Dal Conticidio al governo Draghi. A destra, l’ascesa della Meloni

 

Draghi L’ex Bce “aggiustatutto” tra due palazzi

Ha gestito l’emergenza Covid, ma vuole andare via ora che Omicron introduce variabili tutte da capire. Ha avviato il Pnnr, ma pensa di lasciare ad altri il compito di spendere le risorse. Ha tenuto sotto controllo le tensioni di una maggioranza innaturale, ma ha rimandato molte delle scelte più complicate (dal fisco alle concessioni balneari alle pensioni). Mario Draghi ha governato grazie alla sua autorevolezza, ma con esiti sopravvalutati. Ora che molti nodi sono venuti al pettine, tenta la fuga al Colle. La partita è da giocare, l’azzardo è calcolato, l’esito dirà qualcosa di più sulla sua capacità di leadership anche politica.

VOTO: 7

Mattarella Quel mistero del conticidio

Sul capo dello Stato pesa il mistero mai chiarito della crisi del Conte-2: perché minacciò solo a parole le urne anticipate contro lo strappo di Renzi, convocando infine al Quirinale, senza indugio alcuno, Draghi? Detto questo, il bilancio di Sergio Mattarella in questo ultimo anno pieno del suo settennato (che scadrà il 3 febbraio prossimo) è al di sopra della media, come dimostrano le numerose richieste di un secondo mandato, tutte respinte al mittente. E proprio perché tra poco andrà via, a Mattarella va riconosciuto di aver riportato il Colle in una dimensione normale dopo i nove anni della monarchia di Re Giorgio.
VOTO: 7

 

Letta Tornato dall’esilio, ora galleggia Bene

Eletto segretario del Pd come salvatore della Patria, Enrico Letta è andato avanti più per inerzia fortunata che per scelte incisive. Ha vinto le Amministrative, anche se i candidati non erano quelli che avrebbe voluto, ha mantenuto il dialogo con Giuseppe Conte, anche se l’alleanza strutturale con i 5S è un’incognita e l’Ulivo 2.0 un’utopia, ha silenziato le correnti dem, che però tramano nell’ombra, ha deluso Draghi che si aspettava da lui un appoggio più solido, ma senza porsi neanche come un’alternativa. Si prepara al Colle giocando la carta apparentemente più indolore (il premier). Galleggia fino a prova contraria.
VOTO: 6,5

 

Conte Premier e capo 5S: L’anno dei due giuseppi

Nel ruolo di presidente del Consiglio l’avvocato si era trovato subito a suo agio, stupendo quasi tutti. Invece da leader politico sta ancora imparando, anche dai suoi non pochi errori. All’alba di quest’anno l’hanno disarcionato da Palazzo Chigi, proprio lui, il premier (voto 7,5) che ha retto il governo durante la crisi senza precedenti della pandemia e che ha portato a casa i miliardi del Pnrr. Da presidente dei 5S (voto 5,5) è un’altra storia, paradossalmente più complicata, perché fatica a trovare il passo. E il dualismo con Di Maio e la frattura mai sanata davvero con Beppe Grillo spiegano solo in parte l’avvio incerto.

VOTO: 6,5

 

Berlusconi è un pregiudicato e vuole il colle

Incredibile. Dopo una “carriera” politica segnata da: condanne, processi e inchieste giudiziarie; scandali a luci rosse per la sua insaziabile satiriasi; leggi e lodi ad personam precettando il potere esecutivo e quello legislativo; amicizie contra legem, su tutti Dell’Utri (mafia) e Previti (corruzione giudiziaria); protezione del suo conflitto d’interessi con la complicità del centrosinistra; figuracce internazionali a colpi di corna e gaffe varie; Silvio Berlusconi si è candidato di fatto al Quirinale e la maggior parte dell’opinione pubblica ne discute come di una cosa normale, relegando nell’oblio il passato. Un capolavoro vero.
VOTO: 10

 

Meloni la nuova leader a destra: obiettivo chigi

Il 2021 è stato l’anno della sua consacrazione. Non è più la giovane ministra della Gioventù oppressa dalle ambizioni dei “padri” (Berlusconi e Fini): ora l’establishment accorre alla sua corte (vedere Atreju). Unico partito di opposizione a Draghi, FdI è passato dal 15 al 20% superando la Lega e diventando primo/secondo partito d’Italia. A settembre sono arrivate le polemiche sulle scorie neofasciste in FdI (Jonghi Lavarini-Fidanza). Qualcuno chiede a Meloni una nuova svolta di Fiuggi. Un’abiura del fascismo. Lei fa spallucce. La prova di maturità sarà il governo. Con l’incognita di una classe dirigente ancora troppo fragile.
VOTO: 8

