Il figlio di Sandokan e “l’intuizione” di Cosentino

“Fu un’intuizione brillante di Cosentino” che risolse – parzialmente – l’emergenza rifiuti a Napoli nel 2008. Detta così, sembrerebbe una medaglia per l’ex parlamentare e sottosegretario Pdl. Ma si tratta delle parole di Nicola Schiavone, il pentito del clan dei Casalesi che da quasi un anno collabora coi pm della Dda di Napoli Graziella Arlomede e Fabrizio Vanorio, e la faccenda cambia aspetto.

Il verbale inedito su Nicola Cosentino, condannato in primo grado per camorra in due diversi processi, assolto in appello in un terzo processo, e condannato con sentenza definitiva per la corruzione dei secondini del carcere dove trascorse un periodo di custodia cautelare, ci fa ripiombare agli anni ruggenti dell’ultimo governo Berlusconi. Quello che celebrò il suo primo Consiglio dei ministri a Napoli. Per suonare la fanfara dei provvedimenti che avrebbero dovuto eliminare le montagne di spazzatura dalle strade della Campania. E poi si seppe che Berlusconi amava convocare Cdm a raffica a Napoli anche per coltivare le sue amicizie femminili, e venne fuori nel 2009 la partecipazione del Cavaliere al compleanno di Noemi Letizia a Casoria, e la trasferta di Noemi e di Roberta, ancora minorenni, alle feste natalizie del 2008 nella residenza sarda di Berlusconi. Cosentino poi ammise di avere comprato il silenzio delle loro famiglie. “Tranquillizzai quelle ragazze… cos’erano a confronto di tutte… di tutto quello che è uscito dopo”, disse nel 2013 in un’intervista a Repubblica incentrata sull’irriconoscenza di Berlusconi che lo aveva appena depennato dalle liste di Forza Italia, privandolo dell’immunità parlamentare e spalancandogli le porte della prigione.

E rieccoci al 2008. I ricordi di Nicola Schiavone, il figlio di Francesco Sandokan Schiavone, si riferiscono proprio a quell’anno-crocevia. E a come fu deciso di usare il sito di Ferrandelle per stoccare i rifiuti di Napoli. Il collaboratore di giustizia ribadisce che fu Cosentino a intervenire per sbloccare la situazione. “Si trattò di una intuizione brillante del Cosentino – dice Schiavone – il quale, individuando quel sito si garantì da un lato la benevolenza dei politici nazionali della sua coalizione, primo tra tutti Berlusconi, che in quel momento era in campagna elettorale per le politiche, e degli imprenditori che avrebbero effettuato i trasporti, dall’altro, in caso di fallimento avrebbe potuto dare la colpa ai cittadini che protestavano, appoggiati dai Casalesi, poiché era notorio che il terreno fosse degli Schiavone”. Per il pentito “in quest’affare vi fu una convergenza tra gli interessi di Cosentino e di Michele Zagaria, ma non conosco nel dettaglio i termini dell’accordo”.

La Dda ha depositato il verbale, raccolto il 14 novembre 2018, agli atti del processo d’appello “Il Principe e la Ballerina” sulle infiltrazioni della camorra a Casal di Principe e sulla mediazione di Cosentino per un finanziamento bancario a un ipermercato. Il 4 giugno la Cassazione deciderà sull’assoluzione di Cosentino e dei fratelli nel processo “Carburanti”, imputazioni di estorsione e illecita concorrenza con l’aggravante mafiosa nella gestione dell’Aversana Petroli, l’azienda di famiglia.

Ai pm Schiavone ha riferito che “Giovanni Cosentino prese come un affronto” il fatto che un imprenditore rivale, Luigi Gallo, fosse riuscito ad avere le autorizzazioni di un distributore a poca distanza dal suo, “e chiese ai fratelli Russo di intervenire”: a Gallo quindi fu impedito di aprire la pompa di benzina. Il verbale non ha fatto in tempo a transitare in questo processo. E se la Cassazione dovesse confermare le assoluzioni, la procura non potrà più utilizzarlo.

L’hotel di lusso per i deputati FI e il cerchio magico di Giorgetti

Non solo denaro, la tangente si incassa anche con pernottamenti in hotel di lusso. Paga la Newlisi Spa, società milanese al centro di un accordo corruttivo che, secondo la Procura, le ha fatto vincere una gara per la costruzione di un impianto per l’essiccazione dei fanghi. La regia è in mano a Nino Caianiello, ex coordinatore di Fi a Varese, grazie alla mediazione del manager Mauro Tolbar, già vicino all’onorevole di Fi Diego Sozzani. L’8 novembre 2018 all’hotel Ambassador di Rimini ci sono alcuni dei protagonisti dell’inchiesta sulla nuova tangentopoli lombarda. Costo: 2mila euro, da sommare, secondo i pm, a 10mila euro di mazzetta. Nella hall passano due onorevoli di Fi, funzionari pubblici, imprenditori vicini ai vertici della Lega, in particolare al sottosegretario Giancarlo Giorgetti, e Caianiello detto Jurassic Park definito il “personaggio A”.

