“Più valori e meno bombe: rischia, è stata coraggiosa”

La svolta “pacifista” della ministra della Difesa Elisabetta Trenta ha la benedizione di Padre Enzo Fortunato, direttore della rivista San Francesco del sacro Convento di Assisi. Città in cui la Lega ha fatto il botto elettorale.

Trenta parla di 2 giugno dedicato all’inclusione.

È una risposta ai tanti appelli del variegato mondo pacifista e dell’universo francescano. Penso a don Tonino Bello oppure alla grandi lotte civili di don Ciotti, Alex Zanotelli e della Tavola della pace. Insomma a quel mondo che crede in una umanità pacificata. La presa di posizione della ministra è comunque coraggiosa. Un atto che potrebbe canalizzare risorse. Che questo possa essere un incoraggiamento a non demordere.

Al momento però il ruolo della ministra nell’esecutivo pare sotto tiro.

Meglio morire sul campo di battaglia per nobili principi che rimanere schiacciati da realtà che non crediamo nostre.

Le dichiarazioni di Elisabetta Trenta non sono piaciute all’interno degli stessi apparati militari: tre generali in congedo oggi non partecipano alla parata.

Chiunque si espone rischia ma in questo caso è un bel rischio.

Stiamo comunque parlando della parata delle Forze Armate, sono pur sempre armi.

Che sia la parata dell’inclusione. Che i militari la scrivano con le parole oltre che con la propria vita. La vera difesa parte dall’includere l’altro e farlo diventare nostro alleato nella difesa comune. Una Repubblica oggi è forte per i valori che esprime non solo rispetto al suo arsenale. Il cammino è lungo ma non dobbiamo tentennare. Noi abbiamo sostenuto la mozione di Assisi, approvata all’unanimità dal Consiglio comunale, contro la produzione italiana di armi destinate alla guerra.

Come si tengono insieme armi e inclusione?

L’inclusione è la parole d’ordine dell’uomo lungimirante, del politico che guarda oltre. Con tutti i problemi che abbiamo in Italia oggi non c’è bisogno di esponenti pubblici che alimentino l’odio. Proprio ieri Papa Francesco ha esortato tutti a non lasciarsi rubare la fraternità da chi alimenta divisioni.

Può esistere un pacifismo ecumenico, che vada oltre gli schieramenti politici?

Ne sono certo e aggiungo che la supremazia di chi si sente migliore dell’altro, il beffeggiare migranti e poveri non fa parte di uomini che vogliono dirsi politici. Paolo VI parlò di politica come la forma più alta di carità.

Alle europee gli ecologisti hanno raccolto molti consensi. Secondo lei anche il pacifismo è un tema che può coinvolgere l’elettorato?

Sì e non parlo di concetti astratti. È possibile vivere senza armi ma bisogna crederci. Un esempio sono i risultati che si ottengono e in alcuni casi già ottenuti rispetto all’economia del microcredito. Sono ambiti assolutamente diversi ma associabili se si guarda verso un futuro cominciando però da oggi e soprattutto con politici disposti a rischiare.

La Trenta ha affermato: ”Mi preoccupo del futuro del Paese, della poltrona me ne frega poco”.

Sicuramente è un ottimo segnale. Auspico possa essere l’inizio di un percorso.

Tornando alla festa della Repubblica, sembra non ci sia pace per le feste nazionali.

Ho subito ripensato alle polemiche per il 25 aprile. In entrambi i casi stiamo parlando di ricorrenze che dovrebbero unire la nazione. Ci troviamo invece a fare i conti con animi gretti che continuano a perorare la divisione al posto di rincorrere l’unità.

L’Icsa, il pensatoio creato da Cossiga e Marco Minniti

Ci sono storie che fanno giri immensi e poi ritornano. Come la Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis) il cui presidente è il generale Leonardo Tricarico, già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, capofila degli attacchi alla ministra Trenta.

La Icsa è stata presentata a Roma il 19 novembre 2009 da un trio d’eccezione: lo stesso Tricarico, l’ex ministro degli Interni, Marco Minniti e l’allora presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Alla cerimonia presenziò l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega ai servizi di sicurezza, Gianni Letta, nonché tutti “i vertici delle forze armate, delle forze di polizia e degli apparati di sicurezza”.

Come spesso capita, le Fondazioni diventano un luogo di concentrazione di interessi politici e strategici che poi sfociano nella politica istituzionale. In questo caso, sin dalla sua nascita, la Icsa diventa uno strumento che riunisce trasversalmente un establishment politico-militare che ha a cuore la gestione dell’Intelligence e quello delle politiche militari con un fortissimo orientamento verso gli Usa. La presenza iniziale di Cossiga, l’uomo di Gladio e dei tanti misteri italiani, parla da sola. Cossiga è stato il presidente onorario di Icsa fino alla sua morte mentre Minniti ha fatto il presidente esecutivo, carica che ha lasciato quando è diventato sottosegretario, con delega ai Servizi, nel governo Renzi, nel 2013. “Da allora non mi occupo più in nessun modo di questa sede – dice Minniti al Fatto – e mi sono dimesso anche da socio”.

Va però detto che il vicesegretario della fondazione, Giovanni Santilli, è stato segretario particolare presso la Presidenza del Consiglio tra il 1998 e il 2000 e poi del ministero della Difesa quando entrambe le cariche erano ricoperte da Marco Minniti, di cui è stato consigliere politico durante l’incarico di viceministro dell’Interno nel secondo governo Prodi.