 

Fedriga La lega governista che dimezza salvini

Il 2021 è stato l’anno della sua consacrazione. Non è più la giovane ministra della Gioventù oppressa dalle ambizioni dei “padri” (Berlusconi e Fini): ora l’establishment accorre alla sua corte (vedere Atreju). Unico partito di opposizione a Draghi, FdI è passato dal 15 al 20% superando la Lega e diventando primo/secondo partito d’Italia. A settembre sono arrivate le polemiche sulle scorie neofasciste in FdI (Jonghi Lavarini-Fidanza). Qualcuno chiede a Meloni una nuova svolta di Fiuggi. Un’abiura del fascismo. Lei fa spallucce. La prova di maturità sarà il governo. Con l’incognita di una classe dirigente ancora troppo fragile.
VOTO: 8

 

Cartabia Sogna tutto, ma ha fatto disastri

Lo hanno sconfessato, quasi messo da parte. Su vaccini, Green pass, nuove chiusure. A Giancarlo Giorgetti è bastata una battuta per silenziare Matteo Salvini (“è come Bud Spencer”), mentre Massimiliano Fedriga si è messo alla guida dei Presidenti del Nord e viene visto come il prossimo leader della Lega. Il segretario soffre di sindrome dell’accerchiamento e ripete: “La Lega c’est moi”. Ma Fedriga e Giorgetti una cosa l’hanno già ottenuta: hanno messo in discussione il capo e poi hanno imposto la linea sulla pandemia. Il 2022 sarà l’anno del congresso. L’ostacolo di Fedriga&C.? I voti. A livello nazionale ne hanno ben pochi.
VOTO: 6

 

Renzi L’Arabia e le inchieste: Iv sotto schiaffo

Uno virgola sei per cento è il minimo storico a cui Ixé inchioda Iv. Renzi è indagato per finanziamento illecito a Firenze (inchiesta Open) e a Roma (per il documentario di Presta). L’ex premier chiede che la Consulta dichiari illegittima l’inchiesta fiorentina. Il 2021 si apre con l’incontro all’Autogrill con lo 007 Mancini e con l’elogio al Nuovo Rinascimento saudita di Bin Salman. Emerge che Renzi ha preso soldi dal governo arabo e che è stipendiato da un Istituto legato alla famiglia reale. Si scopre pure che nel 2017 il suo staff teorizzò una campagna per “distruggere la reputazione” del Fatto e del M5S.

VOTO: 1,6

 

Tabacci il finto “responsabile” ultrà draghista

Non può prendere meno di 8, Bruno Tabacci, come le legislature (per ora) nella sua immarcescibile carriera: 6 alla Camera, un altro paio in Lombardia (della quale è stato pure presidente alla fine dei lontani anni 80). E chi lo ammazza (politicamente, s’intende)? Si era accreditato come procacciatore di “responsabili” per salvare Conte, missione impossibile. Poi – puf! – eccolo giurare da sottosegretario con l’amico Draghi. Certo, c’è stato l’imbarazzo per il figlio assunto in Leonardo, un bel conflitto d’interessi (il papà aveva la delega allo Spazio e all’Aerospazio). Ma Bruno, penitente, le ha mollate. E tutto è perdonato.

VOTO: 8

Morto un lodo se ne fanno 4. Casa Scajola a sua insaputa

2009, 5 ottobre. Il giudice civile di Milano Raimondo Mesiano condanna Fininvest e Silvio Berlusconi a risarcire 750 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti per lo scippo della Mondadori (cifra poi ridotta in appello a 560 milioni) e definisce il premier “corresponsabile nella corruzione” del giudice Metta da parte di Previti. Mesiano viene linciato dai giornali berlusconiani e pedinato da una troupe Mediaset che irride ai suoi calzini turchesi.