I due parlamentari azzurri sono Diego Sozzani e Carlo Giacometto. Entrambi non sono indagati per questa vicenda. E mentre Sozzani è sotto inchiesta per un finanziamento illecito, Giacometto non è coinvolto nell’indagine. Il suo nome viene inserito in “un gruppo di persone riferibili a Caianiello”. Tanto che Tolbar progetta di inviare a Giacometto (membro della Commissione ambiente) “un vademecum sui fanghi”. Lo scopo delle giornate riminesi lo svela Caianiello: “Fanno una cena con gli imprenditori (…) quelli attenzionati sulla storia dei fanghi”. A Rimini era prevista anche la presenza dell’eurodeputata Lara Comi (indagata per finanziamento illecito, corruzione, truffa), che però non andrà. Dice Tolbar: “Ci è andata male (…). La Comi non ce la fa a venire. Quella era interessante”. Tra i presenti c’è l’imprenditore Claudio Milanese, non indagato ma sulla cui posizione si ragiona da giorni in Procura. La vicenda che lo riguarda non è solo quella riminese. Le sue parole vengono fissate in quattro intercettazioni che coinvolgono anche l’onorevole Sozzani. Per questo il tribunale valuterà se chiederne l’utilizzo al Parlamento.

Da queste emerge l’amicizia tra Milanese e Giorgetti. Dice Caianiello: “Milanese non puoi non tenerlo buono, perché è l’unico che sul territorio ha un’incidenza politica”. Ma l’intero “cerchio magico” di Giorgetti nell’inchiesta viene coinvolto o solo citato. C’è l’indagato per corruzione Paolo Orrigoni, il re dei supermercati Tigros, ex candidato a sindaco di Varese con l’ok di Giorgetti. Orrigoni e Milanese sono attivi anche nel settore del gas. Un settore che, pur non rientrando nell’indagine dell’antimafia, trova all’interno delle carte alcuni interpreti, tutti legati a Giorgetti. Tra questi, oltre Milanese e Orrigoni, l’avvocato Andrea Mascetti (non indagato), recordman di incarichi, dalla Regione a Fondazione Cariplo, fino al cda di Italgas e già supervisore della segreteria federale della Lega. Di lui dice Caianiello: “È l’uomo di Giorgetti!”. Di gas ne parla lo stesso Nino: “Dobbiamo fare ’sta gara del gas, è una gara da 250 milioni…”.

Se però l’appalto è solo accennato nelle intercettazioni, l’ipotesi di accordo generale tra Sozzani e Milanese è più chiara. Qui il primo promette di fare da “intermediario” al secondo. L’attività, dice Milanese, sarà “consulenziale” e “il contratto giustificativo dell’incarico di Sozzani – scrivono i pm – verrà predisposto tramite la Risorse Ecologiche Srl”. Milanese individua nel socio Sergio Bresciani (non indagato) l’interlocutore di Sozzani. Dice: “Io ti ho dato l’interlocutore, senza andare in impresa che poi parlano tutti”. Qui il possibile reato non è il finanziamento illecito. La Procura, infine, ragiona a un’ulteriore ipotesi di reato a carico di Sozzani per la gestione della sua società Greenline, al centro di un “illecito sistema di affidamento di incarichi onerosi (…) da parte di società pubbliche (…) in cambio della retrocessione di una quota dell’incarico in favore degli amministratori formali e di fatto”.

Dissequestrata nave Sea Watch3. Unhcr: “Libia non è sicura”

È stata dissequestrata la Sea Watch 3, che lo scorso 18 maggio sbarcò a Lampedusa 47 migranti salvati al largo delle coste libiche. “Ora torneremo subito in mare, tante persone sono in pericolo”, annuncia la ong tedesca. La decisione della Procura di Agrigento non è ovviamente piaciuta al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che parla di “politiche buoniste” di alcuni magistrati. Intanto Filippo Grandi dell’Unhcr è intervenuto sul tema migranti al festival economia di Trento: “Non devono essere riportati in Libia perché non è assolutamente un posto sicuro; finché l’Europa continuerà a considerare crisi come quella libica solo dal punto di vista dei flussi migratori non riuscirà a risolvere il problema e se si continuerà ad affrontare la crisi con una logica nazionalista come avviene anche in Italia si sbaglierà sempre: questi temi vanno affrontati globalmente”. E sulle ong Grandi ha detto: “Da quando hanno dovuto ridurre i salvataggi, sono calati anche gli interventi ma la proporzione di morti in mare rispetto a quelli che arrivano continua ad aumentare ed è inaccettabile”.