Ma a interessare maggiormente è il ruolo di Tricarico, che è stato Consigliere militare del governo D’Alema, nel 1999, incarico mantenuto nel governo Amato e poi in quello Berlusconi. Profilo di grande respiro internazionale e di competenza indiscussa, ma anche di grande trasversalità. Cosa non difficile, del resto, in una politica estera e militare che dagli anni 90 in poi ha visto la più grande convergenza tra centrodestra e centrosinistra.

Dell’Icsa fa parte anche, sia pure nel Comitato scientifico, Vincenzo Camporini che invece è stato Capo di Stato Maggiore della Difesa, dal 2008 al 2011, con il ministro Ignazio La Russa.

Vicepresidente della fondazione è invece il prefetto Carlo De Stefano, che è stato sottosegretario all’Interno nel governo di Mario Monti. Ma segretario generale dell’Icsa è stato anche Paolo Naccarato, cossighiano doc, e poi, nel 2006 sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Prodi fino a finire tra i “responsabili”, nel 2013, che contribuirono a tenere in vita i governi delle larghe intese. Trasversalismo allo stato puro.

A dare il segno delle relazioni politiche e del respiro internazionale soccorre il Consiglio scientifico formato da militari di alto rango come l’ammiraglio Gianfranco Battelli, ex direttore del Sismi, l’ex Capo di Stato maggiore della Marina, Sergio Biraghi, Consigliere militare di Carlo Azeglio Ciampi, il già citato Vincenzo Camporini, il generale della Guardia di Finanza Giampaolo Ganzer, condannato a 14 anni in primo grado e poi a 4 anni e 11 mesi in Appello, per irregolarità in operazioni antidroga, fatti infine dichiarati “di lieve entità” in Cassazione, che ne ha sancito la prescrizione. E poi il generale Mario Nunzella, già Capo di Stato Maggiore dell’ Arma dei Carabinieri, anch’egli Consigliere per la Sicurezza di Massimo D’Alema, Andrea Monorchio già Ragioniere Generale dello Stato, il discusso professor Paolo Savona, oggi a capo della Consob dopo le alterne vicende nel governo Conte. Importanti presenze atlantiche sono poi quella di Frances Townsend, già consigliere per la sicurezza di George W. Bush, di Kurt Volker, ex ambasciatore Usa alla Nato o di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore d’Italia negli Usa dal 2005 al 2009 e consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.

Tutti queste figure non portano ovviamente la responsabilità delle mosse di Tricarico e sodali, ma aiutano a capire il contesto politico e gli interessi che oggi muovono lo scontro in atto con la direzione della Difesa italiana.

Tutti contro Trenta: perché i generali vogliono cacciarla

La riunione si tiene alle 7 del mattino del 18 aprile e vede precipitare al Ministero della Difesa i Capi di Stato Maggiore delle tre forze armate: Esercito, Marina e Difesa. I generali Salvatore Farina (Esercito), Valter Girardelli (Marina) e Alberto Rosso (Aeronautica) chiedono spiegazioni alla ministra Elisabetta Trenta circa il post pubblicato su Facebook il giorno prima, per “una riforma sull’avanzamento”.

Il merito in caserma. La ministra dice di voler “trovare soluzioni innovative in materia di avanzamenti e progressioni di carriera del personale militare” con la “necessità di rivedere il processo valutativo al fine di individuare chiaramente i criteri alla base dell’attribuzione dei punteggi di merito e limitando, per quanto possibile, la discrezionalità delle commissioni”. Il merito in caserma, insomma, che ha il plauso della truppa, ma che non piace ai vertici. Tra i più contrariati, secondo i corridoi di palazzo Baracchini, sede del ministero della Difesa, il capo di stato maggiore dell’Esercito, Farina, molto vicino all’ex capo di Stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, nominato dalla ministra Pd, Roberta Pinotti. Alberto Rosso è stato invece il Capo di Gabinetto della stessa Pinotti fino al 28 ottobre 2018.

L’esternazione molto rumorosa fatta dai generali in pensione Leonardo Tricarico, Vincenzo Camporini e Mario Arpino, i quali hanno annunciato che non assisteranno alla tradizionale parata militare di oggi, va letta, quindi, alla luce di un malumore che si respira da tempo. I tre hanno contestato a Trenta “dichiarazioni di vuoto pacifismo” o, più prosaicamente, la volontà di “tagliare le pensioni” che per molti graduati equivalgono a pensioni d’oro.

Lo Stato maggiore. Ma il lavorìo contro Trenta non viene tanto dai generali in pensione o da esponenti della destra come Ignazio La Russa (che ha avuto Camporini come Capo di Stato Maggiore) e Giorgia Meloni, quanto dagli uomini di cui la stessa ministra si è circondata. Al ministero iniziano a guardare con più distanza, ad esempio, l’attuale Capo della Difesa, Enzo Vecciarelli, che ieri ha pubblicamente preso le distanze dai tre generali in pensione ma, si riflette ai piani alti di palazzo Baracchini, è stato risucchiato dal sistema della “casta” militare, distanziandosi dalla politica che lo ha nominato.

Tra i temi dello scontro non c’è solo la valutazione, e quindi il sistema di nomina interna dei graduati, ma anche l’iniziativa legislativa di “sindacalizzazione” delle Forze armate, sostenuta vistosamente da Trenta; l’iniziativa sull’uranio impoverito dove la ministra propone una riforma per stabilire responsabilità precise della Difesa tutelando i soldati; anche il tema dei suicidi in caserma, avanzato più volte dalla ministra, è oggetto di discussione.