6 ottobre. È il giorno della sentenza della Consulta sul “lodo” Alfano. Il Cavaliere per vincere la partita le ha provate tutte. Ha persino partecipato a una cena con due giudici costituzionali, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano. Intanto – come si scoprirà nel 2010 – la loggia P3 con gli amici Marcello Dell’Utri, Denis Verdini e Flavio Carboni (faccendiere massone e pregiudicato per la bancarotta dell’Ambrosiano) si attiva in ogni modo per condizionare i supremi giudici. Ma invano: la Corte boccia la Alfano in quanto incostituzionale, smentendo Napolitano che l’aveva firmata garantendone la legittimità. I processi al premier sui casi Mills e Mediaset ripartono. E la maggioranza cerca affannosamente una soluzione per bloccarli di nuovo, con altre quattro leggi ad personam. Tenta di trasformare il “lodo” appena bocciato in una legge costituzionale (che però richiede tempi troppo lunghi e verrà subito accantonata). S’inventa la legge sul “processo breve”, che estingue i dibattimenti se durano più di 3 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio alla sentenza di primo grado, più di 2 anni da quella di primo grado a quella di secondo, e più di 1 anno e mezzo da quella d’appello a quella di Cassazione: proprio il caso dei processi Mills e Mediaset (ma la norma, devastante per i suoi effetti criminogeni, allarma anche il Quirinale e verrà approvata solo dal Senato: la copierà pari pari, peggiorandola un po’, nel 2021 la ministra Marta Cartabia nel governo Draghi). Ci prova con la “prescrizione breve”, che accorcia vieppiù i termini di estinzione dei reati per gli incensurati, come se non bastassero gli effetti rovinosi dell’ex Cirielli (ma Fini e Bossi la bloccheranno). Alla fine si opta per il “legittimo impedimento”: una norma ordinaria che consente ai membri del governo di addurre impegni governativi ai Tribunali per non comparire in udienza per 6 mesi di seguito, prorogabili fino a un massimo di 18, senza che il giudice li possa verificare o contestare. Basterà la dichiarazione scritta di un segretario di Palazzo Chigi per sospendere i processi al premier e ai suoi ministri per un anno e mezzo. La legge inizia il suo iter in Parlamento e verrà approvata nel 2020.

2 ottobre. Il terzo “scudo fiscale” del ministro Giulio Tremonti, varato dal governo a luglio, viene convertito in legge dalla Camera grazie alle decisive assenze nelle file della cosiddetta opposizione di centrosinistra (che, a ranghi compatti, avrebbe battuto la maggioranza piena di assenti e neutralizzato il decreto). Napolitano, incurante dell’appello lanciato dal neonato Fatto Quotidiano e sottoscritto da 80mila cittadini, lo firma all’istante. Così chi ha depositato capitali all’estero senza pagare le tasse, o li ha accumulati con traffici criminali o tangenti può depositarli presso una banca italiana che funge da “intermediario” e trattiene una modica tassa del 5% (il 50% dei soli interessi: il capitale è esente). Oltre a risparmiare un 40-45% di imposte, l’evasore rimane anonimo e può spendere i suoi capitali sporchi come gli pare, senza più rischiare accertamenti, ispezioni, sanzioni. Non solo per il denaro, ma anche per ville, yacht e beni di lusso in generale, che ovviamente restano all’estero. Una gigantesca operazione di riciclaggio di Stato del denaro sporco, che cancella anche tutti i reati finanziari, contabili e tributari. E le banche intermediarie non sono più tenute a segnalare le operazioni sospette per l’antiriciclaggio. Ultima delizia: i milioni rimpatriati potranno essere reinvestiti in titoli, azioni e strumenti finanziari. Cioè tornare all’estero. Alla fine rientreranno poco più di 100 miliardi, ma lo Stato ne incasserà appena 5: una miseria, se si pensa che nel 2008 abrogando l’Ici sopra i 100mila euro il governo ha rinunciato a 4 miliardi l’anno, e altri 4 li ha buttati per cedere a prezzi stracciati la parte sana di Alitalia a un gruppo di finanzieri (presunti “capitani coraggiosi”) guidati da Roberto Colaninno, scaricando le perdite sulla collettività. Il tutto nel primo biennio della più grave crisi finanziaria internazionale dal dopoguerra, che solo il governo italiano si ostina a negare e a non affrontare.

4 ottobre. Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, nella festività di San Francesco d’Assisi, fondano a Milano il MoVimento 5 Stelle.

5 dicembre. Il “Popolo Viola”, figlio dei Girotondi, animato da figure come Gianfranco Mascia (l’attivista che nel 1994 fondò il movimento Boicotta Biscione Bo.Bi. e fu brutalmente aggredito da un commando mascherato), organizza a Roma il “No Berlusconi Day”: una manifestazione per chiedere le dimissioni di Berlusconi.

10 dicembre. I giudici di Napoli chiedono di poter arrestare Nicola Cosentino, sottosegretario all’Economia e presidente del Cipe, per concorso esterno in associazione camorristica col clan dei Casalesi. Ma la Camera lo salva con 360 No (centrodestra, metà Udc, i radicali del Pd e l’Api di Rutelli).