I portuali di Genova: “Benvenuti migranti”. Salvini: “Non in Italia”

I portuali della Compagnia unica (Culmv) di Genova hanno fissato alla Lanterna, simbolo della città che si trova vicino a Calata Bettolo, uno striscione con scritto “Benvenuti” in previsione dell’arrivo, previsto per oggi, del pattugliatore della Marina Militare Cigala Fulgosi che trasporta 100 profughi salvati nel mare della Libia. La Culmv è la stessa che dieci giorni fa ha bloccato l’imbarco di merci dual use nel porto di Genova sulla cosiddetta “nave delle armi” saudita Bahri Yanbu. Nella serata di ieri sulla vicenda è intervenuto il ministro dell’Interno Matteo Salvini annunciando trionfalmente: “Dopo alcuni giorni di lavoro possiamo confermare che nessuno degli immigrati a bordo della nave della Marina diretta a Genova sarà a carico degli italiani. Grazie alle nostre buone relazioni, una parte degli extracomunitari sarà accolta in altri cinque Paesi europei mentre tutti gli altri saranno ospitati dal Vaticano, che ringraziamo per la sensibilità”. Tra i 100 migranti a bordo, 23 sono minori e 17 donne: tra queste alcune sono incinte e una è al settimo mese di gravidanza. Complessivamente, secondo quanto appreso ieri dall’Ansa, sono una ventina le persone che avrebbero bisogno di assistenza medica.

“Basta lottizzare, ora vertici a rotazione”. Ma la rivolta delle toghe è ancora lontana

L’intercettazione della Procura di Perugia ritrae il quadro della situazione. Allo stesso tavolo siedono: il “parlamentare imputato” del Pd Luca Lotti; il membro del Csm Luigi Spina (Unicost); il parlamentare del Pd, nonché ex sottosegretario alla Giustizia, nonché indiscutibile ras di Magistratura indipendente Cosimo Ferri; infine il sostituto procuratore di Roma, nonché ex segretario dell’Anm, nonché ex consigliere del Csm, nonché uomo forte di Unicost e ora indagato e perquisito dalla Procura di Perugia con l’accusa di corruzione. L’osceno consesso discute di chi guiderà la Procura di Roma dove Lotti è imputato nell’inchiesta Consip con anessa richiesta di rinvio a giudizio e Tiziano Renzi, nella stessa indagine, sebbene sia stata richiesta l’archiviazione per il reato di traffico d’influenze, resta al momento indagato.

Un miscuglio tra politica e magistratura che mina la credibilità di entrambe. Se questo è il quadro intercettato, qual è la scena che si registra nella base?

A giudicare dal dibattito nella mailing list dei magistrati, chi si aspetta una reazione dura resta deluso.

Dei circa 9 mila magistrati, partecipano alla discussione qualche decina.

C’è chi profetizza: “Purtroppo non servirà a niente tutto il rovescio di merda che ci cade addosso oggi, perché questo che leggiamo sui giornali ci infanga tutti”.

Qualcuno segnala il “problema generale”: “Le correnti hanno lottizzato la magistratura, assumendosi l’indebito ruolo di assegnare o meno gli incarichi direttivi… a chi da esse è favorito in una logica di favoritismi e spartizioni di potere… l’unico rimedio è un ritorno all’anzianità opportunamente temperato…”. Qualcun altro invece – sono in tre o quattro – avanza il rimedio del sorteggio dei consiglieri per risolvere il problema in seno al Csm.

“Se Palamara viene descritto dai giornalisti come un comune delinquente, che se non fosse un magistrato sarebbe già in galera – si legge ancora – forse è arrivato il momento di cambiare le regole di selezione di coloro che devono rappresentare la magistratura”. L’idea è quella della “rotazione degli incarichi direttivi”. E ancora: “Forse bisogna pensare che l’associazione deve rimanere lontana dalle correnti che in questo momento storico rappresentano solo i loro giochi politici”. “Tutti i colleghi che in questi anni hanno votato (come?) – scrive un magistrato – dovrebbero ripensare a se stessi e fare un esame di coscienza. Stracciarsi le vesti ora e vergognarsi mi pare intempestivo”.

