La nuova tempesta sarà religiosa

Il gesto volgare del ministro Salvini che agita il rosario e invoca la Madonna, usa cioè simboli estremi del cattolicesimo per ricattare i credenti e ottenere voti, ha aperto un nuovo varco alla politica del distruggere per governare.

Dopo avere spaccato con impegno e furore il reticolato di solidarismo italiano che, anche al colmo del fascismo, non si era mai veramente interrotto, si è dedicato a ripulire il Paese da ogni frammento di cultura e di storia, in modo da imporre la nuova autorità a un livello sempre più basso o sempre più spaventato. È stato inventato un popolo del “dopo” (dopo la raccolta di voti della Lega) che ha il compito di togliere di mezzo il popolo del “prima”, compreso il tuo insegnante e chiunque si porta addosso tracce di cultura e riferimenti alla storia.

Non sto dicendo che la Lega prende i voti di chi è rimasto isolato dalla cultura. Sto dicendo che il regime della Lega cerca e incoraggia i livelli isolati di vaste zone popolari già predisposte dalle cattive scuole, dalla televisione di Berlusconi e dall’equivalente giornalismo, per eliminare inutili e fastidiosi tributi al bello, al buono e al solidale e poter incassare voti e applausi, se persino la Marina militare italiana abbandona (o le viene ordinato di abbandonare) uomini, donne e bambini in mare. Apprezzata anche l’idea di incriminare chi li salva, sequestrando le navi che hanno appena protetto vite umane.

Bisogna ammettere che questo darsi da fare per essere sicuri di raccogliere il peggio non è un fenomeno solo italiano. Anzi, come sempre, l’Italia, che è cattiva ma prudente, ha aspettato un segnale forte. È arrivato da Donald Trump, con il suo immediato legarsi ai suprematisti bianchi e assassini. Ma quel rosario in pugno brandito come un’arma o come una superstizione che porta male ai disubbidienti, quel comizio finto religioso fondato sulla celebrazione della “Madonna dei porti chiusi” non è un semplice gesto volgare o un normale esempio di maleducazione. Segna l’apertura della terza fase, quella della guerra di religione. Attenzione non stiamo parlando del tanto discusso “conflitto di civiltà”, fra islamici e cristiani. Stiamo parlando della guerra al Papa. I leghisti stanno portando il linguaggio sguaiato e i sacchetti di sabbia, e al momento giusto saranno pronti. Sanno che Papa Bergoglio non ha mai esitato nel giudicare la follia cattiva e inutile dei porti chiusi, la speciale crudeltà del lasciar morire i migranti in mare, la lotta accanita all’accoglienza, la guerra alle navi di soccorso Ong. Ma il Papa insiste nell’accoglienza come principale dovere cristiano, e sa che il lato nero della Chiesa è pronto (a cominciare dal clima di accuse e calunnie che stanno spargendo alacremente, intorno a lui, a opera di alcuni cardinali e alcuni vescovi che si impegnano, come certi prefetti della Repubblica, a stare dalla “parte giusta”) a portare alla luce la congiura.

La guerra di religione spaccherà il Paese Italia perché il Papa che crede nel- l’accoglienza e rifiuta finti abbracci con il capo della Lega è a Roma, capitale del Paese che Salvini governa sulla base di valori anteguerra. Fa bene il Papa a non fingere misericordia e a non concedere udienze.

Ma di nuovo il peggio viene dall’America, e la pronta risposta italiana è la messa in scena (detta “per le famiglie”) del ministro leghista Fontana, con la sua rumorosa anche se non frequentatissima sosta a Verona. Ha dimostrato che bisogna restare pronti e attenti. Attenti a che cosa? Attenti al prossimo scontro sull’aborto, una grande questione morale che invece viene usata come dirompente arma politica. Si tratta di usare i diritti delle donne per spaccare i credenti, dagli aspri fondamentalisti cristiani ai miti praticanti cattolici.

La sequenza della strategia di estrema destra è esemplare: l’assemblea dello Stato dell’Alabama ha preparato e votato all’unanimità la legge dei 99 anni. È la pena per un medico che pratica un aborto. Non importa la ragione dell’aborto. Anche fermando un feto che non avrebbe potuto sopravvivere o che avrebbe ucciso la madre, sei un assassino. Il corpo giudiziario dell’estrema destra americana è già pronto, dai tribunali di campagna alla Corte Suprema. In America medici abortisti sono stati uccisi più volte, cliniche fatte saltare, stragi come quella di Oklahoma City ne sono la prova. Ecco il senso del gesto tutt’altro che naïf del rosario in pugno in un comizio elettorale. Vuol dire “noi siamo pronti” e “la guerra è guerra”. Come sempre, in nome di Dio.