2010, 10 febbraio. Blitz della Procura di Firenze contro la “cricca” della Protezione civile: una superlobby di costruttori e alti funzionari dello Stato, protetti da Guido Bertolaso, Denis Verdini e Gianni Letta (quest’ultimo non indagato), che avrebbero pilotato a prezzi gonfiati gli appalti per la ricostruzione post-terremoto in Abruzzo e i “grandi eventi” (dai Mondiali di nuoto al G8 alla Maddalena, poi trasferito L’Aquila). Bertolaso, indagato per gli appalti alla Maddalena e per presunti favori dall’imprenditore Diego Anemone (inclusi “massaggi particolari” al Salaria Sport Village), si dimette da sottosegretario alla Protezione civile (verrà poi assolto). Se ne va anche l’arrestato Angelo Balducci, potentissimo presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici. La Procura di Firenze (e poi quella di Perugia) scoprono che Anemone pagò 900mila euro al ministro dell’Interno Claudio Scajola per coprire i due terzi di un appartamento di 250 metri quadri con vista sul Colosseo. Scajola, con grave sprezzo del ridicolo, giura che non lo sapeva: “Me l’hanno pagato a mia insaputa. Ma un ministro non può sospettare di abitare in una casa pagata in parte da altri”. E si dimette. Dinanzi allo sdegno generale per quel quadro spudorato di sprechi e mazzette (in un’intercettazione il costruttore Francesco De Vito Piscicelli ride con un amico la notte del terremoto, pregustando gli appalti per la ricostruzione), Berlusconi annuncia una legge anticorruzione, che viene licenziata a marzo dal Consiglio dei ministri. Non verrà mai approvata.

(21 – continua)

“Le pagelle peggiorano il sistema Palamara”

“Guardi: più che la delega affidata a Francesco Paolo Sisto, il guaio è la riforma annunciata dal governo che non ci pare per nulla adeguata a rimediare ai problemi emersi”. Giuseppe Santalucia, presidente dell’Anm, parla della delega affidata dalla ministra della Giustizia Cartabia al sottosegretario di FI sulle valutazioni di professionalità delle toghe.

Presidente, davvero per lei non è un segnale d’allarme la scelta di affidare le carriere dei magistrati all’avvocato di Berlusconi?

Non coltivo letture maliziose. Le norme sono per ora abbastanza chiare: a chiunque spetti la delega, al ministero non compete che l’adozione di decreti che formalizzano le deliberazioni del Csm che, finché la Costituzione è questa, agisce in autonomia. Semmai il problema è un altro.

Quale?

In ballo c’è una riforma dell’ordinamento che per come ci è stata raccontata e senza che potessimo vedere nulla di scritto rischia di peggiorare la situazione ed esasperare tendenze che invece vanno sopite, non accentuate.

Ma non ha appena detto che il Csm è presidio di autonomia?

Sì, ma l’introduzione delle pagelle per valutare l’operato dei magistrati rispetto alla loro capacità organizzativa, di per sé non può che esasperare una corsa alla carriera che altera la fisiologia della nostra funzione.

Cos’altro preoccupa della riforma Cartabia?

Consentire all’Avvocatura di votare nei consigli giudiziari che elaborano le valutazioni di professionalità dei magistrati esaspera la potenziale conflittualità tra categorie professionali.

Non vi viene il sospetto che oggi si voglia approfittare di un’immagine così offuscata della magistratura?

Il punto è questo: al di là delle intenzioni e dei disegni dei singoli, vorrei una riforma che non alimentasse un tale sospetto.

Ma che tipo di riforma può fare un governo che sceglie come sottosegretario alla Giustizia un deputato berlusconiano?

In un governo di ampia maggioranza è fisiologico che siano rappresentati tutti i partiti che lo sostengono. A me interessa il prodotto, non chi lo fa: noi magistrati non facciamo politica.

È un caso che Cosimo Ferri, leader di Magistratura Indipendente, allora deputato del Pd e già sottosegretario alla Giustizia con delega alle valutazioni professionali dei magistrati, sedesse con Palamara e Lotti per decidere le nomine di importanti procure?

Quello che è stato rivelato dalle inchieste è frutto di leggi passate che hanno favorito dinamiche deviate: il verticismo e il carrierismo, storture che devono essere corrette e che l’annunciata riforma Cartabia rischia invece di favorire ulteriormente.

