Sulla Comi c’è anche corruzione. Le mire di Caianiello sulla sanità

Nuove accuse e nuovi piani della cricca delle tangenti per prendersi la torta della sanità lombarda. Iniziamo dalla prima. Corruzione. È la nuova accusa per Lara Comi, eurodeputata di Forza Italia già indagata per finanziamento illecito dalla procura di Milano. La Comi alle europee di domenica è arrivata terza incassando 31mila voti e rientrerà a Strasburgo solo se Berlusconi rinuncerà all’elezione nel Nord-Ovest.

La nuova iscrizione risale al 13 maggio quando viene sentita a sommarie informazioni l’avvocato ligure Maria Teresa Bergamaschi. Il punto è la consulenza che la Bergamaschi ha ottenuto da Afol, l’azienda metropolitana per il lavoro e la formazione. Sono due lavori per 38 mila euro. La Bergamaschi racconta di come fu Lara Comi a chiederle di dare 10 mila euro al dg di Afol Beppe Zingale. Bergamaschi, spiega a verbale, i soldi li dà alla Comi. Come? Da un lato azzera al politico di FI un debito di 5 mila euro per la stesura di un libro, mentre gli altri, dirà l’avvocato, arriveranno a seguito di una falsa fattura. A quel punto, il verbale viene interrotto e i pm comunicano alla Bergamaschi l’accusa di corruzione in concorso per lei, per la Comi e per il dg Zingale, il quale però spiega di non aver mai visto quei soldi.

Secondo capitolo: le mani di Nino Caianiello, detto Jurassic Parl, sulla sanità lombarda. Gli atti della nuova tangentopoli delineano un quadro che, se pur al momento privo di rilevanza penale, viene approfondito dalla Finanza di Busto Arsizio. È una fotografia che mette insieme la politica regionale e imprenditori vicini ai livelli nazionali del Carroccio. Nel 2017, così la lente viene puntata sul progetto del nuovo ospedale unico di Busto Arsizio, per il quale si prevede una spesa di 350 milioni. Un importante centro d’eccellenza attorno al quale far nascere una grande area commerciale. I terreni ideali già individuati sono vicini alla statale 336 per l’aeroporto di Malpensa. Su questo, secondo la Finanza, punta Caianiello. L’obiettivo è portarli da agricoli a edificabili. Interrogato ne parla l’ex sindaco di Lonate Pozzolo, Danilo Rivolta, già coinvolto in una indagine per corruzione. Particolari in più arriveranno dall’ex assessore all’Urbanistica del Comune di Gallarate, Orietta Liccati. Per gli investigatori sono dichiarazioni convergenti. In una nota all’Antimafia di Milano si legge: “Dalle dichiarazioni di Rivolta emerge un’organizzazione criminale finalizzata alla gestione illegittima degli appalti (…) che farebbe capo a Caianiello (…). Tra le vicende corruttive indicate (…) assume rilievo quella relativa alla costruzione del nuovo presidio ospedaliero di Busto Arsizio e Gallarate sui terreni di proprietà di società di caratura nazionale (…) in relazione alla quale si sarebbero già registrati chiari indizi di mercimonio della pubblica funzione (…). Farebbero parte, a vario titolo, della struttura associativa che fa capo a Caianiello” tra gli altri “Luca Ferrazzi, ex consigliere regionale, l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera” e “il vice presidente” della Regione “Fabrizio Sala”. Nessuno di loro è indagato. Dirà Rivolta: “L’operazione dell’ospedale la sta gestendo Caianiello (…) e coinvolge l’assessore alla sanità della Regione Lombardia Gallera”. Gallera non è indagato. Ma certo su di lui Jurassic Park punta molto. Dirà: “Bisogna riequilibrare su Gallera, perché farà l’assessore alla Sanità”. Chiosa Angelo Palumbo, consigliere regionale: “La sanità è la cosa più importante”.

L’ex assessore all’Urbanistica Orietta Liccati riferisce poi “di una riunione non istituzionale alla quale avrebbero partecipato oltre a lei, Caianiello” e dove “sarebbe stata data, da Caianiello l’indicazione di favorire la Edilmalpensa, individuando nei terreni di sua proprietà l’area sulla quale, previa variazione urbanistica (…) avrebbero dovuto sorgere i servizi relativi al nuovo ospedale lasciando intendere la finalità di mercimonio dell’operazione”. La Edilmalpensa è detenuta per l’80% dalla Techbau spa, a sua volta controllata dalla Retail development Srl, i cui soci sono Andrea Marchiori (non indagato) e Paolo Orrigoni (indagato), ex candidato sindaco a Varese, vicino al sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Dalle intercettazioni emerge che Marchiori chiede notizie dello sblocco delle aree ad Alessandro Petrone, assessore all’Urbanistica indagato e vicino a Caianiello. Le aree di cui si parla sono agricole, così trasformate dalla vecchia giunta di Gallarate, ma pesano i ricorsi dei proprietari. Dirà Rivolta: “Caianiello ha voluto nominare un altro legale”, esterno al Comune per seguire i ricorsi. Chi, lo spiega la Licciati che fa tre nomi, tra questi “Andrea Mascetti” (non indagato), già supervisore della segreteria federale della Lega, nonché nella Commissione beneficenza della Fondazione Cariplo. “Mascetti – dirà Caianiello – lì è l’uomo di Giorgetti”.

