Falsi giornalisti, falsi scienziati, falsi studi, falsi contadini…: il produttore di glifosato e di Ogm Monsanto, inglobato da Bayer, è disposto a tutto, e da diversi anni, pur di controllare l’informazione che lo riguarda. I due processi che Monsanto ha appena perso negli Stati Uniti non sono solo costati alla multinazionale 80 milioni di dollari per il primo e 2 miliardi di dollari per il secondo, e non solo hanno provocato il crollo in Borsa di Bayer, che ha acquisito Monsanto nel 2018. Hanno anche fatto emergere i comportamenti dubbi dell’azienda. Il 18 maggio, l’agenzia France Presse ha riportato alcuni fatti: durante il processo che lo scorso marzo ha opposto la multinazionale ad un utilizzatore dell’erbicida a base di glifosato Roundup, un’impiegata della Fti Consulting, un importante studio di consulenza e relazioni pubbliche, si è fatta passare per una giornalista free lance di alcune testate come la Bbc e The Inquirer. Sul suo sito web, la Fti Consulting presentava la giovane donna come un’“ex giornalista hi-tech” e aggiungeva: “L’eccellente ed esperta redattrice è all’origine di molte delle nostre campagne”. Secondo Fti, citata da Le Parisien, “la missione affidata all’impiegata era di assistere al processo solo per prendere appunti sui dibattiti”.
Non è un caso isolato. Quando è scoppiato lo scandalo dei “Monsanto Papers”, nell’ottobre del 2017, il quotidiano Le Monde ha rivelato che diversi articoli del biologo americano Henry Miller, pubblicati dal magazine Forbes, erano in realtà stati scritti quasi interamente da dipendenti di Monsanto, con lo scopo manifesto di contrastare i lavori dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc), per i quali il glifosato è un “probabile carcerogeno” per l’uomo. Le Monde ha riportato: “Uno dei dirigenti della compagnia contattò per mail Miller, che aveva già scritto più volte sull’argomento, chiedendogli: “Non è che sarebbe disposto a scrivere di nuovo sull’Iarc, sul suo modo di procedere e sulla decisione controversa che ha preso? Ho tutte le informazioni, se necessario possono fornirgliele”. Miller accettò, ma ad una condizione: di “partire da una bozza di qualità”. Il testo che alla fine è stato pubblicato dal sito di Forbes era la bozza iniziale solo leggermente modificata. Già nel 2012, il Corporate Europe Observatory (Ceo) aveva dimostrato che Monsanto si è appoggiata al sito Science Media Center, basato a Londra, per cercare di demolire lo studio prodotto allo stesso tempo dal professore Séralini sugli Ogm. Il sito in questione è finanziato al 70% da alcune aziende, “tra le quali figurano i grandi nomi dell’industria di biotecnologia, Basf, Bayer, Novartis, CropLife International”, spiegava all’epoca il portale di informazione Basta!. Gli stessi giornalisti, quelli veri, sono tra l’altro nelle mire della multinazionale, come rivelato il 9 maggio scorso da Le Monde e France 2. Tra più di 200 personalità schedate in funzione del loro atteggiamento nei confronti del glifosato, la metà è costituita da giornalisti. Il registro – a cui si aggiunge un secondo registro con 80 nomi – comprende anche membri di Ong, politici e sindacalisti. Diverse denunce sono state presentate. Quando far pubblicare articoli compiacenti sulla stampa non basta più, Monsanto cerca di piazzare degli studi fasulli nelle riviste scientifiche. In questo caso si parla di ghostwriter (“autori fantasma”). La questione era già stata trattata da Marie-Monique Robin nel documentario Le monde selon Monsanto. Poi i “Monsanto Papers” hanno confermato che la multinazionale aveva fatto ricorso in modo sistematico a questo tipo di frodi scientifiche. Le cose stanno così: dei dirigenti dell’azienda producono uno studio piuttosto riduttivo, destinato per esempio a dimostrare che un prodotto non è nocivo. Quindi si contatta uno scienziato di fama al quale vengono proposti dei soldi in cambio della sua firma. Secondo Le Monde, gli stessi dirigenti di Monsanto usavano il termine ghostwriting nei loro scambi di mail. E comunque, come ricorda sul suo sito Robin, il gruppo non è sempre riuscito a pervenire ai suoi scopi. “Nel 1999 – ha scritto la giornalista – Monsanto chiese al britannico James Perry di confrontare gli studi realizzati all’interno dell’azienda e quelli pubblicati dalla letteratura scientifica. Perry, specialista della genotossicità riconosciuto a livello mondiale, concluse però che il glifosato risulta “clastogeno” (ovvero che attacca il materiale genetico). La vicenda mandò su tutte le furie Monsanto, che rimpianse di aver pagato lo specialista e si affrettò a riporre il suo rapporto nel cassetto”.