“Il nostro modello di magistrato – interviene un’altra toga – non è quello propinatoci dalle correnti: non assomiglia a questi personaggi che si riuniscono di giorno e di notte per piazzare i loro sodali o coloro che ritengono i più fedeli”. “Siamo diventati come tutti – si legge ancora – e ci siamo assuefatti alle storture e ci accorgiamo delle cose solo quando deflagrano in sede penale perché nessuno interviene prima”. A chi si duole dello “sputtanamento” dei colleghi c’è chi risponde: “Se i Palamara, gli Spina e gli altri avessero evitato di incontrarsi con politici indagati… evitato di gestire e indirizzare nomine… se non fossero stati intercettati… nessuno sarebbe stato sputtanato”.

Magistratura Indipendente ha sottolineato in un comunicato “la grande ipocrisia che emerge da alcune reazioni all’interno della magistratura”. C’è chi commenta: “Questa frase è inquietante… afferma che chi s’è indignato per quanto emerge dalla stampa sarebbe ‘ipocrita’. Questo significherebbe che Mi sa che chi s’indigna ha posto in essere condotte analoghe a quelle che critica e glielo vuole rinfacciare per ottenere silenzio e solidarietà”. Dal dibattito in mailing list non emerge alcuna solidarietà a Palamara. Ma se contiamo il numero degli interventi, il silenzio delle toghe è fragoroso.

La guerra dei pm

A Perugia è indagato per corruzione il pm di Roma Luca Palamara, ex Csm, leader della corrente centrista Unicost. Il magistrato avrebbe intascato 40 mila euro e goduto di soggiorni a Dubai, Ibiza e altrove a spese dell’imprenditore Fabrizio Centofanti e degli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore, tutti coinvolti in vicende giudiziarie, anche per pilotare nomine del Csm. Stefano Rocco Fava, altro pm romano e Luigi Spina, fino a ieri membro del Csm, sono indagati per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento.

in Un’intercettazione agli atti l’ex ministro renziano Luca Lotti, imputato a Roma nel caso Consip e il deputato pd Cosimo Rossi, già capo della corrente togata Magistratura indipendente (destra), parlano con Palamara dell’imminente nomina del nuovo procuratore di Roma alla presenza di due membri del Csm, Antonio Lepre e Corrado Cartoni di Mi.

Al Csm c’è un esposto del pm Fava contro l’ex procuratore di Roma Pignatone e l’aggiunto Ielo, accusati di irregolarità nella gestione di una delle inchieste su Amara, ex legale esterno dell’Eni, anche in relazione a passate consulenze – in sé legittime – dei fratelli dei due magistrati.

Quei procuratori che ringraziano Luca per le sue manovre

Ora a Luca Palamara nessuno telefona. Nessuno lo cerca. Nessuno gli chiede un aiuto, un favore. Eppure sono in tanti ad avere motivi di gratitudine nei suoi confronti. Per anni i suoi telefoni sono stati bollenti, gli incontri con lui ricercati e preziosi. Le alchimie correntizie da lui distillate hanno guidato, indirizzato, sostenuto nomine ai vertici degli uffici giudiziari delicate e a volte controverse. Il Consiglio superiore della magistratura era il suo campo di gioco, con alleati, soci chiacchieroni, colleghi di corrente obbedienti, magistrati delle altre correnti disposti ad accordarsi con lui secondo le regole dell’antico mercato delle vacche e degli scambi, uno a te, uno a me. Ora i giochi, per lui, king maker di Unicost, la corrente di centro della magistratura che ieri lo ha abbandonato al suo destino, sono finiti. La Procura di Perugia lo indaga per corruzione, con l’accusa di aver venduto la sua funzione in cambio di denaro, viaggi, regali.

Le ultime partite che stava giocando erano attorno al centro vitale degli uffici giudiziari italiani, la Procura della Repubblica di Roma non più porto delle nebbie, in una partita a scacchi che coinvolgeva anche le Procure di Firenze e di Perugia. La sua mano è rimasta sospesa mentre cercava di disporre i suoi pezzi sulla scacchiera. Ma altre partite, nel recente passato, le ha vinte, altre le ha combattute. La più significativa – anche se persa – è stata quella per determinare il procuratore di Gela. Il candidato di Palamara era Giancarlo Longo, pm a Siracusa. Alle sue spalle si muoveva l’amico imprenditore Fabrizio Centofanti, pronto a compiacerlo con viaggi e regali che neanche Formigoni. Ma a spingere erano l’avvocato esterno dell’Eni Piero Amara e il suo collega Giuseppe Calafiore, che avevano bisogno di un amico a Gela che sostenesse le buone ragioni dell’Eni nei processi in cui la compagnia petrolifera era coinvolta. Se lo meritava un premio, Longo, dopo che da pm a Siracusa aveva fiancheggiato Amara e aveva dato credito a un incredibile complotto ordito per depotenziare e depistare l’inchiesta della Procura di Milano a caccia delle tangenti petrolifere che Eni avrebbe pagato in Nigeria.