 

 

Le indagini

Nel fascicolo pure Fontana

Corruzione,finanziamento illecito ai partiti, abuso d’ufficio, favoreggiamento alle cosche. Sono i reati che la Procura di Milano contesta ai 105 indagati dell’indagine Mensa dei poveri, la nuova tangentopoli lombarda. Le misure cautelari per 43 persone scattano il 7 maggio. Coinvolti consiglieri comunali e regionali, ma anche parlamentari. Nel mirino il nuovo cerchio magico di Forza Italia che ruota attorno alla figura Nino Caianiello, ex coordinatore provinciale di Fi. Indagata anche l’europarlamentare uscente Lara Comi e l’attuale governatore lombardo Attilio Fontana. È accusato di abuso d’ufficio per aver nominato in regione il suo ex socio di studio. Il 16 maggio altri arresti a Legnano. Ai domiciliari il sindaco leghista Giambattista Fratus, vicesindaco e assessore all’urbanistica. Nomine pilotate e una corruzione elettorale contestata a Fratus per il ballottaggio del 2017. Nelle intercettazioni finiscono i vertici di FI e Lega, da Mariastella Gelmini a Matteo Salvini

“Mark Caltagirone siamo noi, è ora di ammetterlo”

“Tutte e tre abbiamo delle responsabilità in questa storia, la password dell’account di Mark Caltagirone ce l’ha Pamela”. Il cerchio magico s’è spezzato. Le ex amiche Pamela Prati, Eliana Michelazzo e Pamela Perricciolo, sono ormai l’una contro l’altra. L’unica delle tre che, dopo una chiacchierata di quasi due ore, tra dichiarazioni surreali ed evidenti assurdità, ha deciso di ammettere che “nessuna è innocente” è proprio colei che è accusata più o meno velatamente di essere la mente del più kafkiano evento di costume dell’era 2.0: Pamela Perricciolo, agente della Prati, detta anche “Donna Pamela”. Sarebbe lei, secondo la Michelazzo, ad averla plagiata e convinta di avere un marito inesistente da 10 anni (Simone Coppi).

Ma davvero Donna Pamela è il carnefice e le altre due sono vittime? E perché è l’unica che non parla, mentre le altre sono ospiti di salotti tv, ben pagate? “Io, Pamela Prati ed Eliana Michelazzo il primo aprile abbiamo firmato un accordo che ci vincola a non divulgare nulla di quello che ciascuna di noi sa della vita privata delle altre, perché avremmo firmato se non avessimo avuto tutte interesse a farlo?”, mi racconta Pamela Perricciolo al telefono.

Le altre due però raccontano in tv di essere vittime di plagio. Eliana ti avrebbe denunciata.

Eliana va dalla D’Urso per 7.000 euro a puntata… La società Aicos è intestata a Eliana, la Jaguar è intestata a Eliana, la casa in cui vivevamo insieme e la Mini pure. Che plagio è?

Parla di plagio psicologico.

Il documento di riservatezza tra noi tre l’ha proposto Eliana col suo studio legale, strano che sia una vittima ma chieda alle altre di tacere.

Cosa dovevate nascondere con quell’accordo?

Eliana ha debiti con tante persone, anche Pamela e non vuole si sappia.

A Verissimo ha giurato di non averne.

Il cachet per l’ospitata di Domenica in le è stato pignorato dal fisco.

E quello di Verissimo?

I produttori le hanno detto che con gli avvocati dovevano decidere se Mediaset fosse parte offesa per truffa. Le hanno congelato il cachet, 40.000 euro. Non so se ha risolto. Prende 1.200 euro al mese di pensione.

Ma che storia è questa di Mark Caltagirone?

Una storia mal gestita da tutte e tre. Poi Pamela ed Eliana in tv si sono volute accusare tra di loro. Ora abbiamo zero credibilità tutte e tre.

Perché tu non vai in tv a difenderti?

Secondo me volevano farmi fuori perché Eliana se la rigirano come vogliono. Le avevano promesso 5 ospitate da Barbara D’Urso più l’ingresso al Grande Fratello, poi Pier Silvio Berlusconi per fortuna si è opposto e hanno chiamato Vladimir Luxuria al suo posto.

La telefonata di Mark Caltagirone dalla D’Urso?

Quella telefonata di non so chi è stata fatta passare su un telefono che ha fatto da ponte a un altro telefono e poi in vivavoce su un altro telefono.

Perché?

Per mantenere il mistero.

E quando Pamela Prati ha interrotto l’intervista dicendo di andare a chiamare Mark al telefono?

È andata in bagno a chiamare me. Mi diceva: “Che devo fare? È una trappola, Eliana si è venduta”.

Tu e Eliana state insieme?

Mio padre mi ha detto: se sei lesbica dillo, ne uscite meglio. Non è così, però.

Simone Coppi come nasce?