Peace&Love. Le accuse di gestione “peace&love” del dicastero (riferimento al simbolo pacifista fatto dalla Trenta al Senato per rispondere alle accuse di Isabella Rauti, senatrice di FdI) sono solo dei palliativi. Anche l’assenza di Giorgia Meloni dalla parata di oggi, spiega una nota della Difesa, si deve al fatto che la leader di Fratelli d’Italia, “voleva il palco presidenziale previsto per le cariche istituzionali”.

C’è però anche un fronte interno per la ministra, prontamente stoppato dalla difesa che di lei ha fatto Luigi Di Maio. Nel M5S ha destato molto stupore l’attacco ricevuto dal sottosegretario M5S Angelo Tofalo che oltre a blandire Matteo Salvini, e a vestire i panni militari impugnando il mitra, ha parlato di “errori grossolani” al ministero. Chi conosce bene le dinamiche interne sottolinea l’asse di Tofalo con l’altro sottosegretario alla Difesa, il leghista Raffaele Volpi, per lavorare ai fianchi la Trenta.

Il fronte interno. In questo contesto è stata vissuta come un vero e proprio “tradimento” la riunione “segreta” che ha visto Tofalo con il capogruppo 5Stelle nella commissione Difesa della Camera, Giovanni Russo, il senatore della Difesa, Dino Mininno e il membro 5 Stelle del Copasir (comitato di controllo sui Servizi segreti), Francesco Castiello. Nel mondo pentastellato si dice che “hanno fatto gli utili idioti della Lega”. Ed è evidente che la vittoria elettorale di Salvini abbia cambiato le carte in tavola e spinto il leader leghista a mettere le mani su qualsiasi struttura abbia una divisa.

L’Aeronautica. Ma c’è di più. A unire le varie caselle del puzzle si trova spesso l’Aeronautica. I tre generali in pensione che diserteranno la parata vengono tutti da lì. Anche il 5 Stelle Mininno proviene dall’Aeronautica. E l’Aeronautica, più delle altre Forze, ha un nodo irrisolto: gli F-35. La dichiarazione della ministra, relativa all’arrivo di altri 28 velivoli, non va equivocata, perché riguarda le commesse già ordinate dal precedente governo e avallate dal Documento programmatico per la Difesa per il triennio 2018-2020. Ma in quel documento si legge che “gli oneri totali sono riferiti alla sola Fase 1 di prevista conclusione nel 2020. La Fase 2, qualora confermata” prevede delle “contribuzioni al momento ancora non definite”. Al momento, quindi, vengono stanziati 1,447 miliardi, ma il fabbisogno complessivo di miliardi ne richiede 7,093.

Il discorso del premier

Care concittadine e concittadini, forse è l’ultima volta che vi parlo da presidente del Consiglio. Il che non sarebbe una tragedia né per voi, sopravvissuti a 28 premier prima di me, né per me che, diversamente dai politici italiani, un mestiere a cui tornare ce l’ho. Ma vi parlo proprio perché spero che non sia l’ultima. Il mio strano governo, nato un anno fa dal contratto fra due partiti diversi e perlopiù incompatibili, che però erano gli unici disposti a formarne uno e in grado di fare maggioranza, ha realizzato alcune cose buone e commesso altrettanti errori (più qualche orrore). A differenza di altri, molto peggiori del nostro, ha goduto di pessima stampa, più a causa dei suoi meriti (imperdonabili dall’establishment) che dei suoi demeriti (graditissimi all’establishment). Ora però, dopo le Europee, siamo a un bivio molto chiaro. Se dovessi giudicare dai consensi alla mia persona e al mio governo, oltre il 50%, dovrei essere soddisfatto. Invece non lo sono per nulla. Il voto di domenica ha umiliato il partito di maggioranza relativa, che ha dimezzato i voti, ed esaltato l’altro contraente, che li ha quasi raddoppiati. Ma il mio unico faro è il Parlamento, dove i 5Stelle hanno il doppio dei seggi della Lega: le regole della democrazia parlamentare sono queste e non c’è voto europeo che possa scardinarle.

I due leader non si parlano più da due mesi. E non riescono a uscire dalla campagna elettorale. Ma ora dovranno farlo, volenti o nolenti. A meno che non vogliano le elezioni anticipate, nel qual caso dovranno dirlo subito a me e spiegarlo a voi. Il governo, specie se ha pretese di “cambiamento”, non può tirare a campare e in ogni caso non sono disponibile a farlo. Ora, appena finirò con voi, convocherò Di Maio e Salvini e chiederò loro di mettere sul tavolo, una volta per tutte, o la carta delle elezioni o la lista delle cose che vogliono fare con tanto di cronoprogramma di qui a fine anno. A cominciare dalla legge di Bilancio. Mi regolerò così. Non accetterò richieste di rimpasto non condivise da entrambi gli alleati, né proposte di un partner che esulino dal Contratto o non siano concordate con l’altro e con me. Chi esce dagli accordi sottoscritti un anno fa o da eventuali nuove intese apre ufficialmente la crisi e se ne assume la responsabilità e le conseguenze. Chi va in giro a sparare fuori dal seminato, a mortificare gli alleati, a spacciarsi per il premier, ad annunciare norme mai discusse, a ficcanasare nei ministeri altrui ne risponderà al sottoscritto. Tanto per essere chiari: sul Tav vale il Contratto che impone di “ridiscutere integralmente” l’opera.