Secondo lei, i magistrati di Bari del processo escort cosa pensano del fatto che sarà l’avvocato di fiducia di B. a firmare le loro valutazioni di professionalità?

Ripeto: non sono allarmato. Finché il Csm agisce in piena autonomia.

Ritorna in piazza il Popolo Viola contro il Caimano versione Quirinale

Con la candidatura lunare di Silvio Berlusconi al Quirinale, torna in campo un antico movimento che negli anni di B. premier aveva portato in piazza migliaia di persone per protestare. Riecco il Popolo Viola, convocato ancora una volta dal suo storico animatore, Gianfranco Mascia. “Dove eravamo rimasti? – scrive sul suo blog – Ah sì, era l’1 agosto 2013, stavamo davanti al Palazzo di Giustizia di Roma, in attesa che la Corte di Cassazione confermasse o meno la decisione di condanna della Corte di Appello a quattro anni di detenzione per Silvio Berlusconi, riguardo al processo Mediaset”. E la Cassazione, come noto, confermò. “Pensavamo che il nostro compito di controllo democratico, con l’uscita di Berlusconi dalle istituzioni, fosse ormai terminato – continua Mascia – e invece siamo costretti a convocare ancora un presidio, dopo tutti questi anni: il 4 gennaio dalle 17 in poi a Roma, in piazza Santi Apostoli; è il giorno indicato dal presidente Fico per stabilire il calendario dell’elezione del presidente della Repubblica”. Il Popolo Viola fu tra i primissimi movimenti nati sui social network (all’epoca Facebook), nel lontano 2009. Il 4 dicembre di quell’anno, a Roma in piazza San Giovanni si raccolsero oltre 200mila persone. È passato più di un decennio, ma la figura di Berlusconi sembra non tramontare mai. “Sui media italiani – scrive Mascia – in pochissimi sembrano considerare l’ineleggibilità morale e sociale del pregiudicato Silvio Berlusconi per ricoprire la carica di presidente della Repubblica”. C’è ancora bisogno di ribadirlo in piazza.

Obiettivo Colle: B. regala i quadri delle televendite

La scena è degna di un film di Paolo Sorrentino. Silvio Berlusconi, interno salotto. Su un divano che chiama quelle televendite che danno alla tv. “Sono Silvio”, si presenta al telefono con il proprio nome. E lì acquista quadri, vasi, sculture, orologi e altre suppellettili di diverso valore. Più di un ospite dell’ex premier racconta che sì, in casa Berlusconi, a villa San Martino ad Arcore o a villa Grande sull’Appia antica, alcune serate finivano così: da tre o quattro anni l’ex premier si attacca al telefono per soddisfare quella che è diventata una passione: le televendite. “Quella di Silvio è un’euforia dell’acquisto” la definisce Vittorio Sgarbi, deputato di Forza Italia, che di opere d’arte se ne intende e a cui è stata mostrata più volte la collezione privata dell’ex premier.

Dallo schermo a volte quei regali entrano anche nella filiera dei cadeaux che ogni anno Berlusconi (“Uomo generosissimo, nessuno è come lui”) offre a ministri, giornalisti, amici e conoscenti. È successo anche quest’anno. Lo ha annunciato “Silvio” stesso durante l’ultimo vertice di Forza Italia tenuto in villa Grande, lo scorso 23 dicembre: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Lorenzo Cesa e poi Maurizio Lupi, Giovanni Toti e anche Luigi Di Maio, sono nella lista di chi riceverà il regalo. A molti di loro potrebbe regalare una veduta di Venezia, con tanto di gondole e canali. Soggetto di cui Berlusconi sarebbe appassionato.

Una mossa che si ripete da tempo, ma che quest’anno coincide anche con la corsa ai voti per il Quirinale. Gliene servono almeno 50 per arrivare alla soglia dei 505 dal quarto scrutinio. Per cui, dicono le malelingue dentro Forza Italia, i quadri che saranno regalati ai leader del centrodestra servirebbero anche per tenerli buoni in vista del Colle –­Berlusconi teme molto i franchi tiratori nella coalizione e si è parecchio irritato per l’attivismo di Salvini con gli altri segretari di partito – e per corteggiare i suoi futuri grandi elettori. Anche se il valore dei regali varia pure a seconda del loro ruolo e del legame personale. “Se pensa di convincere i parlamentari con quelle croste, va poco lontano” sputa veleno un parlamentare di lungo corso.