Io e i miei amici abbiamo creato quei profili di Lorenzo e Simone Coppi ai tempi dell’università. Quando Eliana è uscita da Uomini e donne aveva problemi, le diedi il contatto di un amico che si chiamava Simone. Da lì ha iniziato a scriversi con un Simone reale. Poi è venuta a entrambe l’idea di dire ai giornali che sposava questo Simone Coppi, un personaggio inventato, perché non voleva diventare tronista. Ma quanti casini… Cinque anni fa un onorevole di Fratelli d’Italia, Chiara Colosimo, ha conosciuto tale Dany sulla mia bacheca Facebook, questo le ha sottratto 1.600 euro e lei ha fatto un esposto anche contro me e Eliana.

Ma sei tu Mark?

No. C’è un Marco che veniva al mio ristorante, forse era lui.

E Pamela come entra in contatto con questo Marco?

Tramite Facebook.

Pamela Prati ha detto di avere paura di te.

Sono io che ho paura di lei, a Verissimo non l’ho riconosciuta.

Alfonso Signorini ha detto che è stato corteggiato via social da questo Simone Coppi.

L’ho querelato. Ha detto che lo chiamavo con una voce camuffata, spero possa dimostrarlo.

Manuela Arcuri?

Lei è stata coinvolta come testimone in un processo che riguarda mio fratello, roba di ‘ndrangheta. Si è scambiata in tutto cinque messaggi con questo Simone Coppi da cui dice di essere stata illusa.

Come lo sai?

Ho le chat.

Come fai ad averle?

Sono entrata nel profilo di Simone Coppi, profilo in cui Eliana entra dalla mattina alla sera. La Arcuri, la Varone, Signorini: tutte cose del 2009. Non ci sono reati, ma sarebbero comunque prescritti.

Sai che tutto quello che mi dici non regge? Mark Caltagirone non esiste.

Pamela Parti raccontava anche a me che Caltagirone esisteva: ho suoi messaggi in cui mi dice che è sul divano accanto a lei.

Chi aveva le password del profilo Mark Caltagirone?

Pamela Prati.

Forse è il momento di dire la verità.

Come ne devo uscire? Cosa dico? Che lo abbiamo inventato noi tre?

Io penso che tu ed Eliana gestivate qualche profilo fake, vi divertivate a giocare con identità false. Poi quando avete incrociato Pamela Prati la cosa vi sia sfuggita di mano…

Secondo te dovrei dire questo?

Sì.

Però pensa che figura di merda.

Con queste bugie fai una figura di merda doppia.

Io per fortuna me ne sto andando a Zanzibar. Apro un resort.

Non volevate far male a nessuno, non avete chiesto soldi. Ditelo.

Io non ho bisogno di soldi.

È andata come dico io?

Sì, però un Marco al ristorante è venuto.

Hai creato il personaggio dell’anno.

In effetti sì, c’è il gusto del gelato Caltagirone, le magliette, all’autogrill le signore mi offrono il caffè, mi chiedono se la Prati si sposa.

Pamela è una vittima?

Non lo so con chi chattava, diceva bugie anche a me sul fatto che incontrava questo Mark. Poi io lo sapevo che Pamela era consapevole, il profilo di Mark lo gestiva lei, la password di Mark le ha Pamela. A un certo punto ha visto che poteva guadagnare e non si è più fermata.

Ammettete le vostre responsabilità e basta.

Io ne parlo con gli avvocati e dirò la verità. Farò un comunicato a Dagospia, ai giornali, io dico che abbiamo cazzeggiato con le password, ma le altre non lo diranno mai.

È la verità?

Più o meno. È stato tutto un gioco, tanto che abbiamo firmato quel documento per non confessarlo. Inutile ora andare in tv a fare le vittime. Io l’ho detto a Eliana: ma tu pensi di ripulirti?

Eliana però qualche disagio lo mostra.

Se qualcuno vuole il bene di Eliana, non la inviti più in tv. Io non ci vado. Ho chiesto tramite l’avvocato di non crearmi più stati d’ansia con puntate su di me, ho allegato il certificato medico.

Ti senti più libera dopo aver detto queste cose?

Sì, molto.

Doppio lavoro, i finanzieri segnalano 7 docenti universitari

Arrotondavano, di molto, lo stipendio di docenti universitari fornendo consulenze per imprese e professionisti privati. Un doppio lavoro illegale per cui sette professori delle facoltà di Architettura e Ingegneria dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” sono stati segnalati per danno erariale dalla Guardia di finanza di Caserta alla Procura regionale della Corte dei Conti della Campania. Secondo gli investigatori, i docenti hanno percepito per le attività private non autorizzate più di 1,6 milioni di euro. C’è il caso di un professore napoletano che ha fatturato oltre un milione di euro svolgendo consulenze per importanti società petrolifere del casertano attive nel ciclo dei rifiuti, poi un docente milanese che , invece, ha svolto incarichi per ben 22 diversi committenti privati. La Guardia di Finanza, inoltre, ha contestato sanzioni amministrative per oltre 2,5 milioni di euro a 51 soggetti, tra imprese e professionisti, che hanno beneficiato delle consulenze dei professori. Dei commettenti multati, 24 hanno già pagato la sanzione. L’indagine è solo una parte dell’operazione nazionale “Magistri”, svolta dal Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Finanza.

