Matteo Salvini aveva promesso che il giorno dopo le elezioni l’Unione sarebbe cambiata. Anche nei commenti alla vittoria della Lega continua ad annunciare imminenti svolte nel modo in cui l’Ue applica le regole di bilancio. Al momento, però, c’è soltanto l’indiscrezione di Bloomberg sul fatto che il 5 giugno la Commissione europea è pronta a fare il primo passo per aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per l’eccesso di debito nel 2018. Il rischio è una sanzione da 3,5 miliardi di euro, se il governo non si adeguerà alle richieste. L’attuale Commissione Ue, quella guidata da Jean Claude Juncker e con Pierre Moscovici agli Affari economici, resterà ancora qualche mese e gestirà il tutto. Pur se scaduta, pare quasi rafforzata da un voto che ha visto frenare i partiti euroscettici (con l’eccezione della Lega) e che ha delineato un Parlamento europeo non troppo diverso da quello attuale. Con una maggioranza probabile tra Socialisti, Popolari e Liberali con i sovranisti ai margini.
L’avviso della possibile procedura d’infrazione arriverebbe il 5 giugno assieme alle raccomandazioni specifiche per ogni Paese, da discutere e votare nel Consiglio europeo del 20 giugno. L’Italia verde di Salvini dovrà quindi approvare raccomandazioni che già incorporeranno la contestazione sul debito e indicheranno i passi da fare per i prossimi due anni. Sulla base di quelle, andrà impostata la legge di Bilancio in autunno: l’attenzione dei mercati, pur bendisposti verso la Lega, sarà massima. Difficile replicare lo schema dello scorso anno, con il premier Giuseppe Conte che approva a Bruxelles le raccomandazioni e poi in Italia vara una legge di Bilancio che non le rispetta. Già ieri lo spread, placido fino a metà pomeriggio, è balzato a 280 punti alla notizia della possibile procedura d’infrazione.
La Lega di Salvini è piuttosto isolata nella nuova Unione: può contare giusto sulla sponda di Viktor Orbán, almeno finché il leader ungherese non deciderà di rientrare in quel Ppe da cui è sospeso. Orbán ha rafforzato il suo potere individuale minacciando di creare un gruppo alla destra dei popolari, ma i risultati elettorali rendono questo scenario assai poco plausibile. Di altri alleati Salvini non ne avrà. Men che meno nel chiedere revisioni delle regole di bilancio.
L’asse mediterraneo che negli anni della crisi si è contrapposto a quello dei Paesi nordici guidati dalla Germania si sta frantumando. La Grecia andrà a nuove elezioni: dopo la sinistra di Alexis Tsipras si profila un ritorno al potere di Nuova democrazia, il centrodestra. I mercati gradiscono, il costo del debito a dieci anni scende intorno al 3 per cento (l’Italia non è lontana, con il suo 2,6). Passati gli anni dei sacrifici, il centrodestra ellenico si prepara a beneficiare dei frutti di una crescita attesa per il 2019 al 2,2 per cento, con un bilancio quasi in pareggio. Ad Atene nessuno vuole ingaggiare battaglie contro un’austerità che i greci sperano di essersi lasciati alle spalle.
Lo stesso vale per Spagna e Portogallo, due Paesi a guida socialista ma un tempo (lontano) a fianco dell’Italia contro l’eccessivo rigore contabile. La Spagna cresce al 2,1 per cento, ha un deficit sotto controllo al 2,3 e soprattutto ha un premier socialista, Pedro Sánchez, che ha vinto contro gli inciuci domestici tra Psoe e Partido popular. Mai richiederebbe il suo capitale politico per tentare un’intesa con un Paese guidato dalla destra di Salvini. In queste ore, invece, sta negoziando con la Francia di Emmanuel Macron per far pesare il Psoe nel grande gioco delle nomine di vertice europee. Un gioco da cui Salvini è escluso.
La Spagna, inoltre, pur essendo ancora sotto procedura d’infrazione per deficit, è l’esempio virtuoso citato dalla Germania per dimostrare che la combinazione tra vincolo esterno (il fondo Salva Stati che ha evitato il tracollo del settore del credito) e riforme strutturali funziona. Stesso discorso per il Portogallo, crescita dell’1,7 per cento nel 2019 e deficit basso, allo 0,4. Il socialista Antonio Costa, forte del suo 33,4 per cento, si sta battendo perché il duro percorso di riforme e tagli non venga dissipato al primo ritorno alla normalità: in ottobre ha le elezioni politiche e il suo messaggio è che si può “voltare pagina” dopo l’austerità senza sfasciare i conti. Di sicuro non sarà un sostegno per Salvini, che vuole invece difendere il diritto ad avere più deficit per evitare un aumento dell’Iva già deliberato (23 miliardi) senza fare le riforme strutturali.
C’è poi il dettaglio che i vincoli europei sono stati trasformati in leggi italiane e inseriti in Costituzione (articolo 81). Avviare un dibattito sulla riforma dei trattati Ue non produrrebbe effetti senza modificare le leggi italiane. Ma mettervi mano subito significa dare ai mercati il messaggio che l’Italia vuole fare ancora più debito e più deficit. Se Salvini e Conte ci proveranno, la reazione non sarà indolore.