Ma Longo era impresentabile, il complotto ingarbugliato e le Procure di Roma e Messina, e poi di Milano, hanno dipanato i fili dell’intrigo. Amara è stato arrestato, i giochi svelati. L’avvocato esterno dell’Eni ha patteggiato – per ora – 3 anni per corruzione in atti giudiziari per aver comprato sentenze al Consiglio di Stato. E a Gela è arrivato come procuratore Fernando Asaro.

Lo scacco matto ha funzionato invece a Taranto, dove procuratore è stato nominato Carlo Maria Capristo. Nella commissione del Csm che propone le nomine lo hanno votato in quattro (Forciniti, Unicost; Galoppi, Magistratura indipendente; Balducci, laica di sinistra; Casellati, Forza Italia), contro due (Aschettino e Fracassi, Area) che gli hanno preferito Francesco Mandoi. Al plenum Capristo ha ottenuto 15 voti, espressi da tutte le correnti tranne Area, la corrente di sinistra della magistratura associata, che ha continuato a sostenere, con sette voti, Mandoi. Astenuti Fanfani, Pd, Zaccaria, Cinquestelle, e Ciccolo, pg della Cassazione. Gioco riuscito anche a Matera, con quattro voti in commissione per Pietro Argentino (Cananzi e Forciniti, Unicost, Forteleoni, Mi, Zanettin, Forza Italia), un voto per Lorenzo Lerario (Fracassi, Area) e uno per Elisabetta Pugliese (Balducci). Conferma al plenum con undici voti per Argentino (Unicost, Mi e laici di destra), sette per Lerario (Area), tre per Pugliese (i laici Balducci e Balduzzi e Morgigni, A&i) e quattro astenuti (Fanfani che presiedeva in sostituzione del vicepresidente Giovanni Legnini, oltre a Canzio, Ciccolo e Zaccaria).

A Trani ce l’ha fatta, infine, Antonino Di Maio, dopo un percorso lungo e accidentato. In una sede che i cultori di vicende Eni conoscono bene, perché è alla Procura di Trani che si rivolgono, prima di riprovare con Longo a Siracusa, Amara e gli inventori del complotto per depistare le indagini per corruzione internazionale in Africa. Il Csm in carica allora assegna cinque voti a Di Maio (Balducci, Forteleoni, Cananzi, Forciniti e Zanettin), un solo voto per Renato Nitti (Fracassi), che pure aveva titoli, prestigio e considerazione per essere nominato. In plenum, vince Di Maio con 14 voti, contro i sette di Nitti (solo Area). Assente Galoppi, astenuti Canzio e Morgigni. Nitti, sconfitto, ricorre al Tar e al Consiglio di Stato, che gli danno ragione. Ma la decisione passa al nuovo Csm, quello attualmente in carica, che conferma Di Maio. Con l’astensione, al plenum, di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita (Autonomia e indipendenza). E i voti contrari dei quattro consiglieri di Area e del laico indicato dai Cinquestelle Alberto Maria Benedetti, che sostengono Nitti, il quale ora prepara un nuovo ricorso.

Mattarella vuole il Plenum. Martedì la resa dei conti

Un consigliere del Csm, di Unicost, la corrente centrista, costretto alle dimissioni perché indagato; altri due chiamati in causa, di Magistratura Indipendente, destra, perché incontrano di sera, tra gli altri, un politico imputato per parlare della nomina del procuratore di Roma. E non si sa se sia finita qui. Ce n’è abbastanza per travolgere il Consiglio Superiore della Magistratura e, quindi, non poteva non arrivare un segnale del Quirinale, preoccupatissimo, che non può parlare ma dà il via libera a un plenum straordinario, martedì pomeriggio.

