Forza Italia, faida continua. E B. sbotta: “Sono sconcertato”

Continua la faida in Forza Italia. E alla fine Silvio Berlusconi sbotta: “Assisto con sconcerto a improperi, attacchi personali, nessuna concretezza. Solo la voglia di gettare discredito sui validi collaboratori che ho scelto personalmente. Davvero delle prese di posizione inaccettabili”. L’ex Cavaliere assiste impotente all’esplosione della sua creatura. E batte un colpo. Ieri è stata un’altra giornata di polemiche. Licia Ronzulli, senatrice e portavoce dell’ex premier, in un’ intervista al Mattino si è lamentata dei risultati del partito al Sud: “Il dato che conta – ha detto – sono le preferenze a Berlusconi. Solo ed esclusivamente consenso personale”. Il partito meridionale – per Ronzulli – rappresenta “il nulla”. La risposta alla collaboratrice di B. è arrivata dai parlamentari campani: “Ronzulli mortifica militanti, dirigenti ed eletti”. Ai ferri corti anche il rapporto con Giovanni Toti. Antonio Tajani ha attaccato il governatore ligure, accusandolo di aver fatto “campagna elettorale per Fratelli d’Italia”, collocandosi di fatto fuori dal partito. Toti ha risposto a tono: “Lo scadente risultato elettorale è dovuto a una linea politica indigeribile. Tajani dovrebbe sentire qualche responsabilità e magari trarne le dovute conseguenze”.

“Ho vinto con l’80%, ma dal Nazareno zero telefonate. La sinistra è afona, ritrovi la voce”

È diventata famosa come sindaca “anti-cemento”, perché si oppose a un gigantesco progetto edilizio nella sua città, San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna. Ora il nome di Isabella Conti, classe 1982, è associato a un numero: 80,9%, la cifra che ha raccolto nelle elezioni comunali di domenica. Un risultato clamoroso in un centro di 32mila abitanti: non una metropoli ma nemmeno una piccola frazione.

La sua battaglia le ha messo contro anche parte del Pd, il suo partito, ma è stata premiata dagli elettori.

Il voto di domenica è stato un abbraccio importantissimo per me. In certi momenti nel mio rapporto con il Pd provinciale ho sentito una solitudine atavica. Ma quella è una storia di 4 anni fa, nel frattempo c’è stato un lavoro lungo e faticoso. Ha dato i suoi frutti. Credo che un bravo amministratore non sia quello che dice solo “no”, ma anche “come”.

Ci racconti il “come”. Come si fa a ottenere un risultato del genere? Il Pd a San Lazzaro nel voto europeo ha preso il 38,2%, lei ha superato l’80.

Con lo studio, lo studio, lo studio e i risultati. Abbiamo aperto il primo asilo nido completamente gratuito e avviato il processo che li renderà tutti gratuiti entro il 2020. Abbiamo chiuso le sale slot e abbiamo ottenuto una diminuzione del 18% della tassa sui rifiuti, che ora è la più bassa d’Italia insieme a Novara. E poi abbiamo inaugurato un emporio solidale, dove le famiglie in difficoltà economica possono fare la spesa gratuitamente con una tessera che viene caricata su indicazione dei servizi sociali. E altro ancora…

Sta descrivendo un’isola felice in un’altra Regione rossa che sta per essere consegnata alla Lega.

Io non sono tra coloro che credono che il successo di Salvini – e prima di lui, quello dei Cinque Stelle – sia da attribuire alla scelta sbagliata di elettori ingenui o inconsapevoli. Penso che se una persona è spaventata, sia dovere di chi fa politica ascoltarla e cercare risposte concrete. Noi abbiamo provato a farlo sia sull’immigrazione che sulla sicurezza. Con soluzioni pragmatiche, non ideologiche.

Quanti migranti ci sono a San Lazzaro?

Poco più di 40. Un numero basso, lo so. Che però ci permette di inserirli in un circuito di accoglienza di qualità. Li abbiamo fatti iscrivere tutti all’albo del cittadino virtuoso, sono impiegati in progetti di pubblica utilità e partecipano ad attività che ne garantiscono l’integrazione. Se un immigrato esce dal circuito dell’accoglienza è un disastro per lui e per i cittadini.

