non si indigna più di tanto di fronte a scandali e malaffare dei propri politici, come ci dimostra la longevità di Forza Italia.

Per tutto ciò, prevedo un periodo lungo e ancora più buio per il nostro Paese.

Spero di sbagliarmi ovviamente.

Gigi Nicastro

 

Caro Gigi,

lo spero anch’io.

M. Trav.

 

La Lega vince nel Meridione, ma qual è il futuro per il Sud?

La Lega ha aumentato i suoi elettori nonostante le accuse al suo leader, la faccenda dei 49 milioni, il caso Siri, le denunce della trasmissione Report, le inchieste e gli arresti che hanno colpito alcuni suoi amministratori.

Il dato più sconcertante è il consenso che ha riscosso al Sud: Salvini è riuscito nel difficile intento di trasformare la Lega Nord nel nuovo “Partito della Nazione”.

Qualcuno oserà insinuare che Salvini ci sia riuscito col concorso esterno delle mafie. Qualcun altro malignerà che abbia riattivato la rete delle clientele: un sistema che al Sud – grazie alla disoccupazione – ha storicamente fatto grandi miracoli. Qualcun altro vaneggerà che è tutto merito dell’ostentato rosario (a proposito di miracoli).

Io invece penso che Salvini abbia vinto utilizzando il cieco egoismo, l’odio e la paura del diverso, quali leganti per una comunità nazionale altrimenti in disfacimento.

Ma non sarà la Lega a dare una vera speranza al Sud (e a questo Paese!): bisogna unirsi nel progresso, investire in centri d’eccellenza e finanziare i giovani ricercatori meridionali, in modo che non debbano aggrapparsi ai politici di turno o andarsene via, cercando altrove il loro futuro.

Gaspare Bisceglia

 

Non solo Rixi: meglio che lascino anche gli incapaci

Nobile gesto quello di Rixi che ha immediatamente dato le dimissioni dalla carica di vice ministro per non creare problemi al governo, dopo la sua condanna (in primo grado). Un atto che dovrebbe essere imitato da altri che hanno dimostrato l’assoluta inadeguatezza a gestire gli interessi del Paese, limitandosi a proteggere quelli di partito (vedi Toninelli con la sua assurda posizione paleolitica sul Tav). Bene allontanare i corrotti (o presunti tali: se Rixi in appello fosse prosciolto?), ma ancora meglio allontanare gli incapaci.

Cristiano Urbani

 

La politica è schiava dei dati però bisogna saper fare i conti

Il 28 maggio su Il Fatto, il professor De Masi ha sostenuto una possibile auspicabile alleanza tra M5S e un Pd bonificato dalla componente “neoliberista”. Il ragionamento è aritmetico: se l’anima dei 5 stelle è composta dal 45% da sinistra, 25% da destra e 30% fluttuante, allora – spiega De Masi – i voti a Salvini vengono dalla parte di destra o indecisa del Movimento, e quindi oggi si potrebbe pensare un accordo tra i pentastellati e il nuovo Pd. Peccato che De Masi dimentichi: di contare i voti effettivi (-6 milioni per M5s; +3 milioni e mezzo per la Lega); di segnalare che gran parte dell’elettorato M5S più di sinistra si è astenuto (41% totale); e che il flusso in uscita è confluito nella Lega (+14%) e poco nel Pd (+ 2,9 %). Perciò, dati alla mano, si nota che le affinità tra i due partiti sono più di quello che sembra e che quindi, col Governo, il Movimento ha sdoganato e portato al potere la destra radicale e populista…

Forse bisognava scegliere direttamente la sinistra.

Vincenzo Fatigati

 

Marco Carta: il successo in tv non serve a trovare la felicità

Marco Carta, il vincitore di Sanremo, di Amici e di Tale quale show, è stato indagato per l’episodio di furto di capi di abbigliamento per un valore di 1.200 euro alla Rinascente di Piazza Duomo a Milano.

Un episodio per riflettere su quell’infelicità, che ormai ha sostituito in Italia il clima di fiducia negli altri e nel futuro. Marco Carta ne è il plastico testimone e rappresentante. Ha gareggiato in tanti programmi e li ha vinti. E lì, al traguardo, vi ha trovato il nulla.

È il campione assoluto di una fenomenologia dell’infelicità che nasce da quel veleno (appunto la televisione commerciale) che è stato inoculato giorno dopo giorno nel sangue del nostro Paese.

Che veleno? I soldi e il sesso.

