I timori dei boss calabresi: “Gratteri è come Falcone”

Gratteri come Falcone. L’accostamento lo fanno i boss di Crotone nelle intercettazioni dell’inchiesta “Malapianta” che ieri ha portato all’arresto di 35 persone accusate di far parte della cosca di San Leonardo di Cutro, federata con i Grande Aracri. In carcere è finito anche l’anziano boss Alfonso Mannolo accusato, assieme a figli e nipoti, di aver fatto estorsioni e sottoposto a usura i proprietari dei villaggi turistici del Crotonese. La cosca aveva il controllo totale del territorio dove si occupava anche del traffico di droga e del reinvestimento del denaro sporco. Ignari delle cimici piazzate dalla guardia di finanza, parlando di Gratteri boss e gregari lo hanno definito “un figlio di p… Un morto che cammina”. Chiaro il riferimento alla strage di Capaci e a Giovanni Falcone. La frase, però, è stata detta durante una conversazione che – è scritto nel provvedimento di fermo – non contemplava alcuna concreta progettazione, né tantomeno costituiva prova di una concertazione volta a pianificare un attentato nei confronti del procuratore Gratteri”. Gli indagati avevano paura di essere arrestati grazie ai pentiti che, a detta loro, avevano fatto una scelta “vergognosa”.

Rissa a Ostia, 19enne egiziano ucciso da uomo legato agli Spada

Nel feudo del clan Spada un omicidio che sa di delitto d’onore. Una molestia verbale con un apprezzamento di troppo nei confronti di una ragazzina di 15 anni è costata la vita a Salem Mostafa Gabr Mohamed, egiziano di 19 anni, accoltellato nel tardo pomeriggio di martedì a Ostia, sul litorale romano, durante una rissa con il padre dell’adolescente e altre due persone. A sferrare il colpo mortale è stato Maurizio De Dominicis, 38 anni, con alcuni precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti. L’uomo sarebbe imparentato con Stefano De Dominicis, detto “Bambino”, organico al clan Spada e arrestato nel gennaio 2018 nell’ambito dell’operazione “Eclissi” che aveva portato in carcere anche il reggente Roberto Spada.

L’episodio è avvenuto martedì pomeriggio intorno alle 17.30. La 15enne stava passeggiando con le amiche nei pressi della stazione Lido Centro, quando sono iniziati gli “apprezzamenti” da parte di Salem e di tre suoi connazionali (e coetanei), seduti su un muretto vicino. Molestie “verbali” – specificano gli inquirenti – che avrebbero molto turbato la ragazzina, tanto da spingerla a chiamare il padre. A quel punto, De Dominicis avrebbe chiamato a raccolta due amici, un italiano e un ecuadoregno di 36 anni (pare fidanzato della giovane) e con coltelli e cacciaviti si sono recati sul posto per “dare una lezione” ai giovani egiziani, anche loro con precedenti per spaccio. Ne è nata una rissa, quattro contro tre, nella quale ha avuto la peggio il giovane Mohamed, ferito da una coltellata all’addome. Ricoverato all’Ospedale San Camillo di Roma, è morto ieri pomeriggio. I protagonisti della rissa sono tutti in carcere.

Polemiche per il mancato funzionamento delle telecamere sul piazzale della stazione, con le forze dell’ordine che avevano più volte esortato il Municipio e l’Atac (che la gestisce) a ripararle.

Scarantino: “Di Matteo non mi ha mai suggerito di depistare su via D’Amelio”