Cosa ne pensa del nuovo corso inaugurato dalla segreteria di Zingaretti?

Il segretario è anche un amministratore locale e ho fiducia in lui, mi aspetto che abbia progetti importanti per il Paese. Per adesso però non ho ancora ascoltato proposte di rilancio concrete.

Zingaretti l’ha chiamata per farle i complimenti?

Non ho mai parlato con lui, né prima né dopo il voto.

È abbastanza paradossale che il segretario di un partito non parli con una sindaca che prende l’80%…

(Resta in silenzio per qualche secondo) Non ho il suo numero, magari è una delle telefonate a cui non ho fatto in tempo a rispondere. O uno dei tantissimi messaggi di complimenti che ancora non sono riuscita a leggere. Non voglio fare polemiche.

Ma se le fosse chiesto un impegno nel Pd nazionale, risponderebbe presente?

Il risultato che ho ottenuto domenica è una responsabilità che mi piega la schiena. Ora non potrei mai lasciare questo incarico. Certo, il senso stesso di fare politica è l’impegno per il bene comune. Se ci fosse la possibilità di dare un contributo ne sarei orgogliosa.

Nel frattempo, come si rilancia secondo lei la sinistra italiana?

Bisogna ritrovare la voce. La sinistra in Italia mi sembra afona. Non riesco a capire quale sia la direzione che si vuole prendere. Io credo che i valori siano molto importanti, enunciarli è giusto. Ma non basta: poi bisogna tradurli in programmi concreti, in azioni. Mi aspetto che la sinistra ricominci a fare questo.

“Ti vedo e ti piango”. Carletto, Matteo e il povero Nicola

Prendiamo un molto riluttante elettore del Pd. Nel senso che, domenica 26 maggio, si è appropinquato al seggio meditabondo. Mai con Salvini, deluso dai 5Stelle (che novità), intenzionato a non disperdere il voto su liste e listarelle destinate alla sconfitta, decide al fine di concedere un’ultima chance a Nicola Zingaretti.

Certo, riflette, non è un fulmine di guerra e neppure un trascinatore di folle e poi con quel sorriso eternamente stampato sul volto rubicondo sembra un manifesto ambulante della zuppa Kellogg’s. Però, ammette il nostro, ce la sta mettendo tutta per rianimare un partito massacrato dal renzismo, abbandonato dagli elettori, ridotto a inservibile catorcio. Vabbè, si convince misericordioso, diamogli fiducia, e dopo aver tracciato la fatale X sul simbolo in basso a destra se ne ritorna a casa con la sensazione di chi ha fatto comunque una buona azione: aiutare i bisognosi e consolare gli afflitti, come ha ricordato il prete a messa.

Infatti, a tarda sera, con i primi exit poll, la sbalordita esultanza dei popolari Zinga e Gentiloni, nella stanza del Nazareno spoglia come dopo un pignoramento di Equitalia, quasi lo commuove: in fondo basta poco per regalare un sorriso.

Dissolvenza. Martedì mattina, il generoso elettore pd sfoglia i giornali e legge quanto segue: “Calenda: ‘Pronto a fondare un partito alleato del Pd’”. Per poco non si strozza col cappuccino e nell’addentrarsi nella complessità del pensiero calendiano, allibisce: “Sono iscritto ai dem e lavoro con Zingaretti, ma serve un soggetto di centro liberal-democratico”.

Ora, è comprensibile che uno che in passato era stato votato forse solo dai parenti più stretti (e a quanto dice neppure tutti) provi come una vertigine davanti alle 272 mila preferenze raccolte in una botta sola nel Nord-Est. Ma che un minuto dopo, costui, invece di rivolgere un pensiero riconoscente agli elettori del Pd – che lo hanno sottratto a un futuro di malinconici selfie con animali lacustri – abbia come prima reazione quella di mandarli immediatamente a quel paese (tiè), attraverso la fondazione di un partitino personale per togliere voti proprio al Pd, be’ lascia davvero ammutoliti. Tanto più che l’ideona è quella di fondare un “soggetto di centro liberal-democratico”, che suscita la stessa mestizia, per dire, di un Giampaolo allenatore della Roma.