Napoli, il presidio notturno degli operai della Whirlpool

La reazione dei 420 addetti dello stabilimento napoletano di Whirlpool che l’azienda vorrebbe cedere (ma che secondo i lavoratori potrebbe preludere a una totale chiusura delle attività) è stata la proclamazione di uno sciopero con il presidio, nella notte di ieri, dello stabilimento di via Argine, nella zona orientale. Alcuni si sono sistemati in una tenda da campeggio attrezzata a pochi metri dal varco principale di accesso della fabbrica. “Molti nostri compagni – ha detto Donato Aiello, della Rsu Fiom – sono ancora sotto choc per questa decisione comunicata dall’azienda. Abbiamo passato la notte a discutere e ad organizzare la nostra mobilitazione”. Lunedì mattina, è in programma l’assemblea promossa da Fim Fiom e Uilm in attesa del tavolo convocato per martedì al ministero del Lavoro. Ieri, poi, gli operai hanno ricevuto la visita del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. ” Centinaia di lavoratrici e lavoratori che stanno rischiando il proprio lavoro per colpa di accordi disattesi – ha scritto su Facebook –. La città, il sindaco e tutta l’amministrazione comunale lotteranno al loro fianco”.

Da Israele alla Corea del Nord, il potere silenzioso di Elia Valori

Strano personaggio, Giancarlo Elia Valori: esponente di una razza in estinzione, quella dei detentori di un potere tanto più reale quanto meno visibile. Alla soglia degli 80 anni – è del 1940 – finisce regolarmente sui giornali ogni volta che si cita la P2, perché Licio Gelli era un suo nemico ed Elia Valori conosceva bene anche quella declinazione del potere etichettata come massoneria. Ma Elia Valori è stato anche presidente di Autostrade per l’Italia, di una società discreta ma snodo di interessi rilevanti, la Centrale Finanziaria, ed è pure presidente onorario di Huawei Italia dal 2009, quando la società cinese non era certo il gigante cui l’Europa sta consegnando la sua infrastruttura per la tecnologia 5G.

È uscito da poco in libreria l’ultimo saggio di Elia Valori, l’ultimo di una lunga serie, Globalizzazione, governance e asimmetria (Rubettino), che raccoglie una serie di analisi su tutti i grandi temi della geopolitica, dalla Libia alla Cina, alla diplomazia del Vaticano. L’interesse maggiore deriva però da una serie di fotografie e documenti allegati che finiscono per diventare la cosa più simile a un’autobiografia di Elia Valori oggi disponibile. Come tutte le autobiografie è parziale e indulgente, ma ha un suo interesse. La prima foto è quella di Elia Valori con la madre Emilia Marinelli, a Venezia, durante la Resistenza nel 1944: a quella madre, scomparsa nel 1988, Elia Valori ha dedicato un libro con prefazione di Rita Levi Montalcini. Il premio Nobel ricordava “mamma Emilia” e la sua “eroica dedizione nel salvare quanti erano braccati dalla furia omicida delle SS”. E per aver salvato molti partigiani e molti ebrei Emilia Marinelli ha ottenuto la medaglia d’oro al merito civile.

Il mito personale di Elia Valori si regge poi sulle sue infinite relazioni internazionali, a cominciare da Israele: in una foto è ritratto al fianco di Moshe Dayan, il capo dell’esercito israeliano con la benda sull’occhio, ma anche con Ehud Barak. Valori rivendica anche di aver fatto da ponte per il riavvicinamento tra Israele e la Cina, grazie a un suo rapporto con Shimon Peres. Perché è l’Asia il suo dominio: nel libro ci sono le foto con Kim Yong-Nam, sconosciuto ai più ma presidente dell’Assemblea suprema del Popolo in Corea del Nord, poi quelle con lo storico leader nordcoreano Kim Il Sung e pure Jang Zemin, segretario del partito comunista cinese fino al 2002. “Un leale amico di lunga data della dinastia Kim”, così si definisce Elia Valori nelle ultime pagine del suo libro dove riporta una serie di documenti “in cui si evidenzia la verità testuale sulle armi strategiche nordcoreane, sviluppate nell’esclusivo interesse di salvaguardia della sua sovranità”.

