“Se non avrò giustizia, restituirò la bara di Giuseppe allo Stato”. Caterina Iannì aveva 13 anni quando suo fratello è morto. Il caporale maggiore Giuseppe Iannì era uno dei 46 paracadutisti della Folgore che il 9 novembre 1971 erano a bordo di “Gesso 4”, l’Hercules C130 del Regno Unito impegnato nell’esercitazione Nato che si doveva svolgere in Sardegna. Il nome in codice era “Cold Stream”. Prima dell’alba, uno alla volta, i dieci aerei della Raf (Royal Air Force britannica) partirono da Pisa con a bordo i militari italiani. Dieci minuti dopo il decollo, “Gesso 5” comunicò alla torre di controllo di aver visto un’improvvisa fiammata in mare. Partì l’appello via radio al quale tutti i velivoli risposero con il proprio nominativo di riconoscimento, quel numero scritto a mano sulla fiancata. Tutti tranne uno, “Gesso 4”, sparito nelle secche della Meloria. In quel tratto di mare davanti a Livorno, morirono i parà italiani e i 6 militari inglesi dell’equipaggio.
La scatola nera non è mai stata recuperata e tra “segreti di stato” e atteggiamenti ostili da parte delle istituzioni, non c’è ancora una verità su cosa sia accaduto quella notte a “Gesso 4”. In un primo momento si è parlato di incidente: hanno accusato addirittura i piloti inglesi di essere stati ubriachi (circostanza poi smentita). Ma anche di una forte esplosione in cielo come se l’aereo fosse stato abbattuto. L’unica certezza è che si era in piena guerra fredda e la Nato si addestrava in previsione di un’invasione da parte dell’Unione Sovietica e degli Stati del Patto di Varsavia. Per non essere intercettato dai radar, il C130 volava a bassa quota prima di essere inghiottito dal mare e con lui i 46 paracadutisti in servizio di leva della sesta compagnia “Grifi”.
I loro corpi sono stati recuperati dopo giorni di ricerche disperate in cui perse la vita pure un sommozzatore, il sergente maggiore Giannino Caria. L’indagine della Procura di Livorno non portò a nulla. Stesso risultato della Commissione d’inchiesta su quella che può essere definita una “strage di Ustica dimenticata da tutti”, comprese le istituzioni dello Stato. Eppure dai tempi della seconda guerra mondiale, è stata la più grande sciagura dell’esercito italiano. Undici parà non sono mai stati trovati. Gli altri corpi furono riconosciuti dal numero di matricola impresso nella divisa. Anche quello del caporale maggiore Giuseppe Iannì. Aveva solo 20 anni quando salì su quell’aereo. I genitori sono morti a Reggio Calabria senza sapere cosa è successo al loro unico figlio maschio.
Le sorelle, Caterina, Melina e Giusy, da anni stanno chiedendo i benefici che spettano ai familiari delle “vittime del dovere”. Benefici riconosciuti al termine di una lunga causa civile contro il ministero della Difesa. La Cassazione, però, ha deciso che devono restituire tutto. Nel luglio 2018, infatti, la Suprema Corte ha revocato il diritto all’assistenza psicologica delle sorelle, “in quanto familiari non conviventi o a carico”. “Ma non è vero. – si sfoga Caterina – Questa sentenza dice una cosa sbagliata. Lo vedi il certificato storico della mia famiglia? Nel 1971 vivevamo assieme. Forse il documento andava depositato nel processo, ma il dato è quello e non si può discutere”. Caterina non ce la fa a parlare. Giusy se ne accorge: “Quella del familiare superstite non è una vera vita”.
Melina era quasi coetanea di Giuseppe: parla di un “dolore indescrivibile. Nessuna sentenza ci farà riavere nostro fratello, ma fino alla fine lo difenderemo da questa ingiustizia”. “Il paradosso sai qual è?”. Caterina ha gli occhi lucidi: “Ci sono familiari di soldati morti nella stessa tragedia che beneficiano di questi diritti, noi no. La sentenza è definitiva ma abbiamo chiesto alla Cassazione di riaprire il processo”.
Per gli avvocati Giuseppe Guerrasio e Giosué Domenico Megna, infatti, siamo di fronte a “un’evidente situazione di iniquità e diseguaglianza, rispetto ai familiari degli altri paracadutisti”. Oltre al danno la beffa: molti di quei militari oggi sono stati inseriti nell’elenco delle “vittime del dovere”. Non Giuseppe Iannì che compare solo come “vittima del dovere equiparata”. “È inaccettabile. Devono togliere la scritta ‘equiparato’ di lato al nome di mio fratello che ha avuto pure i funerali di Stato. Io la chiamo ‘schizofrenia del ministero della Difesa’”. A proposito, dieci giorni fa le sorelle Iannì sono state negli uffici del ministro Elisabetta Trenta. “Abbiamo parlato con la consigliera del ministro. Ci ha detto che adesso studieranno il caso e ci faranno sapere”. Un’attesa che sta snervando Caterina: “Se non vedrò mio fratello inserito a pieno titolo nell’elenco delle vittime del dovere, libererò il loculo, provvederò diversamente alle spoglie di Giuseppe e restituirò tutto allo Stato: quella bara pagata 48 anni fa dal ministero della Difesa e lo stesso farò con la bandiera italiana in cui è avvolta. Il tutto sarà restituito alle persone che dovrebbero fare qualcosa. A partire dal presidente della Repubblica, dai ministri della Difesa e dell’Interno, dai prefetti di Livorno e di Reggio Calabria”.