Per ingannare il pubblico o i media, Monsanto ha abusato anche di un’altra tecnica. Il 3 novembre 2018, Greenpeace e il quotidiano britannico The Independent hanno rivelato che la multinazionale aveva creato dei falsi gruppi di contadini in otto paesi europei. Si chiamavano Freedom to farm in Gran Bretagna, Agriculture et liberté in Francia o ancora Raum für Landwirtschaft in Germania. The Independent ha segnalato che la campagna Agriculture et liberté era stata particolarmente attiva. Il falso gruppo di contadini ha avuto infatti uno stand al Salone dell’agricoltura di Parigi del 2018, un sito web, un profilo Facebook e un account Twitter. Dietro questa operazione c’erano l’agenzia Red Flag Consulting, basata a Dublino, e un’altra agenzia, legata alla campagna di Donald Trump negli Usa, chiamata Lincoln Strategy. Queste due agenzie non figuravano sul sito francese, così come non figurava il nome di Monsanto. In sua difesa, il responsabile per i media di Bayer ha affermato che questo progetto “è stato gestito da Red Flag e sostenuto da una coalizione di utilizzatori e fabbricanti di glifosato e di altri prodotti fitosanitari, tra cui Monsanto. Uno sforzo – ha precisato – sostenuto anche da migliaia di agricoltori di diversi paesi europei che hanno alzato la voce in favore di un accesso permanente a questo strumento essenziale per un’agricoltura moderna e sostenibile”. Ha poi aggiunto, più prudente: “Per quanto riguarda il futuro del programma: il processo di integrazione di Monsanto all’interno di Bayer è iniziato solo a fine agosto 2018. In questo contesto, tutte le iniziative già avviate da Monsanto saranno esaminate e valutate nei prossimi mesi, alla luce dei principi direttivi di Bayer in materia di trasparenza e dialogo”.
Poco dopo le ultime rivelazioni, decine di agricoltori – veri, questa volta – hanno preso le difese dell’iniziativa Agriculture et liberté firmando una petizione lanciata da Denis Fumery e pubblicata sul sito del quotidiano Les Échos. Tra i firmatari c’era anche Vincent Guyot, il quale però, come è emerso in un reportage di Envoyé spécial di giovedì 16 maggio, sembra ora meno convinto del suo gesto. Guyot, che ha firmato la petizione in favore del glifosato 18 mesi fa, riconosce oggi di non essere tra gli autori di quel testo che, in realtà, era stata trasmesso da Agriculture et liberté. In una prima versione della tribuna pubblicata da Les Échos, compariva nella firma il nome di Julie Dramard, una comunicante del gruppo. France 2 ha poi rivelato anche il caso di un’altra firmataria, Armelle Fraiture, presentata come agricoltrice, ma che in realtà era una studentessa che aveva lavorato sullo stand di Agriculture et Liberté al salone parigino. La tv ha segnalato anche altri nomi che figuravano in calce alla lista di persone che apparentemente non erano neanche al corrente della cosa. Che dire delle istituzioni? Se logicamente Monsanto non utilizza i nomi di falsi commissari o falsi deputati europei, sembra che l’azienda riesca a intervenire a suo vantaggio anche su questo piano. Nel luglio 2017, quando il dibattito sul glifosato era ancora molto acceso, nell’attesa di sapere se l’Europa avrebbe o meno deciso di rinnovare la licenza, la Commissione europea si era detta favorevole citando un rapporto dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Ma, come riportato da The Guardian e dallaStampa, uno dei principali passaggi di questo rapporto non è altro che un copia e incolla di un documento prodotto nel 2012 da Monsanto a nome della Glyphosate Task Force, un consorzio di circa 20 azienda che commercializzano in Europa dei prodotti a base di glifosato. “Le sezioni del rapporto dell’Efsa che riesaminano gli studi sul potenziale impatto del glifosato sulla salute umana sono stati copiati, quasi parola per parola, dal dossier presentato da Monsanto”, ha scritto La Stampa. La questione non riguarda solo l’Europa. Nei “Monsanto Papers” è emerso anche che Jess Rowland, il responsabile del processo di revisione del glifosato all’interno dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (Epa), è stato in legame costante con Monsanto. Sul suo sito, Robin, elencando i “colpi bassi” di Monsanto, ha enunciato anche il ricorso ai trolls che “si accaniscono su internet contro gli ‘oppositori’ del glifosato diffondendo false informazioni o avanzando ‘argomenti’ forniti da Monsanto”. La multinazionale potrebbe andare incontro a nuove sconfitte in tribunale, causando nuovi crolli in Borsa ancora più onerosi, ma è poco probabile che il gigante decida di cambiare i suoi metodi.
(traduzione Luana De Micco)