Tantopiù dopo la devastante analisi costi-benefici del governo (non del M5S); dunque se anche Macron confermerà l’intenzione di farlo, contesteremo l’inadempienza francese sui fondi mai stanziati e le opere rinviate al 2038; ergo Telt deve rimandare le gare fino al 2038 e, se non lo farà, ne sostituiremo i vertici perché lo faccia.

Io non ho un partito alle spalle: ma la mia onestà, la mia integrità, la mia dignità e la mia parola sono un patrimonio sufficiente, che intendo conservare e utilizzare fino in fondo. Se mi tiro indietro, il governo cade e io dirò a tutti di chi è stata la colpa. In questo momento, le elezioni anticipate sono l’opzione più probabile: ai 5Stelle può convenire un periodo di opposizione, per potersi riorganizzare e tentare di recuperare l’identità e i voti perduti; alla Lega può convenire passare subito all’incasso, nella speranza di ripetere il boom delle Europee, il che – se accadesse – li porterebbe alla maggioranza assoluta delle Camere con i soli voti di FdI, senza bisogno di quelli di FI. Sulla carta, fra Salvini e Di Maio, il più interessato alle urne è Salvini, perché parte dal 34% e più passa il tempo più rischia di scendere; e, se il governo dura anche solo fino a Natale, sarà la Lega a pagare il maggior prezzo di una legge finanziaria di sacrifici. Di Maio parte dal 17 e ha bisogno di tempo per risalire la china; ma, per guadagnare quel tempo, deve restare al governo e rischia di perdere altri pezzi di identità e di elettorato, specialmente se Salvini continuerà a comportarsi da padrone. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: senza i voti in Parlamento dei 5 Stelle, la Lega – che finora non ha portato a casa quasi nulla, se non sul piano mediatico – non può approvare la legge che più sta a cuore si suoi elettori: la Flat Tax, che poi è uno sgravio fiscale al ceto medio tutt’altro che flat. E sfidare gli elettori senza avergli dato nulla sulle tasse, in un’elezione non più europea ma politica, con una crisi di governo prima della legge di Bilancio che vedrebbe i mercati scatenarsi contro l’Italia per tutta l’estate, lo spread volare alle stelle e le paure degli italiani spostarsi dal tema migranti al tema soldi, sarebbe un rischio molto forte per le speranze egemoniche di Salvini. Che dovrebbe tornare a imbarcare anche quel che resta di Berlusconi, rischiando di perdere i voti di chi non vuole rivedere il vecchio e malfamato centrodestra.

Dall’altra parte i 5Stelle, dimezzati alle Europee ma sempre maggioritari in Parlamento, potranno smettere di portare la croce, passarla sulle spalle dei leghisti e riservarsi un atteggiamento meno responsabile e più corsaro sulle norme più lontane dal loro Dna. Anche tentando di approvare proprie leggi con altre maggioranze in Parlamento, aprendo il dialogo a sinistra. Per questo dobbiamo mettere le carte in tavola per decidere se salutarci subito o restare insieme un altro po’. Pensando solo all’interesse degli italiani, che potrebbero punire chi apre crisi al buio per futili motivi e premiare chi lavora e non parla a vanvera. A presto, spero. In caso contrario, vi auguro di non dovermi mai rimpiangere.

“Qui per tre ore scappiamo da un mondo grigio e cattivo”

Milano

“Sei concerti a San Siro di fila non c’era riuscito nessuno, nemmeno Vasco Rossi!”. È di buon umore il rocker di Zocca, pronto a celebrare la festa da stasera a Milano (in replica domani e poi il 6, 7, 11 e 12 e a Cagliari l’18 e 19). Il popolo del Blasco affolla già dal giorno prima l’ingresso principale dello stadio, ordinato in tante piccole tende da campeggio e tanta voglia di accaparrarsi i posti migliori del parterre.

“Nel 1990 ci fu una rivoluzione: sino ad allora solo le star straniere riempivano lo stadio. Poi, per la prima volta, Madonna arrivò a quarantamila e io a oltre settantamila. Avevo fatto costruire io il terzo anello a San Siro!”. Per raccontare la genesi di questo nuovo spettacolo Vasco torna nuovamente serio: “Già un anno fa avevo ben chiaro che il concerto sarebbe iniziato con Qui si fa la storia: trovavo perfetta la frase ‘la disperazione è già qui, c’è solo un modo che io conosco: la disperazione la soffochi con me’. Ecco, la musica – anche più della lettura – consola, conforta e sprigiona energia. ‘Guardami negli occhi e fidati di me’ dice ancora la canzone: ovviamente fidati di me sul palco eh!” (ride). “Per tre ore scappiamo da un mondo grigio, antipatico, dalla gente cattiva. Perché la condizione umana in fondo è una condizione triste. La vita non è facile, non è divertente e non è sempre bella. Noi musicisti serviamo a portare un po’ di gioia e se la condividiamo in cinquantamila diventa una cosa potentissima”. Vasco ci tiene a leggere la scaletta del concerto, completamente diversa dall’anno scorso: “È tutto diverso, è duro e puro. Duri sono i tempi e puro sono io. Io faccio un mestiere che mi permette di rimanere nel mio mondo, con pochi compromessi nella vita. Tutta la rabbia che avevo l’ho scaricata nelle canzoni. Venivo insultato, mi sputavano in faccia, ero considerato il nemico pubblico numero uno. Sono puro nel senso che nello scrivere le canzoni sono onesto e sincero. Non le scrivo per far piacere a qualcuno. Lo faccio perché ho bisogno di comunicare: confesso anche delle debolezze, delle fragilità che non direi nemmeno a un amico. Ti devi spogliare nudo per stare sul palco. Ci sarà Mi si escludeva, di cui parlo con cognizione di causa: io ho provato cosa vuol dire essere estraneo; già hai il problema di vivere… Bisogna cercare sempre di capire le esigenze di tutti. Io non faccio politica, parlo di cose che ho vissuto sulla mia pelle. E certamente ci sarà La verità, l’ultima che ho scritto. Oggi c’è la post-verità, una balla ripetuta più volte diventa vera. In tv i politici dicono cose che non sono vere, io non mi capacito. È una gara a chi la spara più grossa. È un brutto momento”.