Le foto ritraggono Elia Valori con dignitari di ogni ordine e grado nella gerarchia nordcoreana. Ma sono vari gli episodi che il manager italiano tiene a ricordare. Nel 1988 Valori usa la sua amicizia per favorire la liberazione di tre ostaggi francesi (un giornalista e due operatori) sequestrati in Libano dalla milizia sciita filo-iraniana di Hezbollah. Millanteria? A chi non crede, Elia Valori risponde con una lettera in appendice al libro firmata da “il vostro amico”, l’ambasciatore Li Jong Hyok. Il testo, in francese, risale al 1994 e Li Jong Hyok (si immagina soltanto omonimo di un dissidente che ha rivelato a Bloomberg i segreti della cybersecutiry nordcoreana) ricorda il ruolo di Elia Valori: nel settembre 1987 il manager va a Pyongyang a incontrare Kim Il Sung. A ottobre il primo ministro coreano va a Teheran e porta al presidente Ali Akbar Rafsanjani l’auspicio di Kim (e di Elia Valori) che gli ostaggi francesi in mano a Hezbollah siano liberati. Il 5 maggio 1988 vengono rilasciati. “Il nostro presidente è stato felice di poter così manifestare la sua amicizia per il prof. Giancarlo Elia Valori”, scrive l’ambasciatore nella lettera a Elia Valori, il quale – evidentemente – da un quarto di secolo conserva gelosamente la missiva come prova di una sua influenza sugli affari del mondo (quella vicenda gli è fruttata anche la Legion d’Onore francese).

Influenza che Elia Valori rivendica tuttora, l’ultimo dei documenti del libro è una lettera all’UNESCO dalla Corea del Nord del numero due del Paese, Ri Su Yong che il 30 novembre 2017 manda la sua versione di uno dei tanti test nucleari che in questi anni hanno preoccupato parecchio Usa ed Europa. Ri Su Yong assicura, con un ragionamento poco consequenziale per il lettore normale, che “il compagno Kim Jong Un (il leader coreano in carica, ndr) ha detto che l’obiettivo del nostro Partito è di costruire un mondo pacifico privo della guerra”. Un ottimismo venato di fondata inquietudine che sembra condiviso da Elia Valori, come si evince dall’epigrafe del libro edito da Rubettino e che indica la fine di un’epoca, quella di cui Elia Valori è stato, a modo suo, un singolare protagonista: “La sovrabbondanza dell’amore ricevuto dai genitori è anticipo dell’amore supremo che ci attende”.

Il giugno caldo dei sindacati e la rabbia dei pensionati

Nel contesto della grande mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil contro il governo, ieri a scendere in piazza a Roma sono stati i sindacati dei pensionati, categoria storicamente più numerosa e organizzata, per contestare soprattutto la legge di stabilità che ha ridotto per il prossimo triennio gli aumenti legati all’adeguamento all’inflazione per gli assegni che siano almeno tre volte il minimo: lo Stato risparmierà 3,5 miliardi, i nostri anziani rinunceranno a cifre che vanno dai 30 centesimi al mese – per chi si aggira attorno ai 1.800 euro – fino a 45 euro per i “paperoni”. A fare rabbia è il principio: “Volete una guerra tra poveri – ha detto il leader Spi Cgil Ivan Pedretti – perché quei soldi non li avete presi dai ricchi, dagli evasori e dagli imbroglioni?”. Negli ultimi anni, da Monti in poi, i governi hanno usato il rallentamento dell’indicizzazione per fare cassa e, talvolta, questi interventi sono stati bloccati dalla Corte Costituzionale. Ora, il taglio sta colpendo 5,5 milioni di pensionati da aprile mentre le somme in più versate tra gennaio e marzo saranno recuperate dall’Inps nei prossimi cedolini (è stato così evitato l’antipatico prelievo sotto elezioni).

Poi c’è la questione Quota 100. Il minimo di 38 anni di contributi sta penalizzando i più deboli come le donne e chi ha avuto carriere discontinue. Il sistema delle finestre, inoltre, ha ridotto la platea interessata. Al 10 maggio le domande arrivate sono 131 mila: visto che l’uscita arriva quattro mesi dopo la richiesta per i privati e sei mesi dopo per i pubblici, sembra ormai impossibile raggiungere i 290 mila pensionamenti anticipati stimati dal governo. Anche la pensione di cittadinanza, che ad aprile è andata a 58 mila famiglie, ha deluso le aspettative. In tanti pensavano che gli assegni minimi sarebbero stati portati a 780 euro al mese. In realtà la misura funziona proprio come il reddito di cittadinanza: la cifra massima è destinata – tramite carta acquisti – soltanto a chi è solo e vive in affitto. Per i nuclei vale la scala di equivalenza che riduce proporzionalmente il beneficio per ogni persona.