Poi però ci sono anche i doni di grande valore. Quadri a olio su tela con vedute, nature morte, Madonne. Tra gli acquisti più preziosi c’è un Tiziano che vale oltre 5 milioni di euro. Sul retro di ogni tela – come si può vedere nella foto qui sotto, che il Fatto pubblica in esclusiva – c’è la certificazione “collezione di villa San Martino” con tanto di autografo di Berlusconi. “Silvio ha una collezione di oltre 30 mila dipinti – racconta chi in passato ha ricevuto un dono –. Moltissimi quadri li compra alle aste televisive, chiama con il suo nome”. “Compra di tutto” continuano da Arcore. Talvolta anche con episodi stravaganti: quando i conduttori lanciano la televendita e lui fa un’offerta presentandosi come Silvio Berlusconi, quasi nessuno ci crede. “Sì, e io sono Napoleone” gli avrebbero risposto una volta, nel 2018. A ottobre scorso anche la cancelliera tedesca uscente Angela Merkel era stata omaggiata con un oggetto d’antiquariato portafortuna: era un pezzo della collezione del leader di Forza Italia, che lo aveva acquistato dieci anni fa da un noto antiquario. “Angela ha molto apprezzato” aveva detto sfoggiando un compiaciuto sorriso Berlusconi.

Alcune di queste opere, quelle di maggior valore, finiranno nella pinacoteca di Arcore, altre per arredare villa Gernetto a Lesmo (in Brianza) e quelle che restano Berlusconi le regalerà o, un giorno, devolverà tutto in beneficenza. L’obiettivo, racconta chi conosce bene l’ex premier, è soprattutto “l’effetto cimelio”: lasciare un ricordo di sé ai suoi amici, parenti e conoscenti. Un piccolo pezzetto della sua eredità. Che potrebbe valere oro in caso di sua elezione al Quirinale.

Quirinale, Pd nel marasma: Letta isolato, avanzano Casini e Amato

L’aveva detto per primo nel Pd Goffredo Bettini che Mario Draghi era un’ipotesi possibile per il Quirinale. E ieri, in maniera esplicita, crea le condizioni per affondare la sua candidatura in un intervento sul Foglio in cui vagheggia una figura alternativa con una “caratura politica”. I suoi esegeti ufficiali raccontano che parla di Dario Franceschini o di Pier Ferdinando Casini. Ma chi nel Pd è pronto a utilizzarlo per mettere in discussione l’autocandidatura del premier al Colle guarda a Giuliano Amato.

Il Dottor Sottile non dispiacerebbe neanche a Enrico Letta. Il quale, pur se definisce un “posizionamento personale” quello espresso da Bettini, sa che le correnti dem sono pronte a riprendere vigore, l’un contro l’altra armata. E le sue personali quotazioni di Draghi, finora apparsa la scelta numero uno, sembrano in calo. D’altra parte sono le giornate della tattica, della pretattica, dei bluff, dei giochi incrociati. “Io e Dario Franceschini ci ritroveremo in prima fila ad applaudire l’elezione di Draghi al Quirinale”. La battuta, fatta con alcuni parlamentari, è di Casini. Tanto per chiarire quali sono gli umori che accompagnano lui e il ministro della Cultura verso il voto per il presidente della Repubblica. Entrambi quirinabili, entrambi con qualche chance, almeno sulla carta (più Casini che Franceschini), entrambi utilizzati più che altro come elemento di trattativa per condizionare il percorso che il premier si è disegnato per andare al Colle. Bettini al Foglio indicava come “via possibile”, uno “scatto di volontà dei più importanti leader politici italiani per indicare una soluzione diversa da quella di Draghi”. In nome di una figura, però, non “scolorita”, ma che abbia una “caratura politica”.

Per quella parte dei dem vicina a Giuseppe Conte, il premier con le nomine Rai si è inimicato l’Avvocato, al punto da vedersi sbarrata anche da loro la via del Colle. Senza contare che serve il ritorno della politica e non il suo commissariamento. Per questo, si tornano a fare i nomi di Franceschini e Casini. Sul primo, stanno effettivamente lavorando i suoi: non tanto perché il ministro ci creda davvero, ma per poter mettere sul piatto un pacchetto di voti con i quali trattare. Per un altro candidato. Eventualmente per il post-Draghi, nel caso il premier andasse al Colle. Stessa questione, la candidatura di Casini, sostenuta in primis da Matteo Renzi, magari insieme a Matteo Salvini (fatta salva l’attesa per il ritiro di Silvio Berlusconi).