Palermo

“Il dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Carmelo Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage. Io ho sbagliato una cosa sola: ho fatto vincere i poliziotti, di fare peccare la mia lingua e non ho messo la museruola”. A sorpresa, con un inatteso colpo di scena in aula ieri a Caltanissetta, il falso pentito di via D’Amelio, Vincenzo Scarantino, ha ritrattato le sue accuse nei confronti dei magistrati puntando il dito solo sugli uomini con la divisa della Polizia. E alle contestazioni dei legali di parte civile, che gli hanno ricordato le vecchie accuse rivolte al l’ex procuratore Gianni Tinebra (“gli dissi che non sapevo niente e lui mi rispose: ‘Stia tranquillo, questa cosa lei la deve prendere come se fosse un lavoro vero’”), e ai pm Carmelo Petralia e Anna Palma (“lo dicevo anche al dottor Petralia che non sapevo niente, e piangevo con la dottoressa Palma, e lei mi disse: ‘Stia tranquillo, che se non hanno fatto questo, hanno fatto altre cose e pagano”, riferendosi agli innocenti condannati ingiustamente all’ergastolo ), Scarantino ha replicato: “La Polizia mi aveva convinto che poliziotti del gruppo Falcone e Borsellino e i magistrati fossero la stessa cosa; ecco perché sono arrivato ad accusare i magistrati”. Tra loro anche Di Matteo, chiamato in causa nel settembre ’98, durante l’udienza di Como nella quale Scarantino ritrattò pubblicamente: disse di aver accusato mafiosi e imputati perché “sollecitato” dai pm, che in quell’aula erano Di Matteo e la Palma.

Le accuse del balordo, però, si rivelarono infondate, il 29 dicembre 2000 il gip di Catania archiviò l’inchiesta sui magistrati (finì coinvolto pure Petralia), indagati per abuso di ufficio e falso. Secondo il gip Alfredo Gari, quelle ritrattazioni avevano fatto emergere l’esistenza di una “macchinazione finalizzata a delegittimare i magistrati”. Sentito nel Borsellino quater, in anni più recenti, Scarantino in verità ha dichiarato di non aver mai rivelato a Di Matteo di essere un pentito fasullo, e di non aver mai chiamato direttamente il pm per telefono. Fu lo stesso magistrato, deponendo successivamente nello stesso processo, a precisare che una volta il balordo lo aveva chiamato sul cellulare, lasciandogli in segreteria alcuni messaggi.

Commentando la retromarcia di Scarantino, ieri Di Matteo ha detto: “A coloro che da anni trovano il pretesto per attaccarmi, per la vicenda dei processi relativi alla strage di via D’Amelio, vorrei dire che spero che ora ritrovino l’onestà intellettuale di ricordare che anche grazie al mio lavoro sono stati inflitti più di venti ergastoli per la strage Borsellino, mai messi in discussione. E sono state create anche le basi per scoprire eventuali ulteriori responsabili e le motivazioni reali della strage”. Dopo la ritrattazione delle accuse rivolte ai magistrati, l’avvocato Vincenzo Greco, legale di parte civile dei figli di Paolo Borsellino, ha chiesto a Scarantino se di recente è stato avvicinato da qualcuno “per cambiare idea”. Lui ha risposto: “Non mi ha contattato nessuno. Oggi sono sereno, anche se sono un senzatetto, non lavoro e non ho niente. Ma sono sereno”.

“Bombe per Raggi e il pm. Ci fu un vertice del clan”

Una riunione di alcuni esponenti del clan Casamonica, con lo scopo di decidere se piazzare dell’esplosivo per la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ma anche per il sostituto procuratore capitolino Mario Palazzi. È la ricostruzione fatta da una fonte confidenziale alla Guardia di Finanza, già anticipata ieri da Il Fatto, che ha spinto gli investigatori a inviare una segnalazione alla Prefettura. Poi il comitato per la sicurezza pubblica ha deciso di rafforzare le misure di sicurezza. Alla prima cittadina è stata assegnata una nuova scorta, formata da due poliziotti che hanno preso il posto di un agente di polizia municipale. In più, per gli spostamenti, alla Raggi è stata data un’auto blindata, una Lancia Thesis, inoltre sono state predisposte le bonifiche nei luoghi dove la sindaca si dovrà recare per partecipare a eventi pubblici.

Non c’è alcun fascicolo aperto su questo in Procura a Roma. La fonte che ha riferito la circostanza è confidenziale, non si conosce il suo nome e quindi le sue dichiarazioni non sono utilizzabili ai fini processuali. Ma per innalzare il livello di sicurezza, naturalmente, sì. Infatti la scorsa settimana gli investigatori hanno eseguito di loro iniziativa, come la legge consente per la ricerca di armi ed esplosivi, la perquisizione di 65 abitazioni. L’esito è stato negativo.