C’è anche il tempo per ricordare il suo ex sodale Massimo Riva: “Una parte di lui è sempre viva dentro di me, per cui per me non è mai morto. Era il fratello più piccolo: vivevamo insieme amicizia e un rapporto di complicità artistica. Era il mio Keith Richards. È vissuto come voleva ed è morto come voleva; per me è la vera icona rock italiana”. Per fare una vita “normale” raggiunge Los Angeles: “La celebrità all’inizio la cerchi poi diventa difficile da gestire. Mi sento osservato, mi viene l’ansia, allora vado a L.A. dove posso camminare senza essere riconosciuto e questo per me è il vero lusso oggi”. Ancora rockstar, ma più saggia: “Faccio una vita molto sana, vado a letto alle undici e mezza e mi sveglio presto la mattina. Le stagioni della vita son così e si cambia…”.

Povera madame Lucrezia Borgia, vittima della macchina del fango

Le donne calunniate da ex rancorosi, le vip oggetto di assurde campagne d’odio, le figlie o sorelle di un potente discusso, malviste a causa dell’imbarazzante parentela, hanno una patrona: Lucrezia Borgia. Proprio lei, la figlia illegittima di papa Alessandro VI e sorella del famigerato duca Valentino, torbida eroina di tragedie, opere liriche e serie tv scollacciate, cui la storiografia e la fiction hanno affibbiato una fedina penale da far tremare Franca Leosini: incesto plurimo, adescamento, omicidio seriale mediante veleno. Maldicenze che, a un attento riesame del suo fascicolo e delle testimonianze dirette, si rivelano per quel che sono: nient’altro che fake news, inventate e diffuse da una potente macchina del fango carburata a rivalità politiche, intolleranza religiosa, sessismo e xenofobia (i Borgia erano di origine spagnola, e, anche nel Cinquecento, “prima gli italiani”).

Una vicenda, quella di Lucrezia, vecchia di cinque secoli, ma incredibilmente attuale ai tempi di #MeToo. E proprio per questo andava raccontata a due voci, quella di uno storico e quella di una giornalista. Il risultato è un libro, Le due vite di Lucrezia Borgia. La cattiva ragazza che andò in paradiso. Titolo spiazzante, per chi è affezionato alla dark lady consegnata al nostro immaginario dalla tragedia di Hugo, poi musicata da Donizetti, e da un filone dalla letteratura popolare che attraversa feuilleton e cinema e arriva fino ai fumetti porno e agli shojo-manga. La Lucrezia vera è un’altra, meno pulp, ma non meno intrigante. Un’esile, enigmatica bionda, che sotto il look sempre impeccabile nasconde un cervello finissimo e un vulcano di passioni, come le donne di Hitchcock. Un po’ Madeleine, la Donna che visse due volte, un po’ Eva di Intrigo internazionale. Ma i copioni che il destino affida alla Borgia non sono quelli del maestro del brivido. La prima parte della sua vita è un sanguinolento poliziottesco in costume ambientato nella sfrenata Roma del Rinascimento, dominata dal vitalissimo e spregiudicato Rodrigo Borgia, cardinale e papa, pieno di donne e di bastardi. Lucrezia è la figlia prediletta e la pedina più ghiotta da infilare nel letto degli alleati che gli fanno comodo. Obiettivo: spianare la strada a Cesare, il figlio più ambizioso e affamato di potere. Il secondo tempo del film si svolge a Ferrara, alla raffinata corte estense, ed è una commedia drammatica tipo Voglia di tenerezza: Lucrezia, al fianco del terzo marito Alfonso d’Este, chiude con il passato e diventa first lady solida e affidabile, icona di stile, amata dal popolo e incensata da poeti come Ariosto e Strozzi. Moglie fedele magari no (due i flirt accertati: con l’umanista Pietro Bembo e con il cognato Francesco Gonzaga), ma madre amorosa sicuramente, per i numerosi figli dei suoi vari matrimoni. Tanto pia da indossare il cilicio francescano, costruire chiese e conventi e morire in odore di santità.

Scomparsa la santa, gabbata la storia: l’autorevole Guicciardini e l’altrettanto titolato Sannazzaro rispolverano il gossip incestuoso diffuso da Giovanni Sforza, che era stato messo alla porta dai Borgia con un’accusa di impotenza. Secondo il primo marito di Lucrezia il suocero e i cognati volevano continuare ad accedere impunemente al letto di sua moglie. La diceria viene strombazzata dai pubblicisti protestanti in chiave anti-papista (infuriano le guerre di religione), insieme al mito della “cantarella”, il micidiale veleno con cui i Borgia si sbarazzavano dei nemici. Anche questa una bufala? Sì e no, nel senso che la cantarella probabilmente non è mai esistita, ma i veleni all’epoca si usavano regolarmente in tutte le case regnanti d’Europa. Perfino Barnabe Barnes, drammaturgo elisabettiano autore nel 1607 di una feroce tragedia anti-Borgia (The Devil’s Charter), aveva alle spalle un processo per avvelenamento mediante un limone all’arsenico. Caso storico di moralizzatore con uno scheletro nell’armadio: anche per questo l’affaire Lucrezia ci parla del nostro tempo.