Un plenum, non certo nelle intenzioni del capo dello Stato e del Comitato di presidenza, che si annuncia una resa dei conti fra le correnti. Allo stesso plenum, ci dice una fonte dietro anonimato, “qualcuno dei consiglieri, alla luce di quanto sta emergendo, è intenzionato a chiedere che la Quinta Commissione riapra la pratica”, cosa che sarebbe tecnicamente possibile perché non ci sono ancora né le motivazioni né il concerto del ministro Alfonso Bonafede per i candidati votati appena il 23 maggio scorso: Marcello Viola ( “l’anti Pignatone”, 4 voti di Mi, Davigo, M5s e Lega), Franco Lo Voi (il “filo Pignatone”, un voto, di Area, sinistra), Giuseppe Creazzo (un voto, di Unicost) .

Il presidente Sergio Mattarella, in questi giorni, è stato consultato a più riprese dal vice presidente David Ermini. Amico personale di Luca Lotti, renziano come lui, dopo alcuni resoconti di stampa di questi giorni ha sbottato con i suoi collaboratori: “Se qualcuno ha pensato di mettermi qui come burattino si è sbagliato, seguo il capo dello Stato”.

È ispirato da Mattarella l’ordine del giorno del comitato di presidenza, vistato dal presidente come da prassi: “Sulle vicende giudiziarie che coinvolgono alcuni magistrati si impone un confronto responsabile tra tutti i componenti per la forte riaffermazione della funzione istituzionale del Csm a tutela dell’intera magistratura”.

Ma quello che trapela da conversazioni riservate è che diversi consiglieri vogliono andare a uno scontro fra gruppi contrapposti, che in questi ultimi mesi si sono concentrati sulla nomina più “politica” d’Italia, quella per il procuratore di Roma. Il clima è terribilmente avvelenato, con notizie su trattative già discutibili e annose fra esponenti di correnti e politici che si intrecciano, e non si sa ancora fino a che punto, con le notizie dell’inchiesta di Perugia per corruzione che ha travolto il pm di Roma ed ex potente consigliere Luca Palamara, il consigliere Luigi Spina, che si è dimesso ieri, e il pm romano Stefano Fava, accusati di favoreggiamento e rivelazione pro Palamara.

Ed è solo per il trojan nel cellulare di Palamara, indagato, che si è scoperto che Corrado Cartoni, capogruppo di Mi al Csm e il suo collega in Consiglio, Antonio Lepre, non indagati, erano presenti almeno a un incontro di maggio in cui c’erano Cosimo Ferri, ex leader di Mi, sempre ascoltato nonostante la corrente di cui è stato anima sia la più a destra e lui sia diventato deputato renziano del Pd, e Luca Lotti, cuore del giglio magico di Matteo Renzi. Pure lui, imputato a Roma per il caso Consip, mette bocca su chi deve andare al posto di Pignatone.

“Il nostro comportamento è sempre stato improntato alla massima correttezza – dicono Cartoni e Lepre –, non siamo mai stati condizionati da nessuno. Marcello Viola è il miglior candidato alla Procura di Roma e solo ed esclusivamente per questo lo sosteniamo”. Nessuna spiegazione su quell’incontro. Evidentemente aspettano il plenum per contrattaccare. Non a caso, Mi parla di “grande ipocrisia che emerge da alcune reazioni all’interno della magistratura”, come a dire sì, noi abbiamo trattato ma come gli altri. La corrente che ha magistrati indagati è Unicost, di cui Palamara fino a poche settimane fa era l’uomo forte. Ora lo ha scaricato, così come Spina. Il neo presidente Mariano Sciacca, ex Csm, ha chiesto loro “di assumersi le rispettive responsabilità politiche” e preannuncia una scelta clamorosa: “Unicost si ritiene parte lesa, e si riserva, nel caso fosse celebrato un processo, di costituirsi parte civile”.

Non si manifestava uno scenario così platealmente torbido dai tempi della P3, che riuscì a far nominare come presidente della Corte d’Appello di Milano Alfonso Marra, nel periodo in cui Berlusconi premier era imputato. Giuseppe Maria Berruti, commissario Consob ex consigliere del Csm per Unicost, odiato dalla P3 perché “inavvicinabile”, dice che “il Paese ha bisogno assoluto della credibilità della magistratura e deve essere certo che essa dipende esclusivamente dalla legge”.

Emma, professionista della sconfitta: sempre in poltrona da 43 anni

Come capita con la marijuana, tutti hanno provato almeno una volta nella vita a votare Emma Bonino. Peccato sia stata quasi sempre lei a fumarsi il voto e a volarsene via, tanti saluti agli aventi diritto che le hanno creduto.

A questo giro di agognata Europa la veterana di tutti gli psicotropi politici in circolazione ha buttato dalla finestra 822mila voti senza raggiungere il fatidico 4%. Dispetto che ha fatto volentieri al Partito democratico visto che proprio il Partito democratico – atleta di leggendario masochismo – l’aveva appena eletta al Senato, 4 marzo 2018, nel pieno dell’ultima emorragia renziana.