Mercatone Uno, l’obiettivo ora è la cassa integrazione

“L’obiettivo minimo da attuare subito è la cassa integrazione straordinaria per i lavoratori. Il tribunale di Bologna deve però autorizzare la procedura e riprendere l’esercizio provvisorio il prima possibile, così da consentire il ricorso agli ammortizzatori sociali”. Questo, al termine del tavolo che si è svolto ieri presso il ministero dello Sviluppo economico, è l’imminente futuro prospettato dal ministro Luigi Di Maio ai 1.800 dipendenti dei 55 punti vendita di Mercatone rimasti senza lavoro dalla sera alla mattina di sabato scorso. Il nuovo round ci sarà dopodomani 30 maggio, quando torneranno a sedersi insieme ministro, curatori fallimentari della Shernon Holding Srl di Valdero Rigoni (controllata al 100% dalla maltese Star Alliance Limited) che la scorsa estate ha rilevato Mercatone Uno, sindacati e creditori (quest’ultimi ieri sono stati esclusi dal confronto), perché – ha assicurato Di Maio “ce la metteremo tutta”. Poi, subito dopo, partirà “la fase di reindustrializzazione per dare un futuro certo ai dipendenti”. Rassicurazioni che sono arrivate anche fuori dal ministero, dove per tutta la giornata si è svolto un presidio dei lavoratori.

Eppure appena sei fa Valdero Rigoni ostentava ottimismo sul futuro della catena attiva nella grande distribuzione di mobili promettendo 25 milioni di investimenti e il raddoppio dei ricavi entro il 2022. Ma il gruppo intanto perdeva più di 5 milioni al mese, accumulando 90 milioni di debiti in 9 mesi e il 23 maggio è stata dichiarata fallita (per la seconda volta in quattro anni) senza darne informazione alcuna. In mezzo ci sono la richiesta di cassa integrazione straordinaria per una parte dei lavoratori, la domanda di ammissione al concordato preventivo e il miraggio di presunti investitori interessati a ricapitalizzare l’azienda. Una matassa in cui sono rimasti impigliati più di 1.800 lavoratori e 500 imprese fornitrici, con altri 10 mila dipendenti, che ora aspettano dal governo di trovare al più presto un nuovo investitore, preferibilmente italiano, disposto a entrare nella partita.

Una vicenda che il segretario della Cgil, Maurizio Landini, vede come “uno schiaffo anche al governo e al Mise che per due mesi si sono presi impegni a presentare piani industriali che non hanno mai presentato”. Per il segretario Uiltucs Stefano Franzoni il tema è la ricerca di nuovi acquirenti: “I commissari apriranno una nuova fase di selezione, cercando di evitare una soluzione spezzatino”. Dal canto loro le Regioni coinvolte premono sul governo affinché “riavvi l’amministrazione straordinaria, fondamentale per attivare gli ammortizzatori sociali e chieda la possibilità di attivare la gestione transitoria per mantenere il livello occupazionale e il valore dei punti vendita”, sottolinea l’assessore regionale alle Attività produttive dell’Emilia-Romagna Palma Costi. Anche le associazioni dei consumatori chiedono di essere presenti al tavolo di giovedì “per rappresentare i clienti rimasti beffati da Mercatone Uno”.

Fazio “traslocato” su Rai2 e niente più puntata del lunedì

Fabio Fazio trasloca su Rai2. Che tempo che fa nella prossima stagione andrà in onda sempre la domenica in prima serata, ma sul secondo canale. Mentre non ci sarà l’appuntamento del lunedì in seconda serata, Che fuori tempo che fa. Fonti Rai non escludono però l’impegno di Fazio per qualche prima serata e un preserale che faccia da anteprima la domenica. L’accordo è arrivato dopo un incontro di ben 7 ore, ieri a Milano, tra il conduttore e il direttore di rete, Carlo Freccero. Che si è messo a disposizione dell’azienda per risolvere la questione e si è detto “molto soddisfatto”. Incontro che ha fatto seguito a quello tra Fazio e l’ad Fabrizio Salini. Dal punto di vista strettamente politico, però, sembra averla vinta la Lega che, con Matteo Salvini e i suoi in Vigilanza, da tempo chiedeva lo spostamento di Fazio ad altro canale e il ridimensionamento del suo contratto. Col taglio della seconda serata, infatti, verrà ridimensionato pure il compenso (2 milioni e 240 mila euro a stagione) nell’ordine del 20%, col benestare del conduttore. Il contratto di Fazio è blindato da clausole e penali, e solo con il suo assenso può essere modificato.

“Il governo li ha lasciati liberi di fare quello che volevano. Ora cosa si produrrà in Italia?”

Giorgio Airaudo, la Fiom ha già chiesto al governo di

intervenire e di avere chiarimenti sulle nozze Fca-Renault. Vi sta a cuore, è ovvio, l’occupazione. E ieri, il vicepremier e trionfatore delle Europee Salvini, ha in qualche modo risposto alle vostre richieste, ma non come avreste desiderato. È così?

Sì, ha detto che se Fiat cresce è una buona notizia per l’Italia e poi ha aggiunto che se fosse richiesta la presenza istituzionale italiana, sarebbe doveroso esserci. Un po’ poco. L’impressione è che il governo non sapesse nulla di questa operazione e che, ancora una volta, Fca sia stata lasciata libera di fare ciò che voleva.