Prima della protesta di ieri, negli scorsi mesi c’era stata quella confederale del 9 febbraio e le iniziative dell’edilizia (15 marzo) e dell’agroalimentare (8 maggio). Sabato 8 giugno toccherà ai sindacati del pubblico impiego, per chiedere nuove assunzioni e i rinnovi dei contratti collettivi scaduti. Poi venerdì 14 sarà la volta dei metalmeccanici: in cima alle richieste di Fiom, Fim e Uilm c’è la questione stipendi, quindi il taglio alle tasse sui lavoratori dipendenti. Oltre alla preoccupazione sui rischi dell’introduzione del salario minimo dato che le buste paga degli operai – con tutte le voci connesse – già superano i 9 euro ipotizzati dal governo. Il 22 giugno, infine, Cgil, Cisl e Uil torneranno a manifestare a livello confederale: chiederanno un piano per il Sud e infatti hanno scelto di farlo a Reggio Calabria.

Roma, i manager Ama pagheranno penali in caso di disservizi

La giunta di Roma Capitale ha approvato il nuovo contratto di servizio di Ama, la società di gestione dei rifiuti di Roma. “Sono molte le novità che rivoluzionano la raccolta della spazzatura in città. Tra queste, prima di tutto, il rafforzamento delle penali per le carenze nei servizi al cittadino: andranno ad incidere sulla parte variabile del salario del management e della dirigenza. Se la città è sporca il management dell’Ama ne paga le conseguenze in busta paga”, ha annunciato la sindaca Virginia Raggi (in foto). “Il nuovo contratto imprime un cambio di rotta: pone al centro dell’attenzione dell’azienda municipalizzata i servizi di pulizia, di spazzamento e la rimozione dei rifiuti dalle strade – spiega Raggi –. Un esempio: in caso di presenza di amianto tra i rifiuti, le nuove regole impongono l’avvio della procedura di rimozione entro 48 ore. Date e luoghi di spazzamento, inoltre, saranno pubblicati di volta in volta, sul sito di Ama, in modo che i cittadini possano controllare. Proprio per garantire risultati migliori ed una costanza nell’erogazione del servizio, è stata approvata la creazione di una contabilità separata per i servizi cosiddetti extra-Tari (servizi straordinari)”.

Il Viminale spedisce gli ispettori dopo la trasmissione di Giletti

A quasi venti giorni dalla trasmissione di Massimo Giletti sulle intimidazioni, presunte, della mafia di Mezzojuso sulle sorelle Napoli, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha deciso di inviare gli ispettori nel comune a pochi chilometri da Palermo. Devono verificare, tra l’altro, se e a quale titolo il sindaco Salvatore Giardina, come è emerso su La7, ha partecipato ai funerali del boss Cola La Barbera, tra i favoreggiatori del capomafia corleonese Bernardo Provenzano. ‘’Ho detto in trasmissione che partecipo come religioso ai funerali – ha dichiarato Giardina – a quello di don Cola non sono mai andato. L’unico funerale di un capomafia al quale sono stato è quello di Salvatore Napoli, padre delle signorine Napoli. Ma allora non sapevo che era mafioso”. Durante la diretta tv di venti giorni fa dalla piazza di Mezzojuso Giletti aveva invitato il pubblico ad applaudire le parole di condanna pronunciate dal palco sugli uomini di Provenzano: ‘’Loro hanno portato il discredito, non le sorelle Napoli’’, ma il pubblico è rimasto in silenzio battendo le mani quando il sindaco ha definito Giletti un ‘’farabutto’’. Adesso gli ispettori inviati da Salvini al comune ascolteranno probabilmente anche la versione del generale dei carabinieri in pensione, Nicolò Gebbia, assessore alla Cultura di Mezzojuso, già impegnato nelle indagini sulla cattura di Provenzano che ha scritto sul sito Themis e Metis: ‘’Dopo la fine della trasmissione, durante la notte mi ha telefonato un mio vecchio collaboratore, che era specializzato nelle riprese clandestine dei matrimoni e funerali dei boss mafiosi. ‘Mi sono riguardato quello di La Barbera – mi ha detto – e le assicuro che Salvatore Giardina proprio non c’era”.