Ma se il grande Enrico Mattei usava i “partiti come i taxi” e a fine corsa li pagava, Emma Bonino sale a bordo di qualunque mezzo da una quarantina d’anni e non paga mai. Anzi è accaduto e accade proprio il contrario, visto che dal remoto 1976 a oggi, transitando sia a sinistra che a destra dello spettacolo politico, da Prodi a Berlusconi, da Bersani a Renzi, dagli abortisti al chierichetto Tabacci, sopra e sotto, dentro e fuori i confini nazionali, a favore della pace nel mondo, ma anche bendisposta alla gloriosa guerra umanitaria che brucia vivi solo i cattivi, Emma non è mai rimasta senza un incarico, una poltrona, un pasto caldo, anche al netto di tutti gli encomiabili digiuni intrapresi per le buone battaglie combattute, le libertà della donna, ci mancherebbe. E per quelle meno buone, l’insofferenza ai sindacati, per esempio. Sempre passando dal corpo, il soggetto politico per eccellenza dell’intera avventura radicale. Che è specialmente la sua.

Non per caso tutta la sua storia pubblica è cominciata nel modo più privato immaginabile, un aborto. Che passò precisamente al centro del suo corpo – “era il 1974, avevo 27 anni, mi sentivo colpevole come una ladra” – compiendosi nell’esperienza “più sconvolgente della mia vita”. Una ustione cauterizzata con la politica. Che da allora la aiuta a reagire alle molte ingiustizie del mondo: “La mia indignazione, la rabbia, la solitudine di quel momento sono diventate impegno”.

Icona femminista quant’al- tre mai, ha avuto in sorte il dispetto di vivere dentro l’ombra del più ingombrante dei maschi alfa, Marco Pannella, che lei chiamava “il mio scimmione” a dirne la sudditanza zoologica per forza maggiore, ma anche la propria consapevole supremazia femminile, in quanto animale politico più astuto. Capace di suscitare maggiore benevolenza nel pubblico votante, grazie ai suoi piccoli sorrisi e al suo corpo fragile. Compresa la volta in cui annunciò in radio di avere il cancro, era il 2015, preparandosi a combatterlo da “calva di transizione”. Circostanza drammatica per tutti, salvo che per il suo mentore, insofferente alla maggior luce della sua discepola: “Emma ha il cancro? Io ne ho due”. Svelandosi narciso anche nella propria sofferenza.

Per tutta la vita Pannella l’ha celebrata e insieme strapazzata fino all’insulto in pubblico, quando con cattiveria persino commovente, provò ad annettersi tutti i successi politici di Emma, gridando che i ministeri ottenuti, gli incarichi internazionali, i voti, i premi, gli applausi “li ho costruiti io, non lei! Emma è stata oggetto della nostra campagna di valorizzazione!”. Incassata, lasciava intendere, senza mai un grazie: “Non la vediamo mai, non ci consultiamo mai, non partecipa a una sola riunione di partito. Non fa assolutamente vita di partito”.

Improperi narrati con le solite mille parole del padre padrone, a cui Bonino rispose con l’indifferenza della figlia: “Ma sei scemo? Io sono iscritta al partito a 2.500 euro al mese”.

In quell’eloquio senza troppi fronzoli, Emma Bonino ci è nata, anno 1948, cascina agricola dalle parti di Bra, provincia di Cuneo, padre contadino “che parlava solo in dialetto” e madre casalinga “che non parlava mai”. Seconda di tre figli. Insofferente “al soffocante caldo dell’estate” e al freddo dell’inverno, chilometri a piedi nella neve per andare a scuola. Poi il liceo nell’aria cupa di provincia. E finalmente un treno per Milano, Università di Lingue, lasciandosi dietro la brutta adolescenza. Per aprirsi all’anno di grazia 1968, quando un po’ di cielo cadde sulla terra e Emma incontrò la sua prima regina madre, Adele Faccio, già veterana radicale, “che mi ha insegnato l’abc della politica”, perfezionata sui tavoli dell’aborto clandestino finalmente portato alla luce del sole, rivendicato come sofferente diritto di ogni donna.

È su quell’onda che nel 1976 arriva alla Camera, eletta con la prima pattuglia radicale, reduci tutti dalla battaglia vinta del divorzio che per la verità era farina del sacco di Loris Fortuna, socialista pre-craxiano, e che Pannella si è intestato da allora, spingendolo a gomitate fuori dall’inquadratura.