L’infelicità di questo autoerotismo economicistico oggi dovrebbe tenere tutti lontani dal detestare quel giovane. Ma che sia un promemoria, invece, per un intero popolo di genitori (fra cui anche insigni politici) che si è messo in fila ai cancelli di tanti provini televisivi con la speranza di vedere i propri figli nella sua stessa posizione.

Giuseppe Cappello

Smettiamola di svendere le nostre città agli interessi degli altri

È da anni che si fanno accedere questi mostri, perché tali sono le grandi navi, in un contesto, quello lagunare, fragile e da controllare. Gli enti preposti alla sua salvaguardia, Comune, Regione e Stato (la Sovrintendenza è inesistente) sono ciechi di fronte a denaro e pressioni che arriveranno di certo dalle compagnie che gestiscono questi bisonti del mare, che nemmeno dovrebbero affacciarsi in laguna, figuriamoci attraversare il Canale della Giudecca.

Guardando quel video ho pianto. E se non si fosse fermata? E se avesse continuato, quel mostro avrebbe potuto spazzare via la banchina, la gente sopra e gli edifici circostanti. Brugnaro ha poco da dire che da domani “via le grandi navi” da San Marco e dal Canale della Giudecca. Lo dice da anni e prima di lui gli altri primi cittadini, ma la situazione non cambia di un millimetro. Toninelli non è da meno di quelli che lo hanno preceduto: non sa che pesci pigliare e in laguna sono scappati tutti.

Ci siamo dimenticati chi siamo. C’è qualcosa di simbolico nell’immagine della nave immensa che travolge il molo di Venezia. Per questo fa male. Ci sono le nostre città – e quindi anche noi – che subiscono una violenza. Che non sono rispettate. Ma la colpa è soltanto delle navi e degli armatori oppure è nostra? Il guaio è che siamo stati noi a permettere a colossi lunghi trecento metri di entrare in canali e porti dove non c’è spazio.

Ecco che allora il discorso si allarga. E non riguarda più soltanto le mega-navi: ci sarebbe da dire della smania di accogliere turisti pur che sia. Della miopia di puntare sulla quantità delle presenze, non sulla qualità. Ma forse occorre andare ancora oltre: ci siamo dimenticati chi siamo. Dobbiamo adattare le nostre città ai desideri degli altri, quando piuttosto dovrebbe essere il contrario. Del resto che cosa rende unico il nostro Paese? Proprio la bellezza, le proporzioni, l’armonia che unisce il patrimonio artistico, l’ambiente e la vita che vi si svolge. Questo vogliono vedere i turisti. Se cercano altro, che si accomodino pure. Il mondo è grande, troveranno altre destinazioni.

Ricordiamoglielo e ricordiamocelo, noi che ogni giorno ascoltiamo discorsi rabbiosi dei politici dove non compaiono mai le parole ambiente e patrimonio artistico. Non importa che questi beni siano il petrolio che ci garantisce il 15 per cento del Pil. Ma soprattutto che questa bellezza straordinaria e delicata sia la nostra identità. L’eredità che dobbiamo lasciare ai nostri figli.

Il Pronto soccorso all’anziana: “Curarla ci è costato 264 euro”

“Desideriamo renderla partecipe del fatto che il servizio sanitario nazionale ha impiegato euro 264 per il suo percorso di cura”. È questa la frase che l’ospedale di Pistoia ha allegato al verbale di Pronto Soccorso inviato a una donna di 88 anni che si era fatta male cadendo. La signora non aveva dovuto pagare il costo del ticket ma l’ospedale ha deciso lo stesso di “rendicontare” le spese ai suoi familiari. Questo ha spinto il presidente dell’Ordine dei medici di Pistoia Beppino Montalti a scrivere una lettera di proteste al prefetto Emilia Zarrilli in cui si è detto “indignato” come medico e come cittadino “per questa soluzione, pensata da qualche solerte burocrate amministrativo nella illusione di mortificare una anziana signora al fine di scoraggiarla a ricorrere alle cure del sistema sanitario nazionale”. La donna, che è ipovedente, ha avuto la magra consolazione di non poter leggere la notifica. L’assessore alla Sanità della Toscana Stefania Saccardi, però, difende l’operato dell’ospedale di Pistoia: “Vogliamo informare il cittadino dei costi sostenuti per tutelare la salute, anche in nome della trasparenza. Questa comunicazione sarà estesa anche ad altri ospedali”.