Non è la prima volta che la Raggi finisce nel mirino del clan. Nel novembre scorso Il Messaggero ha scritto di diversi controlli “ambientali”, predisposti dalla polizia, “nei pressi della casa di Raggi, in Campidoglio e nei luoghi frequentati dalla prima cittadina per motivi ufficiali”. In quel caso si parlò di “bonifiche e verifiche preventive”, che sarebbero state legate alla decisione della sindaca di abbattere alcune delle abitazioni abusive dei Casamonica. Operazione poi concretizzatasi con il blitz al Quadraro, nella periferia Sud-est di Roma, a cui presero parte oltre 500 agenti della polizia Municipale.

Per quanto riguarda il magistrato Palazzi, al quale pure secondo la fonte confidenziale sarebbero state rivolte le attenzioni del clan, segue da diversi anni le inchieste sulla famiglia Spada, a cui è legata una delle ramificazione del “clan degli zingari”.

Nella giornata di ieri, Nicola Morra, presidente M5S della Commissione Antimafia, si è recato in Campidoglio per portare la sua solidarietà alla sindaca. “I Casamonica – ha detto Morra –sono mafia e chi lotta veramente la mafia, come Virginia sta facendo a Roma, rischia anche la vita”. “Solidarietà a Virginia Raggi, minacciata da delinquenti che meritano galera e tolleranza zero”, è il commento del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, che lo scorso novembre era stato presente, facendosi immortalare sopra una ruspa, durante all’abbattimento di una delle ville dei Casamonica nella zona della Romanina.

“Essere sgraditi ai Casamonica è una medaglia – aggiunge Salvini –, il mio impegno, da ministro dell’Interno, è quello di non dare tregua ai clan”. Anche il presidente della Regione Lazio e segretario del Pd Nicola Zingaretti ha inviato un messaggio alla Raggi. “Solidarietà alla sindaca e alla Procura di Roma in questa lotta per la legalità contro le mafie che deve vedere unite tutte le istituzioni – scrive in una nota Zingaretti –. Sono certo che le minacce subìte da Virginia Raggi da parte dei Casamonica, non scalfiranno il suo operato e quello dell’amministrazione capitolina”.

Violante apre alla separazione tra giudici e pm

La separazione delle carriere dei magistrati non è un tabù. Parola di Luciano Violante, per decenni uomo chiave della politica giudiziaria del centrosinistra, che regala una gioia grande innanzitutto a Francesco Paolo Sisto di Forza Italia relatore del disegno di legge costituzionale che ha raccolto adesioni à gogo alla Camera e non solo tra i forzisti. Perché oltre a mettere mano alla divisione dei percorsi professionali di giudic e pm, si propone pure di ridisegnare il Csm e soprattutto incidere sulle scelte che si effettuano nell’esercizio dell’azione penale. Insomma tre questioni assai delicate. “Il problema non è la separazione in sé, più che altro bisogna capire come si intende gestirla” dice dopo l’audizione di fronte alla commissione Affari costituzionali della Camera, dove ha ammesso che però un rischio c’è e non è da poco: “Se le riforme sono fatte come occasione per risistemare i rapporti tra politica e magistratura è un altro conto. I dati, tra assoluzioni e proscioglimenti, dimostrano comunque che la subalternità dei giudici rispetto ai pubblici ministeri in realtà non esiste”.

E sull’obbligatorietà dell’azione penale? “Introdurre un criterio di priorità (tra i reati da perseguire, ndr) condanna alla prescrizione altri reati. Ma chi deve gestisce la politiche penali in Italia, le procure o l’autorità politica? Io preferirei che spettasse alla politica che ne risponde. Ma si può studiare un meccanismo misto: sulla base delle relazioni degli uffici giudiziari, è poi il Parlamento che incarica il ministro della Giustizia di dare indicazioni sulle priorità”. Ma è sulle correnti della magistratura che Violante usa la clava. “Ciascun capo corrente arriva prima o dopo al Csm” è l’esordio. Poi l’affondo: “C’è una gestione francamente discutibile delle componenti giudiziarie del Csm. È un mercanteggiamento permanente: quando qualcuno parla di discontinuità, a proposito del dopo Pignatone (l’ex capo della Procura di Roma che sarà scelto a breve da Palazzo dei Marescialli, ndr) sta usando un termine politico, non giuridico”.

