Un pressing per riuscire, almeno, a far approvare lo sblocco del turn over nella Sanità per le Regioni commissariate e, quindi, vincolate ad un obbligatorio piano del rientro: può essere letta anche così la notizia di questi giorni legata alla carenza di medici in Molise, che si ipotizza possa essere colmata dai medici militari per evitare la chiusura di alcuni reparti.
Il problema però esiste e lo sanno anche al ministero della Salute: il sistema sanitario è in carenza di medici specialisti e di base. I dati più aggiornati sono stati pubblicati tra gennaio e marzo dal sindacato di medici Anaoo Assomed e tengono conto anche degli effetti della riforma pensionistica “quota 100”: si stima che nel 2025 ci saranno 16.700 medici specialisti in meno mentre ad i posti scoperti sarebbero circa 10mila. Le specializzazioni più critiche sono medicina d’urgenza (i pronto soccorso)pediatria, anestesia, rianimazione, chirurgia generale, medicina interna e cardiologia.
Uno degli aspetti che ha determinato il disallineamento tra le necessità nei servizi e le effettive disponibilità dei medici specialistici è il fatto che fino a un mese fa esisteva un vincolo assunzionale introdotto nel 2009, poi prorogato nel 2012, che fissava per le Regioni come tetto di spesa per il personale quello sostenuto nel 2004 diminuito dell’1,4 per cento. Pur avendo le disponibilità economiche, in pratica, dovevano fermarsi una volta raggiunto questo limite. Così, per aggirare il problema, gli amministratori hanno fatto ricorso ad un’altra voce, quella per Beni e Servizi, esternalizzando il personale attraverso cooperative e bandi con contratti a tempo determinato. Nelle Regioni commissariate come Molise, Lazio, Campania e Calabria il blocco del turn over ha aggravato la situazione.
Il ministero della Salute sta però correndo ai ripari: un emendamento al decreto Calabria, che è stato approvato nei giorni scorsi alla Camera e che questa settimana è in discussione in Commissione al Senato, prevede che per il personale si possa prendere come riferimento la spesa del 2018 e che le Regioni, purché abbiano equilibrio di bilancio, possano aumentarla del 5 per cento aggiungendo anche la spesa sostenuta per le esternalizzazioni. Anche in questo caso resta il nodo delle Regioni in disavanzo per le quali bisognerà valutare caso per caso. Lo sblocco del turn over, se approvato, potrebbe essere già un primo passo ammesso che non pregiudichi il percorso di risanamento.
Altro punto riguarda la formazione del personale. Secondo associazioni e sindacati, la programmazione dei fabbisogni delle Regioni non sarebbe stata fatta in modo adeguato. Di sicuro mancano le risorse per assicurarla a tutti i laureati in medicina e chirurgia. Ogni anno si laureano infatti circa diecimila studenti ma quest’anno ci sono stati 6.200 contratti di formazione specialistica, a cui si aggiungono altre 1.800 borse. Un numero, spiegano dal ministero, che non si era mai visto e nonostante il quale resta un buco di duemila laureati non specializzati. Di base, l’iter funziona così: si partecipa al concorso nazionale, ci si colloca e poi si firma un contratto con università, Regione e lo specializzando. La specializzazione può durare 3 – 4 o 5 anni e il trattamento è di 25mila euro nei primi due anni, 26mila dal terzo anno, a carico dello Stato. Dopo, si può partecipare al concorso per essere assunti a tempo indeterminato dal Ssn. Problema: quest’anno sono arrivate 18mila domande per il concorso nazionale di specializzazione, ma il massimo di borse a cui si riesce ad arrivare – considerando anche quelle regionali – è 10mila.
Intanto sono state previste, già nella legge di Bilancio di quest’anno, misure che consentono agli specializzandi dell’ultimo anno di partecipare ai concorsi e, se idonei, di finire in una graduatoria separata da cui poi vengono assunti quando conseguono il titolo. In questo modo si recupera un anno. Nel decreto Calabria invece c’è una norma che consente a chi è in questa graduatoria di essere assunto con contratto a tempo determinato e di iniziare già a lavorare. Un’accelerazione, certo, ma di cui non si potrà giovare prima di due o tre anni.
E se quest’anno sono stati investiti 100 milioni per le borse, ora si punta comunque ad avere qualcos’altro nella prossima legge di Bilancio. Intanto, il fabbisogno di specialisti stimato dalle Regioni è di 8.523 contratti: se le stesse dovessero confermare le borse messe a disposizione lo scorso anno, circa 600, con le 8mila statali si dovrebbe andare in pari e la crisi dovrebbe rientrare in qualche anno. Intanto, nell’urgenza – dal Piemonte al Veneto – ci si assicura che ci siano dei professionisti pronti a intervenire: pensionati, stranieri e militari.