Nuovo allarme inquinamento: “Percolato dalla discarica di Valle”

“Il 29 marzo 2019 è stata registrata una fuoriuscita di percolato dalla discarica di Valle”. È quanto emerge dalla relazione sul Sito di Interesse Nazionale (Sin) di Papigno, nella periferia di Terni, firmata dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Il documento è stato presentato la scorsa settimana ai rappresentanti della commissione Ecomafie, che nel marzo scorso hanno effettuato un sopralluogo proprio nel Ternano. Dalle 19 pagine di relazione emerge dunque un nuovo caso di potenziale inquinamento. “Il Comune di Terni – si legge nel documento ministeriale – il 29 marzo 2019 ha trasmesso la comunicazione di potenziale contaminazione alla luce della presenza di liquido affiorante dal terreno alla vasca del percolato proveniente dall’ex discarica Rsu (chiamata anche di Valle, utilizzata in passato sia dall’acciaieria Ast che dal Comune, ndr). Arpa Umbria, con nota del 4 aprile 2019, ha richiesto al Comune di trasmettere con la massima sollecitudine una relazione per l’individuazione delle cause” e ha anche definito “l’urgenza di un progetto di messa in sicurezza permanente della discarica”, chiamando in causa direttamente l’amministrazione comunale. In pressing sul Comune anche il Movimento 5 Stelle, con il consigliere Thomas De Luca: “Perché l’episodio è stato tenuto nascosto? È inaccettabile che una potenziale contaminazione non sia stata resa pubblica dalla giunta Latini”. “Non c’è stato nessun occultamento – replica l’assessore comunale all’Ambiente, Benedetta Salvati – e abbiamo avviato tutte le misure di messa in sicurezza, anche tramite una video ispezione all’interno della tubatura”. Ora è in programma la sostituzione del tubo danneggiato, che verrà effettuata “non appena ci saranno le condizioni”.

I pulitori dei McDonald’s senza stipendio da dicembre “Vietate le proteste in centro”

Orari notturni,contratti menzogneri, paga minima di cui parte in nero: condizioni di lavoro difficili, eppure non sono questi i principali problemi degli oltre 30 lavoratori bengalesi che ogni notte fanno le pulizie da McDonald’s. Ad angosciarli sono i 4 mesi e mezzo di salari non corrisposti dall’azienda Angel Service, che fino ad aprile aveva l’appalto per la pulitura notturna nella catena di fast food. E ora anche il divieto da parte della Questura di manifestare in centro a Roma. La gestione è cambiata senza garanzie: è subentrata una nuova società, che li ha assunti più o meno alle stesse condizioni ma senza pagare gli stipendi arretrati da dicembre ad aprile, di cui nessuno vuole farsi carico. La Angel Service afferma che McDonald’s non avrebbe mai versato il corrispettivo, e si rifiuta di pagare, e la Usb, Unione sindacale di base, a cui i lavoratori si sono affidati, ha avviato una vertenza. Intanto ai lavoratori, in maggioranza immigrati bengalesi, non resta che protestare: dopo il divieto di organizzare la manifestazione in Piazza di Spagna, la mobilitazione si è dovuta spostare in largo della Marranella, davanti al McDonald’s di Tor Pignattara. Oggi alle 11 i dipendenti chiedono il supporto della nutrita comunità bengalese, per dare voce ai loro diritti negati nell’ambito di un’attività che portano avanti con poche pretese e ancora meno tutele. Le condizioni di lavoro non sono agevoli, a partire dallo stipendio di 5,26 euro l’ora, cifra irrisoria per un’attività notturna. Turni da mezzanotte alle 8, nonostante, con contratti part-time, prevedano 30 ore, invece delle 48 che in realtà coprirebbero secondo l’Usb. Ore extra che verrebbero pagate in nero e senza le quali i cleaners non riuscirebbero a completare le pulizie di 15 ristoranti McDonald’s sparsi per tutta Roma, dalla centralissima Termini alle periferie. E proprio alla catena americana fa appello il sindacato, che spera in un intervento economico per rimediare al più presto agli stipendi mancanti.

Bancarotta Borsalino, 51 indagati. Un finanziere e due poliziotti nella rete del patron Marenco