Ibiza e Dubai, i viaggi inguaiano Palamara

Hotel a 4 e 5 stelle a Dubai, Ibiza e poi in Toscana e in Sicilia. Weekend pagati da un imprenditore. Questa è l’accusa al pm Luca Palamara. Sono quattro i viaggi che hanno inguaiato l’ex presidente dell’Anm (l’Associazione nazionale magistrati), poi consigliere influente dell’area centrista Unicost, e ora di nuovo sostituto procuratore a Roma, Luca Palamara. È indagato a Perugia per corruzione. La notizia circolava da tempo a Roma ma ora esce sui giornali grazie a una conferma ottenuta dai bravi colleghi di Repubblica, Corriere e Messaggero proprio in occasione della corsa a procuratore di Marcello Viola, sgradito a tanti nel palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio.

L’iscrizione risale a dicembre ma è rimasta segreta fino a quando le carte non sono state spedite al Csm. Palamara corre per la nomina a procuratore aggiunto ma sta giocando anche un ruolo importante (essendo tra i leader di Unicost) nel gioco più grande: la scelta del futuro procuratore di Roma.

I pm della capitale scoprono – nell’ambito di altre indagini – i suoi rapporti con Fabrizio Centofanti, imprenditore arrestato (e poi scarcerato) per fatti diversi nel febbraio del 2018 con accuse che vanno dall’associazione a delinquere alle false fatture fino alla corruzione. Indagando, scoprono che con Centofanti il togato Palamara ha trascorso quattro weekend e che è stato proprio l’imprenditore a pagare i soggiorni nei vari hotel.

I rapporti tra i due finiscono in un’informativa della Guardia di Finanza di maggio 2018. Poi la Procura di Roma manda gli atti ai colleghi di Perugia, competenti ad indagare sui magistrati capitolini. È stato poi Il Fatto il 27 settembre scorso a rivelare l’esistenza di un fascicolo a Perugia su Palamara. Non c’era ancora l’iscrizione che infatti arriva tre mesi dopo l’articolo sul nostro quotidiano. Poi le carte circa un mese fa vengono mandate al Consiglio superiore della magistratura. E la notizia esce ieri. Ora il Csm dovrà occuparsene: “Il fascicolo sarà aperto perché in questi casi c’è un automatismo – spiega il presidente della Commissione, Alessio Lanzi, laico di FI – ma in presenza di un’indagine penale si sospende in attesa dell’esito”.

La notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati ha amareggiato Palamara. “Mai, e sottolineo mai, baratterei il mio lavoro e la mia professione per alcunché e sono troppo rispettoso delle prerogative del Csm per permettermi di interferire sulle sue scelte e in particolare sulla scelta del procuratore di Roma e dei suoi aggiunti”, ha detto ieri l’ex consigliere. Che ha aggiunto: “Apprendo dalla stampa di essere indagato per un reato grave ed infamante per la mia persona e per i ruoli da me ricoperti. Sto facendo chiedere alla Procura di Perugia di essere immediatamente interrogato perché voglio mettermi a disposizione per chiarire”. Agli amici Palamara spiega che ha pagato lui i trasferimenti per quei weekend tra Ibiza e la Toscana e ha conservato anche alcune tracce di pagamento. Gli hotel, anche di lusso, erano pagati dall’imprenditore ma lui avrebbe detto agli amici: “Poi io restituivo. Non mi ha fatto regali”. Il procuratore di Perugia Luigi De Ficchy lo interrogherà presto.

Procura, la nomina del nuovo capo che scatena la guerra

La Procura di Roma sembra essere diventata la Procura dei veleni, come nel peggiore periodo di Palermo, da quando si è aperta la partita politicamente più sensibile: quella per la nomina del successore di Giuseppe Pignatone. Al centro dei giochi c’è il Csm che deve esprimere il voto definitivo.