Mentre il nostro elettore dem s’interroga sulla propria dabbenaggine, il suo sguardo cade a fondo pagina dove, con l’abituale empatia che ha desertificato il centrosinistra, Matteo Renzi (sì, proprio lui), sentenzia: “La mia tattica del pop corn ha dato una nuova possibilità al partito”. Ovvero: Zingaretti ha appena certificato, con merito, l’esistenza in vita del Pd, e già il compagno di spot cerca di sottrargli qualche elettore. Mentre quell’altro, non solo si appropria del 22,7% ma lo diffida, ingurgitando pop corn, a evitare come la peste qualsiasi approccio con i 5Stelle.

Nell’immaginare il nostro riluttante elettore dem intento a infliggersi severe punizioni corporali, rivolgiamo un deferente incoraggiamento all’incolpevole segretario con le indimenticabili parole di Teofilatto dei Leonzi, rivolto a Brancalone da Norcia: “Ti vedo e ti piango”.

Zingaretti-Calenda-Renzi: il Pd diventa uno e trino

Carlo Calenda è pronto a fare un nuovo partito. Anzi no. Cioè, forse. Matteo Renzi sulla carta sarebbe pronto da quasi un anno, nella realtà non vede lo spazio. E allora, chissà, potrebbe candidarsi alle primarie per la premiership: Nicola Zingaretti ha sempre detto che si sarebbe limitato a fare il segretario. E soprattutto con una (possibile) coalizione, i gazebo sono obbligati.

Pronti, ripartenza, via. Il Pd di Nicola Zingaretti, superato il voto del 26 maggio, in maniera magari non brillante, ma sufficiente per sentirsi di nuovo in vita, si avvia a cercare nuovi percorsi. Confusi e litigiosi, come nella migliore tradizione. Il 22,7% (rispetto al 18,7% del 4 marzo) potrebbe apparire un risultato quasi incoraggiante. Ma il conto dei voti – 120 mila in meno – appare un bagno di realtà. E poi, ci sono i flussi elettorali: il bacino potenziale dei Dem si è molto ristretto. Anzi, praticamente è quello che i risultati fotografano: il che significa che non andrà mai molto lontano.

Così, si moltiplicano manovre, opzioni, riflessioni. Ieri Calenda, recordman di preferenze alle Europee, ha parlato con Repubblica. “Pronto a fondare un partito alleato del Pd”, il titolo dell’intervista. Che lui ha passato la giornata a smentire: “Non faccio un partito”, dice di prima mattina al Fatto. E telefona pure a Zingaretti, per ribadirgli fedeltà e vicinanza. Nell’intervista, però, dice nero su bianco: “Siamo Europei può diventare un partito. Io sono iscritto al Pd, lavoro con Zingaretti. Il mio movimento dovrebbe rimanere quello che è: il collante di un mondo più ampio della sinistra. Ma se serve sono pronto a trasformarlo in un soggetto politico”. Difficile capire davvero la differenza. La questione si può sintetizzare così: Calenda non vuole fare una scissione contro Zingaretti, ma per dare una mano al Pd. E quindi, fornirgli una copertura al centro. Lo schema su cui si lavora al Nazareno è quello caro a Paolo Gentiloni ormai da un anno: un Pd uno e trino. Quindi, i Dem propriamente detti (nei quali a un certo punto potrebbero tornare gli scissionisti della Ditta), una formazione (oppure una lista) di centro, guidata da Calenda e una a sinistra, dove collocare Italia Bene Comune di Pizzarotti e appropriarsi del simbolo dei Verdi.

Lo schema è in via di definizione e crea malumori e inquietudini. Prima di tutto, da parte di Renzi. Perché il suo ex ministro dello Sviluppo economico va a coprire quello spazio che lui poteva vagheggiare come suo. Fare qualcosa insieme è fuori discussione. E dunque, l’ex segretario rischia di essere di nuovo tagliato fuori dai giochi. Molto dipende dalla data delle elezioni: tra quelle che circolano in questi giorni, c’è il 29 settembre. Se così fosse, l’attacco a tre punte si strutturerebbe. Con tre liste, più che tre partiti. Ma comunque senza la formazione di Renzi, che non è pronto. A quel punto, la competizione si sposterebbe su un altro piano.