“Scrivere bene è prova di civiltà ed eleganza”

Anticipiamo uno stralcio di “Le regole della scrittura sono le stesse della vita”, un inedito del 1959 di Mario Soldati, di cui ricorrono i vent’anni dalla morte (1906 – 1999). Il testo, scritto per la Olivetti, sigillava un 33 giri di “Musica per parole. Lezioni e ritmi della dattilografia”: il disco veniva regalato a chi acquistava una Lettera 22 e insegnava l’arte del battere a macchina. Il libro è stampato in edizione limitata di 200 copie numerate, più 10 copie d’artista, da De Piante Editore: la copertina è firmata da Alfredo Rapetti Mogol.

Lo sa Lei che oggi alle elementari i bambini scrivono con la penna a sfera? E la penna a sfera non soltanto impedisce di tenere la mano al dovuto angolo di 45 gradi col foglio, ma costringe, fisicamente costringe addirittura a tenerla perpendicolare!…

Il peggio è che il bambino e quindi l’adolescente e quindi l’uomo, non dedica più nessuno studio, nessuna cura a “formare scrivendo i caratteri con chiarezza e eleganza”. La base di questa chiarezza e di questa eleganza è, Lei lo sa meglio di me, l’uniformità. Perché una lettera dell’alfabeto come si potrebbe riconoscere se non fosse scritta ogni volta nello stesso modo? E come si otterrebbe un effetto di eleganza senza ripetere le stesse curve e gli stessi angoli anche tracciando lettere diverse? Ha mai osservato in montagna, d’inverno, le impronte dei camosci sulla neve fresca? Perché sono così eleganti? Perché sono uniformi come un fregio, perché ripetono senza fine lo stesso motivo. Ma i nostri bambini riempiono i loro quaderni a casaccio, scombiccherano il foglio senza ordine e senza regolarità…

E la conseguenza qual è? Che adesso obbligano me, quando leggo i loro compiti, a una fatica ingrata, e che in futuro obbligheranno il prossimo alla stessa fatica, quando il prossimo leggerà le loro lettere. Saranno così, fatalmente, dei maleducati, degli incivili.

Lei mi ha citato la definizione del Tommaseo. Benissimo. Ma qual è lo scopo della calligrafia? Uno solo: comunicare con i nostri simili facilmente, senza costringerli a uno sforzo per capirci. Ecco la chiarezza. E anzi, aiutandoli con una sensazione visivamente gradevole: eleganza! Perciò adottare nello scrivere le stesse buone regole che presiedono alla convivenza civile, controllare le manifestazioni troppo spontanee e troppo libere della nostra individualità… in una sola parola: uniformarsi.

Per tutte queste ragioni, caro maestro, la calligrafia, cioè l’arte di formare caratteri con chiarezza, con eleganza e con uniformità, è allo stesso tempo un mezzo e una prova di civiltà. E per tutte queste ragioni è impossibile negare che viviamo in un’epoca di grave decadenza.

La calligrafia nel mondo moderno è dattilografia punto E qual è virgola dunque virgola lo scopo della dattilografia punto interrogativo

Qual è lo scopo della chiarezza e della eleganza nel formare i caratteri di scrittura punto interrogativo

Uno solo due punti comunicare con i nostri simili facilmente virgola senza costringerli a uno sforzo per capirci virgola chiarezza punto e virgola e anzi aiutandoli con una sensazione visivamente gradevole virgola eleganza punto Perciò adottare virgola nello scrivere virgola le stesse buone regole che generalmente presiedono alla convivenza civile due punti essere garbati virgola discreti virgola modesti virgola di umore uniforme e pacato virgola di apparenza e di maniere più piacevoli virgola meno moleste possibile virgola ma soprattutto controllare le manifestazioni troppo spontanee e troppo libere della nostra individualità punto e virgola smorzarle virgola trattenerle due punti così che non offendano gli altri virgola i quali sono tutti uomini come noi virgola e ciascuno di essi virgola come ciascuno di noi virgola ha il proprio orgoglio e la propria libertà punto

In una sola parola virgola che vale per la scrittura a macchina come per tutto il resto due punti uniformarsi punto.

“Truffe sentimentali, affare di mafia. La Prati? Lo rifarei”

Dopo il buongiorno e i giusti convenevoli, Federica Sciarelli chiede spazio per una premessa; improvvisamente quella premessa diventa un’onda che monta, e monta, e monta, fino a quando rallenta, sorride, si conosce bene, domanda: “Ho parlato troppo? Sono così, quando ci credo non mi fermo, ma un punto deve essere chiaro: l’invito in trasmissione di Pamela Prati è stato una provocazione”. Per cosa? “L’obiettivo era di far emergere un dramma che trattiamo da tre anni, quello delle ‘truffe romantiche’ o ‘truffe affettive’, che purtroppo non hanno ancora ottenuto l’attenzione necessaria come per altri casi trattati da Chi l’ha visto?; è una piaga sottovalutata”.

Riepilogo: nell’ultima puntata del programma condotto dalla Sciarelli, al solo annuncio di Pamela Prati in trasmissione, protagonista di una finta love story con tal Mark Caltagirone, è scoppiata la buriana da parte di affezionati, cultori, giornalisti, commentatori e affini per giudicare se fosse giusta o meno l’ospitata. La Prati si è presentata, non ha parlato, si è mostrata tremante, dimagrita, poco soubrette; al centro le truffe.