Sei magliette di lusso rubate alla Rinascente: il cantante Carta arrestato e rilasciato dal giudice

Il cantante Marco Carta, 34 anni, venerdì sera, è stato arrestato a Milano, fuori dalla Rinascente. L’accusa nei suoi confronti: furto aggravato per circa 1.100 euro. Secondo la polizia locale avrebbe rubato sei magliette di lusso. Carta è stato fermato assieme a una donna di 53 anni. Dopo una notte passata ai domiciliari, ieri il cantante sardo lanciato dalla trasmissione Amici e vincitore di Sanremo giovani, si è ritrovato nelle aule delle direttissime del tribunale di Milano per la convalida dell’arresto. Convalida che non c’è stata. Il giudice non ha applicato alcuna misura cautelare al termine dell’udienza che si è svolta a porte chiuse. A riferirlo è stato il suo legale Simone Ciro Giordano. “È stata chiarita la totale estraneità di Marco Carta. Lui è estraneo a qualsiasi addebito. Il fatto è attribuibile ad altri soggetti, lui è totalmente estraneo, è stato acclarato dal giudice. Marco è una bravissima persona”. Marco Carta resta comunque indagato a piede libero per concorso nel furto delle magliette. Il giudice ha, invece, convalidato l’arresto per la 53enne che si trovava con lui ieri nel negozio. Per la donna sarebbe stata predisposta una nuova misura cautelare. Le magliette sarebbero state nella borsa della donna che era in compagnia di Carta. La prossima udienza del processo per entrambi si terrà a settembre e i vigili urbani stanno acquisendo le immagini e i filmati per indagare su quanto avvenuto esattamente nel negozio. Al termine dell’udienza Marco Carta ha commentato i fatti: “Un vecchio proverbio diceva: male non fare, paura non avere. Ho continuato a ripetermelo in attesa di vedere il magistrato e ho fatto bene a ripetermelo e ad aver fiducia nella magistratura che ha riconosciuto la mia totale estraneità ai fatti. Sono onesto, non rubo”. Poi ha lanciato un appello: “Sono molto scosso spero e mi auguro con tutto il cuore che la stampa e il web diano alla notizia della mia estraneità al reato di furto aggravato la stessa rilevanza che hanno dato all’arresto”.

Fu cacciata dal posto di lavoro perché trans: è disoccupata ma ora devono pagarle i danni

Un risarcimento danni, una prima battaglia vinta da chi è stato pesantemente offeso e poi allontanato dal posto di lavoro. Francesca (nome di fantasia), trans di 22 anni, ha vinto, ma solo in parte. Oggi è a casa senza lavoro e con tanta paura di ricominciare. Fino a dicembre scorso ha lavorato come lavapiatti in una nota sala ricevimento della provincia di Bari. Tutti sapevano chi lei fosse davvero e che il suo percorso di transizione fosse appena cominciato. Capelli lunghi, i primi ormoni già assunti e il corpo che lentamente cambia sotto gli occhi di tutti. Ma è bastato uno smalto per generare sdegno e cattiveria. “La sala dei ricchioni è diventata questa” hanno tuonato i suoi colleghi. E ancora: “Quando sei entrato qui eri maschio, qui dentro devi essere un maschio, fuori fai quello che vuoi”. Dalle parole ai fatti. Francesca, in quell’ultimo giorno di lavoro, viene accompagnata alla macchina a suon di insulti e spintoni. Scappa via in lacrime. L’indomani torna nella sala ricevimento per parlare con il suo datore di lavoro, assente il giorno precedente, ma lui fa spallucce e la invita ad andare via.

“Quando è stata ricevuta nel nostro studio – racconta Mate Carvutto, legale di Keylaw, riferimento dell’Arcigay Bari – Francesca tremava come una foglia. Ci ha raccontato quanto fosse accaduto quel giorno, ma aveva tantissima paura. Paura di restare sola e a giusta ragione. Uno dei testimoni dell’accaduto, dopo averle promesso il totale appoggio, ha fatto marcia indietro e ha negato tutto”. “Una legge sull’omofobia – prosegue ancora il legale – avrebbe potuto scoraggiare gli atteggiamenti dei colleghi di Francesca. Oggi, ancora si sentono tutti in diritto di poter utilizzare parole e gesti offensivi nei confronti degli omosessuali, restando impuniti”. Una legge che, dopo tante promesse, è caduta ormai nel dimenticatoio: l’attesa dura da quasi due anni e l’approvazione da parte del Consiglio regionale non si è ancora vista.