Lo stesso Renzi, però, continua a fare un gioco di poker. E dopo aver detto che non è necessario che il presidente venga eletto con i voti della stessa maggioranza che sostiene il governo, adesso sarebbe pronto a cambiare schema. I suoi raccontano che la prossima mossa sarà quella di lanciare Draghi. Sempre dopo che Berlusconi si sarà ritirato e trattando per il dopo, con un patto che tenga insieme Quirinale e governo. D’altra parte, il leader di Iv ha un unico obiettivo: fare da ago della bilancia, senza diventare del tutto irrilevante. E con i partiti che osteggiano l’ex Bce è proprio appoggiandolo che può provare a riuscire nel suo gioco. Intanto molti nel Pd scommettono su Amato. È su di lui che potrebbero convergere i voti dei franceschiniani. Potrebbero votarlo gli orlandiani, sostenuti anche dal vice segretario dem, Peppe Provenzano, che non disdegna affatto l’ipotesi.

Per restare nel campo giallorosa, anche Massimo D’Alema e Roberto Speranza guarderebbero a questa soluzione. Mentre ieri è stata una giornata di intensi colloqui in casa 5Stelle. Giuseppe Conte ufficialmente parla di una donna, in realtà è alla ricerca di una candidatura da portare avanti, anche insieme al centrodestra. Diversa da Draghi. Da trovare sempre una volta che B. si sia tirato indietro. Mentre persino qualcuno in casa M5S non disdegna Amato. Difficile però che per i Cinquestelle sia meglio lui che il premier. E così si torna al punto di partenza.

Perse 25 kg in carcere e morì: “Non fu curato”

Diceva di non riuscire a mangiare, ma gli operatori del carcere credevano che simulasse. Antonio Raddi, detenuto alle Vallette di Torino, morì il 30 dicembre 2019 a 28 anni per una infezione polmonare dopo avere perso 25 chili di peso. Il caso è approdato in tribunale, dove tra qualche giorno verrà discussa la richiesta dei familiari del giovane di non archiviare l’inchiesta. La seconda consulenza tecnica ordinata dalla Procura parla di cure non adeguate. Gli indagati sono quattro. I pm hanno proposto l’archiviazione perché, a loro giudizio, non sarebbero stati raccolti elementi sufficienti per stabilire la responsabilità a carico dello staff medico delle Vallette, anche perché, a quanto pare, “il detenuto non si mostrava collaborativo”.

Rimborsopoli, la destra usa il suicidio di Burzi. Ma “la Regione gli pagò 200 pasti in vacanza”

Un colpo di pistola la notte di Natale e tre lettere per spiegare il suo malessere. Angelo Burzi, 73 anni, politico torinese, già assessore regionale al Bilancio per Forza Italia e poi consigliere regionale fino al 2014, si è suicidato nel suo appartamento in centro a Torino. Nelle lettere, fra le altre cose, ha spiegato che non sopportava il peso della condanna a 3 anni per peculato del 16 dicembre scorso dalla Corte d’appello per la Rimborsopoli piemontese. L’ex presidente del Piemonte Roberto Cota, amico di Burzi e anche lui condannato per i rimborsi gonfiati (1 anno e 7 mesi), chiede “un serio approfondimento pubblico della vicenda, c’è stato accanimento giudiziario”. Secondo Guido Crosetto “contro di lui (e molti altri) hanno usato la giustizia”. “Tutte le volte nelle quali è stato individuato un legame con un’attività o una finalità politica, anche blanda, vi è stata richiesta di archiviazione”, ha precisato ieri il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo.

Ma qual è stata davvero la vicenda giudiziaria di Burzi? Mettiamo in fila i fatti. Il fondatore di FI Piemonte viene indagato con altri 51 consiglieri nell’aprile 2013 per i presunti rimborsi illeciti ottenuti tra il 2010 e il 2012. Una di queste voci, per i pm, riguardava quasi 15 mila euro di ristoranti, costi in parte sostenuti in vacanza (200 pasti) o “dove non era presente”. Chiusa l’indagine, gli indagati sono una quarantina: 14 patteggiano, 4 sono condannati in abbreviato e 25 (tra cui Burzi) seguono il rito ordinario. Burzi risponde di peculato per alcune spese personali come consigliere del Pdl e poi del gruppo “Progett’azione” (circa 15 mila euro) e di peculato in concorso per le spese di tre colleghi di quest’ultima formazione (circa 14 mila euro). Il 7 ottobre 2016 il tribunale lo assolve perché le sue spese erano state ritenute “di rappresentanza”. La valutazione cambia nel secondo grado del 2018. L’anno seguente la Cassazione approva la lettura, ma ordina un nuovo giudizio per rideterminare la pena che, da 2 anni e 4 mesi, sale a 3 anni. La Procura porta avanti un’altra indagine, stavolta sul periodo 2008-10. Al termine dell’inchiesta, Burzi ottiene nel febbraio 2019 il patteggiamento a 1 anno, chiesto “perché voleva chiudere la vicenda senza dover affrontare un altro processo”, ha detto il suo legale.