Riflettori ancor più accesi su “Chi l’ha visto?”

È scattata la censura preventiva, hanno giudicato prima della messa in onda.

Bordate.

Eppure tutti discettano della vicenda Prati, l’atro giorno ho trovato una battuta pure nella rassegna stampa politica: “Il governo è inesistente come Mark Caltagirone”.

Quindi?

A me è servita per parlare delle nostre donne invisibili.

Cara è costata.

Mi sono un po’ stupita, ho trovato il tutto esagerato e il dibattito surreale.

Spiazzata.

No, sapevo cosa sarebbe successo, lo stupore è verso alcune reazioni e atteggiamenti.

Un esempio.

Il giorno della puntata è stato lo stesso della condanna all’ergastolo per Oseghale, reo di aver ucciso e trucidato Pamela Mastropietro.

E…

Sul nostro sito la maggior parte dei commenti erano sulla Prati, non su Oseghale, con frasi terribili e un odio sociale impressionante.

Insomma, una provocazione, la sua.

Sono tre anni che ci occupiamo di queste truffe, ma a differenza di altre nostre battaglie, come il revenge porn o l’omicidio stradale, non c’è la giusta attenzione, quasi si sottovaluta, ma sono vicende gravi, pericolose e con la mafia a gestirle.

Che mafia?

Le basi sono in Nigeria, Costa d’Avorio e Ghana. A Chi l’ha visto? arrivano in continuazione segnalazioni e denunce, recentemente una donna si è lasciata morire per il dolore e la vergogna.

Come si articola la truffa?

Rubano profili in Rete, creano storie, adescano sui social e da lì inizia un percorso che va a incidere sul desiderio di innamorarsi, ottenere attenzioni, sognare. Poi alla fine scatta la vergogna per esserci cascati. Attenzione: non capita solo ai brutti, agli anziani o alle persone prive di cultura; accade a chiunque.

Coinvolgono.

A un ragazzo siciliano, Massimiliano Titone, hanno rubato il profilo, quindi le foto con i nipoti o lui con la flebo in ospedale; gli scatti sono stati girati a circa 7.000 utenti e tramutati in: “Ecco i miei figli, sto male, mi hanno ricoverato, aiutami”.

Corteggiamenti lunghi.

E articolati, con una strategia ben congegnata: il primo livello tenta l’approccio, prova a strappare l’amicizia sui social; nel momento in cui ci riescono entra in gioco il secondo livello, quello più preparato, in grado di parlare la tua lingua. Lavorano 24 ore su 24, mandano messaggi anche ogni cinque minuti.

Irretiscono.

Un uomo ci ha contattato dopo aver effettuato un bonifico da 42 mila euro; alcuni pensionati inviano dai 1.000 euro a salire. Si rovinano.

Come li inviano?

Attraverso Western Union; una delle truffate è andata, e prima dell’invio di denaro la responsabile della sede le ha posto una domanda: “Mi scusi, conosce il destinatario?”.

Sospettava.

I profili sono sempre gli stessi, e probabilmente pure i destinatari. Secondo me Western union dovrebbe attaccare le foto all’entrata, si limiterebbero i casi.

È stata molto criticata per la scelta della Prati.

Non sono una pischella (donna giovane): sono 30 e passa anni che lavoro a Rai3, e ho vissuto periodi complicati, come quando ci accusavano di essere TeleKabul o i nipoti di Stalin, o i politici che mi piazzavano la mano sul microfono “con lei non parlo”.

Allora…

Gli attacchi mi danno energia: avevo un obiettivo e l’ho centrato.

Necessario.

Ripeto: questo argomento ancora non genera la giusta risposta dalle istituzioni.

Come mai?

Ci penso.

Forse perché l’Italia è il Paese dei furbetti, e pensano: “Colpa tua se ci caschi”.

Davvero, non si ha idea di quanto è dilagante; recentemente mi è arrivata la storia di una plurilaureata e psicologa, finita nella rete.

È stata sbeffeggiata dai colleghi di altre testate.

Non voglio sapere, non importa.

Dicono che è una “fighetta radical chic”, che ama “gli aperitivi alla moda”.

Chi, io?

Sì.

Mai preso uno, il tempo libero lo passo correndo, in bicicletta, pattino sul ghiaccio o con il cane. E vesto male.

Ha pagato la Prati?

Non do soldi ai testimoni, è una questione deontologica, altrimenti potrei venir accusata di plagiarli. E la Prati non mi ha mai chiesto nulla. Mai.

La conclusione?

Si chiama Caterina e aveva 67 anni; era una donna sola, malata di diabete. Chattava. Un giorno viene irretita e la sua vita cambia: il vicino e amico improvvisamente la scopre più curata e sorridente, un uomo virtuale le offriva attenzioni. Così Caterina prosegue nel suo percorso, esaudisce le sue richieste, migliaia di euro inviati, la promessa di un matrimonio, l’appuntamento in aeroporto, il parrucchiere la mattina per offrire il meglio di sé. Ovviamente non si è presentato nessuno, e l’amico l’ha trovata esanime in casa, dopo una dose letale di dolci. È morta in ospedale. Ecco, il mio obiettivo era ed è questo: voglio che il pubblico sappia la storia di Caterina e che finalmente la gente capisca.