Eppure John Elkann ha rassicurato: gli stabilimenti italiani non sono in discussione. E il suo ad, Mike Manley, gli ha fatto eco. Non vi basta?

No, perché fare affermazioni generiche sugli stabilimenti, a fusione ancora in corso e senza un piano industriale del nuovo gruppo, è un esercizio inutile. La verità è che, adesso, Fca non ha più alibi, proprio perché si è alleata con Renault.

In che senso?

I francesi sono in grado di fornire al Lingotto piattaforme produttive, soprattutto sul fronte delle auto elettriche e, se si consolidasse il rapporto con Nissan, Fca potrebbe avere scambi importanti anche per quanto riguarda il segmento B delle small car. La fusione consente alla casa italo-statunitense di recuperare un po’ dei suoi ritardi produttivi, su questo non ci sono dubbi. Allora, il governo deve chiedere di sapere dove e che cosa si intende produrre in Italia sfruttando queste opportunità. Fca, a questo punto, non può più nascondersi.

Quali sono gli stabilimenti che preoccupano?

In queste ore tutti parlano di Pomigliano d’Arco, ma io presto molta attenzione a quelli torinesi, a cominciare da Mirafiori. Sono i più a rischio perché sono quelli lasciati più soli in questi anni dall’azienda. Sono scarichi, quasi vuoti, di modelli da produrre e sono obsoleti e sovradimensionati. La questione della 500 elettrica a Mirafiori è emblematica della nuova situazione creatasi con l’annuncio della fusione tra Fca e Renault.

Perché segnala questa contraddizione?

Sull’elettrico Fca era in fortissimo ritardo e aveva anche problemi di mezzi finanziari. Ora l’accordo con i francesi cambia tutto: loro hanno il gioiellino elettrico della Zoe, mentre Nissan produce la Leaf. A questo punto, arriveranno quelle piattaforme in Italia? E il progetto 500 elettrica resterà in piedi o sarà abbandonato? Che fine farà Mirafiori? Ecco le domande che Conte, Di Maio e Salvini potrebbero porre a Elkann.

Qualcuno potrebbe accusarvi di saper sempre e solo criticare. Il comunicato ufficiale di Fca non lo fa, ma quelle parole sugli stabilimenti italiani sembrano destinate a voi.

Guardi, noi non vogliamo dare lezioni di strategie industriali e finanziarie. Diciamo che l’intesa salva Renault, terrorizzata dal rischio di trovarsi sola dopo un’eventuale rottura con Nissan, mentre fa gongolare gli azionisti Agnelli che staccheranno per la seconda volta in due mesi una cedola straordinaria. Infine, la figura più bella la fa Goldman Sachs che ha condotto le trattative. Ma perché l’Italia possa sentirsi davvero rassicurata, servono e subito garanzie su come ciò che di buono arriverà dalla Francia e dal Giappone sarà immesso nel Paese. Altrimenti, sarà tutta un’altra storia.

Quale?

Di Renault che riesce finalmente ad approdare nel mercato Usa grazie a Chrysler e di Fca che, sempre che regga l’alleanza con Nissan, riuscirebbe ad affacciarsi sui mercati asiatici. Io mi aspetto invece che Salvini, ma anche il neoeletto governatore del Piemonte Cirio e la sindaca di Torino Appendino capiscano che un Paese occidentale senza la produzione dell’auto è un Paese più povero”.

Ma c’è il fantasma di Carlos Ghosn dietro l’integrazione

C’è il fantasma di Carlos Ghosn nella fusione tra Fiat Chrysler e Renault. Il manager del gruppo franco-nipponico (Renault controlla il 43% di Nissan, con diritto di voto, mentre quella detiene il 15% della società francese, ma senza diritti di voto) è stato arrestato lo scorso novembre in Giappone con l’accusa di essersi impadronito di fondi del gruppo e di aver nascosto i propri compensi. Ma si è sempre difeso additando un presunto “complotto” giapponese, in particolare diretto dal Direttore generale della Nissan, Hiroto Saikawa, colpevole di volerlo fare fuori per indebolire la presa di Losange sull’intero gruppo.

Dietro quella vicenda potrebbe esser maturata l’ipotesi di un’alleanza inedita, tutta europea, diretta contro la tedesca Volkswagen, e per la quale i buoni rapporti tra Italia e Francia sarebbero fondamentali.

Lo schema di governance che ieri la Fca ha proposto a Renault, non casualmente, quindi, non prevede una presenza nipponica. Alla presidenza della futura società, anch’essa accasata in Olanda per ragioni fiscali, come del resto Fca, andrebbe John Elkann, mentre l’attuale presidente di Renault, Jean-Dominique Senard, assumerebbe l’incarico di direttore generale. Niente invece per Sikawa che, a mezzo stampa ha lasciato trapelare lo “scetticismo” della Nissan per un’operazione in cui siederebbe da ospite nel futuro Consiglio di amministrazione.