“Fuga di notizie nell’inchiesta su Montante”. Ai servizi sociali lo 007 nominato da Renzi

Per la Procura di Caltanissetta lo 007 ha mentito in fase d’indagine, ma il processo è sospeso e sarà affidato ai servizi sociali. È la storia di Valerio Blengini, ex vicedirettore Aisi, nominato sotto il governo Renzi e in pensione dal dicembre 2020, oggi imputato a Caltanissetta per false informazioni ai pm, per la fuga di notizie sull’inchiesta all’ex paladino dell’antimafia, Antonello Calogero Montante (nella foto). Il 28 febbraio il giudice del tribunale deciderà a quale programma di lavoro affidare l’ex 007, dopo la citazione diretta del pm Maurizio Bonaccorso. I legali di Blengini infatti hanno proposto e ottenuto la messa alla prova, quindi la sospensione del processo. “Blengini ha ribadito ai pm la correttezza e la rispondenza al vero della ricostruzione dei fatti da lui operata in ordine all’incontro con il questore Megale – precisa l’avvocato Antonio Marino –. La scelta della messa alla prova non costituisce un’ammissione di colpa, è dettata dalla grave situazione personale che Blengini ha dovuto affrontare a causa di un serio problema di salute insorto negli ultimi mesi di servizio”. L’inchiesta su Blengini nasce dopo la sentenza di condanna a 14 anni in abbreviato di Montante, in cui la gup Graziella Luparello ha chiesto agli inquirenti di valutare le posizioni degli uomini dell’Aisi, che avrebbero contribuito alla fuga di notizie. Inizia tutto con l’ex funzionario dello Sco, Andrea Grassi (già condannato a 1 anno e 4 mesi in abbreviato, l’appello è già in corso), il primo a sapere delle indagini su Montante e sul colonnello dell’Arma Giuseppe D’Agata, già capo Dia di Palermo. Grassi avvisa lo 007 Andrea Cavacece, con il conseguente “trapasso delle informazioni segrete dallo Sco di Roma all’Aisi”. Cavacece, secondo i pm, ne parla con D’Agata e con il generale Arturo Esposito, già capo dello Sco, e quest’ultimo incarica “Blengini di tentare un abboccamento con il questore di Caltanissetta” Bruno Megale. Il 25 gennaio 2016, lo 007 incontra Megale all’hotel Baglioni di Firenze tentando di sapere su cosa stesse indagando, ma il questore non si sbottona.

Interrogato dai pm di Caltanissetta, Blengini spiega di aver saputo dell’indagine su D’Agata in maniera “molto vaga e generica”, e di aver tentato “l’approccio al questore Megale” solo per gli “incarichi rivestiti da D’Agata in Sicilia”. Per l’accusa lo 007 “mente sapendo di mentire”.

Dirigente arrestato a Bari: “Tangenti sui Covid hospital”

“Ho fatto tutto, ho dato la mazzetta, ho dato tutte cose”. Così parlava, intercettata, una delle persone coinvolte nell’inchiesta della Procura di Bari sull’ospedale Covid nella Fiera del Levante, inaugurato nel capoluogo pugliese nel gennaio del 2021, che, per i pm, ha “fatto emergere delle zone d’ombra sulla gestione dell’attività contrattuale della Regione Puglia”. A beneficiarne, secondo le accuse, Antonio Lerario, responsabile ad interim della Protezione civile regionale, arrestato in flagranza di reato dalla Guardia di Finanza il 23 dicembre, dopo che aveva intascato una busta con 10 mila euro in contanti. Davanti al gip Anna Perrelli, l’uomo ha confessato di aver accettato la tangente. Accusati di corruzione anche gli imprenditori Luca Leccese e Donato Mottola, entrambi ai domiciliari. Al centro dell’indagine l’affidamento dei lavori e i relativi costi, per oltre 17 milioni. Sempre per la Procura di Bari potrebbe esserci stata una fuga di notizie, tanto che i giudici hanno aperto un’indagine parallela.