Ieri Calenda ha indicato un candidato premier, ovvero Paolo Gentiloni. Zingaretti è d’accordo? Fino a un certo punto: guarda anche a Beppe Sala, sindaco di Milano. Ma i rapporti con il presidente del Pd sono tali che la sua candidatura (soprattutto in caso di voto subito) sarebbe la prima opzione. Renzi chiederà le primarie per la premiership. Per spingere chi? Probabilmente proprio se stesso. Nel frattempo, il 12 luglio a Milano presenzierà alla manifestazione dei Comitati civici. Tema? Le fake news.

Dentro al partito, l’area di Lotti, Guerini e Giacomelli (in Parlamento la più nutrita) sulle tre liste è scettica. Ma non prende posizione e guadagna tempo.

Se poi la data delle elezioni si allontana, lo scenario si fa più fluido. E intanto, c’è almeno un dato da osservare con attenzione: la costituzione dei gruppi del Parlamento europeo. Tutti gli eletti nel Pd entreranno tra i Socialisti? Nessuno può saperlo. Ma intanto è certo che Emma Bonino, eletta con Più Europa, è pronta a iscriversi all’Alde. Un ponte con Calenda. Oggi pomeriggio, comunque, si vedrà se e quanto tutte queste manovre entreranno nel dibattito della direzione per l’analisi del voto. Zingaretti lancerà una Costituente delle Idee coinvolgendo elettori, cittadini, categorie. Ma la segreteria non è ancora pronta: la sfida agli equilibri interni può attendere.

Dazn chiede aiuto al governo: migliorare banda larga Internet

Dopo i grossi problemi di visione di questa stagione calcistica, soprattutto nei primi mesi, la piattaforma online Dazn corre ai ripari: lavora con il governo per migliorare le infrastrutture sulla banda larga. Lo conferma Veronica Diquattro, responsabile per Italia e Spagna di Dazn, a margine dell’evento “Terzo Tempo” in cui la piattaforma di streaming ha fatto il bilancio della prima stagione: “Stiamo lavorando con il Governo, abbiamo diversi tavoli aperti per sensibilizzare sul tema e per valutare lo stato dell’arte con altri player come Netflix, Amazon, Chili e Sky. Siamo disposti a mettere a disposizione il nostro know-how e le nostre informazioni. Il governo si è dimostrato aperto, c’è bisogno di potenziamento su tutta la penisola”.

“Abbiamo investito molto fin dal primo giorno – prosegue –, riducendo del 66% il tempo medio di rebuffering e aumentando la percentuale di utenti che possono vedere eventi in hd in contemporanea. I miglioramenti sono concreti, abbiamo fatto due aggiornamenti al mese sull’applicazione. Vogliamo essere un acceleratore di crescita anche per l’infrastruttura nazionale”.

Bollette di luce e gas: si rischia il salasso per salvare l’Alitalia

Passano i decenni, cambiano i governi ma dei guai di Alitalia continuano a risponderne i contribuenti. In attesa che il 15 giugno Fs presenti un’offerta definitiva e vincolante, per garantire la continuità industriale dell’ex compagnia di bandiera, nel dl Crescita sono stati inseriti due articoli, il 37 e il 50, che prevedono la possibilità di prelevare 650 milioni di euro dalle bollette di luce e gas. In pratica famiglie e imprese forniranno i fondi necessari per cercare di risanare Alitalia che, fallita tre volte negli ultimi 10 anni e costata allo Stato quasi 10 miliardi, ogni giorno perde oltre 1 milione di euro. Ma a opporsi all’utilizzo degli introiti derivanti dalle bollette per finalità non energetiche è l’Autorità per l’Energia (Arera) che chiede a governo e Parlamento di modificare la norma per “evitare ripercussioni negative”, che altro non sono un aumento delle tariffe di luce e gas.