Il caso Ghosn aveva evidenziato la crisi del processo di integrazione tra Renault e Nissan distanziando i due gruppi. Quando Ghosn è stato arrestato, per ben due volte, il gruppo dirigente di Losange non ha creduto alle sue colpe. E anche se la nomina di Senard, industriale rinomato per l’integrità e la visione “sociale” dell’impresa, ha rappresentato un segnale di inversione di tendenza rispetto al periodo di “Magno Carlos” come veniva etichettato dalla stampa economica, la distanza rispetto alle supposte manovre di Saikawa, è rimasta intatta. Non è un caso che Renault non abbia voluto prendere visione del dossier contro Ghosn preparato a suo tempo da Nissan e abbia delegato tutta la materia agli avvocati.

Il problema era stato già evidenziato dallo stesso Ghosn nel libro Citoyen du monde del 2003: “Renault e Nissan restano con ogni evidenza due imprese separate” scriveva il manager e “la loro alleanza ha permesso di ridurre i costi e di ritrovare la redditività, è economicamente razionale”. Per poi continuare: “Ma il fatto che i risultati di Nissan, di gran lunga migliori di quelli di Renault, non si siano tradotti in un ruolo più ampio dei giapponesi nell’alleanza, ha visibilmente creato delle frustrazioni”. Dopo di che invitava a scommettere “sull’identità di impresa e non sull’identità nazionale”. Un’idea figlia della globalizzazione che probabilmente si è scontrata con il ritorno del peso nazionale in epoca di crisi come quella attuale.

Non è chiaro se per Nissan l’evoluzione in atto sia in fondo preferibile a una “identità di impresa” ancora più marcata e internazionale come quella costituita da una fusione globale. I tre marchi, Renault, Nissan e Fca, produrrebbero 15,6 milioni di vetture all’anno, molto al di sopra della Volkswagen che si attesta a 10,8 milioni. Si tratterebbe del primo gruppo mondiale e di una svolta senza precedenti nel mercato dell’automobile, del capitalismo internazionale e delle relazioni tra famiglie e Stati.

Senza Nissan, come sembra che voglia affermare il documento presentato ieri da Fca, il gruppo sarebbe il terzo a livello globale, una differenza non piccola che, però, sembra essere messa nel conto dai due contraenti.

Fca si concede alla Francia. L’ok alla fusione con Renault

La fusione vera e propria non c’è ancora, ma sarà definita nei prossimi mesi. Ieri Fca ha scritto la lettera di proposta ai francesi di Renault e da Parigi è arrivato il primo ok che adesso dovrà attivare le lunghe procedure di ratifica. Così, i risultati già evidenti e quelli futuri hanno sfumature contrastanti e affidate alle prossime mosse.

A partire dai titoli dei due contraenti, balzati nella Borsa di Milano e in quella di Parigi al 19 per cento (Fca) e al 15 per cento (Renault). Nello stesso tempo, in Italia, invece di un intervento del governo sul tema dell’occupazione negli stabilimenti di Fca, ha cominciato piuttosto a far discutere la partecipazione dello Stato francese nel capitale di Fca, spingendo il leghista Claudio Borghi, presidente della Commissione bilancio della Camera, ad affermare che un eventuale ingresso pubblico “sarebbe un’idea”, mentre Matteo Salvini ha parlato di una più enigmatica “presenza istituzionale italiana: se fosse richiesta, sarebbe doveroso esserci”.

L’accordo, per ora riguarda solo Fca e Renault e lascia fuori Nissan e Mitsubishi, alleate dei francesi. Nascerà così il terzo gruppo automobilistico mondiale (invece del primo, che avrebbe bisogno di includere anche i giapponesi) con oltre otto milioni di vetture vendute in un anno, e la nuova società salirà al quarto posto nel mercato Usa, al secondo in quello europeo e al primo posto in America Latina.

Lo stallo dei rapporti con Nissan, comunque, non è una questione da poco e domani, a Tokyo, sono previsti il cda e la risposta dei giapponesi. I contrasti con Renault, seguiti all’arresto ordinato dai magistrati nipponici dell’ex ad Carlos Ghosn, potrebbero a questo punto deflagrare del tutto oppure essere ridimensionati dall’eventuale interesse anche di Nissan alla fusione. Ieri, nella sua lettera ai dipendenti, l’ad di Fca Mike Manley si augurava: “Non vediamo l’ora di coinvolgerli”. I giapponesi, invece, prendono tempo, dicendosi “aperti” a soluzioni che “rafforzino” l’alleanza: ma tutto dipenderà dalle scelte di domani.

L’altro dato che colpisce è il dividendo straordinario che, in seguito all’accordo, si spartiranno i soci di Fca: oltre 2 miliardi e mezzo di euro, dopo i due miliardi già varati all’inizio del mese, anche come frutto della cessione di Magneti Marelli. Un’operazione resasi necessaria per consentire alla nuova capogruppo, che avrà sede in Olanda (con quotazioni a Milano, Parigi e New York) di ripartire in due quote del 50 per cento il proprio controllo, affidato in parti uguali agli azionisti di Fca e a quelli di Renault. A questo scopo, per attenuare il divario azionario tra le due aziende, si è deciso il nuovo e ingente dividendo, cui potrebbe seguire anche lo spin-off di Comau (valutato in 250 milioni di nuovo dividendo se non dovesse andare in porto).

