L’intervista alla trasmissione Atlantide costa il posto nel pool sui mandanti esterni delle stragi al pm che più si è speso su questo tema: Antonino Di Matteo. L’ex pm di Palermo ora in forze alla Procura Nazionale Antimafia è stato rimosso dalla sera alla mattina con una mail dal pool che deve coordinare da Roma le indagini delle Procure territoriali su un tema delicato come le “entità esterne nelle stragi e negli altri delitti di mafia”.
La decisione è stata presa dal Capo della Direzione Nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho. In realtà Di Matteo non ha svelato un solo fatto inedito nella sua intervista. Inoltre è stato attentissimo ad evitare ogni riferimento ai filoni più delicati politicamente. Per esempio non ha citato le intercettazioni in cella del boss Giuseppe Graviano nelle quali si fa riferimento a Berlusconi. Si è limitato a ricordare alcuni elementi oscuri da approfondire. Di Matteo ha citato la presenza di un guanto con tracce di Dna femminile e di un foglietto con il numero di un funzionario dei servizi segreti, trovati entrambi sul luogo della strage di Capaci, il 23 maggio 1992.
Poi si è domandato se fosse un caso che l’uomo che ha fornito il telecomando per la strage, Pietro Rampulla, fosse un estremista di destra. Infine ha ricordato l’interesse di Giovanni Falcone per gli elenchi di Gladio, l’organizzazione segreta anticomunista creata in accordo con i servizi americani e svelata da Giulio Andreotti.
Nessuno di questi elementi era segreto. Sono fatti emersi anni fa nelle inchieste e nei processi di cui la stampa si è occupata più volte. Ecco perché la decisione del Procuratore Cafiero de Raho, svelata ieri da Repubblica, è giunta come un fulmine a ciel sereno. Il pool di cui Antonino Di Matteo fa parte insieme ai colleghi Francesco Del Bene e Franca Imbergamo, sotto il coordinamento dell’aggiunto Giovanni Russo, è certamente quello più ‘delicato’ dal punto di vista politico. Sei mesi fa il Procuratore De Raho ha riorganizzato i suoi uomini in gruppi che perseguono scopi investigativi innovativi. Sulle stragi di mafia in particolare, De Raho ha finalmente deciso di andare oltre le responsabilità mafiose, in larghissima parte già accertate, per addentrarsi nel territorio, ben più oscuro e rischioso, dei possibili collegamenti tra Cosa Nostra e le ‘entità esterne’. E’ evidente che indagare sulle responsabilità di un mafioso morto come Riina è cosa semplice. Provare a individuare un possibile legame tra i servizi segreti (e altre entità politiche) con Cosa Nostra proprio in merito alle stragi, non è un passo facile né scontato.
Va detto che anche la scelta di chiamare Di Matteo, il pm più preparato ma anche il più esposto mediaticamente sulla materia, non era scontata. Cafiero De Raho però ha voluto Di Matteo vincendo i mal di pancia di chi soffre la grande popolarità del pm più scortato e minacciato d’Italia. Perché allora De Raho è stato così duro nei confronti di un collega che stima profondamente? Perché si è privato del suo contributo per dichiarazioni su fatti stra-noti?
Fonti della Direzione Nazionale Antimafia lasciano intendere che il Procuratore si è mosso per tutelare i delicati equilibri interni al suo ufficio e ancor di più quelli con le Procure territoriali. Quei fatti – fa notare sotto vincolo di anonimato una fonte che ha parlato con il Procuratore – erano sì noti ma Cafiero De Raho non ha gradito che Di Matteo raccontasse in tv la sua valutazione sui medesimi fatti. Il punto sarebbe che lo stesso Di Matteo sta valutando il senso da attribuire a quei fatti con i colleghi del suo gruppo nella DNA e con quelli delle Procure. Appena ha visto l’intervista, immaginando le reazioni dei colleghi a Roma, Caltanissetta e Firenze, il procuratore ha preferito dare un segnale: su questi fatti così delicati, ancorché noti, non sono ammessi ragionamenti in pubblico. I ragionamenti devono restare chiusi nel palazzo di via Giulia dove con tanta fatica De Raho è riuscito tutti i magistrati delle varie Procure a condividere i rispettivi segreti e anche i rispettivi punti di vista.
Chi ci ha parlato descrive un Procuratore Nazionale convinto di avere fatto quel che doveva ma anche molto provato e dispiaciuto per la sua stessa decisione. Un provvedimento così duro, contro una delle poche persone che da decenni lavora a suo rischio su queste materie, non ha precedenti. Il provvedimento è esecutivo ma De Raho lo ha trasmesso per le valutazioni al Csm. Se il Consiglio dovesse considerare eccessiva la cacciata di Di Matteo non è escluso che il Procuratore possa tornare sui suoi passi.