Era stato arrestato dopo un periodo da latitante, per la bancarotta della “Borsalino”, la storica azienda di Alessandria che produceva i pregiati cappelli. Quella, però, era soltanto una delle sue attività: in realtà Marco Marenco, 64 anni, imprenditore di Asti, aveva un impero di aziende fatte cadere come in un domino. Ieri la Procura di Asti ha notificato a lui e ad altre 25 persone l’avviso di conclusione dell’inchiesta “Dedalo” che ruota intorno al fallimento di dodici aziende dell’import-export di gas naturale e della produzione di energia elettrica. Secondo la Guardia di finanza di Torino e di Asti, per il passivo e il numero di società coinvolte questo potrebbe essere il secondo crac italiano dietro quello della Parmalat: il giro di denaro è di 4 miliardi, dei quali Marenco e gli altri indagati avrebbero sottratto circa un miliardo e 130 milioni di euro. I finanzieri ieri hanno sequestrato beni per 107 milioni di euro. Le società di Marenco venivano spolpate, i soldi destinati ad altre aziende del gruppo e poi trasferiti all’estero. Per questo il sostituto procuratore Luciano Tarditi contesta svariati reati: bancarotta fraudolenta, evasione fiscale, truffa aggravata e appropriazione indebita. E non è tutto. Dall’inchiesta emerge il coinvolgimento di uomini delle forze dell’ordine. Un ufficiale superiore della Guardia di finanza, Luigi Antonio Cappelli, oggi in pensione, è indagato di favoreggiamento perché nell’estate 2014, quando operava al Comando regionale Liguria, aveva contattato l’allora comandante provinciale di Asti per raccomandare un occhio di riguardo verso Silvia Grosso, compagna di Marenco. L’imprenditore inoltre poteva contare sull’aiuto ben remunerato di ex agente dei servizi segreti, Giuseppe Campaniello, che avrebbe arruolato come bodyguard e autisti tre agenti della polizia di Brescia, un ispettore della Guardia di finanza di Roma e un privato.

Ponte Morandi, partono le demolizioni Ma a ottobre il Tar può annullare tutto

Ha preso il via nella giornata di ieri la demolizione della prima casa evacuata dopo il crollo di Ponte Morandi a Genova. È invece previsto per il 24 giugno, secondo il cronoprogramma indicato dal sindaco nonché commissario Marco Bucci, l’abbattimento dei piloni del troncone del viadotto rimasto in piedi dopo la sciagura del 14 agosto scorso in cui sono morte 43 persone: in questo caso non si procederà con strumentazione meccanica, ma con l’esplosivo testato in queste ore nelle cave di Camaldoli e sul cui utilizzo il comitato Liberi Cittadini di Certosa ha chiesto rassicurazioni per scongiurare eventuali rischi legati alla presenza di amianto nel manufatto.

Intanto però si procede anche sul fronte dell’accertamento delle responsabilità per il crollo. La difesa dell’ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci ha chiesto di sospendere l’incidente probatorio in corso di fronte al Tribunale di Genova fino alle conclusioni delle indagini: l’avvocato Paola Severino ritiene infatti lesivo delle garanzie di difesa il mancato deposito degli atti (che non sono ancora a disposizioni degli indagati) su cui sono fondati i 40 quesiti proposti dai periti della Procura. Il che ha indotto l’ex Guardasigilli a chiedere, laddove non dovesse essere accolta la richiesta principale, che della questione si occupi la Corte costituzionale.

Intanto nei giorni scorsi si è consumata un’altra battaglia, ma in sede amministrativa. Di fronte al Tar Liguria pende infatti il ricorso presentato da Autostrade che si è vista escludere dai lavori di demolizione e poi anche di ricostruzione del ponte sul torrente Polcevera. Il tribunale amministrativo regionale non deciderà prima dell’autunno sulla legittimità della nomina di Bucci e degli atti da lui compiuti come commissario, tra cui l’aggiudicazione dei lavori alla cordata di imprese di cui fanno parte anche Fincantieri e Salini. Nonostante vi fosse una certa fiducia per una decisione sul merito del ricorso già per le prossime settimane, è stato disposto il rinvio dell’udienza al prossimo 9 ottobre: le amministrazioni che si sono costituite in giudizio, ossia l’ufficio del commissario, il ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio hanno contestato i poteri rappresentativi dell’avvocato di Autostrade, Andrea Gagliardi che a sua volta aveva a sua volta firmato la procura ad litem a favore degli avvocati Marco Annoni, Luisa Torchia e Vincenzo Roppo che si sono regolarmente presentati all’udienza del 22 maggio.

Entro il prossimo 20 giugno Autostrade dovrà insomma depositare non solo la procura speciale ma anche l’atto costitutivo e lo statuto oltre a una visura storica. Schermaglie che lasciano intravvedere come la battaglia sarà dura e senza esclusioni di colpi. La concessionaria autostradale ritiene che la sua esclusione sia un atto incostituzionale anche se non ha chiesto in sede cautelare la sospensione dei lavori per non interrompere l’opera di demolizione e ricostruzione. Nel caso però uscisse vittoriosa dalla contesa legale è quasi scontata una richiesta di risarcimento dei danni a molti zeri.