Ed è proprio in vista di quel voto che si è scatenata un’ondata di accuse incrociate fra correnti, attraverso la circolazione di notizie vere, ma anche di indiscrezioni. La notizia, vera, che scuoterà per mesi Consiglio e Procura è quella dell’esposto del pm Stefano Rocco Fava, che accusa Pignatone di aver agito in conflitto di interessi in merito all’inchiesta sull’avvocato Piera Amara, per consulenze al fratello avvocato dell’ex procuratore. Il pm lamenta di essere stato estromesso dall’indagine e accusa di conflitto anche l’aggiunto Paolo Ielo, che, però, si è astenuto, sempre per consulenze di un fratello avvocato. Nella partita per il nuovo procuratore, si è inserita a gamba tesa pure la notizia dell’indagine per corruzione, a Perugia, di Luca Palamara, pm di Roma, candidato come aggiunto, ex membro del Csm, uomo di peso di Unicost, la corrente centrista. È indagato per suoi presunti rapporti illeciti (di cui Il Fatto ha scritto a settembre) con Fabrizio Centofanti, arrestato per frode fiscale, in affari con Amara. Le carte perugine sono arrivate al Csm un mese fa, nel massimo riserbo fino al voto sul procuratore di Roma della Quinta commissione. Ieri, però, la notizia è uscita e c’è chi l’ha usata per legare i sostenitori di Marcello Viola – il pg di Firenze, di Mi (corrente di destra) che ha avuto 4 voti su 6 – a un presunto patto Palamara (Unicost)-Cosimo Ferri, ex leader di Mi, ora deputato Pd. In Quinta, però, il presidente Morlini, di Unicost, ha votato per il suo candidato di corrente, Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze. Franco Lo Voi, procuratore di Palermo, pure lui di Mi, il preferito di Pignatone, l’ha votato solo il consigliere Suriano, di Area, la corrente di sinistra. Per Viola, dunque, i togati Lepre (Mi) e Davigo (AeI), i laici Gigliotti, (M5s) e Basile (Lega). Ora Mi è accusata di aver scaricato Lo Voi in favore di Viola per impedire “la continuità con il lavoro i Pignatone”. Area, invece, è accusata di “tramare” anche fuori dal Csm per ribaltare il voto del plenum, pro Lo Voi.

Tutti i giudici di Amara

Al centro della nuova bufera che si è abbattuta sulla Procura di Roma c’è l’avvocato siracusano Piero Amara. Numerosi i rapporti con le toghe del legale Amara, che di recente ha patteggiato a Roma una pena a tre anni di reclusione e che nel 2009 era già stato condannato a 11 mesi (pena sospesa) con Vincenzo Tedeschi, all’epoca cancelliere del magistrato della Dda di Catania Alessandro Centonze, per rivelazione di segreto di ufficio. Ma Amara ha avuto rapporti anche con tanti magistrati e parenti.

A cominciare dall’avvocato Attilio Maria Toscano, figlio del magistrato Giuseppe, che è stato collega di studio e consulente di Amara: Attilio Toscano è indagato a Catania per corruzione in atti giudiziari in merito a sentenze del Tar di Catania. È indagato anche il giudice amministrativo Dauno Trebastoni.

Poi c’è il magistrato Roberto Campisi che è stato a capo dell’inchiesta “Mare Rosso”, sullo sversamento di mercurio nella rada di Augusta contro le aziende petrolifere Montedison ed Enichem, quest’ultima difesa da Amara. Il processo si è chiuso con patteggiamenti in via civile. Andrea Campisi, figlio del pm, avvocato, è stato per un periodo nello studio siracusano di Amara, che è stato anche suo testimone di nozze.