Macron torna alle riforme: ecologia contro impopolarità

Parigi

La crisi dei Gilet gialli aveva obbligato Emmanuel Macron (in foto) ad accantonare la sua riforma costituzionale. Sei mesi dopo il progetto di legge torna in Assemblea (è in calendario per fine giugno-inizio luglio) modificato e più in linea con le attese dei francesi e i risultati delle elezioni europee che hanno imposto l’urgenza ambientale. Ed è dunque proprio dall’ecologia che intende ripartire Macron: nell’articolo 1 della Costituzione sarà scritto che la République “agisce per la preservazione dell’ambiente e della diversità biologica e contro il cambiamento climatico”. Un gesto forte che gli ecologisti chiedevano già da tempo.

Il nuovo progetto di legge, di cui Le Monde ha rivelato ieri i punti centrali, risponde anche alle esigenze di maggiore democrazia diretta dei Gilet gialli. In una misura in particolare figura il potenziamento del Rip, il Referendum di iniziativa condivisa, tra parlamentari e elettori (che però non è il Ric, il referendum di iniziativa civica, cioè su sola iniziativa popolare, richiesto dai Gilet). Con il nuovo Rip si semplificano i criteri per lanciare un referendum: saranno ormai necessarie le firme di un decimo dei membri del Parlamento (contro un quinto attuale) e di un milione di elettori (contro 4,5 milioni attuali). Ma esso, precisa Le Monde, si potrà applicare solo a disposizioni promulgate da più di tre anni. Se Macron tenta di rilanciarsi, i sondaggi continuano però a sanzionarlo: l’ultimo dell’Odoxa, realizzato dopo il voto per il Parlamento Ue, gli conferisce un magro 30% (-2 punti) di popolarità. Cresce invece in modo netto (+20%) il consenso intorno a Yannick Jadot, il leader del partito Europe Ecologie-Les Verts, terza forza politica alle Europee, dopo il Rassemblement National di Marine Le Pen e La République en Marche di Macron, col 13,1% dei voti.

All’asta le scuole donate dall’Europa

Gerusalemme

Il ministero della Difesa israeliano prevede di tenere un’asta la prossima settimana per vendere due aule prefabbricate che sono state donate agli scolari palestinesi dal programma di aiuti dell’Unione Europea. Le forze di difesa israeliane hanno smantellato e sequestrato le strutture nell’ottobre 2018. Il Cogat, l’organismo israeliano per l’amministrazione civile dei Territori occupati, ha fatto confiscare dall’Idf le aule che erano state destinate a 49 ragazzini delle scuole elementari della cittadina palestinese di Ibziq, nel nord della Cisgiordania occupata. La struttura era entrata nel mirino del Cogat per il basamento in cemento dei moduli prefabbricati. I territori palestinesi sono divisi in 3 zone, la zona A sotto controllo amministrativo dell’Anp e aree B e C ancora sotto il totale controllo israeliano. Nelle aree B e C non è possibile per i palestinesi costruire strutture che prevedono l’uso di cemento senza autorizzazione del Cogat, che quasi mai la concede senza distinzioni tra edifici privati e pubblici, comprese le donazioni internazionali.

Dopo lo smantellamento la missione dell’Ue a Gerusalemme e Ramallah aveva condannato le autorità israeliane e le aveva invitate a ricostruire le strutture nello stesso luogo “senza indugio”. L’Ue aveva esortato “le autorità israeliane a fermare le demolizioni e le confische di case e proprietà palestinesi, in conformità con i suoi obblighi di potenza occupante ai sensi del diritto internazionale umanitario”. Una protesta in punta di diritto che si è persa come il vento nella Valle del Giordano. Per Izbiq non è certo una novità. Il villaggio arabo negli ultimi 5 anni è stato evacuato dai suoi abitanti 100 volte per “esigenze di sicurezza”. Che sono esercitazioni militari dell’Idf con carri armati e blindati. Israele che brama da sempre la Valle del Giordano sta facendo tutto il possibile per liberarlo dai suoi abitanti originari che possono essere sfrattati dalle loro case e dalla loro terra con una semplice direttiva militare. Il rientro è quasi sempre un paio di giorni dopo, quando i campi coltivati sono stati “arati” e devastati dai cingoli dei mezzi corazzati. Un vicino avamposto dei coloni non è mai stato evacuato dall’Idf per consentire alle sue truppe di allenarsi nei suoi campi. Più di 400 mila israeliani si sono trasferiti in Cisgiordania, costruendo insediamenti su terreni sequestrati ai palestinesi. Il primo ministro uscente, Benjamin Netanyahu, ha promesso di annettere queste aree in un futuro accordo di pace. Netanyahu però potrebbe non mantenere le promesse. Il fallimento nel formare un governo dopo la vittoria, le elezioni anticipate il 17 settembre, l’audizione davanti al Procuratore generale ai primi di ottobre per tre processi per corruzione e frode, mettono in forse la permanenza di Bibi al potere e l’intesa con la Casa Bianca per lanciare l’Accordo del secolo. Dopo che la Knesset ha votato per sciogliersi, la conferenza di pace economica in Bahrain dal 25 al 26 giugno non è più in cima all’agenda di nessuno. Chiosa Saeb Erekat, capo dei negoziatori palestinesi, “L’Accordo del secolo adesso è diventato l’Accordo del prossimo secolo”. Tensioni ieri per l’ultimo venerdì di Ramadan. Un uomo di 50 anni è stato ferito gravemente e un altro in misura meno grave nella città vecchia di Gerusalemme. A Betlemme le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso un palestinese di 16 anni che avrebbe tentato di aggirare un posto di blocco.