Per una volta hanno ragione i lavoratori. La fabbrica resta aperta (almeno un po’)

Colpo di scena nel fallimento Solland Silicon: nella notte tra venerdì e sabato gli operai hanno costretto la Provincia autonoma di Bolzano a concedere una proroga agli investitori del Qatar che vogliono rilevare lo stabilimento chimico di Merano.

Dopo anni di crisi la fabbrica, che oggi ha 80 dipendenti, sembrava destinata alla chiusura. Il giudice fallimentare Francesca Bortolotti infatti aveva rifiutato di concedere una proroga all’azienda qatariota che, per rilevare lo stabilimento, deve versare 5 milioni di euro. Una decisione quasi obbligata dopo che il sindaco di Merano Paul Roesch aveva chiesto esplicitamente la riconversione del polo industriale e la Provincia aveva annunciato di non essere più disponibile a farsi carico della sicurezza. L’impianto è fermo da anni ma la manutenzione va comunque garantita perché all’interno dell’areale di Sinigo sono stoccate 260 tonnellate di clorosilani. In caso di incidente sarebbe una catastrofe ambientale per tutta la valle dell’Adige. Si tratta di sostanze molto pericolose i cui vapori, essendo più pesanti dell’aria, si diffondono a livello del terreno e hanno un elevato rischio di autocombustione. Per questa ragione l’azienda è classificata nella categoria ‘Seveso’, una delle più elevate.

Venerdì pomeriggio, al termine di un vertice in Prefettura, i sindacati avevano sottoscritto l’accordo che affidava alla società Ren Tec lo svuotamento della fabbrica. Cgil, Cisl e Uil avevano ottenuto che tutti gli operai fossero assunti da Ren Tec per il tempo necessario allo smantellamento della fabbrica.

Ma quando la chiusura sembrava cosa fatta è arrivato il clamoroso colpo di scena. Gli operai, furiosi con la Provincia e anche con i sindacati, hanno bloccato i cancelli della fabbrica e, sconfessando i loro rappresentanti che avevano appena firmato l’accordo per lo smantellamento dello stabilimento, si sono rifiutati di avviare lo svuotamento dell’impianto. “Provincia vergogna”, si leggeva sugli striscioni appesi in fretta e furia sui cancelli.

A quel punto è stato convocato un vertice d’urgenza in fabbrica cui hanno partecipato anche la giudice Bortolotti, il governatore Kompatscher, i curatori fallimentari e gli operai. E la determinazione dei lavoratori ha avuto ragione dello scetticismo della Provincia che, dopo sei aste andate deserte, puntava sulla dismissione dell’impianto che produce componenti per pannelli solari. Alla fine ai qatarioti è stata concessa una proroga di 10 giorni e gli operai possono tornare a sperare. Se arriverà la prima tranche da 500 mila euro (e altri 4,5 milioni entro fine giugno), la fabbrica potrà ripartire dopo anni di inattività.

“Abbiamo garantito la sicurezza e, al tempo stesso, concesso una breve proroga alla società qatariota che vuole rilevare lo stabilimento. Presto sapremo se sono veramente interessati” commenta il presidente della Provincia di Bolzano Arno Kompatscher al termine di una notte estenuante passata a negoziare con gli operai.

Milano boccia il taser ai vigili. Salvini attacca pure i 5stelle

“Incredibile. La maggioranza di centrosinistra che governa Milano non vuole il Taser per la polizia municipale, così come previsto dal decreto sicurezza. I milanesi avranno una polizia municipale meno equipaggiata e con uno strumento in meno contro delinquenti e balordi. Nella fase sperimentale, il taser ha dato ottimi risultati e nessuna controindicazione. Spiace questa mancanza di fiducia e di tutela nei confronti della polizia municipale: è un regalo a criminali e sbandati”. Ha reagito così il ministro dell’Interno Matteo Salvini alla bocciatura del taser in Consiglio comunale a Milano. E non risparmia una stoccata anche agli alleati di governo: “E non capisco l’astensione del Movimento cinque stelle, che pure ha contribuito ad approvare il Decreto sicurezza. Il centrosinistra pensa di fare un torto al sottoscritto, ma danneggia Milano”. Il Consiglio comunale di Milano replica le decisioni già assunte da Torino e Palermo. Esulta l’associazione Antigone: “Ci auguriamo che questo sia un segnale affinché sul taser in dotazione alle altre forze dell’ordine si possa tornare presto indietro”.