Ma lista non è finita. Il sostituto procuratore di Siracusa Maurizio Musco – co-assegnato al fascicolo “Mare Rosso” – è stato condannato a un anno e 6 mesi per abuso d’ufficio (23 febbraio 2017), perché ha arrecato un ingiusto danno all’ex sindaco di Augusta Massimo Carrubba e al suo assessore Nunzio Perrotta nel caso Oikothen, la discarica che sarebbe dovuta sorgere ad Augusta, ma che avrebbe visto l’ostruzione di Giuseppe Amara, padre di PIero, usato come teste da Musco nel procedimento. (Saul Caia)

Pignatone e Pinotti a cena dal lobbista con il pm

Giuseppe Pignatone, quando era procuratore di Roma, è stato a cena un paio di volte con Luca Palamara insieme con Fabrizio Centofanti.
Il Fatto Quotidiano aveva già dato in parte questa notizia quando per la prima volta abbiamo raccontato che esisteva un’indagine a Perugia sui rapporti tra l’imprenditore Centofanti (arrestato dalla Procura di Roma nel febbraio 2018) e il magistrato Palamara. Ora che i grandi giornali scoprono l’importanza di Centofanti e dei suoi rapporti con le toghe romane aggiungiamo qualche particolare, sempre non penalmente rilevante ma interessante dal punto di vista della cronaca dei rapporti tra i poteri dello Stato e gli imprenditori.

Pignatone è stato a cena almeno due volte con Fabrizio Centofanti. Nel periodo del Natale 2014 a casa dell’imprenditore nel quartiere Salario c’erano a tavola il procuratore Pignatone, l’allora consigliere del Csm Luca Palamara e Fabrizio Centofanti, con rispettive consorti, più il ministro della difesa Roberta Pinotti con il suo portavoce Andrea Armaro.
In una seconda occasione Giuseppe Pignatone è stato a cena all’hotel Majestic di via Veneto con la solita coppia, Centofanti e Palamara, più un magistrato di altissimo rango: il presidente della Corte dei Conti dal 2013 al 2016, Raffaele Squitieri.

Si trattava di cene tra soggetti istituzionali: ministri, procuratori, presidenti. Nulla di male. C’era un soggetto “privato” (Centofanti) ma non era mai stato coinvolto in indagini ed era stato direttore marketing e relazioni esterne del gruppo Acqua Marcia fino a qualche anno prima delle cene. Era un imprenditore e un amico di un pm importante come Palamara.
I rapporti di Pignatone con Centofanti non erano e non sono oggetto di inchiesta ma ci sembravano e ci sembrano degni di nota. Soprattutto dopo che sui giornali nei mesi scorsi è uscita la notizia che il segretario del Pd Nicola Zingaretti è indagato dalla Procura di Roma, diretta da Pignatone fino a un mese fa, per finanziamento illecito in base alle accuse di Giuseppe Calafiore, un avvocato che ha riferito ai magistrati le vanterie ascoltate (a suo dire) da Centofanti sui pagamenti di Centofanti stesso a Zingaretti. Accuse de relato e smentite dai diretti interessati.

Soprattutto dopo che un pm di Roma, Stefano Fava, ha presentato un esposto contro il procuratore Giuseppe Pignatone perché non si sarebbe astenuto dall’inchiesta sull’avvocato Piero Amara (arrestato con Centofanti nel febbraio 2018) che nel 2014 aveva dato un incarico di consulenza al fratello, il professore e avvocato Roberto Pignatone.

Il Fatto ha raccontato ieri questa storia. Il professore di diritto tributario Roberto Pignatone, avrebbe ottenuto nel 2014 un incarico di consulenza tecnica per un processo a Siracusa da Piero Amara. Amara è stato poi arrestato a Roma e ha patteggiato una pena di 3 anni, con l’assenso della Procura. Però il pm Stefano Fava voleva nuovamente procedere duramente contro di lui e aveva fatto una richiesta al procuratore aggiunto Rodolfo Sabelli e al procuratore capo Giuseppe Pignatone. Di fronte al diniego Fava ha ricordato i rapporti di Piero Amara con il fratello di Pignatone. Il procuratore ha sostenuto in una riunione davanti ai suoi aggiunti (che gli davano ragione) che aveva informato tutti di quel presunto “conflitto di interessi” tra lui e il fratello e che nessuno, nemmeno il procuratore generale a cui aveva chiesto di astenersi, aveva ritenuto fosse necessario fare un passo indietro.