I 650 milioni di euro sono, infatti, gli oneri di sistema che pesano per un quarto del totale delle bollette e che, tra le altre cose, servono a finanziare la messa in sicurezza del nucleare, gli incentivi alle rinnovabili, le agevolazioni per le imprese a forte consumo di energia e il settore ferroviario. Un tesoretto gestito dalla Cassa per i servizi energetici e ambientali (un ente pubblico) e utilizzato negli ultimi tre trimestri del 2018 anche per bloccare i pesanti aumenti (circa il 10%) che si sarebbero scaricati in bolletta per colpa delle tensioni internazionali e dei costi record delle materie prime. Ma, come già famiglie e imprese stanno ripagando quei 2 miliardi di sterilizzazione degli oneri, così l’Area chiede che il prelievo per Alitalia sia una tantum per il 2019 e che venga poi restituito. Svuotando il fondo c’è il rischio che non si possano più “mitigare” i possibili rincari dei prezzi, soprattutto perché il dl Crescita prevede che il trasferimento dei 650 milioni avvenga per tutto il periodo necessario per il rilancio di Alitalia. In pratica, per anni.

B. s’è ristretto, Mediaset cerca di salvarsi in Europa

Il frastuono politico ha calmierato una notizia che s’è compiuta proprio perché in quel di Mediaset il mercato ha scalzato la politica: il Biscione ha investito circa 340 milioni di euro per entrare col 9,6 per cento nel capitale dei tedeschi di Prosiebensat1, un gruppo tv con sede in Baviera che trasmette in chiaro in 13 Paesi. Mediaset è il secondo azionista di Prosiebensat1, tra il fondo Capital Group (10%) e gli americani di Blackrock (5,7%). È il mercato, niente politica, complice l’ormai inconsistenza elettorale di Forza Italia e di Silvio Berlusconi, a lungo bene rifugio.

Questa operazione finanziaria è il prologo di un’ambizione più grossa: creare un blocco europeo – gratuito e digitale – per attutire la concorrenza spietata di Comcast, Disney, Amazon, Google, Netflix, multinazionali che offrono eventi, cinema e serie tv di qualità a pagamento con le connessioni veloci a Internet. Più che un’ambizione, è una necessità: “O così o morte”, spiegano da Cologno Monzese, dove celebrano la campagna di Germania respirando ossigeno per una televisione che in Spagna cresce, ma in Italia ha saturato gli introiti pubblicitari e sopravvive di vecchie rendite di posizione. Il pacifico ingresso in Prosiebensat1, per citare Pier Silvio Berlusconi, vale un posto nel sinedrio europeo che dovrà spingere la notte più in là. Con i 340 milioni spesi – gruzzolo che proviene dalle plusvalenze delle torri tv – il Biscione ha rotto gli indugi dei tedeschi e di altri presunti alleati, da tempo inchiodati al dilemma: “Chi comanda?”. La solita riflessione sul potere ha procrastinato la nascita di un’azienda europea, tramite fusione, con base in Olanda soprattutto per ragioni di struttura societaria e di vantaggi fiscali.

Oggi Mediaset prende un pezzo di Prosiebensat1, domani i tedeschi sono autorizzati a prendere un pezzo di Mediaset, e lo scambio di prodotti (e non di quote, e basta) può coinvolgere inglesi, francesi e via elencando. Per esempio, il Biscione assieme a Prosiebensat1, ai francesi di Tf1, agli inglesi di Channel4 fa parte di una piattaforma che fabbrica spot.

Fedele Confalonieri non è più dipendente Mediaset dal 31 luglio 2018, quel giorno, però, il Cda gli ha rinnovato il mandato di presidente fino al 2021. Il compagno Fidel, amico di sempre di Silvio, ha indicato la rotta: espansione europea, televisione generalista. Un ritorno al passato, altra urgenza, dopo la sbandata con Premium che fu un pasticcio di Pier Silvio e l’accordo stracciato da Vivendi. Il contenzioso ancora in corso ha lasciato i francesi di Vincent Bolloré incagliati al 28,8 per cento di Mediaset, di cui un terzo congelato per la contestuale partecipazione in Telecom. Confalonieri ha due anni per completare la missione: mettere in sicurezza Mediaset, garantire un futuro sereno agli eredi di Silvio, ridurre il rischio di impresa, assicurare dividendi e non gestione. Con proporzioni diverse, Mediaset s’è incamminata sul sentiero che la famiglia Agnelli con Exor ha percorso in Fca e adesso in Renault/Nissan.

