Se ne sono andati i blindati della polizia e la pattuglia dei carabinieri. Nel monumentale blocco di cemento delle case di via Satta c’è un silenzio irreale. Siamo a Casal Bruciato, periferia est di Roma, centro mediatico d’Italia per pochi giorni, tre settimane fa. Una sceneggiatura perfetta della svolta a destra che stava per compiersi nelle urne: una famiglia rom, un alloggio comunale, l’assedio dei cittadini inferociti e dei professionisti delle proteste spontanee, i fascisti di CasaPound. Minacce, urla indicibili (“Ti stupro, troia”), l’arrivo del sindaco, l’abbraccio del Papa.
Cosa rimane? Niente. La famiglia è divisa: gli Omerovic sono rimasti quasi tutti nel campo della Barbuta, a Ciampino. Qui c’è solo la mamma con due dei 12 figli. Patrizia, la volontaria che li aiuta, racconta che i genitori sono sotto tranquillanti, ai bambini danno la valeriana. Quando escono di casa sentono le urla dai piani alti: “Ve ne dovete annà”. A notte fonda qualcuno bussa forte alla porta di casa. Sugli altri balconi c’è un assedio di bandiere tricolore. Imer Omerovic, il papà, si è arreso: “Forse anche il resto della famiglia lascerà quella casa”.
Casal Bruciato è razzista? Lo chiediamo alle urne. Domenica scorsa ha vinto ancora il Pd. Nel IV municipio di Roma è al 28,6%, la Lega al 26,8. Ma in diversi seggi delle case popolari domina Salvini. Sono le sezioni dal numero 550 al 554, tra piazza Balsamo Crivelli e via Satta, dove c’è la casa degli Omerovic. Uno su tre ha messo la croce sulla Lega (il 32,8%), 617 voti. Il Pd ne prende 384, quasi la metà. I 5Stelle meno. CasaPound appena 29.
Questo quartiere ha una storia unica. La racconta Norberto Natali, un comunista, e un archivio vivente di queste strade. Fu arrestato per terrorismo e poi prosciolto da ogni accusa. A Casal Bruciato – dice – hanno portato tutti i reietti delle altre periferie: negli anni 60 gli alluvionati di Prima Porta, “sfrattati” dal Tevere; negli anni 70 quelli di Pietralata, reduci dalle lotte per la casa; nel ’74 centinaia di famiglie uscite dalle violente occupazioni di San Basilio; infine, qualche anno dopo, “i baraccati” del borghetto Prenestino, a cui la giunta di sinistra di Argan volle trovare una casa. “Un quartiere così – spiega Natali – ha avuto enormi problemi di adattamento tra i gruppi di diversa provenienza. Tra i pochi collanti c’era la sezione Moranino del Pci”. Casal Bruciato non era rossa: di più.
Oggi quella sede è chiusa. Sbarrata. Occupata – paradosso – da una famiglia di stranieri. Resta la quercia dei Ds sopra la saracinesca e l’insegna con le lettere del Pd sbiadite. Era il circolo di Micaela Campana e Daniele Ozzimo, l’ex assessore (alla casa…) condannato perché “al servizio di Salvatore Buzzi”. Ricordi di Mafia Capitale. Dopo anni di latitanza, il Pd è tornato a Casal Bruciato la settimana delle elezioni, proprio nel palazzo di fronte. A inaugurare c’era Zingaretti. Sulle strade del quartiere si può leggere il bentornato nei manifesti firmati da “i compagni e le compagne di Casal Bruciato”. C’è il segretario con Renzi e la scritta: “Il Pd apre il nuovo circolo. E Casal Bruciato risponde in coro: e ‘sticazzi Nicò!”. Buon lavoro.
Cos’altro c’è nel quartiere? Dell’edilizia pubblica è meglio non parlare. Chi vive nelle case popolari dice che dentro “piove merda”. Un consigliere municipale del Pd confessa che “sembra Beirut durante la guerra civile”.
Uno dei pochissimi giardini pubblici è in piazza Balsamo Crivelli. L’erba è alta, l’immondizia negli angoli. In mezzo c’è un centro anziani ma non ha bagni e quelli pubblici sono fuori servizio: chi deve liberare la prostata si rifugia in un piccolo sottopassaggio, la puzza di urina si sente a distanza di metri. L’altro spazio verde è ai piedi del mastodontico palazzo di Autostrade per l’Italia, in via Bergamini. Ai margini, sul limite di via Grant c’è un campo nomadi informale: una decina di roulotte e prefabbricati. Non ci vivono rom ma una comunità di giostrai sinti di varie nazionalità. Davide, nato vicino a Ravenna, vive a Casal Bruciato da 40 anni. “Sappiamo sbrigarcela, noi lavoriamo. E nessuno ci rompe le scatole”. Ci tiene a sottolineare che sono diversi dai rom: “Noi non rubiamo”.
I pochi locali sono quelli occupati, uno accanto all’altro: l’Intifada – un centro sociale in un enorme plesso scolastico – e la Cacciarella, una cooperativa che ha recuperato uno spazio abbandonato nel 1994. E poi c’è il circolo Carlo Levi. L’ha aperto un altro “compagno”, Marcello Stella, negli anni 70: ancora un’occupazione rossa.
Dalla sua palestra sono usciti campioni della boxe italiana: Davide Ciarlante, Michele Orlando, Sandro Casamonica (sì, quei Casamonica). Fino a poco tempo fa ci si allenava pure Mauro Antonini di CasaPound, il capo della protesta sotto le case popolari: è l’ultimo paradosso, quello che chiude il cerchio. Racconta Antonini: “Avrei voluto essere comunista in quegli anni per partecipare all’occupazione della Carlo Levi. Questo posto ha levato dalla strada tanta di quella gente”. Ricorda un aneddoto incredibile: “Un giorno Marcello si decise a cambiare il ring, che era fatiscente. Arriviamo in palestra e ne troviamo uno ancora più vecchio…”. Tutti lo guardano perplessi, poi Stella apre bocca: “Questo era il ring delle Olimpiadi del ‘60, ci ha combattuto sopra Muhammad Ali”. Cassius Clay. A Casal Bruciato. Non resterà neanche questo: a fine mese la palestra chiude.
Casal Bruciato è razzista? “Un mio vecchio amico – ci dice Natali – era il più grande lavoratore che conoscessi, finché non gli hanno tolto il lavoro. Poi è finito per strada, ha perso tutto, l’hanno arrestato per una rapina alle poste. Qui pure abbiamo perso tutto. Casal Bruciato è tanto razzista, quanto quel mio amico è un rapinatore”.