Alla fine Fava ha presentato l’esposto allegando lo scambio di lettere con il procuratore in cui nega di essere stato informato compiutamente degli incarichi del fratello di Pignatone. Fava tra l’altro fa presente di aver scoperto solo consultando i fascicoli su Amara e compagni l’esistenza degli incarichi del fratello del capo e tra questi anche un secondo incarico dato a Roberto Pignatone per la sua attività dalla Sti di Ezio Bigotti (anche lui indagato e arrestato anni dopo dalla Procura di Roma) per 5 mila e 200 euro.

Il pezzo del Fatto di settembre 2018 sull’inchiesta di Perugia già citava oltre ai rapporti Centofanti-Palamara (secondo la Procura di Perugia penalmente rilevanti) anche quelli Pignatone-Centofanti, che non sono penalmente rilevanti ma sono di interesse pubblico, come le storie sugli incarichi del fratello professore. Evidentemente non la pensano così i grandi quotidiani che non danno ampio spazio all’esposto di Fava contro Pignatone. Come non davano spazio nel settembre 2018 anche alle notizie della cena innocente di Pignatone e dei rapporti sospetti di Palamara con Centofanti. Eppure nell’edizione del 27 settembre 2018 avevamo dedicato una pagina intera all’inchiesta. Non c’erano indagati allora (solo nel dicembre 2018, tre mesi dopo i pm di Perugia hanno iscritto Palamara per corruzione) ma già accennavamo a “un’informativa in cui si parla dei rapporti dell’ex pm Palamara con l’indagato Centofanti”. Ci sembrava importante segnalare il caso perché Palamara era consigliere al Csm per la corrente Unicost e in quei giorni sarebbe stato decisivo per la nomina di un renziano come David Ermini al vertice del Csm come vicepresidente.

La Repubblica per esempio si voltò dall’altra parte e oggi ricorda la nostra pagina come “un trafiletto di cronaca” con la classica distorsione ottica di chi vede i fatti solo quando sono utili per sostenere la sua tesi. Certo, Corriere, Messaggero e Repubblica ieri hanno fatto un passo avanti: il fascicolo sui rapporti tra Palamara e Centofanti è passato a modello noti, Palamara è stato iscritto nel registro degli indagati con l’ipotesi di corruzione.

Però c’è anche un altro fatto nuovo: Palamara oggi sostiene un candidato alla carica di procuratore capo di Roma, Marcello Viola, sgradito a molti e però votato dalla maggioranza nella commissione incarichi del Csm.

I rapporti di Centofanti con i magistrati di Roma diventano notizia solo quando c’è un’iscrizione sul registro degli indagati o solo quando quei magistrati osano sostenere un cavallo nemico, come Viola? Ah saperlo.

Busta con proiettile indirizzata a Martina, solidarietà bipartisan

Una busta con un proiettile indirizzata all’ex segretario del Pd Maurizio Martina è stata fermata martedì al centro di smistamento postale dell’aeroporto di Genova. Era inviata al domicilio di Bergamo dove abita il deputato dem. Messaggi di solidarietà nei confronti di Martina sono arrivati da tutti i partiti politici. A cominciare ovviamente dal Pd di cui è dirigente: “Siamo vicini a Maurizo Martina – ha scritto su Twitter il segretario Nicola Zingaretti – . Insieme continueremo a combattere senza paura per migliorare questo nostro amato Paese”. Anche Matteo Salvini ha scritto un messaggio per il collega dem, assicurando anche l’intervento del ministero dell’Interno: “Solidarietà sincera a Maurizio Martina e impegno a trovare i responsabili”. Vicinanza anche dai presidenti di Camera e Senato. Roberto Fico: “La mia solidarietà a Maurizio Martina per le intimidazioni ricevute. Ogni atto di violenza va condannato senza indugi”. Ed Elisabetta Casellati: “È inaccettabile che ancora una volta nel nostro Paese il dibattito debba essere contaminato e condizionato da gesti e minacce che nulla hanno a che vedere con la dialettica politica. La democrazia non può permetterlo”.