Quanto agli assetti, il maggiore azionista di Fca-Renault sarà Exor, la holding del gruppo Agnelli, con circa il 13% del capitale, seguita nella diluizione dagli azionisti della casa del Diamante, il governo francese e i giapponesi di Nissan, con circa il 7% ciascuno. I fondi nel capitale dei costruttori si diluirebbero tra il 3% e il 2%, mentre ai tedeschi di Daimler rimarrebbe l’1%. Nel consiglio d’amministrazione, le due società che entrano nella fusione avrebbero quattro posti ciascuno, mentre solo uno, nell’attuale progetto, è previsto per Nissan.

Sul fronte italiano, come se le dichiarazioni di Elkann fossero comunque una garanzia assoluta, “Non chiuderemo stabilimenti in Italia: queste sono operazioni che fanno bene al Paese”, il dibattito sembra aver già archiviato gli allarmi sindacali sul fronte occupazionale e si è subito spostato invece sul tema dell’orgoglio nazionale. Con le prime voci, alimentate dalle dichiarazioni di Borghi e poi di Salvini, su non precisate intenzioni per un ingresso dello Stato italiano nel capitale del nuovo gruppo, in parallelo a quello ormai storico francese.

E mentre qualcuno ha cominciato a vociferare addirittura di un coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti, dagli analisti del settore automobilistico sono arrivare le prime docce fredde: “Chi nel governo o nella maggioranza immagina simili scenari, dovrebbe riflettere che per acquistare pacchetti azionari occorrono capitali ingenti. Un tre per cento del nuovo gruppo automobilistico potrebbe costare tra i due e i tre miliardi di euro. Dove può trovarli lo Stato italiano?”

 

 

La Scheda

Numeri e previsioni

Il gruppo che nascerà dalla fusione proposta da Fca a Renault sarà il terzo più grande costruttore, con 8,7 milioni di veicoli, dopo Volkswagen e Toyota, ma avanti a General Motors. Se l’alleanza venisse in seguito estesa a Nissan e Mitsubishi, attualmente al quinto posto della classifica mondiale, il nuovo gruppo balzerebbe al primo posto con 15,6 milioni di vetture.
Le due caseFca e Renault insieme hanno una capitalizzazione di 33 miliardi di euro. Su una semplice base aggregata, che non comprende Nissan-Mitsubishi, sulla base dei risultati 2018, i ricavi ammontano a quasi 170 miliardi di euro a fronte dei 235,8 miliardi del gruppo Volkswagen. L’utile operativo supererebbe i 10 miliardi e l’utile netto sarebbe di oltre 8 miliardi, mentre quelli della casa di Wolfsburg sono pari rispettivamente a 17,1 miliardi e 4,6 miliardi.
Fca ha 200mila dipendenti, 102 stabilimenti in più di 40 Paesi. Ha rapporti commerciali con più di 135 Paesi, 46 centri di ricerca e sviluppo, 13 marchi e investe 3,5 miliardi in ricerca e sviluppo. Renault ha 183 mila dipendenti, 39 stabilimenti, 3 laboratori di innovazione.

Nella notte delle lunghe forchette il Tg2 fa il Tav

E venne la notte delle lunghe forchette. Vespa, Mentana, Porro, SkyTg24, Tg3 ai blocchi di partenza insieme ai loro inviati. Notati, nel folto degli opinionisti, Johnny Riotta (un cow boy fa sempre colpo), Mario Sechi e il suo calepino, Marco Damilano e i suoi spieghini. Tutti con le forchette in mano; chi impugna le classiche da carne emesse dai sondaggi; chi le forchettine da pesce, per sezionare il distacco tra Lega e Cinque Stelle, tra Cinque stelle e Pd… Lo scudetto non è in discussione, ma chi andrà in Champions? E chi dovrà accontentarsi dell’Europa League? Addio indicativo, è la rivincita dei congiuntivi e dei condizionali in libertà. Poi, ogni forchetta inforca il suo boccone preferito. Su Matrix processo ai 5stelle (dalla forchetta alla forca), da Vespa si processa il governo; sul Tg2 già si scava il tunnel del Tav, Sky e Tg3 tentano di darsi un tono internazionale con approfondimenti sulla tenuta europeista, specie in Slovacchia. Dopo mezzanotte, prime reazioni dei politici. Giorgetti espone alla finestra Alberto da Giussano, Salvini espone se stesso su Facebook. I pentastellati, desaparecidos: devono essere tutti a Chi l’ha visto? Con le ore piccole cominciano le defezioni; verso le sei anche Mario Sechi saluta Mentana un po’ come Red Canzian (“mi dispiace, devo andare”). Eppure sarebbe il momento di parlare di fatti, di abbandonare le forchette e di impugnare i coltelli. Finalmente qualcosa di certo. Ma i talk sono come i sogni: finiscono all’alba.