Da quei giorni gloriosi si è mossa in avanti e indietro la rissosa comitiva radicale, tutti in gita permanente dentro al palcoscenico delle Istituzioni, sul quale hanno issato la clamorosa innocenza di Enzo Tortora e la discutibile avventura politica di Toni Negri. Il dramma di Luca Coscioni e la farsa di Cicciolina. L’autentica grandezza di Leonardo Sciascia e la molesta irrilevanza di Daniele Capezzone.

Tutti imbarcati e masticati sul pullman in corsa, di quelli doppi con ampia vista sui diritti civili. Ma avvelenati da insonni battaglie intestine, più psichiatriche che politiche, più sentimentali che ideologiche, autoreferenziali, spesso incomprensibili (“siamo il partito transnazionale, transpartito, liberale, libertario, liberista”) combattute negli infiniti congressi dove hanno sfilato, insieme con i giovani e lucenti segretari via via assunti e licenziati da Pannella, i diritti dei Mapuche, dei Montagnard, dei Ceceni, l’hashish libero, la pena di morte da abolire, le mutilazioni genitali femminili, la buona morte per i malati e la cattiva vita dei detenuti, la non violenza planetaria, ma anche le portaerei di Bush nel Golfo, e i bombardieri italo-americani su Belgrado. Fino alla insuperabile trovata della battaglia “contro lo sterminio per fame” ricevendone voti, encomi, universale ammirazione anche da quei governi che i loro popoli li affamano per vocazione.

Persuasa di interpretare al meglio il bene collettivo, e autorizzata dal suo maestro a considerarsi autonoma con i voti e i soldi degli altri, Emma ha indossato l’intero guardaroba istituzionale. È stata ministro con Prodi e Letta, commissario europeo con Berlusconi, vicepresidente del Senato con Napolitano al Quirinale. Tre volte al Parlamento europeo, otto volte in quello italiano coi radicali, l’Ulivo, Forza Italia, fino alla lista onomastica, e sempre a cavallo della sua volontà di ferro.

Vittoriosa con i primi referendum, ne ha guidati altri cento, fino a renderli irrisori. Ha vinto la battaglia contro il finanziamento pubblico dei partiti, dimenticandosi del proprio, attraverso la celebrata Radio Radicale che trasmette “contro il regime”, ma con i soldi del regime. Dettaglio irrilevante per una che si è fatta sparare in Somalia, arrestare in Polonia e in Afghanistan, fermare in Sudan e in Ruanda. Anche se non sembra dice di amare la solitudine.

Da personaggio pubblico, non ha mai smesso di parlare del suo privato, considerandoli inseparabili. Ha raccontato i suoi viaggi, i suoi anni di autoesilio al Cairo, le sue paure, i suoi pianti notturni. I suoi amori, specialmente quello per Roberto Cicciomessere, finito malamente: “Mi lasciò per una di 24 anni”. Non è mai stata né moglie, né madre. Condannandosi, a suo dire “a rimanere figlia”. Mai liberandosi davvero dalle antiche ferite. Forse sarebbe l’ora di essere meno avara con se stessa, occuparsi della sua piccola casa con terrazza su Campo dei Fiori. Con un po’ di lentezza e la meritata pensione.

Fratoianni si dimette da segretario di Si: “Un passo per l’unità”

Nicola Fratoianni si è dimesso da segretario di Sinistra Italiana, dopo il risultato molto deludente delle elezioni europee (insieme a Rifondazione comunista e altri movimenti, 470mila voti e appena l’1,8%). Lo ha annunciato durante la direzione nazionale del partito: “Ho rassegnato le dimissioni da segretario nazionale di Sinistra Italiana – ha detto –. La campagna elettorale delle elezioni europee de La Sinistra ha prodotto un contributo di idee interessante e profondo. Ha avuto il merito di porre con forza alcuni temi su scala europea: la ridistribuzione della ricchezza, la lotta per l’uguaglianza, i diritti. Dalla campagna elettorale è emersa anche con forza, dal basso, a volte il dispiacere, a volte il fastidio per la frammentazione delle proposte di Sinistra. E questo è un tema vero”. L’ex segretario se la prende, quindi, con le divisioni nel suo campo. Il suo non è un addio alla politica: “Voglio continuare a dare il mio contributo per la riunificazione delle proposte, che abbiano connotati di chiarezza, radicalità e credibilità. E il mio primo contributo è rassegnare le dimissioni da segretario del partito. Spero che sia utile a stimolare una riflessione collettiva. Non è tempo di lasciare l’impegno. Nulla è immutabile. Andiamo avanti”.