E dopo varie incomprensioni, la sintonia tra Pier Silvio e Fidel è totale. Nella formale dichiarazione su Prosiebensat1, il giovane Berlusconi ha menzionato il bisogno di “unire le forze” per resistere all’offensiva dei più grandi. Fininvest ha blindato Mediaset fissando la bandiera oltre il 44 per cento del capitale, non è sufficiente il sostegno di Prosiebensat1 – che fa 4 miliardi di ricavi, e dunque ha più o meno le stesse dimensioni del Biscione – per respingere l’assalto dei predatori. E Fidel l’ha capito.

Tercas, Commissione fa ricorso: ‘Alla banca concessi aiuti di Stato’

La telenovelaTercas ha una nuova puntata. Il 19 marzo la Corte di Giustizia Ue aveva stabilito che il salvataggio da parte di Popolare di Bari – sponsorizzato da Banca d’Italia e realizzato anche con i soldi del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) – non fu viziato da “aiuti di Stato” illegali contrariamente a quanto sosteneva la Commissione europea. Una sentenza devastante perché quella posizione della Dg Competition della commissaria Vestager su Tercas ha influenzato tutte le vicende bancarie italiane di questi ultimi anni a partire dal mezzo bail in di Popolare Etruria e delle altre tre “banchette”. Ieri si è saputo, però, che la Commissione ha deciso di fare appello alla Corte di Giustizia perché continua a sostenere che i soldi del Fitd, pur essendo di banche private italiane, vanno considerati pubblici perché il loro utilizzo è regolato per legge. Un’impostazione già bocciata dalla sentenza di marzo. Popolare di Bari, dal canto suo, fa sapere che il ricorso “non sospende l’efficacia della sentenza di primo grado” e dunque si andrà avanti con la richiesta di risarcimento a Bruxelles che è “in via di quantificazione”.

Il cardinale Parolin: “Bisogna dialogare anche con Salvini”

“Si deve dialogare anche con Salvini”. Parola del segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Che ha commentato l’esito elettorale in Italia con queste parole: “Il Papa – ha dichiarato a margine di un evento a Palazzo della Cancelleria – continua a dirlo: dialogo, dialogo, dialogo. E perché non Salvini? Anzi, dialogo si fa soprattutto con quelli che non la pensano come noi e coni quali abbiamo qualche difficoltà e qualche problema. Io sono dell’idea che si debba parlare anche con lui”. Parolin non ha rinunciato però a una considerazione critica su una delle abitudini del capo della Lega, che ama ostentare crocifissi e rosari durante i suoi comizi: “Credo che a usare i simboli religiosi per manifestazioni di parte – ha detto il cardinale – c’è il rischio di abusare di questi simboli”. Non è mancata la replica del ministro dell’Interno, durante una delle sue consuete dirette Facebook: “Ringrazio Parolin – ha detto “il Capitano” – il quale ha detto che è giusto dialogare con tutti, anche con Salvini. Non penso di avere la lebbra o la peste”.

Non conoscono i loro elettori e i loro problemi: ripartano da lì

Puntare tutte le fiche sul reddito di cittadinanza quando due su tre dei tuoi elettori ha altre urgenze. Lasciare che tutta la discussione pubblica sia monopolizzata dalle grandi opere senza dire, anzi fare nulla per ridestare l’attenzione sulle migliaia delle piccole incomplete. Accettare che il treno da mettere in corsa sia solo quello del Tav senza dare una risposta minima al popolo dei pendolari che sui binari ci passa metà della sua esistenza e attende solo di potersi sedere quando sale e di trovare un treno quando arriva in stazione. Accettare che Taranto resti avvelenata senza provare a farne un luogo simbolo, la piattaforma naturale per dimostrare che la difesa dell’ambiente produce lavoro e ricchezza non solo salute. Si chiama effetto ottico. I Cinque Stelle ne sono rimasti vittima. Hanno anzitutto bisogno di conoscere i propri elettori e i loro problemi. E poi di ridare un’occhiata al proprio simbolo. A quelle cinque stelle che esibiscono (a loro insaputa) sul bavero della giacca.