Mail Box

 

Il Movimento verso la Lega, gli elettori scelgono Matteo

Dopo le elezioni politiche del 2018, Movimento 5 Stelle e Lega avevano circa il 51%; oggi, dopo le Europee, continuano a mantenere il 51%. Sempre nel 2018 la sinistra in generale aveva circa il 28% e con le Europee supera di poco il 30%. Dopo le Politiche 2018 il centrodestra aveva poco meno del 20% e adesso raggiunge il 17%. I numeri consentono di sostenere che il centrodestra qualche cosa ha perduto e che l’incremento del Pd è da attribuirsi in larga misura all’aver raccolto i voti di una parte degli elettori di estrema sinistra, visto lo sbarramento del 4%. Infatti nel 2018 l’estrema sinistra aveva quasi il 5% mentre ora supera di poco il 2.5%. Possiamo allora concludere che il vero travaso di voti è avvenuto da 5Stelle a Lega, mentre è trascurabile il passaggio da 5Stelle a Pd.

Marcello Scalzo

 

Lo Stato “imprenditore” frena lo sviluppo

Durante la campagna elettorale tanti politici hanno sostenuto che la ripresa si ottiene solo grazie a imponenti investimenti pubblici. Nulla di più sbagliato. Arriverà solo se saremo liberi di fare business: non è mai accaduto che lo Stato imprenditore fosse utile. Negli Usa Elon Musk lancia in orbita satelliti per offrire Internet iperveloce in ogni luogo della Terra. Lo può fare, glielo permettono. Mi metto nei panni di un imprenditore italiano che avesse avuto la stessa idea. Anche ammesso che fosse riuscito a trovare i fondi necessari, ottenere le autorizzazioni e convincere la burocrazia sarebbe stata una impresa da fantascienza.

Nunzia May

 

Addio a Vittorio Zucconi che dava voce al mondo

Vittorio Zucconi mi piaceva. Parlava diretto, con lealtà e spessore. C’era tanto mondo nella sua storia. Parlava dei grandi, ma nelle sue parole c’era anche l’umore della gente. Zucconi era anche un buon commentatore politico. Andava al sodo. Nei dibattiti replicava con parole abrasive, spesso ironiche, mai arroganti. In radio lo trovavo meno incisivo, come se non gradisse parlar da solo, senza qualcuno da guardare negli occhi. Se ne va così, con un flash d’agenzia, in una domenica piovosa. Ma io sento i suoi ragionamenti ormai parte del mio quotidiano.

Massimo Marnetto

 

DIRITTO DI REPLICA

In relazione alle notizie pubblicate su alcuni quotidiani nazionali su un asserito collegamento tra un pagamento effettuato da Eni Trading Shipping a Napag per la fornitura di HDPE e il filone sul depistaggio e finto complotto sull’ad Eni De Scalzi, il sig. Mazzagatti Francesco intende smentire categoricamente le infondate ipotesi investigative relative alla medesima Napag Italia S.r.l. (socio unico Napag Trading Ltd facente capo a Francesco Mazzagatti ed alla consorte Nadia Faisal Ali Al Matrook), ribadendo la piena correttezza dell’operato imprenditoriale e la assoluta estraneità della Napag Italia Srl sia a cointeressenze con l’Avv. Amara (che non alcuna partecipazione, né diretta né indiretta nella Napag) sia ad inesistenti collegamenti con le vicende interne a Eni.

La Napag Italia Srl è una società che opera nel campo del trading oil & gas ed ha rapporti con i più importanti partners commerciali del settore, e quindi anche con società del Gruppo Eni.

Per come facilmente documentabile, e per come certo emergerà in esito agli accertamenti in corso, la Napag Italia S.r.l. ha invero intrattenuto numerosi e legittimi rapporti commerciali con società del Gruppo Eni, documentalmente dimostrabili, ed aventi ad oggetto effettive operazioni di trading nel settore dell’Oil & Gas in relazione alle quali la compagnia petrolifera italiana (Eni) ha peraltro sempre percepito utili economici importanti.

Nello specifico, tutte le transazioni intercorse con E.T.S. si riferiscono a operazioni commerciali effettive, comprovate dalla relativa documentazione (corrispondenza relativa alle trattative intercorse, fatture, documenti di trasporto, verifiche bancarie, controlli doganali, certificazioni di qualità e quantità del prodotto, attestazioni di pagamento, successive transazioni e quant’altro) e legittimamente adottate nel pieno rispetto delle ordinarie procedure societarie. Le suddette operazioni commerciali, quindi, non sono e non possono essere, né direttamente né indirettamente, riconducibili alla persona dell’Avv. Amara né possono costituire, in alcuna misura, veicolo per movimentazioni finanziarie sospette come tali estranee all’operato della Napag Italia Srl Pertanto, la Napag Italia Srl, pur rimanendo a disposizione dell’autorità giudiziaria per fornire qualsiasi chiarimento in ordine alla attività svolta nel massimo rispetto delle norme e delle consuetudini, si riserva di tutelare la propria immagine e reputazione nelle sedi competenti con riguardo alle notizie non corrispondenti al vero pubblicate in questi giorni.

Avv. Roberto Ripepi

 

“Il Fatto” prende atto della precisazione. Ci siamo limitati a riportare le ipotesi delle Procure di Roma e Milano. Prima delle due pubblicazioni, per conoscere la versione del signor Mazzagatti, abbiamo provato più volte a contattarlo, sia telefonicamente sia recandoci nella sede romana di Napag. In entrambi i casi non abbiamo ricevuto risposta. Siamo disponibili in ogni momento a riportare il punto di vista del signor Mazzagatti.

Saul Caia